Art. 572 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Maltrattamenti contro familiari e conviventi

Articolo 572 - codice penale

(1) (2) (3) Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni (4).
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi (5).
La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici (6).
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato (7).

Articolo 572 - Codice Penale

(1) (2) (3) Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni (4).
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi (5).
La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici (6).
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato (7).

Note

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 4, comma 1, lett. d), della L. 1° ottobre 2012, n. 172.
(2) A norma dell’art. 157, sesto comma, c.p., così come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), della L. 1° ottobre 2012, n. 172, i termini di prescrizione sono altresì raddoppiati per il reato di cui all’articolo 572 e per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II e di cui agli articoli 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, salvo che risulti la sussistenza delle circostanze attenuanti contemplate dal terzo comma dell’articolo 609 bis ovvero dal quarto comma dell’articolo 609 quater.
(3) A norma dell’art. 11 del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38, così come modificato dall’art. 1, comma 4 bis, del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119, le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori, hanno l’obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima. Le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.
(4) Le parole: «due a sei anni» sono state così sostituite dalle attuali: «da tre a sette anni» dal’art. 9, comma 2, lett. a), della L. 19 luglio 2019, n. 69.
(5) Questo comma è stato inserito dall’art. 9, comma 2, lett. b), della L. 19 luglio 2019, n. 69.
(6) Questo comma è stato abrogato dall’art. 1, comma 1 bis, del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119.
(7) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 9, comma 2, lett. c), della L. 19 luglio 2019, n. 69.

Tabella procedurale

Arresto: obbligatorio in flagranza.380 c.p.p.
Fermo di indiziato di delitto: consentito.384 c.p.p.
Misure cautelari personali: consentite.280, 287 c.p.p.
Autorità giudiziaria competente: primo comma, Tribunale monocratico; quarto comma, in caso di lesione grave, Tribunale monocratico; in caso di lesione gravissima, Tribunale collegiale; se deriva la morte, Corte di assise.33 ter c.p.p.; 33 bis c.p.p.; 5 c.p.p.
Procedibilità: d’ufficio.50 c.p.p.

Massime

In tema di sospensione dell’ordine di esecuzione di pene detentive, la condanna per il reato di cui all’art. 572, comma secondo, cod. pen., commesso in epoca antecedente all’entrata in vigore dell’art. 9, legge 19 luglio 2019, n. 69, che ha trasformato l’ipotesi ivi prevista in circostanza aggravante ad effetto speciale, costituisce titolo ostativo alla sospensione dell’esecuzione, in quanto già previsto come tale dall’art. 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. il cui testo è rimasto sempre immutato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10373 del 17 marzo 2021 (Cass. pen. n. 10373/2021)

Il reato di maltrattamenti, in quanto reato abituale, si consuma nel momento in cui ha luogo la cessazione della condotta, sicché eventuali modifiche del regime sanzionatorio trovano applicazione anche se intervenute dopo l’inizio della consumazione, ma prima della cessazione della abitualità. (Fattispecie in cui è stata ritenuta applicabile, ai fini della determinazione del termine di fase della custodia cautelare, la norma introdotta dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, che ha trasformato l’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 11-quinquies cod. pen. in una aggravante ad effetto speciale della fattispecie base del maltrattamenti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2979 del 25 gennaio 2021 (Cass. pen. n. 2979/2021)

Nell’ipotesi di commissione del delitto di maltrattamenti in famiglia mediante condotte minacciose meramente evocative del possesso di armi legittimamente detenute, senza un loro effettivo utilizzo, non è ammissibile la confisca obbligatoria prescritta dagli artt. 240 cod. pen. e 6 della legge 22 maggio 1975, n. 152, non essendo esse servite o comunque destinate alla commissione del reato alla stregua della previsione dell’art. 240, comma primo, n. 1), cod. pen. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 36085 del 16 dicembre 2020 (Cass. pen. n. 36085/2020)

Ai fini dell’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, prevista dall’art. 34 cod. pen., integra abuso di tale responsabilità, in caso di condanna per il delitto di maltrattamenti in famiglia, la condotta vessatoria, rivolta nei confronti dell’altro genitore, che coinvolga solo indirettamente i figli minori, costringendoli ad assistere ad una violenza sopraffattrice destinata ad avere ripercussioni sulla loro crescita ed evoluzione psicofisica. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 34504 del 3 dicembre 2020 (Cass. pen. n. 34504/2020)

Il reato di maltrattamenti in famiglia non è assorbito dal delitto di estorsione, attesa la diversa oggettività giuridica dei reati. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna dell’imputato per entrambi i delitti in concorso, ritenendo integrato quello di cui all’art. 572 cod. pen. da una persistente attività vessatoria all’interno della famiglia, articolata in una pluralità di condotte distinte ed in gran parte ulteriori rispetto a quelle finalizzate ad ottenere utilità patrimoniali). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 28327 del 12 ottobre 2020 (Cass. pen. n. 28327/2020)

In tema di rapporti tra il reato di maltrattamenti e violenza privata, è configurabile il concorso materiale nel caso in cui i maltrattamenti non abbiano cagionato una compressione della libertà morale della vittima, sicchè il concomitante compimento di singole condotte di violenza privata produce un’offesa autonoma ed ulteriore, mentre sussiste assorbimento del reato di violenza privata nel caso in cui la condotta di cui all’art.572 cod.pen. sia tale da aver determinato di per sé una lesione alla libertà morale della persona offesa, con la conseguenza che le singole condotte lesive della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo costituiscono una mera forma di estrinsecazione del più grave delitto di cui all’art. 572 cod. pen. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13709 del 6 maggio 2020 (Cass. pen. n. 13709/2020)

L’elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall’agente, in quanto l’uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito. (In motivazione, la Corte ha precisato che il reato di abuso dei mezzi di correzione presuppone l’uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, quali l’esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l’obbligo di condotte riparatorie o forme di rimprovero non riservate). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11777 del 9 aprile 2020 (Cass. pen. n. 11777/2020)

In tema di maltrattamenti in famiglia, la condotta penalmente sanzionata non richiede la mera esistenza di un rapporto parentale tra l’autore della condotta e la persona offesa, occorrendo l’effettiva convivenza o, quanto meno, rapporti di reciproca assistenza morale ed affettiva, sicchè il reato non è configurabile ove risulti la definitiva disgregazione dell’originario nucleo familiare. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza del reato sul presupposto che l’imputato, figlio e fratello delle persone offese, aveva interrotto con queste qualsivoglia rapporto familiare, non potendo neppure integrare il requisito della convivenza la mera condivisione di parti comuni dell’edificio all’interno del quale ciascuno disponeva di un autonomo appartamento). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8145 del 28 febbraio 2020 (Cass. pen. n. 8145/2020)

È configurabile il reato di maltrattamenti in situazione di condivisa genitorialità, anche in assenza di convivenza, a condizione che la filiazione non sia stata un evento meramente occasionale ma si sia quantomeno instaurata una relazione sentimentale, ancorché non più attuale, tale da ingenerare l’aspettativa di un vincolo di solidarietà personale, autonomo rispetto ai doveri connessi alla filiazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 37628 del 11 settembre 2019 (Cass. pen. n. 37628/2019)

In tema di maltrattamenti in famiglia, stante la natura di reato abituale, la competenza per territorio si radica innanzi al giudice del luogo di realizzazione dell’ultimo dei molteplici fatti caratterizzanti il reato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 24206 del 30 maggio 2019 (Cass. pen. n. 24206/2019)

Nel caso di “convivenza more uxorio”, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile soltanto per le condotte tenute fino a quando la convivenza non sia cessata, mentre le azioni violente o persecutorie compiute in epoca successiva possono integrare il delitto di atti persecutori. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 10222 del 8 marzo 2019 (Cass. pen. n. 10222/2019)

