Riforma del processo civile e rito del lavoro

In attuazione della L. n. 206/2021, rubricata: “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie in materia di esecuzione forzata”, è stato pubblicato, in Gazzetta Ufficiale, il d.lgs. n. 149/2022, che si propone di realizzare “gli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contradditorio”.
Coerentemente agli obiettivi citati, l’intervento del Legislatore ha interessato anche la disciplina delle controversie di lavoro.
Con il presente contributo, si vogliono dunque ripercorrere le principali modifiche apportate dal Legislatore al rito del lavoro, nella prospettiva dell’attuazione delle finalità della legge delega.

Processo civile e rito del lavoro

1. Negoziazione assistita anche per le controversie di lavoro

Con l’obiettivo di deflazionare il contenzioso, l’art. 9, co. 1, lett. d), d.lgs. n. 149/2022 ha introdotto l’art. 2-ter D.L. n. 132/2014, che legittima, nell’ambito delle controversie di cui all’art. 409 c.p.c., il ricorso alla negoziazione assistita e amplia così il ventaglio degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie in materia di lavoro.
Tale istituto consente al lavoratore di disporre dei propri diritti, anche al di fuori delle così dette sedi protette, purché assistito da almeno un avvocato, e potendo anche beneficiare dell’assistenza eventuale di un consulente del lavoro.
La novella legittima l’avvocato a gestire l’intero procedimento stragiudiziale, che non costituisce comunque condizione di procedibilità dell’eventuale domanda giudiziale e all’accordo eventualmente raggiunto in tale sede si applica l’art. 2113, co. 4 c.c..

2. Le novità relative al primo grado di giudizio: l’abrogazione del così detto rito Fornero e la trattazione prioritaria delle cause relative alla reintegrazione del lavoratore

Con riferimento al primo grado di giudizio, l’art. 3, co. 30, d.lgs. n. 149/2022 è intervenuto sull’art. 430 c.p.c. statuendo che “la sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia”. Modifica legislativa, questa, recepita anche nell’ambito del procedimento d’appello, espressamente rinviando l’art. 438 c.p.c. all’art. 430 c.p.c.
Il cuore della novella del processo del lavoro è però rappresentato dall’art. 3, co. 32, d.lgs. 149/2022, che introduce, nel corpo del Libro II, Titolo IV, Codice di Procedura Civile, il Capo I-bis, rubricato: “Delle controversie in materia di licenziamenti”, che si compone degli artt. 441-bis, 441-ter e 441-quater.
L’art. 441-bis c.p.c., rubricato: “Controversie in materia di licenziamento”, disciplina la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel luogo di lavoro.
In particolare, i primi due commi dettano il principio generale secondo cui “la trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto”.
Nella prospettiva della semplificazione della disciplina processuale, il Legislatore ha inoltre ricondotto anche le controversie in materia di licenziamento alla disciplina generale delle controversie in materia di lavoro di cui all’art. 409 e ss. c.p.c., portando così a compimento il superamento del così detto rito Fornero, iniziato già con la riforma del 2015.
Un concreto strumento attuativo finalizzato alla riduzione dei tempi della giustizia e alla trattazione prioritaria delle cause relative alla reintegrazione del lavoratore, è poi previsto dall’art. 144-quinquies disp. att. c.p.c., rubricato: “Controversie di lavoro”. Tale disposizione statuisce che il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio favoriscono e verificano la trattazione prioritaria di cui al Capo I-bis del Titolo IV del Libro II del Codice di Procedure Civile prevedendo, altresì, per ciascun ufficio giudiziario, l’obbligo di effettuare estrazioni statistiche trimestrali, che consentono di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441-bis c.p.c. rispetto alla durata degli altri processi in materia di lavoro.
Sempre in linea con la ratio della riforma, il comma 3 dell’art. 441-bis c.p.c., statuisce che la trattazione e la decisione prioritaria delle controversie aventi a oggetto l’impugnazione dei licenziamenti può essere garantita dal giudice attraverso la riduzione, “fino alla metà”, dei “termini del procedimento”, “tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso”, e, in ogni caso, garantendo la tutela del convenuto e del terzo eventualmente chiamato in giudizio, con la previsione che, “tra la data di notificazione del ricorso al convenuto, o al terzo chiamato, e quella della udienza di discussione, deve intercorrere un termine non minore di venti giorni, e che, in tal caso, il termine per la costituzione del convenuto, o del terzo chiamato, dovrà essere ridotto della metà”.
Il comma 4, poi, attribuisce al giudice del lavoro il potere di disporre, nel corso dell’udienza di discussione, “in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali, ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro”.
In particolare, tale esigenza di concentrazione delle fasi processuali è garantita mediante la riserva di particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze.
Verosimilmente, il Legislatore ha inteso operare nella direzione di impedire la proliferazione delle domande cautelari ante causam, che, alla luce della perseguita celerità del processo, risulterebbero ragionevolmente prive del presupposto del periculum in mora.
Infine, il comma 5 dispone che la celerità e la concentrazione costituiscono principi estensibili anche nell’ambito del giudizio d’appello e di cassazione.

