Peculato dell’albergatore sull’imposta di soggiorno: abolitio criminis

Il decreto rilancio ha creato molte perplessità in relazione alla figura dell’albergatore che ha omesso di versare l’imposta di soggiorno all’Ente pubblico. Infatti, si discuteva se rientrasse nella fattispecie criminosa dell’art. 314 c.p. oppure tale reato fosse depenalizzato, sicché si concretizzasse un’abolitio criminis.
Giurisprudenza e dottrina sul tema si sono molto dibattute, creando confusione e anche applicazioni di principi difformi e contrastanti da parte dei giudici penali.
A risolvere tale contrasto finalmente è intervenuto il legislatore.
Segnatamente, con un tratto di penna, il legislatore ha risolto il conflitto giurisprudenziale e dottrinale formatosi in merito alla c.d. depenalizzazione del peculato dell’albergatore, prevedendo che l’art. 4 co. 1 ter, d.lgs. 23/2011 si applichi anche ai fatti illeciti consumati prima del 19 maggio 2020. Di seguito il testo della norma, introdotta nel decreto-legge n. 146 del 2021 dalla relativa legge di conversione (L. 17 dicembre 2021, n. 215, in G.U. 20 dicembre 2021, n. 301): articolo 5 quinquies, d.l. 21 ottobre 2021, n. 146.

Peculato dell'albergatore

1. Problematica emersa con il decreto rilancio

L’art. 180, comma 3, del decreto legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito con la legge 17 luglio 2020 n. 77, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID – 19” pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 180 del 18 luglio 2020 – Suppl. Ordinario n. 25, avrebbe comportato una depenalizzazione del comportamento dell’albergatore che non versa al Comune quanto da lui incassato a titolo di imposta di soggiorno da parte dell’ospite, essendo l’omesso, ritardato o parziale versamento punito soltanto con una sanzione amministrativa.
Nello specifico, il comma 3 dell’art. 180 aggiunge all’art. 4 del D. Lgs. 23/2011 il comma 1-ter, che:

  • per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione si applica la sanzione amministrativa che ammonta dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto;
  • per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, ovvero del 30 per cento dell’importo non versato.

La disposizione introduce così un illecito amministrativo per il fatto del gestore della struttura ricettiva che si appropri indebitamente dell’imposta di soggiorno (o almeno di una parte).
Nel recente passato si rinvengono alcune pronunce della Corte di Cassazione, le quali hanno asserito che tale fatto integri invece il reato di cui all’art. 314 c.p. Ebbene, l’albergatore quale incaricato di pubblico servizio, che ha ricevuto una somma di denaro a titolo di tassa di soggiorno per conto della pubblica amministrazione, pone in essere l’appropriazione, sanzionata dal delitto di peculato, nel momento stesso in cui egli ne ometta o ritardi il versamento, comportandosi in tal modo uti dominus nei confronti del bene del quale ha il possesso per ragioni d’ufficio.
Si è statuito, infatti, che realizza il delitto di peculato la condotta posta in essere dal gestore di una struttura ricettiva che si appropri delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno omettendo di riversarle al Comune, in quanto lo svolgimento dell’attività ausiliaria di responsabile del versamento, strumentale all’esecuzione dell’obbligazione tributaria intercorrente tra l’ente impositore e il cliente della struttura, determina l’attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al privato cui è demandata la materiale riscossione dell’imposta (cfr., Cass., sez. VI, 26 marzo 2019, n. 27707).
In realtà, finora il mancato versamento della tassa di soggiorno da parte degli albergatori veniva punita sia amministrativamente (attraverso l’uso di violazioni poste nei regolamenti comunali) sia penalmente, giacché non si riteneva sussistere una relazione di specialità fra i due illeciti.
Invece, a seguito del decreto rilancio è venuta meno la qualifica di incaricato di pubblico servizio del soggetto attivo.