Ai fini della configurabilità del reato abituale di maltrattamenti in famiglia, è richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna emessa in relazione a tre distinti episodi di minaccia, ingiuria e percosse, posti in essere dall’imputato a distanza di tempo l’uno dall’altro ed in un arco temporale di circa undici mesi). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6126 del 7 febbraio 2019 (Cass. pen. n. 6126/2019)

Integrano il reato di maltrattamenti in danno del figlio minore anche le condotte persecutorie poste in essere da un genitore nei confronti dell’altro quando il figlio è costretto ad assistervi sistematicamente, trattandosi di condotta espressiva di una consapevole indifferenza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali del minore ed idonea a provocare sentimenti di sofferenza e frustrazione in quest’ultimo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 32368 del 13 luglio 2018 (Cass. pen. n. 32368/2018)

Il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 18833 del 2 maggio 2018 (Cass. pen. n. 18833/2018)

In assenza di vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile nei confronti di persona non più convivente “more uxorio” con l’agente a condizione che quest’ultimo conservi con la vittima una stabilità di relazione dipendente dai doveri connessi alla filiazione. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la permanenza del complesso di obblighi verso il figlio implica il permanere in capo ai genitori, che avevano costituito una famiglia di fatto, dei doveri di collaborazione e di reciproco rispetto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 25498 del 22 maggio 2017 (Cass. pen. n. 25498/2017)

Il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 cod. pen. soltanto quando le condotte di arbitraria compressione della libertà di movimento della vittima non sono ulteriori ed autonome rispetto a quelle specificatamente maltrattanti. (In applicazione di questo principio la S.C. ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale per il riesame che aveva escluso il concorso del reato di sequestro di persona con quello di cui all’art. 572 cod. pen., relativamente alle condotte di imbragare o legare su passeggini o seggiolini bambini in tenerissima età nell’ambito di maltrattamenti compiuti in loro danno all’interno di un asilo). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 15299 del 28 marzo 2017 (Cass. pen. n. 15299/2017)

In tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori (art. 612-bis, cod. pen.), salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612-bis, comma primo, cod. pen. – che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie – è invece configurabile l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dall’art. 612-bis, comma secondo, cod. pen.) in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva configurato il concorso tra i due reati, sul presupposto della diversità dei beni giuridici tutelati, ritenendo integrato quello di maltrattamenti in famiglia fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto, quello di atti persecutori). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 30704 del 19 luglio 2016 (Cass. pen. n. 30704/2016)

E configurabile lo stato di quasi flagranza del reato di maltrattamenti in famiglia purché: a) il singolo episodio lesivo risulti non isolato ma quale ultimo anello di una catena di comportamenti violenti o in altro modo lesivi; b) l’episodio delittuoso sia avvenuto immediatamente prima e l’autore di esso si sia dato alla fuga ovvero sia sorpreso con cose o tracce dalle quali appare che egli abbia appena commesso il reato. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che correttamente il G.i.p. avesse escluso la quasi flagranza in relazione ad arresto eseguito per fatti già avvenuti al momento dell’intervento della P.G. ed in presenza di un atteggiamento genericamente “aggressivo” dell’imputato, ma non connotato da minacce o ingiurie alla persona offesa). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 44090 del 23 ottobre 2014 (Cass. pen. n. 44090/2014)

Le pratiche vessatorie realizzate ai danni di un lavoratore dipendente al fine di determinare l’emarginazione (cd. mobbing), anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 172 del 2012, possano integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia soltanto quando s’inquadrino nel contesto di un rapporto che – per le caratteristiche peculiari della prestazione lavorativa ovvero per le dimensioni e la natura del luogo di lavoro – comporti relazioni intense e abituali, una stretta comunanza di vita ovvero una relazione di affidamento del soggetto più debole verso quello rivestito di autorità, assimilabili alle caratteristiche proprie del consorzio familiare. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso la sussistenza del delitto in parola, per essersi verificate le condotte vessatorie nel contesto di un’articolata realtà aziendale, caratterizzata da uno stabilimento di ampie dimensioni e da decine di dipendenti sindacalizzati). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13088 del 20 marzo 2014 (Cass. pen. n. 13088/2014)

In tema di maltrattamenti contro familiari e conviventi, integra la circostanza aggravante della lesione grave, di cui al secondo comma dell’art. 572 cod. pen., la ritardata crescita del minore che, per via dei maltrattamenti, si sia trovato in condizioni di denutrizione o malnutrizione tali da cagionare la predetta malattia. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12004 del 13 marzo 2014 (Cass. pen. n. 12004/2014)

È legittimo l’arresto in flagranza per il delitto di maltrattamenti qualora la polizia giudiziaria, dopo avere raccolto le dichiarazioni della persona offesa su comportamenti di reiterata sopraffazione, assista personalmente ad un singolo episodio che, pur non integrando autonoma ipotesi di reato, si pone inequivocabilmente in una situazione di continuità con le condotte denunziate dalla persona offesa medesima. (Fattispecie in cui una persona, la cui convivente aveva denunciato reiterate ipotesi di violenze e sopraffazioni, il giorno dell’arresto, recatosi presso l’abitazione della donna e verificato che quest’ultima era in auto con i carabinieri, aveva provato in modo irruento ad aprire la portiera dell’auto di servizio per parlare con la predetta). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34551 del 8 agosto 2013 (Cass. pen. n. 34551/2013)

Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di cui all’art. 572 c.p., anche nel testo modificato dalla l. n. 172 del 2012 esclusivamente se, il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assume natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Nella specie, la Corte pur escludendo la configurabilità del delitto di maltrattamenti, ha annullato con rinvio la sentenza assolutoria perché il giudice valutasse se i disturbi ansioso-depressivi lamentati dalla vittima potessero integrare il delitto di lesioni personali). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28603 del 3 luglio 2013 (Cass. pen. n. 28603/2013)

Il delitto di maltrattamenti è configurabile pure se con la vittima degli abusi vi sia un rapporto familiare di mero fatto, desumibile, anche in assenza di una stabile convivenza, dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza. (Nella specie, la Corte ha escluso ricorresse un rapporto di tal genere nel caso di due persone che, pur avendo generato dei figli, non avevano convissuto se non per brevissimi periodi ed avevano instaurato un legame caratterizzato da precarietà ed instabilità). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 22915 del 27 maggio 2013 (Cass. pen. n. 22915/2013)

Il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce anche gravi, ma non quelli di lesioni, danneggiamento ed estorsione, attesa la diversa obiettività giuridica dei reati. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 15571 del 4 aprile 2013 (Cass. pen. n. 46848/2012)

In tema di maltrattamenti in famiglia, integra la circostanza aggravante di cui all’art. 572, secondo comma, c.p. la condotta di colui che ponga in essere fatti di maltrattamento nel cui ambito si inscriva un’azione “finale”, anche se compiuta da un concorrente, la quale provochi direttamente il decesso della persona offesa, quando i maltrattamenti, globalmente considerati, pure in considerazione dell’ultimo episodio di violenza, abbiano idoneità concreta ad offendere il bene vita. (Fattispecie in cui la sentenza impugnata aveva attribuito la morte di un minore non solo all’autore del colpo letale, ma anche ad altro soggetto che aveva maltrattato la vittima con medesime modalità, ritenendo l’ultima percossa ed il successivo decesso il naturale sviluppo dell’unitaria ed abituale condotta di maltrattamenti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 46848 del 4 dicembre 2012 (Cass. pen. n. 46848/2012)

Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere dal vice Presidente di un ATER nei confronti di una dipendente). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16094 del 27 aprile 2012 (Cass. pen. n. 16094/2012)

