Prescrizione e decadenza come cause di estinzione dei diritti

Nel diritto civile, il decorso del tempo è una variabile fondamentale non solo nell’ottica dell’acquisizione di alcuni diritti ma anche in termini di estinzione degli stessi.

1. Osservazioni generali

La prescrizione e la decadenza, disciplinate dall’art. 2934 e ss. c.c. a chiusura dell’intero impianto normativo civilistico, si configurano quali modi generali di estinzione dei diritti derivanti dall’inerzia del titolare degli stessi (mancato esercizio del diritto) per un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge.
La ratio degli istituti in esame è la medesima per entrambi ed è ravvisabile nell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, la quale verrebbe meno qualora fossero generalizzati rapporti perpetui.
Diverso è invece il fondamento dei due istituti. Mentre la prescrizione fonda la sua ragion d’essere nella presunzione di abbandono di un diritto per inerzia del titolare, il fondamento della decadenza si coglie nell’esigenza obiettiva del compimento di particolari atti entro un termine perentorio stabilito dalla legge o dalla volontà dei privati[1].
Entrambe, come anticipato, incidono sul decorso del tempo. Il codice, agli artt. 2962 e 2963 c.c., si preoccupa altresì di indicare puntualmente le modalità di computo dei termini. In sintesi, questi si computano secondo il calendario comune compresi i giorni festivi, salvo rare eccezioni; è escluso il giorno iniziale (dies a quo) mentre è incluso quello finale (dies ad quem). Nel caso in cui il termine scada in un giorno festivo, viene prorogato di diritto al giorno seguente non festivo. La scadenza del termine si ha all’ultimo istante del giorno, mese e anno corrispondente a quello in cui il relativo fatto si è verificato senza che rilevi che il mese sia di 28 o 30/31 giorni.

2. La prescrizione

La prescrizione, ex art. 2934 c.c., consiste nell’estinzione di un diritto il cui titolare non lo abbia esercitato per un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge. Va specificato come l’oggetto della prescrizione sia il diritto soggettivo e non il fatto giuridico costitutivo di esso: ciò implica conseguentemente che eventuali altri diritti sorgenti dal rapporto e soggetti ad un diverso termine prescrizionale, continuano a produrre i relativi effetti.
Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili ed altri indicati dalla legge; a titolo esemplificativo e non esaustivo, vi rientrano i diritti della personalità, il diritto di proprietà (salve le regole sull’usucapione) e l’azione di nullità del contratto.
La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. La possibilità cui fa riferimento la norma è soltanto quella legale (pensiamo ad esempio ad una condizione sospensiva ovvero un termine non ancora scaduto): la giurisprudenza ha più volte ribadito il principio per cui l’impossibilità di fatto non è idonea ad impedirne il decorso[2].
Qualsiasi accordo finalizzato a derogare la disciplina legale della prescrizione è nullo ex art. 2936 c.c.. Non si può altresì rinunciare alla stessa se non dopo che sia compiuta; la rinuncia può avvenire anche tacitamente, dovendo risultare da un comportamento incompatibile con la volontà di opporre la causa estintiva del diritto altrui. Non viene considerata rinuncia, ad esempio, l’intercorrere di trattative a scopo transattivo tra le parti al fine di addivenire ad una soluzione bonaria della vertenza.
L’eccezione di prescrizione può essere sollevata dal debitore e da chiunque ne abbia interesse se questi non lo fa, anche qualora vi abbia rinunciato. Il giudice invece non può d’ufficio rilevare la prescrizione se non viene opposta dal debitore.
Di particolare rilievo sono poi le norme che riguardano la sospensione e l’interruzione della prescrizione. Con riferimento alla prima, trattandosi di un’ipotesi eccezionale, può verificarsi solo nei casi espressamente previsti dalle norme e non può esservi alcun tipo di applicazione analogica ovvero interpretazione estensiva. Classico caso di sospensione della prescrizione è quello dei coniugi: questa opera addirittura anche qualora si trovino in stato di separazione personale. Una volta venuta meno la causa prevista dagli artt. 2941 e 2942 c.c., il decorso del termine riprenderà normalmente sommandosi a quello già decorso prima del verificarsi della causa legittimante la sospensione. L’interruzione, le cui cause sono altrettanto tassative, differisce tuttavia per una caratteristica di notevole importanza: il verificarsi di una delle ipotesi previste dalla legge postula l’inizio di un nuovo periodo di prescrizione. In altre parole, a seguito dell’interruzione, essa inizia a decorrere ex novo, con annullamento del periodo di tempo trascorso antecedentemente. Esempi di interruzione, oltre quello contemplato dall’art. 2944 c.c. derivante dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere, sono ravvisabili nella notifica dell’atto con cui si inizia un giudizio ovvero si interviene in un giudizio in corso nonché in ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore.