2. Depenalizzazione della fattispecie: contrasti giurisprudenziali

Per tale fattispecie, è stato molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza se tale fattispecie rientra tra l’art. 314 c.p. o si deve depenalizzare.
Invero, una parte della dottrina e giurisprudenza ha affermato che in tema di peculato, costituisce reato la condotta del gestore di una struttura ricettiva che ometta di versare al Comune le somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, pur realizzata prima delle modifiche introdotte dell’art. 180 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. nella l. n. 77 del 20 luglio 2020, atteso che la novella non ha comportato una abolitio criminis, bensì solo un fenomeno di successione di norme extrapenali, incidenti su elementi normativi della fattispecie relativi alla qualifica soggettiva del gestore. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, a seguito della modifica normativa, il gestore è divenuto soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, con diritto di rivalsa sul fruitore del servizio, sicché non può più considerarsi quale “agente contabile” con obbligo di rendiconto delle somme riscosse per conto dell’ente (cfr., Cassazione penale sez. VI, 28/09/2020, n.30227).
Nel senso della pronuncia in esame si era già espressa una parte della dottrina (Gatta: “Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato: abolitio criminis dopo il “decreto rilancio”?; Micheletti, “Le modifiche mediate apparenti. Un recente caso in materia peculato, in Discrimen”).
In senso difforme, la nuova qualificazione della vicenda come illecito amministrativo dovrebbe invece comportare non solo l’irrilevanza per il futuro del c.d. peculato dell’albergatore, ma inoltre la revoca – ex art. 673 c.p.p. – delle condanne passate in giudicato, essendosi verificata una ipotesi di abolitio criminis per depenalizzazione ex art. 2, comma 2, c.p. (cfr. Gambardella, Il “decreto rilancio” e la degradazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da peculato a illecito amministrativo”).
In realtà, a parere dello scrivente, con il decreto si è in presenza di un’abolitio criminis, con conseguente applicazione dell’art. 2, comma 2 , c.p.. Il fatto non sarebbe più sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 314 c.p., trattandosi ora di un mero illecito amministrativo, punito con la relativa sanzione amministrativa, con ogni conseguenza in ordine al sequestro preventivo per equivalente.
Quindi, l’albergatore non potrà più realizzare alcuna condotta di omesso versamento di denaro già ab origine di pertinenza della P.A., ma soltanto di inadempimento di un obbligo nei confronti di quest’ultima.
Conseguentemente, la trasformazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da reato in violazione amministrativa fa cessare tutti i procedimenti penali in corso: quindi, con l’archiviazione, ai sensi dell’art. 411 c.p.p., se sono ancora in fase di indagine, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; o con una sentenza di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ogni stato o grado del processo (anche nel giudizio di cassazione).
La depenalizzazione opera non solo per quei comportamenti successivi all’entrata in vigore del decreto legge n. 34/2020, ma anche per quei comportamenti precedenti a tale legge, altrimenti sarebbe profondamente ingiusta una disparità di trattamento di situazioni identiche in evidente violazione di precetti di rango costituzionale (cfr., sentenze di merito: GIP Tribunale di Roma, sentenza n. 1520 del 2 novembre 2020; Tribunale di Perugia, sentenza 1936 del 24 novembre 2020).
Quindi, rispetto alle condotte poste in essere prima della degradazione dell’illecito penale in violazione amministrativa, opera il disposto dell’art. 2, comma 2 e 4, c.p., che recita “2. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali. […] 4. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo”.
Si rileva che con la sentenza Scoppola c. Italia della Corte Edu nel 2009, il principio di retroattività della legge penale più favorevole (lex mitior) è diventato un diritto fondamentale dell’uomo (art. 7 Cedu). Il che vuole dire che l’abolitio criminis – e la depenalizzazione che ne è una ipotesi peculiare, connotata dalla contestuale introduzione di un illecito amministrativo – opera, senza possibilità di deroga, per tutti i fatti del passato.
In tema, si è espresso il GIP di Rimini con il decreto del 23 luglio 2020, il quale ha dichiarato che “il mancato versamento dell’imposta di soggiorno al Comune di Rimini nella sua qualità di incaricato di pubblico servizio non abbia più rilevo penale”.
Ancora recentemente, il Tribunale di Salerno con la sentenza del 19 ottobre 2020 depositata il 28 dicembre 2020, ha sottolineato la necessità di valorizzare, quale aspetto più rilevante tra le novità normative, la circostanza che il decreto rilancio abbia introdotto un illecito amministrativo “ritagliato” su condotte di omesso versamento. Si tratta della previsione di cui all’ultimo periodo del c. 1-ter dell’art. 4 d.l. 23/2011, ai sensi della quale «per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica la sanzione amministrativa di cui all’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471».