Il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, ma non quello di lesioni, attesa la diversa obiettività giuridica dei reati. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13898 del 12 aprile 2012 (Cass. pen. n. 13898/2012)

In tema di maltrattamenti in famiglia, l’intervenuta prescrizione degli autonomi illeciti eventualmente integrati da alcune delle condotte che concorrono a realizzare il reato non ne determina l’irrilevanza ai fini della sussistenza di quest’ultimo, qualora per esso la causa estintiva non si sia ancora perfezionata. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39228 del 28 ottobre 2011 (Cass. pen. n. 39228/2011)

Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia il genitore che tenga nei confronti del figlio minore comportamenti iperprotettivi tali da incidere sullo sviluppo psicofisico dello stesso, a prescindere dal fatto che il minore abbia o meno percepito tali comportamenti come un maltrattamento o vi abbia acconsentito. (Fattispecie in cui la madre, in concorso con il nonno del minore, aveva nel tempo e fino all’età preadolescenziale di quest’ultimo, posto in essere atteggiamenti qualificati dal giudice del merito come eccesso di accudienza e consistiti nell’impedimento dei rapporti coi coetanei, nell’esclusione del minore dalle attività inerenti la motricità, anche quando organizzate dall’istituzione scolastica, nonché nell’induzione della rimozione della figura paterna costantemente dipinta in termini negativi, fino ad impedire allo stesso minore di utilizzare il cognome del padre). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36503 del 10 ottobre 2011 (Cass. pen. n. 36503/2011)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di una persona legata all’autore della condotta da una relazione sentimentale, che abbia comportato un’ assidua frequentazione della di lei abitazione, trattandosi di un rapporto abituale tale da far sorgere sentimenti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 24688 del 30 giugno 2010 (Cass. pen. n. 24688/2010)

Il reato di maltrattamento in famiglia assorbe i reati di ingiuria, minacce e violenza privata che rientrano nella materialità di detto delitto. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 22790 del 15 giugno 2010 (Cass. pen. n. 22790/2010)

Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p., lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti siano consapevoli, a prescindere dall’entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi. (Fattispecie relativa alla continua espressione di frasi ingiuriose e a maltrattamenti fisici da parte delle operatrici di un istituto pubblico di assistenza nei confronti di persone anziane ivi ricoverate nel reparto di lunga degenza). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8592 del 3 marzo 2010 (Cass. pen. n. 8592/2010)

Integra il reato di maltrattamenti la ripetuta sottoposizione di una persona (nella specie di giovane età) a pratiche esoteriche “sataniche”. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 8284 del 3 marzo 2010 (Cass. pen. n. 8284/2010)

Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso dei mezzi di correzione la consumazione da parte del genitore nei confronti del figlio minore di reiterati atti di violenza fisica e morale, anche qualora gli stessi possano ritenersi compatibili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l’agente è portatore. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 48272 del 17 dicembre 2009 (Cass. pen. n. 48272/2009)

Non rileva, per l’integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia, nella specie in danno della moglie, il credo religioso dell’autore delle condotte, non potendo ritenersi che l’adesione ad un credo, che non sancisca la parità dei sessi nel rapporto coniugale, giustifichi i maltrattamenti in danno della moglie. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 32824 del 12 agosto 2009 (Cass. pen. n. 32824/2009)

La condotta vessatoria integrante “mobbing” non è esclusa dalla formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte nei confronti dei dipendenti mobbizzati. (Fattispecie nella quale, in fase cautelare, l’indagato, direttore generale di un’azienda municipalizzata per lo smaltimento dei rifiuti urbani è stato ritenuto responsabile dei reati di maltrattamenti, lesioni personali e violenza privata). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28553 del 13 luglio 2009 (Cass. pen. n. 28553/2009)

In tema di reato di maltrattamenti, rientra nel rapporto d’autorità di cui all’art. 572 c.p. il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato in quanto caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al primo nei confronti del secondo. (Fattispecie di maltrattamenti rappresentati da molestie sessuali poste in essere sul luogo di lavoro da datore di lavoro nei confronti di propria dipendente ). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 27469 del 7 luglio 2008 (Cass. pen. n. 27469/2008)

In tema di reato di maltrattamenti in famiglia, l’imputazione soggettiva dell’evento aggravatore, non voluto, della morte della vittima per suicidio ne richiede la prevedibilità in concreto come conseguenza della condotta criminosa di base, in modo che possa escludersi che sia stato oggetto di una libera capacità di autodeterminarsi della vittima. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12129 del 18 marzo 2008 (Cass. pen. n. 12129/2008)

Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., la ripetuta esposizione del minore a contesti erotici inadeguati alla sua età, sì da creare abitualmente un’atmosfera relazionale pregiudizievole per la sua equilibrata evoluzione psichica. (Fattispecie in cui il genitore usava sottoporre la figlia minore a ripetute esibizioni di nudità, visioni di film pornografici, conversazioni a contenuto erotico-sessuale, ecc.). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 38962 del 22 ottobre 2007 (Cass. pen. n. 38962/2007)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia concorre con quello di violenza sessuale qualora le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledono anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, attesa la diversità dei beni giuridici offesi. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 22850 del 12 giugno 2007 (Cass. pen. n. 22850/2007)

Configura il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p. la condotta di chi, avuto in consegna un minore allo scopo di accudirlo, educarlo ed avviarlo ad una istruzione, consente che viva in stato di abbandono in strada, per vendere piccoli oggetti e chiedere l’elemosina, appropriandosi poi del ricavato e disinteressandosi del suo stato di malnutrizione e delle situazioni di pericolo fisico e morale cui egli si trovi esposto: si tratta infatti di una condotta lesiva dell’integrità fisica e morale del minore, idonea a determinare una situazione di sofferenza, di cui va ritenuto responsabile chiunque ne abbia l’affidamento. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3419 del 30 gennaio 2007 (Cass. pen. n. 3419/2007)

Non è configurabile il rapporto di specialità tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di sequestro di persona, giacché sono figure di reato dirette a tutelare beni diversi e poi, l’uno, è integrato dalla condotta di programmatici e continui maltrattamenti psico-fisici ai danni di famigliari e, l’altro, da quella di privare taluno della libertà personale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 18447 del 25 maggio 2006 (Cass. pen. n. 18447/2006)

Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche al di fuori della famiglia legittima, in presenza di un rapporto di stabile convivenza, come tale suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 44262 del 5 dicembre 2005 (Cass. pen. n. 44262/2005)

Per la configurabilità del reato di maltrattamenti l’art. 572 c.p. richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la sua personalità; ne consegue che deve escludersi che l’intenzione dell’agente di agire esclusivamente per finalità educative sia elemento dirimente per fare rientrare gli abituali atti di violenza posti in essere in danno dei figli minori nella previsione di cui all’art. 571 c.p., in quanto gli atti di violenza devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla fattispecie dell’abuso dei mezzi di correzione, dovendo ritenersi tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tradiscano l’importante e delicata funzione educativa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39927 del 3 novembre 2005 (Cass. pen. n. 39927/2005)

Il reato di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti allorché la condotta di maltrattamenti sia del tutto autonoma rispetto a quella che ha caratterizzato i rapporti sessuali, non rilevando in proposito il vincolo della continuazione eventualmente ritenuto tra le diverse condotte, mentre il concorso va escluso nell’ipotesi in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte nel senso che il delitto di maltrattamenti sia stato ravvisato per la mera reiterazione degli atti sessuali. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 17843 del 13 maggio 2005 (Cass. pen. n. 17843/2005)

