Stalking al partner o maltrattamento famigliare?

Per capire la sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha dovuto precisare in quali casi ci si trova di fronte ad un reato di stalking ovvero di maltrattamenti in famiglia, occorre prima definire tali fattispecie criminose.

Stalking e maltrattamento-famigliare

Il reato che nel linguaggio comune viene indicato come stalking, nel codice penale è denominato “atti persecutori” e ha trovato spazio nel nostro ordinamento solo a partire dal 2009 (articolo 612 bis c.p.): la procedibilità per il perseguimento del reato è stata modificata dal decreto legge n. 36/2018 e in seguito dalla legge n. 69/2019, nota per l’introduzione del cd. codice rosso a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. D’altro canto, nel nostro codice penale troviamo il reato di maltrattamenti in famiglia per il quale sono necessari sia la presenza di ripetuti atti vessatori, anche di natura diversa, ma comunque lesivi dell’integrità fisica o morale della persona tali da rendere intollerabile la convivenza, sia la condizione di soggezione psicologica della vittima quale conseguenza di un regime di sistematica sopraffazione della sua persona (articolo 572 c.p.). Ciò che distingue il reato dai singoli delitti di lesioni, ingiurie o minacce di cui eventualmente si compone è, come nello stalking, l’abitualità intesa come sistematicità delle condotte lesive cui corrisponde lo stato di sofferenza fisica o morale cui il soggetto passivo, in quanto legato all’aggressore dal vincolo familiare o di convivenza implicante una relazione affettiva, economica e solidale è ben difficili da recidere.
Con la sentenza n. 98/2021, avente ad oggetto la qualificazione dei reati di stalking e di maltrattamenti famigliari, la Consulta ha richiamato il principio del divieto di analogia penale a sfavore del reo.
Detto altrimenti, questo significa che il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone che le condotte abusive vengano poste in essere ai danni di una persona facente parte dello stesso nucleo famigliare (o convivente). Viceversa, il reato di stalking presuppone che la condotta avvenga nei confronti di una persona legata allo stalker da una relazione di tipo affettivo come nel caso del partner non convivente.
Il divieto di applicazione analogica della legge penale a sfavore del reo, secondo la Corte, “costituisce un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo della legge”.
Il Tribunale di Torre Annunziata aveva sollevato innanzi alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 521 del codice penale, ovvero ha sfruttato la possibilità concessa dal nostro ordinamento di ottenere una decisione da parte della Corte Costituzionale circa l’apparente contrasto di un determinato atto con la costituzione.
Al termine del dibattimento, il giudice aveva prospettato alle parti la possibilità di una riqualificazione dei fatti individuati come stalking e contestati all’imputato nel più grave delitto di maltrattamenti in famiglia. Il Tribunale si era basato su un orientamento della Corte di Cassazione che considera integrato questo reato in presenza di condotte maltrattanti compiute in un “contesto affettivo protetto”, caratterizzato da “legami forti e stabili tra i partner” e dalla “condivisione di progetti di vita”.
Per il giudice che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale il fatto doveva essere qualificato come maltrattamenti famigliari perché i fatti contestati all’imputato ai danni della vittima riguardavano una “stabile relazione affettiva in corso”, caratterizzata da una convivenza, elemento richiesto ai fini della configurazione del reato di cui all’articolo 572 del codice penale.
Il Tribunale di Torre Annunziata ha ricordato come la Cassazione, in diverse occasioni, ha ricondotto allart. 572 c.p. anche fatti commessi all’interno di relazioni caratterizzate dalla “condivisione di progetti di vita”, affermando il principio secondo cui l’art. 572 c.p. sarebbe applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma “a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale.”
La Corte Costituzionale ha però evidenziato come tale orientamento risalga ad un periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 612 bis c.p. e che si è formato soprattutto in relazione a situazioni caratterizzate da una preesistente convivenza, tanto è vero che di recente la Cassazione ha negato l’integrazione del reato di maltrattamenti in una situazione simile a quella del caso di specie, caratterizzata da una convivenza instaurata da poco e che si svolgeva, di fatto, attraverso visite saltuarie di due o tre giorni presso la casa del partner.
Il giudice della remissione ha fatto l’errore di non confrontarsi con il principio interpretativo che in materia di diritto penale dispone il divieto di analogia a sfavore del reo. Tale disattenzione ha determinato la dichiarazione di inammissibilità del giudizio di legittimità.
Nel nostro ordinamento, il divieto di analogia in sfavore del reo impedisce di riferire una disposizione normativa a situazioni che non sono riconducibili al significato letterale delle parole utilizzate dal legislatore per descrivere la fattispecie. Spetta infatti a quest’ultimo e non al giudice delimitare il confine esistente tra le varie figure di reato.
Il cittadino si troverebbe nelle mani dei giudici se a questi fosse consentito assegnare al testo normativo un significato ulteriore e diverso da quelle che si ricava dalla sua lettura.