3. Deve essere riconosciuta l’abolitio criminis

In quest’ottica, l’abolitio criminis dovrebbe essere riconosciuta non per effetto della successione di leggi che ha interessato la qualifica del soggetto attivo, facendo venire meno retroattivamente la natura di incaricato di pubblico servizio, ma «perché il legislatore avrebbe disciplinato per la prima volta in modo specifico la condotta del gestore della struttura ricettiva […] che omette, ritarda o versa solo parzialmente l’imposta di soggiorno all’ente comunale», vale a dire proprio quella «condotta materiale che in passato […] la giurisprudenza riconduceva nell’alveo della fattispecie criminosa di cui all’art. 314 c.p.».
Secondo il Tribunale, si verrebbe quindi a creare la situazione descritta dall’art. 2 c. 2, quella cioè in cui per una “legge posteriore” (l’art. 180 del decreto rilancio) “il fatto non costituisce reato” (ma, appunto, un illecito amministrativo).
Secondo i giudici di merito del tribunale di Salerno, negare l’operatività dell’art. 2 c. 2 in base al criterio strutturale dovrebbe anche condurre a negare l’operatività pro futuro dell’art. 9 l. 689/1981, che dà rilievo a un affine criterio di specialità in astratto.
Se si esclude l’abolitio criminis, ciò si pone in contrasto con i principi di eguaglianza formale e sostanziale e di ragionevolezza.
Infatti, la disparità di trattamento e l’irragionevolezza che ne deriva pone l’accento su tre elementi: il reato di peculato esclude a priori l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., con il rischio di sanzionare gravemente fatti di gran lunga più lievi di quelli oggi puniti con la sanzione amministrativa; il range edittale del reato in esame difficilmente consentirebbe di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena; infine, il delitto di cui all’art. 314 c.p. è stato di recente introdotto con la legge n. 3/201 (legge spazzacorrotti) tra i reati ostativi di cui all’art. 4 bis ord. pen., con la conseguenza che ai condannati ai quali non viene riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena sarebbe anche precluso l’accesso ai benefici penitenziari e, ancora più gravemente, al beneficio di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p.
Ovviamente, la disparità di trattamento si riversa necessariamente anche sulla finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, comma 3, Cost.: infatti, nessun condannato potrebbe essere mai rieducato a fronte di una evidente disuguaglianza tra situazioni di fatto identiche.
In ogni caso, appare a eccessivo applicare un regime sanzionatorio così pesante, quale il peculato, all’albergatore, addirittura equiparandolo ad un condannato per associazione per delinquere di stampo mafioso.
Altresì, in assenza di specifiche norme transitorie che impongano la rimessione degli atti all’autorità competente per infliggere la sanzione amministrativa, i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legge (e non giudicati in via definitiva) non riceveranno nessuna sanzione: né quella penale, né quella amministrativa.

4. Risolto finalmente il nodo: la nuova disciplina del decreto Rilancio non comporta abolitio criminis sui fatti pregressi