In caso di maltrattamenti in famiglia integratisi anche attraverso la condotta di ripetute violenze sessuali, non è ipotizzabile il concorso fra il delitto di violenza sessuale, di cui all’art. 609 bis c.p., ed il delitto di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 572 c.p., atteso che in tale ipotesi in applicazione del principio di specialità si configura il solo delitto di violenza sessuale continuata, caratterizzato da un dolo unitario e programmatico Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 35849 del 3 settembre 2004 (Cass. pen. n. 35849/2004)

La diversa obiettività giuridica del reato di maltrattamenti in famiglia e di quello di lesioni personali volontarie esclude l’assorbimento del secondo nel primo, rendendoli concorrenti tra loro. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28367 del 23 giugno 2004 (Cass. pen. n. 28367/2004)

Il reato di cui all’art. 572 c.p. consiste nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita; i singoli episodi, che costituiscono un comportamento abituale, rendono manifesta l’esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7192 del 19 febbraio 2004 (Cass. pen. n. 7192/2004)

Il dolo nel delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) è unitario e programmatico, nel senso che esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima e si concretizza nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6541 del 17 febbraio 2004 (Cass. pen. n. 6541/2004)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia può concorrere con quello di violenza sessuale, in quanto non vi è assorbimento fra tali reati attesa la diversità dei beni giuridici protetti dai due delitti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente configurata la continuazione fra i delitti nel caso di ripetute violenze fisiche e morali adottate nei confronti anche della sorella minore che tentava di sottrarsi a non gradite pretese sessuali dell’imputato). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 984 del 20 gennaio 2004 (Cass. pen. n. 984/2004)

Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile, quanto al rapporto tra coniugi, anche in caso di separazione e di conseguente cessazione della convivenza, purchè la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della fattispecie. (Il principio è stato affermato relativamente al caso di reiterate ed offensive manifestazioni di aggressività, attuate per lettera o per telefono, tali da obbligare il coniuge separato a cambiare le proprie utenze telefoniche o a disattivarle). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 49109 del 22 dicembre 2003 (Cass. pen. n. 49109/2003)

Nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari; tuttavia, deve escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali atti siano la componente di una pià ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile (in motivazione, la Corte ha precisato che fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 37019 del 26 settembre 2003 (Cass. pen. n. 37019/2003)

Il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte aggressive e lesive, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate; è invece sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 33106 del 5 agosto 2003 (Cass. pen. n. 33106/2003)

Non è configurabile il reato aggravato dall’evento di cui all’art. 572, comma 2, c.p., quando la morte del familiare, che sia stato fino a quel momento sottoposto a maltrattamenti, anziché essere conseguenza non voluta della condotta abituale di maltrattamenti, sia cagionata intenzionalmente. In tali circostanze non è neppure configurabile il nesso teleologico tra il reato di maltrattamenti e quello di omicidio volontario, rappresentando quest’ultimo un salto qualitativo rispetto ai comportamenti di prevaricazione e violenza in ambito familiare, posti in essere fino a quel momento nei confronti della vittima. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16578 del 8 aprile 2003 (Cass. pen. n. 16578/2003)

Perché sia configurabile l’aggravante di cui all’art. 61, n. 4 c.p. occorre che le modalità della condotta esecutiva di un delitto, ad esempio quello di maltrattamenti, siano caratterizzate dalla volontà di infliggere un patimento, ulteriore rispetto alle ordinarie modalità esecutive del reato e che rivelino, senza inserirsi nel processo causale del reato, una particolare malvagità al soggetto agente. (Fattispecie in materia di maltrattamenti concretizzantesi in violenze di ogni genere quali insulti, minacce con armi, percosse con schiaffi, pugni e calci inflitti alla moglie anche quando era in stato interessante, e consistenti anche nel farle sbattere la testa contro l’asfalto ed il parabrezza dell’auto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 15098 del 31 marzo 2003 (Cass. pen. n. 15098/2003)

Poiché l’interesse protetto dal reato di cui all’art. 572 c.p. è la personalità del singolo in relazione al rapporto che lo unisce al soggetto attivo, è configurabile il reato continuato nel caso di maltrattamenti posti in essere nei confronti di più familiari. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7781 del 17 febbraio 2003 (Cass. pen. n. 7781/2003)

Il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) è integrato dalla condotta dell’agente che sottopone la moglie ad atti di vessazione reiterata e tali da cagionarle sofferenza, prevaricazione e umiliazioni, costituenti fonti di uno stato di disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di esistenza. Né l’elemento soggettivo del reato in questione può essere escluso dalla circostanza che il reo sia di religione musulmana e rivendichi, perciò, particolari potestà in ordine al proprio nucleo familiare, in quanto si tratta di concezioni che si pongono in assoluto contrasto con le norme che stanno alla base dell’ordinamento giuridico italiano, considerato che la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, cui è certamente da ascrivere la famiglia (art. 2 Cost.), nonché il principio di eguaglianza e di pari dignità sociale (art. 3, commi 1 e 2 Cost.) costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione di diritto o di fatto nella società civile di consuetudini, prassi o costumi con esso assolutamente incompatibili. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 55 del 8 gennaio 2003 (Cass. pen. n. 55/2003)

Non sussiste rapporto di specialità (art. 15 c.p.) tra il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e quello di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), trattandosi di reati che tutelano interessi diversi – la correttezza dei rapporti familiari nella prima ipotesi, lo status libertatis dell’individuo nella seconda – e che presentano un diverso elemento materiale, in quanto nell’ipotesi dell’art. 572 c.p. è necessario che un componente della famiglia sottoponga un altro a vessazioni, mentre nel caso di riduzione in schiavitù è necessario che un soggetto eserciti su un altro individuo un diritto di proprietà, con la conseguenza che le due ipotesi di reato, sussistendone i presupposti, possono concorrere. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 32363 del 30 settembre 2002 (Cass. pen. n. 32363/2002)

In tema di maltrattamenti in famiglia, il reato di cui all’art. 572 c.p. è configurabile anche al di fuori della famiglia legittima in presenza di un rapporto di stabile convivenza, in quanto suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza. (Nella specie la Corte ha peraltro ritenuto irrilevante, ai fini penali, la circostanza che tra l’imputato e la persona offesa esistesse un matrimonio contratto all’estero nel paese di comune origine non dichiarato efficace in Italia, posto che le disposizioni regolatrici della materia – art. 17, primo comma, disp. prel. c.c. e art. 28 L. n. 218 del 1995 – rinviano per la validità del matrimonio alla legge del luogo in cui esso è stato celebrato o alla legge nazionale dei coniugi al momento della celebrazione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12545 del 1 dicembre 2000 (Cass. pen. n. 12545/2000)

Il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) non può essere scriminato dal consenso dell’avente diritto, sia pure affermato sulla base di opzioni sub-culturali relative ad ordinamenti diversi da quello italiano. Dette sub-culture, infatti, ove vigenti, si porrebbero in assoluto contrasto con i principi che stanno alla base dell’ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo sanciti dall’art. 2 Cost., i quali trovano specifica considerazione in materia di diritto di famiglia negli articoli 29-31 Cost. (Fattispecie in cui la scriminante del consenso dell’avente diritto era stata fondata sull’origine albanese dell’imputato o delle persone offese per le quali varrebbe un concetto dei rapporti familiari diverso da quello vigente nel nostro ordinamento). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3398 del 24 novembre 1999 (Cass. pen. n. 3398/1999)

Il reato di violenza privata può concorrere materialmente con il reato di maltrattamenti in famiglia quando le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo e abituale, anche con l’intento di costringerlo ad attuare un comportamento che altrimenti non avrebbe volontariamente posto in essere. (Nel caso di specie, il marito, oltre che sottoporre la moglie, continuativamente e abitualmente, a ingiurie, minacce e percosse, l’aveva anche costretta a sottoscrivere numerosi effetti cambiari). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8193 del 24 giugno 1999 (Cass. pen. n. 8193/1999)