2.1. Il licenziamento del socio di cooperativa

Con l’art. 441-ter c.p.c., rubricato: “Licenziamento del socio di cooperativa”, il Legislatore ha voluto comporre il conflitto giurisprudenziale, sorto all’indomani della L. n. 142/2001, in merito all’ufficio giudiziario legittimato a conoscere delle domande relative all’esclusione del socio di cooperativa, nelle ipotesi in cui alla cessazione del rapporto mutualistico seguiva il recesso datoriale.
La disposizione in esame statuisce l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 409 e ss. c.p.c. all’impugnazione del licenziamento del socio di cooperativa prevedendo inoltre che, in tale ipotesi, il giudice del lavoro decida anche sulle questioni relative al rapporto associativo, eventualmente proposte.

2.2. La domanda di nullità del licenziamento discriminatorio

Particolare attenzione è riservata altresì dal Legislatore al licenziamento discriminatorio.
L’art. 441-quater c.p.c. legittima infatti il lavoratore a introdurre la domanda di nullità del recesso con i riti speciali ex art. 38 d.lgs. n. 198/2006 ed ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011, qualora lo stesso decida, per le circostanze del caso, di non preferire le garanzie del giudizio a cognizione piena ex art. 409 ss. c.p.c.. Tuttavia, al fine di evitare la duplicazione dei giudizi, il Legislatore ha previsto che l’introduzione della domanda relativa alla nullità del licenziamento e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, precluda di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.

3. Le novità relative al giudizio d’appello

Il Legislatore è intervenuto direttamente sulla disciplina processuale dell’appello in materia di controversie di lavoro solo con poche disposizioni, rimettendo, al limite della compatibilità, l’applicazione delle modifiche apportate al processo ordinario di cognizione d’appello.
In particolare all’art. 434 c.p.c. prevede che il ricorso debba contenere le indicazioni prescritte dall’art. 414 c.p.c. e che, per ciascun motivo, debba essere indicato, a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: (i) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; (ii) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; (iii) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza al fine della decisone impugnata.
Tale norma costituisce l’attuazione del comma 8, lett. c) dell’unico articolo della legge delega, che richiede di “prevedere che negli atti introduttivi dell’appello disciplinati dagli art. 342 e 434 (…) le indicazioni a pena di inammissibilità siano esposte in modo chiaro, sintetico e specifico”.
Come si legge nella relazione illustrativa allo schema di decreto attuativo, la novella sembra costituire il risultato del bilanciamento tra le esigenze di efficienza e quelle di tutela effettiva, dovendo la medesima essere letta nel senso che la chiarezza e sinteticità non debbano comportare la compressione del diritto di difesa delle parti, impedendo che il processo si concluda con una pronuncia nel merito.
Con l’art. 436-bis c.p.c. il Legislatore introduce, poi, nel giudizio d’appello la c.d. “sentenza immediata”, stabilendo che nelle ipotesi in cui l’appello sia inammissibile, improcedibile, manifestamente fondato o infondato, il collegio, all’udienza di discussione, sentiti i difensori delle parti, pronunci sentenza, dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediate esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.
Infine, l’art. 438 c.p.c., specularmente all’art. 430 c.p.c., prevede che nelle ipotesi diverse dall’art. 436-bis c.p.c., la sentenza debba essere depositata entro sessanta giorni dalla pronuncia e che il cancelliere sia tenuto a darne immediata comunicazione alle parti.
Infine, va osservato che il Legislatore della riforma non ha novellato l’art. 431 c.p.c., continuando a mantenere, pertanto, inalterata la dicotomia tra il regime dell’esecuzione provvisoria della sentenza di condanna favorevole al lavoratore (commi da 1 a 3) e il regime dell’esecuzione provvisoria della sentenza di condanna favorevole al datore di lavoro (commi 5 e 6). Tuttavia, richiamando il comma 5 dell’art. 431 c.p.c. il novellato art. 283 c.p.c., tale norma assume rilevanza anche nell’ambito del processo del lavoro. Con l’entrata in vigore della novella, il lavoratore potrà pertanto proporre istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza a lui sfavorevole, allorché “l’impugnazione appare manifestamente fondata o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”.