Finalmente, l’intricata e controversa vicenda della sotto-fattispecie del peculato dell’albergatore è stata risolta nell’unico modo possibile per risolvere ogni problema.
Difatti, seppur tardivamente, con un intervento puntuale ed esplicito, dello stesso legislatore frettoloso e svagato che, appena un anno fa, quando aveva riformulato con il decreto rilancio la disciplina dell’imposta di soggiorno in termini più favorevoli, aveva colpevolmente omesso di predisporre una coeva disposizione transitoria per risolvere per tabulas tutti i possibili dubbi intertemporali e consentire de plano l’applicazione retroattiva ai fatti pregressi del nuovo illecito amministrativo tributario contestualmente introdotto, evitando assurde asimmetrie rispetto a situazioni identiche.
Segnatamente, con l’articolo 5-quinquies del c.d. decreto fiscale, aggiunto dal Parlamento in fase di conversione del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito in legge con l. n. 215/2021 e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 dicembre 2021, è stata varata una disposizione di interpretazione autentica a carattere retroattivo della disciplina della c.d. imposta di soggiorno e delle sue sanzioni riscritta in tempo di pandemia con il d.l. n. 34/2020, allo scopo di escludere la perdurante rilevanza penale ai sensi dell’art. 314 c.p. delle condotte di omesso versamento compiute prima del 19 maggio 2020.
Con suddetto articolo, rubricato proprio “Interpretazione autentica del comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”, si è infatti sciolto il vuoto legislativo che aveva comportato tanti contrasti teorici e giurisprudenziali, stabilendo espressamente che la norma del decreto rilancio che, per un verso, attribuiva la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e, per altro verso, definiva la relativa disciplina sanzionatoria, “si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020”.
Dunque, il recentissimo intervento esplicito del legislatore 2021 ha predisposto in modo chiaro e definitivo le oscillanti conclusioni sulla retroattività della depenalizzazione della sottofattispecie del peculato dell’albergatore, sottraendola al discrezionale e mutevole apprezzamento della giurisprudenza e, quindi, in termini più generali, di riaffermare il monopolio in materia penale del potere legislativo su quello giudiziario, riservando le statuizioni politico-criminali circa la rilevanza penale dei comportamenti solo ed esclusivamente ad una decisione del primo chiara, generale ed astratta.
In particolare, la soluzione prospettata dal decreto fiscale in questione si presenta risolutiva di ogni tipo di problema segnalato in precedenza, concernendo espressamente sia la parte precettivo-tributaria dell’imposta di soggiorno, sia quella sanzionatoria. Tramite questa duplice previsione assicura, difatti, sia un epilogo coerente con i principi di retroattività della lex mitior e rieducazione della pena sacrificati dall’orientamento invalso nella giurisprudenza di legittimità, sia con il principio di ragionevolezza eventualmente scalfito dalla tesi della successione di leggi, implicando un trattamento di maggior favore per i fatti pregressi.
Conseguentemente, da un lato, la precisazione circa la portata retroattiva della riforma del 2020 del peculato dell’albergatore ha il merito di eliminare l’assurdo logico-giuridico, palesemente in malam partem, di continuare a punire con le severissime pene comminate per il delitto di peculato gli autori di un fatto che in seguito ad un rinnovato giudizio politico-criminale del legislatore integra oggi un illecito amministrativo punito con una sovrattassa. Dall’altro lato, però, tale opzione legislativa dirada tutte le incertezze che lasciava emergere la tesi della successione nella parte in cui escludeva la possibilità di applicare la nuova disciplina recata per l’illecito amministrativo anche ai fatti pregressi in forza del principio di irretroattività di cui all’art. 1 l. n. 689/1981, stabilendo così che anche “la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020”.
Si potrebbe pensare che si tratterebbe di una sorta di ‘amnistia di giustizia mascherata’ che consente una ingerenza parlamentare nell’ordinario esercizio della amministrazione della giustizia, al di fuori dei confini rigidissimi fissati dall’art. 79 Cost. per i provvedimenti di clemenza collettiva.
In conclusione, la riforma produce per i fatti pregressi una serie di effetti a cascata in bonam partem, seppure non irragionevolmente favorevoli: infatti, in seguito a tale legge di interpretazione, tutte le condotte di omesso versamento pregresso perdono rilevanza penale e non costituiscono più reato.
Di conseguenza, si dovrebbe procedere nei procedimenti in fase di indagini preliminari all’archiviazione delle indagini ai sensi dell’art. 411 c.p.p.; invece, in quelli che si trovano in ogni altro stato e grado del processo (anche nel giudizio di cassazione) alla adozione di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato; ancora, nei giudizi già decisi con sentenze di condanna definitive passate in giudicato, alla revoca anche d’ufficio da parte del giudice dell’esecuzione, con un provvedimento ai sensi dell’art. 673 c.p.p., delle statuizioni penali e degli effetti giuridici pregiudizievoli ulteriori, come l’iscrizione nel casellario giudiziale, le pene accessorie e le misure di sicurezza, comprese quelle patrimoniali come la confisca.
In tutti questi casi, però, l’autorità giudiziaria dovrebbe contestualmente rimettere gli atti all’autorità amministrativa competente per la determinazione delle sanzioni tributarie dovute a titolo di sovrattassa ai sensi del novellato testo dell’art. 4, d.lgs. n. 23/2011.