Integra gli estremi del reato di cui all’articolo 572 c.p. la sottoposizione dei familiari, ancorché non conviventi, ad atti di vessazione continui e tali da cagionare agli stessi sofferenze, privazioni, umiliazioni, che costituiscano fonte di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di esistenza. Ed invero, comportamenti abituali caratterizzati da una serie indeterminata di atti di molestia, di ingiuria, di minaccia e di danneggiamento, manifestano l’esistenza di un programma criminoso di cui i singoli episodi, da valutare unitariamente, costituiscono l’espressione ed in cui il dolo si configura come volontà comprendente il complesso dei fatti e coincidente con il fine di rendere disagevole in sommo grado e per quanto possibile penosa l’esistenza dei familiari. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3570 del 18 marzo 1999 (Cass. pen. n. 3570/1999)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 572 c.p., non viene meno, quale reato abituale, se nel periodo considerato, tra una serie e l’altra di episodi di violenza, venga ripristinata la convivenza ad opera della persona offesa, qualora quest’ultima sia indotta a ciò a causa della mancanza di disponibilità di una diversa situazione alloggiativa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7803 del 2 luglio 1998 (Cass. pen. n. 7803/1998)

Lo stato di separazione legale, pur dispensando i coniugi dagli obblighi di convivenza e di fedeltà, lascia tuttavia integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale nonché di collaborazione. Pertanto il suddetto stato non esclude il reato di maltrattamenti, quando l’attività persecutoria si volga proprio o comunque incida su quei vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario, pongono la parte offesa in posizione psicologica subordinata. (Fattispecie nella quale il marito separato pure dinanzi a terzi percuoteva abitualmente e minacciava la moglie di ritorsioni gravi sul figlio minore). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10023 del 22 novembre 1996 (Cass. pen. n. 10023/1996)

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 572 c.p. – maltrattamenti in famiglia – la materialità del fatto deve consistere in una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Ne consegue che per ritenere raggiunta la prova dell’elemento materiale di tale reato, non possono essere presi in considerazione singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni, né un eventuale precedente specifico che può valere soltanto per la valutazione della personalità dell’imputato agli effetti della determinazione della pena da infliggere in concreto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8618 del 24 settembre 1996 (Cass. pen. n. 8618/1996)

La materialità del delitto di maltrattamenti in famiglia si concreta in una serie di atti lesivi dell’integrità fisica o della libertà o del decoro del soggetto passivo nei confronti del quale viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa la stessa convivenza; l’elemento psichico, poi si concretizza in modo unitario ed uniforme che deve evidenziare nell’agente una grave intenzione di avvilire e sopraffare la vittima e deve ricondurre ad unità i vari episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest’ultima, pur non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8510 del 18 settembre 1996 (Cass. pen. n. 8510/1996)

Nello schema del delitto di maltrattamenti in famiglia non rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce e le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, fra esse annoverando espressamente la condotta del marito, che costringa la moglie a sopportare la presenza della concubina nel domicilio coniugale. Peraltro, in ordine alla configurabilità del delitto in oggetto, non assume rilievo il fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità e che siano stati, a sua volta, cagionati da motivi contingenti, poiché, data la natura abituale del delitto in oggetto l’intervallo di tempo tra una serie e l’altra di episodi lesivi non fa venir meno l’esistenza dell’illecito. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8396 del 12 settembre 1996 (Cass. pen. n. 8396/1996)

Nella valutazione della prova il giudice deve prendere in considerazione ogni singolo fatto ed il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio verificando se essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, cioè la verità limitata, umanamente accertabile e umanamente accettabile del caso concreto. Viola tale principio il giudice che, dovendo giudicare in tema di maltrattamenti da parte di un insegnante nei confronti degli alunni, abbia smembrato i singoli episodi sottoposti alla sua valutazione rinvenendo per ciascuno giustificazioni sommarie od apodittiche e omettendo di considerare se nel suo insieme la condotta non fosse tale da realizzare un metodo educativo fondato sull’intimidazione e la violenza. L’abuso dei mezzi di correzione da parte di un insegnante è sicuramente integrato dall’uso di sanzioni corporali, vietato espressamente dal R.D. 26 aprile 1928, n. 1297, e da qualunque condotta di coartazione fisica o morale che renda dolorose e mortificanti le relazioni tra l’insegnante e la classe attuata consapevolmente, foss’anche per finalità educative astrattamente accettabili. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8314 del 5 settembre 1996 (Cass. pen. n. 8314/1996)

Richiedere abitualmente il compimento di atti sessuali contro natura alla convivente in rapporto di coppia, di cui si conosca l’indisponibilità, benché la donna resista ed esiga rispetto e benché al rifiuto della stessa talora segua offerta di scuse, integra gli estremi del reato di maltrattamento perché la ripetizione insistente delle richieste, dato il disvalore che la persona convivente vi attribuisce, cagiona a costei sofferenze per il disprezzo che l’uomo mostra delle sue condizioni. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 7651 del 1 agosto 1996 (Cass. pen. n. 7651/1996)

Ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia il movente non esclude il dolo, alla cui nozione è estraneo, ma lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti lesivi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5541 del 4 giugno 1996 (Cass. pen. n. 5541/1996)

Alla luce della concezione personalistica e pluralistica della Costituzione, del riformato diritto di famiglia e della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, non può più ritenersi lecito l’uso sistematico della violenza quale ordinario trattamento del minore, sia pure sostenuto da animus corrigendi. Pertanto, l’eccesso di mezzi violenti di correzione non rientra della fattispecie di cui all’art. 571 c.p., e la differenza tra il delitto previsto da tale articolo (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina) e quello previsto dall’art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) deve essere ricercato nella condotta, e non già nell’elemento soggettivo del reato, che si atteggia in entrambe le fattispecie come dolo generico.

Il delitto di maltrattamenti di minore (art. 572 c.p.) si consuma non soltanto attraverso azioni, ma anche mediante omissioni giacché «trattare» un figlio (per di più minore degli anni 14) da parte di un padre implica almeno il rispetto della norma di cui all’art. 147 c.c. che impone l’obbligo di «mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli» e, per converso, «maltrattare» vuol dire, in primo luogo, mediante costante disinteresse e rifiuto, a fronte di evidente stato di disagio psicologico e morale del minore, generare o aggravare una condizione di abituale e persistente sofferenza, che il minore non ha alcuna possibilità né materiale, né morale di risolvere da solo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4904 del 16 maggio 1996 (Cass. pen. n. 4904/1996)

In tema di maltrattamenti familiari (art. 572 c.p.), correttamente il giudice di merito desume dalla ripetitività dei fatti di percosse e di ingiurie l’esistenza di un vero e proprio sistema di vita di relazione abitualmente doloroso ed avvilente, consapevolmente instaurato dall’agente, a seguito di iniziali stati di degenerazione del rapporto familiare. Per la configurabilità del reato non è richiesta una totale soggezione della vittima all’autore del reato, in quanto la norma, nel reprimere l’abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4015 del 17 aprile 1996 (Cass. pen. n. 4015/1996)

Per stabilire se è configurabile il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina oppure altro reato (nella specie, maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli), assumono rilevanza sia l’elemento oggettivo della fattispecie concreta, e cioè la correlazione tra i mezzi e i metodi utilizzati e la finalità educativa e disciplinare, sia l’elemento soggettivo, e cioè che il motivo determinante dell’agente sia quello disciplinare e correttivo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3536 del 11 aprile 1996 (Cass. pen. n. 3536/1996)