3. I termini della prescrizione

Veniamo ora alla durata della prescrizione. In linea generale, il termine c.d. ordinario decorso il quale i diritti si estinguono è pari a dieci anni. L’art. 2946 c.c., nell’enunciare questo principio generale, fa salvi i casi in cui la legge dispone diversamente e la giurisprudenza, ricollegandosi a ciò, ha escluso qualsivoglia tipo di concorso tra prescrizione ordinaria e prescrizioni speciali[3].
Si parla invece di prescrizione lunga con riferimento ai diritti reali di godimento su cosa altrui, i quali si estinguono con il decorso di venti anni.
Vi è poi una macrocategoria rappresentata dalle c.d. prescrizioni brevi. In particolare, si prescrive in cinque anni il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, a meno che non si tratti di un reato per il quale è stabilita una prescrizione più lunga e che si applica anche all’azione civile. Se il danno è prodotto dalla circolazione di veicoli di qualunque specie, il relativo diritto al risarcimento si prescrive invece in due anni. Sempre in cinque anni si prescrivono, tra gli altri, gli interessi, le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro e l’azione di responsabilità che spetta ai creditori sociali verso gli amministratori. In due anni si prescrive l’azione contro l’appaltatore per vizi dell’opera ed in un anno il diritto alla rescissione del contratto, il diritto alla garanzia per vizi della cosa nei contratti di compravendita e altre ipotesi previste dagli artt. 29472953 c.c..
Infine, il codice prevede un regime speciale con riferimento alle c.d. prescrizioni presuntive, che si sostanziano in presunzioni di avvenuto pagamento e riguardano tutti quei rapporti quotidiani che si svolgono senza formalità e normalmente senza rilascio di quietanze. Il classico caso è quello degli insegnanti che impartiscono lezioni private ad ore o a giorni: la prassi vuole che il pagamento della prestazione avvenga immediatamente senza una corrispondente quietanza; la prescrizione presuntiva (nella specie, sei mesi) comporta che la prova dell’estinzione dell’obbligazione non sia più a carico del debitore, bensì del creditore, il quale potrà dimostrare la sua pretesa a seguito di confessione del debitore ovvero deferendo giuramento verso quest’ultimo. Qualora il debitore non dovesse giurare, il pagamento si riterrà non avvenuto ed il creditore avrà diritto a ricevere le sue spettanze.
Altre ipotesi (non esaustive) di prescrizione presuntiva riguardano gli osti e gli albergatori per il vitto e l’alloggio che somministrano e tutti coloro che danno alloggio con o senza pensione (sei mesi); i prestatori di lavoro per retribuzioni non corrisposte per periodi non superiori al mese, gli ufficiali giudiziari per il compenso dell’attività svolta (un anno); i professionisti – notai, avvocati – per il compenso dell’opera prestata (tre anni). I vari termini previsti dalle norme cominciano a decorrere dalla scadenza della retribuzione periodica o dal compimento della prestazione.

4. La decadenza

La decadenza trova disciplina nell’art. 2964 e ss. del codice civile. L’istituto in esame impedisce di intraprendere l’esercizio di un diritto a causa dell’inosservanza di un termine rigoroso cui l’esercizio del diritto stesso è subordinato (si prenda come esempio l’art. 1495 c.c.). Cambia, rispetto alla prescrizione, il fondamento ma, come detto, ne è identica la ratio.
Le differenze rispetto alla disciplina della prescrizione sono tuttavia importanti. I termini decadenziali previsti dalla legge possono essere infatti derogati su accordo delle parti a condizione che si tratti di diritti disponibili e che non siano tanto brevi da rendere estremamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto. Inoltre il decorso del termine non può essere sospeso – salvo rare eccezioni – né può essere interrotto o ricominciare a decorrere. È ammessa, oltre alla decadenza su accordo delle parti, anche quella c.d. giudiziale su istanza di parte.
È interessante segnalare come la giurisprudenza abbia ritenuto valida, ai fini dell’interruzione del termine decadenziale, la proposizione della domanda davanti ad un giudice incompetente ma appartenente al medesimo ordine giurisdizionale di quello effettivamente competente, essendo gli effetti conservativi del termine decadenziale funzionali alla translatio iudicii ed alla prosecuzione del processo innanzi al giudice competente[4]. Non può invece dirsi altrimenti per l’azione proposta nei confronti di chi non sia legittimato passivo, alla quale non è riconosciuto effetto impeditivo del termine decadenziale[5].Infine, va sottolineato come nemmeno la decadenza possa essere rilevata d’ufficio dal giudice – salvo il caso in cui oggetto della controversia sia costituito da diritti indisponibili – e soprattutto che, nei casi in cui la decadenza sia impedita, il diritto rimane comunque soggetto a prescrizione, rendendo così la decadenza un’ipotesi speciale prevista in determinati casi e la prescrizione un’ipotesi invece di portata generale.

Note

[1] Cass. Civ., sent. n. 3078/2010.
[2] Ex multis, Cass. Civ., sent. n. 2429/1994.
[3] “La prescrizione decennale ordinaria (art. 2946 c.c.) e quella quinquennale, prevista per alcune categorie di crediti, fra cui quelli di lavoro (art. 2948, n. 4, c.c.) non possono concorrere, essendo privo di senso l’assoggettare alla più lunga prescrizione un diritto già estinto per effetto della prescrizione più breve” (Cass. Civ., sent. n. 3005/1985).
[4] Cass. Civ., sent. n. 3473/2000.
[5] Cass. Civ., sent. n. 61/1985.