peculato dell'albergatore

1. Problematica emersa con il decreto rilancio

L’art. 180, comma 3, del decreto legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito con la legge 17 luglio 2020 n. 77, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID – 19” pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 180 del 18 luglio 2020 – Suppl. Ordinario n. 25, avrebbe comportato una depenalizzazione del comportamento dell’albergatore che non versa al Comune quanto da lui incassato a titolo di imposta di soggiorno da parte dell’ospite, essendo l’omesso, ritardato o parziale versamento punito soltanto con una sanzione amministrativa.
Nello specifico, il comma 3 dell’art. 180 aggiunge all’art. 4 del D. Lgs. 23/2011 il comma 1-ter, che:

  • per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione si applica la sanzione amministrativa che ammonta dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto;
  • per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, ovvero del 30 per cento dell’importo non versato.

La disposizione introduce così un illecito amministrativo per il fatto del gestore della struttura ricettiva che si appropri indebitamente dell’imposta di soggiorno (o almeno di una parte).
Nel recente passato si rinvengono alcune pronunce della Corte di Cassazione, le quali hanno asserito che tale fatto integri invece il reato di cui all’art. 314 c.p. Ebbene, l’albergatore quale incaricato di pubblico servizio, che ha ricevuto una somma di denaro a titolo di tassa di soggiorno per conto della pubblica amministrazione, pone in essere l’appropriazione, sanzionata dal delitto di peculato, nel momento stesso in cui egli ne ometta o ritardi il versamento, comportandosi in tal modo uti dominus nei confronti del bene del quale ha il possesso per ragioni d’ufficio.
Si è statuito, infatti, che realizza il delitto di peculato la condotta posta in essere dal gestore di una struttura ricettiva che si appropri delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno omettendo di riversarle al Comune, in quanto lo svolgimento dell’attività ausiliaria di responsabile del versamento, strumentale all’esecuzione dell’obbligazione tributaria intercorrente tra l’ente impositore e il cliente della struttura, determina l’attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al privato cui è demandata la materiale riscossione dell’imposta (cfr., Cass., sez. VI, 26 marzo 2019, n. 27707).
In realtà, finora il mancato versamento della tassa di soggiorno da parte degli albergatori veniva punita sia amministrativamente (attraverso l’uso di violazioni poste nei regolamenti comunali) sia penalmente, giacché non si riteneva sussistere una relazione di specialità fra i due illeciti.
Invece, a seguito del decreto rilancio è venuta meno la qualifica di incaricato di pubblico servizio del soggetto attivo.