Il delitto di maltrattamenti non può ritenersi assorbito in quello di tentata violenza carnale: il carattere unitario, che è tipico del delitto di maltrattamenti, vale a distinguere la condotta di tale delitto da quella di tentata violenza carnale poiché, se le minacce integrano, di volta in volta, gli estremi del tentativo di violenza carnale, costituisce, rispetto a siffatte azioni, elemento specificante e distintivo il dolo unitario e programmatico del delitto di maltrattamenti, riconducibile alla coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali in modo continuo e abituale. (Nella specie la S.C. ha considerato che le minacce e le vessazioni non si esaurivano nel perseguimento del piano delittuoso, limitato al reato di tentata violenza carnale contro la figlia, ma coinvolgevano anche la moglie dell’imputato e, in ogni caso, la reiterazione di tali comportamenti minacciosi e vessatori, pur se fossero stati circoscritti alla persona della figlia, non si configuravano come un mero cumulo di azioni, in sè illecite, ma, a causa dell’abitualità della condotta, assumevano il carattere unitario che è tipico del delitto di maltrattamenti). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3111 del 27 marzo 1996 (Cass. pen. n. 3111/1996)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) non costituisce reato permanente, bensì reato abituale. Ne consegue la inapplicabilità del principio secondo cui l’intrinseca idoneità del reato permanente a durare nel tempo, anche dopo l’avverarsi dei suoi elementi costitutivi, comporta che, quando nel capo di imputazione sia indicata soltanto la data iniziale e non quella della cessazione della permanenza, l’originaria contestazione si estende all’intero sviluppo della fattispecie criminosa, con la conseguenza che l’imputato è chiamato a difendersi, oltre che in ordine alla parte già realizzatasi di tale fattispecie, anche in ordine a quella successiva emergente dall’istruttoria dibattimentale, senza necessità di una ulteriore specifica contestazione da parte del pubblico ministero. Nel reato abituale, invece, i fatti nuovi acclarati in dibattimento, specialmente quando questo si svolga a distanza di anni dalla denuncia, devono essere sempre contestati all’imputato, sia che servano a perfezionare o ad integrare la fattispecie criminosa rispettivamente enunciata nel capo di imputazione, sia – e a maggior ragione – che costituiscano una serie autonoma unificabile alla precedente per vincolo di continuazione.

Il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; esso si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione ex art. 81 cpv. c.p., come nel caso in cui la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l’altra. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4636 del 27 aprile 1995 (Cass. pen. n. 4636/1995)

Nel delitto di maltrattamenti il dolo, dovendo caratterizzarsi con l’intento di infliggere sofferenze fisiche e morali al soggetto passivo, è sì unitario, in modo da non confondersi con la coscienza e volontà di ciascun frammento della condotta, ma non è necessario che scaturisca da uno specifico programma criminoso rigorosamente finalizzato alla realizzazione del risultato effettivamente raggiunto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 356 del 16 marzo 1995 (Cass. pen. n. 356/1995)

Il dolo del delitto di maltrattamenti, dovendo caratterizzarsi per l’intento di infliggere sofferenze fisiche e morali al soggetto passivo, è sì unitario, in modo da non confondersi con la coscienza e volontà di ciascun frammento della condotta, ma non è necessario che scaturisca da uno specifico programma criminoso rigorosamente finalizzato alla realizzazione del risultato effettivamente raggiunto; vale a dire, non occorre che debba essere fin dall’inizio presente una rappresentazione della serie degli episodi. Quel che la legge impone è solo che sussista la coscienza e volontà di commettere una serie di fatti lesivi della integrità fisica e della libertà o del decoro della persona offesa in modo abituale. Un intento, dunque, riferibile alla continuità del complesso e perfettamente compatibile con la struttura abituale del reato, attestata ad un comportamento che solo progressivamente è in grado di realizzare il risultato. La conseguenza è che il momento soggettivo che travalica le singole parti della condotta e che esprime il dolo del delitto di maltrattamenti può ben realizzarsi in modo graduale, venendo esso a costituire il dato unificatore di ciascuna delle componenti oggettive. Ciò anche (e soprattutto) quando la condotta si sostanzi nella violazione di un dovere di garanzia, tanto più rispetto a persone affidate ad una pubblica struttura di assistenza e cura. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3965 del 19 novembre 1994 (Cass. pen. n. 3965/1994)

Per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. non si richiede una intenzione di sottoporre il convivente in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria e prevaricatoria, già posta in essere altre volte, la quale riveli, attraverso l’accettazione dei singoli episodi, una inclinazione della volontà a maltrattare una o più persone conviventi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6319 del 30 maggio 1994 (Cass. pen. n. 6319/1994)

È legittimo l’arresto in flagranza del delitto di maltrattamenti in famiglia, tutte le volte in cui il fatto risulti alla polizia giudiziaria non isolato, ma quale ultimo anello di una catena di comportamenti violenti. (Nel caso di specie, la corte ha annullato il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che aveva ritenuto di non convalidare l’arresto nonostante – secondo quanto risultava dallo stesso provvedimento di diniego di convalida – la polizia giudiziaria fosse intervenuta immediatamente dopo che l’inquisito aveva percosso i figli e la moglie, ricevendo contestualmente dichiarazioni circa la ripetizione di atti di violenza). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 888 del 22 aprile 1994 (Cass. pen. n. 888/1994)

L’elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia è costituito dal dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo (o i soggetti passivi) a sofferenze fisiche e morali continuate. Il fatto che i singoli episodi costituenti, nel loro complesso, la condotta criminosa siano commessi durante lo stato di ubriachezza è fatto irrilevante: l’ubriachezza, infatti, non esclude il dolo. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3141 del 15 marzo 1994 (Cass. pen. n. 3141/1994)

Il reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, previsto dall’art. 572 c.p., esige per la sua configurabilità una abituale sottoposizione della persona offesa a sofferenze fisiche e psichiche, espressione di un atteggiamento di normale prevaricazione da parte del soggetto attivo del reato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2042 del 3 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2042/1993)

Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti è sufficiente un lasso di tempo, ancorché limitato, e tuttavia utile alla realizzazione della ripetizione di atti vessatori idonea a determinare la sofferenza fisica o morale continuativa della parte offesa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1999 del 3 marzo 1993 (Cass. pen. n. 1999/1993)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) è costituito da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze. E ad integrare l’abitualità della condotta non è necessario che la stessa venga posta in essere in tempo prolungato, essendo sufficiente la ripetizione degli atti vessatori, come sopra caratterizzati ed «unificati», anche se per un limitato periodo di tempo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2130 del 28 febbraio 1992 (Cass. pen. n. 2130/1992)

Per la configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) non è necessario un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto. L’elemento unificatore dei singoli episodi è costituito da un dolo unitario, e pressoché programmatico, che abbraccia e fonde le diverse azioni; esso consiste nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 468 del 20 gennaio 1992 (Cass. pen. n. 468/1992)

Nella nozione di «maltrattamenti» rientrano i fatti lesivi della integrità fisica e del patrimonio morale del soggetto passivo, che rendano abitualmente dolorose le relazioni familiari, e manifestantisi mediante le sofferenze morali che determinano uno stato di avvilimento o con atti o parole che offendono il decoro e la dignità della persona, ovvero con violenze capaci di produrre sensazioni dolorose ancorché tali da non lasciare traccia. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3020 del 8 marzo 1991 (Cass. pen. n. 3020/1991)

Agli effetti del delitto di cui all’art. 572 c.p. deve considerarsi «famiglia» ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà. (Fattispecie in cui la Cassazione ha ritenuto far parte della «famiglia» nel senso suesposto la zia dell’imputato che conviveva con questa in virtù di un contratto di rendita vitalizia nella forma del cosiddetto vitalizio alimentare o contratto di mantenimento, che — secondo quanto precisato dalla stessa Corte — non ha contenuto meramente economico, ma obbliga il vitaliziante anche a provvedere alle esigenze dell’altro soggetto e ad assisterlo in caso di malattia).