stalking e maltrattamento-famigliare

Il reato che nel linguaggio comune viene indicato come stalking, nel codice penale è denominato “atti persecutori” e ha trovato spazio nel nostro ordinamento solo a partire dal 2009 (articolo 612 bis c.p.): la procedibilità per il perseguimento del reato è stata modificata dal decreto legge n. 36/2018 e in seguito dalla legge n. 69/2019, nota per l’introduzione del cd. codice rosso a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. D’altro canto, nel nostro codice penale troviamo il reato di maltrattamenti in famiglia per il quale sono necessari sia la presenza di ripetuti atti vessatori, anche di natura diversa, ma comunque lesivi dell’integrità fisica o morale della persona tali da rendere intollerabile la convivenza, sia la condizione di soggezione psicologica della vittima quale conseguenza di un regime di sistematica sopraffazione della sua persona (articolo 572 c.p.). Ciò che distingue il reato dai singoli delitti di lesioni, ingiurie o minacce di cui eventualmente si compone è, come nello stalking, l’abitualità intesa come sistematicità delle condotte lesive cui corrisponde lo stato di sofferenza fisica o morale cui il soggetto passivo, in quanto legato all’aggressore dal vincolo familiare o di convivenza implicante una relazione affettiva, economica e solidale è ben difficili da recidere.
Con la sentenza n. 98/2021, avente ad oggetto la qualificazione dei reati di stalking e di maltrattamenti famigliari, la Consulta ha richiamato il principio del divieto di analogia penale a sfavore del reo.
Detto altrimenti, questo significa che il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone che le condotte abusive vengano poste in essere ai danni di una persona facente parte dello stesso nucleo famigliare (o convivente). Viceversa, il reato di stalking presuppone che la condotta avvenga nei confronti di una persona legata allo stalker da una relazione di tipo affettivo come nel caso del partner non convivente.
Il divieto di applicazione analogica della legge penale a sfavore del reo, secondo la Corte, “costituisce un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo della legge”.
Il Tribunale di Torre Annunziata aveva sollevato innanzi alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 521 del codice penale, ovvero ha sfruttato la possibilità concessa dal nostro ordinamento di ottenere una decisione da parte della Corte Costituzionale circa l’apparente contrasto di un determinato atto con la costituzione.
Al termine del dibattimento, il giudice aveva prospettato alle parti la possibilità di una riqualificazione dei fatti individuati come stalking e contestati all’imputato nel più grave delitto di maltrattamenti in famiglia. Il Tribunale si era basato su un orientamento della Corte di Cassazione che considera integrato questo reato in presenza di condotte maltrattanti compiute in un “contesto affettivo protetto”, caratterizzato da “legami forti e stabili tra i partner” e dalla “condivisione di progetti di vita”.
Per il giudice che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale il fatto doveva essere qualificato come maltrattamenti famigliari perché i fatti contestati all’imputato ai danni della vittima riguardavano una “stabile relazione affettiva in corso”, caratterizzata da una convivenza, elemento richiesto ai fini della configurazione del reato di cui all’articolo 572 del codice penale.
Il Tribunale di Torre Annunziata ha ricordato come la Cassazione, in diverse occasioni, ha ricondotto allart. 572 c.p. anche fatti commessi all’interno di relazioni caratterizzate dalla “condivisione di progetti di vita”, affermando il principio secondo cui l’art. 572 c.p. sarebbe applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma “a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale.”
La Corte Costituzionale ha però evidenziato come tale orientamento risalga ad un periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 612 bis c.p. e che si è formato soprattutto in relazione a situazioni caratterizzate da una preesistente convivenza, tanto è vero che di recente la Cassazione ha negato l’integrazione del reato di maltrattamenti in una situazione simile a quella del caso di specie, caratterizzata da una convivenza instaurata da poco e che si svolgeva, di fatto, attraverso visite saltuarie di due o tre giorni presso la casa del partner.
Il giudice della remissione ha fatto l’errore di non confrontarsi con il principio interpretativo che in materia di diritto penale dispone il divieto di analogia a sfavore del reo. Tale disattenzione ha determinato la dichiarazione di inammissibilità del giudizio di legittimità.
Nel nostro ordinamento, il divieto di analogia in sfavore del reo impedisce di riferire una disposizione normativa a situazioni che non sono riconducibili al significato letterale delle parole utilizzate dal legislatore per descrivere la fattispecie. Spetta infatti a quest’ultimo e non al giudice delimitare il confine esistente tra le varie figure di reato.
Il cittadino si troverebbe nelle mani dei giudici se a questi fosse consentito assegnare al testo normativo un significato ulteriore e diverso da quelle che si ricava dalla sua lettura.