2. Depenalizzazione della fattispecie: contrasti giurisprudenziali

Per tale fattispecie, è stato molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza se tale fattispecie rientra tra l’art. 314 c.p. o si deve depenalizzare.
Invero, una parte della dottrina e giurisprudenza ha affermato che in tema di peculato, costituisce reato la condotta del gestore di una struttura ricettiva che ometta di versare al Comune le somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, pur realizzata prima delle modifiche introdotte dell’art. 180 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. nella l. n. 77 del 20 luglio 2020, atteso che la novella non ha comportato una abolitio criminis, bensì solo un fenomeno di successione di norme extrapenali, incidenti su elementi normativi della fattispecie relativi alla qualifica soggettiva del gestore. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, a seguito della modifica normativa, il gestore è divenuto soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, con diritto di rivalsa sul fruitore del servizio, sicché non può più considerarsi quale “agente contabile” con obbligo di rendiconto delle somme riscosse per conto dell’ente (cfr., Cassazione penale sez. VI, 28/09/2020, n.30227).
Nel senso della pronuncia in esame si era già espressa una parte della dottrina (Gatta: “Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato: abolitio criminis dopo il “decreto rilancio”?; Micheletti, “Le modifiche mediate apparenti. Un recente caso in materia peculato, in Discrimen”).
In senso difforme, la nuova qualificazione della vicenda come illecito amministrativo dovrebbe invece comportare non solo l’irrilevanza per il futuro del c.d. peculato dell’albergatore, ma inoltre la revoca – ex art. 673 c.p.p. – delle condanne passate in giudicato, essendosi verificata una ipotesi di abolitio criminis per depenalizzazione ex art. 2, comma 2, c.p. (cfr. Gambardella, Il “decreto rilancio” e la degradazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da peculato a illecito amministrativo”).
In realtà, a parere dello scrivente, con il decreto si è in presenza di un’abolitio criminis, con conseguente applicazione dell’art. 2, comma 2 , c.p.. Il fatto non sarebbe più sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 314 c.p., trattandosi ora di un mero illecito amministrativo, punito con la relativa sanzione amministrativa, con ogni conseguenza in ordine al sequestro preventivo per equivalente.
Quindi, l’albergatore non potrà più realizzare alcuna condotta di omesso versamento di denaro già ab origine di pertinenza della P.A., ma soltanto di inadempimento di un obbligo nei confronti di quest’ultima.
Conseguentemente, la trasformazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da reato in violazione amministrativa fa cessare tutti i procedimenti penali in corso: quindi, con l’archiviazione, ai sensi dell’art. 411 c.p.p., se sono ancora in fase di indagine, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; o con una sentenza di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ogni stato o grado del processo (anche nel giudizio di cassazione).
La depenalizzazione opera non solo per quei comportamenti successivi all’entrata in vigore del decreto legge n. 34/2020, ma anche per quei comportamenti precedenti a tale legge, altrimenti sarebbe profondamente ingiusta una disparità di trattamento di situazioni identiche in evidente violazione di precetti di rango costituzionale (cfr., sentenze di merito: GIP Tribunale di Roma, sentenza n. 1520 del 2 novembre 2020; Tribunale di Perugia, sentenza 1936 del 24 novembre 2020).
Quindi, rispetto alle condotte poste in essere prima della degradazione dell’illecito penale in violazione amministrativa, opera il disposto dell’art. 2, comma 2 e 4, c.p., che recita “2. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali. […] 4. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo”.
Si rileva che con la sentenza Scoppola c. Italia della Corte Edu nel 2009, il principio di retroattività della legge penale più favorevole (lex mitior) è diventato un diritto fondamentale dell’uomo (art. 7 Cedu). Il che vuole dire che l’abolitio criminis – e la depenalizzazione che ne è una ipotesi peculiare, connotata dalla contestuale introduzione di un illecito amministrativo – opera, senza possibilità di deroga, per tutti i fatti del passato.
In tema, si è espresso il GIP di Rimini con il decreto del 23 luglio 2020, il quale ha dichiarato che “il mancato versamento dell’imposta di soggiorno al Comune di Rimini nella sua qualità di incaricato di pubblico servizio non abbia più rilevo penale”.
Ancora recentemente, il Tribunale di Salerno con la sentenza del 19 ottobre 2020 depositata il 28 dicembre 2020, ha sottolineato la necessità di valorizzare, quale aspetto più rilevante tra le novità normative, la circostanza che il decreto rilancio abbia introdotto un illecito amministrativo “ritagliato” su condotte di omesso versamento. Si tratta della previsione di cui all’ultimo periodo del c. 1-ter dell’art. 4 d.l. 23/2011, ai sensi della quale «per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica la sanzione amministrativa di cui all’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471».