Per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 572 c.p. non è necessario che l’agente abbia perseguito particolari finalità né il pravo proposito di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali senza plausibile motivo, essendo invece sufficiente il dolo generico, cioè la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuativo ed abituale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1067 del 30 gennaio 1991 (Cass. pen. n. 1067/1991)

Il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p. può essere realizzato anche mediante condotte omissive, individuabili pure nel deliberato astenersi da parte dei responsabili di una pubblica struttura di assistenza e cura — in presenza del contrario dovere incombente su di loro — dall’impedire condotte illegittime realizzanti la materialità del reato, sussistendo le altre condizioni previste dalla fattispecie legale; infatti non impedire il verificarsi di un evento che si ha il dovere giuridico di impedire equivale a cagionarlo. (Fattispecie in cui si contestava a taluno dei responsabili di una pubblica struttura di assistenza e cura di non aver impedito ad estranei di maltrattare anziani colà ricoverati).

Il delitto di maltrattamenti riferito a fatti commessi in una struttura assistenziale — specie se pubblica — per persone anziane (o minori o minorate o comunque bisognose di aiuto), può essere realizzato anche a mezzo di soggetto estraneo; ciò si verifica quando i responsabili dell’assistenza consapevolmente e deliberatamente si astengano dall’impedire che persone non autorizzate realizzino condotte integranti l’elemento oggettivo del reato, posto che in tale situazione, stante il dovere funzionale, di natura pubblicistica, di attivarsi, non impedire la verificazione dell’evento, sotto il profilo eziologico, equivale a cagionarlo.

In tema di maltrattamenti di persone affidate ad una pubblica struttura di assistenza e cura, la valutazione dei comportamenti tenuti dai soggetti obbligati a garantire cura e livelli di vita decorosi e conformi ai regolamenti dell’ente, va operata con massimo rigore, dato che i comportamenti di aggressione fisica, o di lesione del patrimonio morale, o di sopraffazione sistematica, costituenti l’essenzialità dell’elemento materiale del delitto de quo, sono, in negativo, esaltati dalla violazione dei doveri funzionali, connessi alla posizione di garanzia di cui quei soggetti sono onerati. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 394 del 16 gennaio 1991 (Cass. pen. n. 394/1991)

Nella materialità del delitto di maltrattamenti rientrano non soltanto percosse, minacce, ingiurie, privazioni imposte alla vittima, ma anche atti di scherno, disprezzo, umiliazione e di asservimento idonei a cagionare durevoli sofferenze fisiche e morali. Ne consegue che è riservato alla valutazione del giudice di merito accertare se singoli episodi vessatori rimangono assorbiti nel reato di maltrattamenti (ad esempio, lesioni non volute) oppure integrino ipotesi criminose autonomamente volute dall’agente e, quindi, concorrenti, con il delitto di cui all’art. 572 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16661 del 19 dicembre 1990 (Cass. pen. n. 16661/1990)

Il reato di maltrattamenti in famiglia, previsto dall’art. 572 c.p., può concorrere (materialmente) con il reato di cui all’art. 610 stesso codice, qualora le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali in modo continuo e abituale, anche — come nel caso di specie — con l’intento criminoso di obbligare la moglie ad abbandonare il domicilio coniugale e quindi con violazione di una obiettività giuridica (libertà psichica e morale di decisione tutelata dall’art. 610 c.p., diversa da quella tutelata dall’art. 572 predetto, che è l’assistenza famigliare in generale) (capo IV del titolo XI). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14413 del 2 novembre 1990 (Cass. pen. n. 14413/1990)

In tema di maltrattamenti (art. 572 c.p.), il fatto che i singoli episodi costituenti nel loro complesso la condotta criminosa siano commessi durante lo stato di ubriachezza, in cui l’imputato frequentemente versa, non implica che esse siano da considerarsi frutto di violazioni episodiche perché scaturite improvvisamente dalla crisi alcolica e, quindi, non inserite in quella unitaria coscienza e volontà di sottoporre i soggetti passivi a continui patimenti fisici o morali, che integra il delitto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12562 del 20 settembre 1990 (Cass. pen. n. 12562/1990)

Sussiste la circostanza aggravante della morte derivata dal fatto dei maltrattamenti in famiglia, prevista dall’art. 572, cpv., c.p., qualora il suicidio del soggetto passivo, benché non espressamente voluto, sia da mettere in sicuro e diretto collegamento con i ripetuti e gravi episodi di maltrattamenti per effetto dei quali lo stato di prostrazione indotto nella vittima sia da identificarsi quale vero e proprio trauma fisico e morale che la determinarono a darsi la morte. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8405 del 6 giugno 1990 (Cass. pen. n. 8405/1990)

Agli effetti dell’art. 572 c.p., deve considerarsi famiglia ogni consorzio di persone tra le quali intercorra un legame di relazioni continuative e di consuetudine di vita affini a quello di una normale famiglia legittima. (Fattispecie in tema di convivenza more uxorio, nella quale si è precisato che non ha alcuna rilevanza la cessazione dei rapporti sessuali). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7073 del 18 maggio 1990 (Cass. pen. n. 7073/1990)

Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia non assume rilievo il fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità e che siano stati, a volte, causati da motivi contingenti. Il delitto in questione, invero, quale reato abituale, non resta escluso se nel tempo considerato vi siano, nella condotta dell’imputato, periodi di normalità o di accordo con i familiari; un intervallo di tempo fra una serie e l’altra di episodi lesivi, non fa, infatti, venir meno l’esistenza del reato, ma può dar luogo come per ogni reato permanente, alla continuazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3103 del 3 marzo 1990 (Cass. pen. n. 3103/1990)

La cessazione del rapporto di convivenza non influisce sulla configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, la cui consumazione può aver luogo anche nei confronti di persona non convivente con l’imputato quando essa sia unita all’agente da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione. (Nella specie l’imputato aveva commesso ripetuti atti di violenza fisica e morale in danno della moglie anche dopo la separazione di fatto).

Nello schema del delitto di maltrattamenti in famiglia non rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce e le privazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo, di umiliazione. Fra tali atti, che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali, deve annoverarsi anche la condotta del marito che costringa la moglie a sopportare la presenza della concubina nel domicilio coniugale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1857 del 10 febbraio 1990 (Cass. pen. n. 1857/1990)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia consiste in una serie di atti lesivi dell’integrità fisica o morale, della libertà o del decoro delle persone di famiglia, in modo tale da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni tra il soggetto attivo e le vittime. L’elemento psicologico è costituito dal dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9595 del 5 luglio 1989 (Cass. pen. n. 9595/1989)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia, quale reato abituale, non resta escluso se nel tempo considerato vi siano parentesi di normalità nella condotta dell’agente e di accordo con i familiari. Pertanto, un intervallo di tempo fra una serie e l’altra di episodi lesivi dell’integrità fisica o morale del soggetto passivo non fa venir meno l’esistenza del reato, ma può dar luogo, come per ogni reato permanente, alla continuazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5029 del 10 aprile 1989 (Cass. pen. n. 5029/1989)

Nell’ipotesi in cui dai maltrattamenti derivi una lesione grave o gravissima ovvero la morte della persona offesa, è configurabile il reato circostanziato di cui al cpv. dell’art. 572 c.p., soltanto se detti eventi siano conseguenza involontaria del fatto costituente tale delitto. Sono invece da ravvisare autonomi reati in concorso con il precedente, quando l’agente abbia avuto anche l’intenzione di ledere l’integrità fisica della vittima. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8957 del 10 agosto 1987 (Cass. pen. n. 8957/1987)

Ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 572 c.p., è particolarmente rigoroso per il giudice l’obbligo della motivazione, poiché occorre dimostrare che tutti i fatti sono tra loro connessi e cementati in maniera inscindibile dalla volontà unitaria, persistente e ispiratrice di una condotta insistita nella finalità criminosa. Infatti, il reato di maltrattamenti è «reato a condotta plurima», in quanto è tutta la condotta dell’imputato che deve essere considerata come caratterizzata da una serie o insieme di azioni od omissioni finalizzate e quale comportamento assunto a sistema e distinto dal nesso di abitualità fra i vari fatti, con assoluta esclusione della mera occasionalità e del dolo d’impeto, isolato e frammentario.