3. Deve essere riconosciuta l’abolitio criminis

In quest’ottica, l’abolitio criminis dovrebbe essere riconosciuta non per effetto della successione di leggi che ha interessato la qualifica del soggetto attivo, facendo venire meno retroattivamente la natura di incaricato di pubblico servizio, ma «perché il legislatore avrebbe disciplinato per la prima volta in modo specifico la condotta del gestore della struttura ricettiva […] che omette, ritarda o versa solo parzialmente l’imposta di soggiorno all’ente comunale», vale a dire proprio quella «condotta materiale che in passato […] la giurisprudenza riconduceva nell’alveo della fattispecie criminosa di cui all’art. 314 c.p.».
Secondo il Tribunale, si verrebbe quindi a creare la situazione descritta dall’art. 2 c. 2, quella cioè in cui per una “legge posteriore” (l’art. 180 del decreto rilancio) “il fatto non costituisce reato” (ma, appunto, un illecito amministrativo).
Secondo i giudici di merito del tribunale di Salerno, negare l’operatività dell’art. 2 c. 2 in base al criterio strutturale dovrebbe anche condurre a negare l’operatività pro futuro dell’art. 9 l. 689/1981, che dà rilievo a un affine criterio di specialità in astratto.
Se si esclude l’abolitio criminis, ciò si pone in contrasto con i principi di eguaglianza formale e sostanziale e di ragionevolezza.
Infatti, la disparità di trattamento e l’irragionevolezza che ne deriva pone l’accento su tre elementi: il reato di peculato esclude a priori l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., con il rischio di sanzionare gravemente fatti di gran lunga più lievi di quelli oggi puniti con la sanzione amministrativa; il range edittale del reato in esame difficilmente consentirebbe di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena; infine, il delitto di cui all’art. 314 c.p. è stato di recente introdotto con la legge n. 3/201 (legge spazzacorrotti) tra i reati ostativi di cui all’art. 4 bis ord. pen., con la conseguenza che ai condannati ai quali non viene riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena sarebbe anche precluso l’accesso ai benefici penitenziari e, ancora più gravemente, al beneficio di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p.
Ovviamente, la disparità di trattamento si riversa necessariamente anche sulla finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, comma 3, Cost.: infatti, nessun condannato potrebbe essere mai rieducato a fronte di una evidente disuguaglianza tra situazioni di fatto identiche.
In ogni caso, appare a eccessivo applicare un regime sanzionatorio così pesante, quale il peculato, all’albergatore, addirittura equiparandolo ad un condannato per associazione per delinquere di stampo mafioso.
Altresì, in assenza di specifiche norme transitorie che impongano la rimessione degli atti all’autorità competente per infliggere la sanzione amministrativa, i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legge (e non giudicati in via definitiva) non riceveranno nessuna sanzione: né quella penale, né quella amministrativa.

4. Risolto finalmente il nodo: la nuova disciplina del decreto Rilancio non comporta abolitio criminis sui fatti pregressi