Il reato di maltrattamenti è reato abituale poiché è caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti i quali, isolatamente considerati, potrebbero anche non costituire delitto, ma che rinvengono la ratio dell’antigiuridicità penale nella loro reiterazione, che si protrae nel tempo, e nella persistenza dell’elemento intenzionale. Pertanto, poiché i fatti debbono essere molteplici e la reiterazione presuppone un arco di tempo che può essere più o meno lungo, ma comunque apprezzabile, la consumazione del reato si perfeziona con l’ultimo di questa serie di fatti. (Nella specie la Suprema Corte ha disatteso la tesi, sostenuta dal ricorrente, relativa al rinvenimento della competenza per territorio nel luogo ove aveva avuto inizio la consumazione e motivata dall’assimilabilità del reato abituale a quello permanente). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3032 del 13 marzo 1987 (Cass. pen. n. 3032/1987)

Per la sussistenza del nesso di causalità tra maltrattamenti e lesioni (o morte) non è necessario che i fatti di maltrattamento costituiscano la causa unica ed esclusiva degli eventi più gravi, trovando applicazione il principio recepito nel primo comma dell’art. 41, secondo cui il concorso di cause preesistenti, simultanee e sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione e l’evento. E tra le cause preesistenti debbono ritenersi comprese anche eventuali stati patologici della vittima, che in unione al comportamento dell’agente abbiano contribuito alla produzione dell’evento, così da integrare gli estremi dell’aggravante di cui all’art. 572 secondo comma c.p. anche per il solo fatto di accelerare, attraverso fatti di maltrattamenti, il momento della morte di una persona destinata a soccombere per grave malattia. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 4566 del 31 maggio 1986 (Cass. pen. n. 4566/1986)

Concorrono tra loro il delitto di maltrattamenti e quello di violazione degli obblighi di assistenza familiare, allorché l’agente reiteri la violenza e le ingiurie nei confronti dei figli, rendendo intollerabile la vita al punto da costringere le vittime ad interrompere la convivenza e stabilirsi al di fuori della residenza familiare, e faccia mancare agli stessi i mezzi di sussistenza, riducendoli in stato di completa povertà, per essersene del tutto disinteressato e per averli abbandonati. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12464 del 24 dicembre 1985 (Cass. pen. n. 12464/1985)

Nello schema del delitto di maltrattamenti in famiglia rientrano non soltanto le percosse, le minacce, le ingiurie e le privazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di scherno, di disprezzo, di umiliazione, di vilipendio e di asservimento che cagionano durevole sofferenza morale. Fra tali ultimi atti che consistono in sofferenze morali vere e proprie debbono farsi rientrare anche i tentativi e le azioni dirette ad ottenere pratiche sessuali contro natura, sempre s’intende che essi atti non realizzino, per difetto di un qualche elemento, le ipotesi delittuose di cui agli artt. 519 e 521 c.p. e sempreché essi si rivelino come manifestazioni consapevoli di recare o produrre nella vittima offesa, disprezzo, umiliazione, vilipendio o asservimento e che la vittima stessa finisca per subirli al di fuori e al di là di uno specifico fatto di violenza, ma nell’ambito delle complessive sofferenze infertegli. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 7787 del 1 ottobre 1983 (Cass. pen. n. 2364/1983)

La coscienza e la volontà di maltrattare, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 572 c.p., va intesa non come la semplice somma dei profili psicologici di ciascun fatto lesivo, ma come volontà di realizzare la fattispecie in tutti i suoi presupposti ed elementi costitutivi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2364 del 18 marzo 1983 (Cass. pen. n. 2364/1983)

Nel delitto ex art. 572 c.p. ogni azione è sorretta da un proprio elemento psicologico a cui si aggiunge, com’è nella natura stessa delle azioni a serie, un nesso psicologico comune, pur senza costituire quella unità di disegno criminoso che è propria del reato continuato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1065 del 3 febbraio 1983 (Cass. pen. n. 1065/1983)

Il reato, previsto dall’art. 572 c.p., assorbe soltanto quelli di percosse e di minacce, i quali costituiscono gli elementi essenziali della violenza fisica o morale propria del delitto di maltrattamenti. Ne consegue che qualora il bene giuridico offeso non riguardi l’assistenza familiare, l’ipotesi di cui al citato art. 572 c.p., concorre con i reati eventualmente verificatisi. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11630 del 6 dicembre 1982 (Cass. pen. n. 11630/1982)

Il delitto di maltrattamenti e quello di lesioni possono concorrere materialmente tra loro, poiché le lesioni personali volontarie non costituiscono sempre elemento essenziale del delitto di maltrattamenti. Pertanto il delitto di lesioni non può essere assorbito da quello di maltrattamenti secondo la disciplina del reato complesso, ma configura un reato autonomo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9722 del 21 ottobre 1982 (Cass. pen. n. 9722/1982)

Lo stato di nervosismo o la gelosia, tanto più se morbosa, non escludono l’elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia ma costituiscono, a volte, uno dei più pericolosi moventi della speciale ipotesi delittuosa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9694 del 21 ottobre 1982 (Cass. pen. n. 9694/1982)

Il reato di maltrattamenti, come tutti i reati permanenti, ammette la continuazione sia nel caso che la permanenza sia stata interrotta da una sentenza di condanna, sia nel caso che tra una serie di episodi e l’altra vi sia stato un intervallo di tempo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 755 del 6 febbraio 1981 (Cass. pen. n. 755/1981)

Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nei riguardi di una persona convivente more uxorio. Invero, con questa, il soggetto attivo ha creato uno stabile rapporto di comunità familiare, sia pure naturale e di fatto, con legami di reciproca assistenza e protezione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4084 del 22 marzo 1980 (Cass. pen. n. 4084/1980)

Il reato di maltrattamenti in famiglia ha una propria obiettività giuridica, che consiste nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali in modo continuo e abituale, e non si identifica, quindi, con le violenze o minacce adoperate da parte dello stesso soggetto attivo per la realizzazione dei reati sessuali. Ne segue che quando, con azioni dirette a maltrattare, si ledono volutamente altri beni, interessi o valori del soggetto passivo, oggetto di autonoma tutela penale, quale quello della libertà sessuale, di tali azioni l’agente è tenuto a rispondere in modo autonomo. (Fattispecie relativa a concorso tra il delitto di maltrattamenti e quelli di atti di libidine violenti e violenza carnale). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 5329 del 19 maggio 1975 (Cass. pen. n. 5329/1975)

Il reato di maltrattamenti in famiglia è un reato abituale, essendo costituito da una pluralità di fatti commessi reiteratamente dall’agente con l’intenzione di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali. Allorché i maltrattamenti siano posti in essere in danno di due o più familiari, si è in presenza di una pluralità di violazioni dell’art. 572 c.p., ed è pertanto configurabile il reato continuato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1227 del 21 ottobre 1970 (Cass. pen. n. 1227/1970)

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