Finalmente, l’intricata e controversa vicenda della sotto-fattispecie del peculato dell’albergatore è stata risolta nell’unico modo possibile per risolvere ogni problema.
Difatti, seppur tardivamente, con un intervento puntuale ed esplicito, dello stesso legislatore frettoloso e svagato che, appena un anno fa, quando aveva riformulato con il decreto rilancio la disciplina dell’imposta di soggiorno in termini più favorevoli, aveva colpevolmente omesso di predisporre una coeva disposizione transitoria per risolvere per tabulas tutti i possibili dubbi intertemporali e consentire de plano l’applicazione retroattiva ai fatti pregressi del nuovo illecito amministrativo tributario contestualmente introdotto, evitando assurde asimmetrie rispetto a situazioni identiche.
Segnatamente, con l’articolo 5-quinquies del c.d. decreto fiscale, aggiunto dal Parlamento in fase di conversione del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito in legge con l. n. 215/2021 e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 dicembre 2021, è stata varata una disposizione di interpretazione autentica a carattere retroattivo della disciplina della c.d. imposta di soggiorno e delle sue sanzioni riscritta in tempo di pandemia con il d.l. n. 34/2020, allo scopo di escludere la perdurante rilevanza penale ai sensi dell’art. 314 c.p. delle condotte di omesso versamento compiute prima del 19 maggio 2020.
Con suddetto articolo, rubricato proprio “Interpretazione autentica del comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”, si è infatti sciolto il vuoto legislativo che aveva comportato tanti contrasti teorici e giurisprudenziali, stabilendo espressamente che la norma del decreto rilancio che, per un verso, attribuiva la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e, per altro verso, definiva la relativa disciplina sanzionatoria, “si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020”.
Dunque, il recentissimo intervento esplicito del legislatore 2021 ha predisposto in modo chiaro e definitivo le oscillanti conclusioni sulla retroattività della depenalizzazione della sottofattispecie del peculato dell’albergatore, sottraendola al discrezionale e mutevole apprezzamento della giurisprudenza e, quindi, in termini più generali, di riaffermare il monopolio in materia penale del potere legislativo su quello giudiziario, riservando le statuizioni politico-criminali circa la rilevanza penale dei comportamenti solo ed esclusivamente ad una decisione del primo chiara, generale ed astratta.
In particolare, la soluzione prospettata dal decreto fiscale in questione si presenta risolutiva di ogni tipo di problema segnalato in precedenza, concernendo espressamente sia la parte precettivo-tributaria dell’imposta di soggiorno, sia quella sanzionatoria. Tramite questa duplice previsione assicura, difatti, sia un epilogo coerente con i principi di retroattività della lex mitior e rieducazione della pena sacrificati dall’orientamento invalso nella giurisprudenza di legittimità, sia con il principio di ragionevolezza eventualmente scalfito dalla tesi della successione di leggi, implicando un trattamento di maggior favore per i fatti pregressi.
Conseguentemente, da un lato, la precisazione circa la portata retroattiva della riforma del 2020 del peculato dell’albergatore ha il merito di eliminare l’assurdo logico-giuridico, palesemente in malam partem, di continuare a punire con le severissime pene comminate per il delitto di peculato gli autori di un fatto che in seguito ad un rinnovato giudizio politico-criminale del legislatore integra oggi un illecito amministrativo punito con una sovrattassa. Dall’altro lato, però, tale opzione legislativa dirada tutte le incertezze che lasciava emergere la tesi della successione nella parte in cui escludeva la possibilità di applicare la nuova disciplina recata per l’illecito amministrativo anche ai fatti pregressi in forza del principio di irretroattività di cui all’art. 1 l. n. 689/1981, stabilendo così che anche “la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020”.
Si potrebbe pensare che si tratterebbe di una sorta di ‘amnistia di giustizia mascherata’ che consente una ingerenza parlamentare nell’ordinario esercizio della amministrazione della giustizia, al di fuori dei confini rigidissimi fissati dall’art. 79 Cost. per i provvedimenti di clemenza collettiva.
In conclusione, la riforma produce per i fatti pregressi una serie di effetti a cascata in bonam partem, seppure non irragionevolmente favorevoli: infatti, in seguito a tale legge di interpretazione, tutte le condotte di omesso versamento pregresso perdono rilevanza penale e non costituiscono più reato.
Di conseguenza, si dovrebbe procedere nei procedimenti in fase di indagini preliminari all’archiviazione delle indagini ai sensi dell’art. 411 c.p.p.; invece, in quelli che si trovano in ogni altro stato e grado del processo (anche nel giudizio di cassazione) alla adozione di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato; ancora, nei giudizi già decisi con sentenze di condanna definitive passate in giudicato, alla revoca anche d’ufficio da parte del giudice dell’esecuzione, con un provvedimento ai sensi dell’art. 673 c.p.p., delle statuizioni penali e degli effetti giuridici pregiudizievoli ulteriori, come l’iscrizione nel casellario giudiziale, le pene accessorie e le misure di sicurezza, comprese quelle patrimoniali come la confisca.
In tutti questi casi, però, l’autorità giudiziaria dovrebbe contestualmente rimettere gli atti all’autorità amministrativa competente per la determinazione delle sanzioni tributarie dovute a titolo di sovrattassa ai sensi del novellato testo dell’art. 4, d.lgs. n. 23/2011.

Bibliografia

Riferimenti normativi
Decreto legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito con la legge 17 luglio 2020 n. 77.
Decreto fiscale, convertito in legge con l. n. 215/2021 e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 dicembre 2021, articolo 5-quinquies.

Giurisprudenza
Cass., sez. VI, 26 marzo 2019, n. 27707.
Cassazione penale sez. VI, 28/09/2020, n.30227.
GIP Tribunale di Roma, sentenza n. 1520 del 2 novembre 2020.
Tribunale di Perugia, sentenza 1936 del 24 novembre 2020.
Sentenza Scoppola c. Italia della Corte Edu nel 2009.
GIP di Rimini.
Tribunale di Salerno con la sentenza del 19 ottobre 2020 depositata il 28 dicembre 2020.

Dottrina

Gatta: “Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato: abolitio criminis dopo il “decreto rilancio”?, in Sistema Penale, 5 ottobre 2020, p. 1 ss.
Gambardella, Il “decreto rilancio” e la degradazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da peculato a illecito amministrativo, in Penale diritto e procedura, n. 2, 2020, p. 1 ss.
Micheletti, “Le modifiche mediate apparenti. Un recente caso in materia peculato, in Discrimen”, 21 ottobre 2020, p. 1 ss.