4. Gli strumenti a garanzia della maggior speditezza sul processo

In merito al nucleo della riforma che attiene all’implementazione degli strumenti, anche informatici, per l’organizzazione e lo svolgimento del processo civile, a garanzia della maggior speditezza dello stesso, particolare attenzione meritano, con riferimento al rito del lavoro, le novità introdotte dall’art. 3, co. 10 d.lgs. n. 149/2022.
Attraverso tale disposizione, il Legislatore ha modificato l’art. 127 c.p.c. (introducendo un ulteriore comma), e ha introdotto l’art 127-bis c.p.c., rubricato: “Udienza mediante collegamenti audiovisivi”, e l’art. 127-ter c.p.c., rubricato: “Deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza”. La novella legislativa ha così reso permanenti le scelte introdotte dal Legislatore durante l’emergenza pandemica, legittimando il giudice ad ordinare che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza ovvero sia sostituita dal deposito di note scritte.
La formulazione delle disposizioni, pare affidare la determinazione delle modalità di svolgimento dell’udienza alla discrezionalità del giudice, coerentemente al potere di direzione allo stesso riconosciuto dall’art. 127 c.p.c.. che quindi dovrà, nell’esercizio di tale potere, tenere necessariamente conto anche del principio di oralità a cui il processo del lavoro è per sua natura improntato.

5. Il regime intertemporale della riforma

Con riguardo al regime intertemporale della nuova disciplina, l’art. 35, co. 1, d.lgs. n. 149/2022, così come modificato dalla l. n. 197/2022 (così detta legge di bilancio 2023), art. 1, co. 380, dispone che la novella del processo civile entrerà in vigore a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicherà ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, salvo “quanto diversamente disposto ai commi 2-10” del medesimo articolo. In particolare, tali commi dispongono che:

  • le disposizioni di cui agli artt. 127, co. 3, 127-bis, 127-ter, 193, co. 2, c.p.c. hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023, trovando applicazione ai procedimenti civili che, a tale data, sono pendenti davanti al giudice di pace, al tribunale ordinario, alla corte di appello e alla Corte di cassazione;
  • le nuove disposizioni relative al ricorso per Cassazione, trovano applicazione ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, eccezion fatta per gli artt. 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis c.p.c. che si applicano ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023, ma per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.
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1. Negoziazione assistita anche per le controversie di lavoro

Con l’obiettivo di deflazionare il contenzioso, l’art. 9, co. 1, lett. d), d.lgs. n. 149/2022 ha introdotto l’art. 2-ter D.L. n. 132/2014, che legittima, nell’ambito delle controversie di cui all’art. 409 c.p.c., il ricorso alla negoziazione assistita e amplia così il ventaglio degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie in materia di lavoro.
Tale istituto consente al lavoratore di disporre dei propri diritti, anche al di fuori delle così dette sedi protette, purché assistito da almeno un avvocato, e potendo anche beneficiare dell’assistenza eventuale di un consulente del lavoro.
La novella legittima l’avvocato a gestire l’intero procedimento stragiudiziale, che non costituisce comunque condizione di procedibilità dell’eventuale domanda giudiziale e all’accordo eventualmente raggiunto in tale sede si applica l’art. 2113, co. 4 c.c..

2. Le novità relative al primo grado di giudizio: l’abrogazione del così detto rito Fornero e la trattazione prioritaria delle cause relative alla reintegrazione del lavoratore

Con riferimento al primo grado di giudizio, l’art. 3, co. 30, d.lgs. n. 149/2022 è intervenuto sull’art. 430 c.p.c. statuendo che “la sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia”. Modifica legislativa, questa, recepita anche nell’ambito del procedimento d’appello, espressamente rinviando l’art. 438 c.p.c. all’art. 430 c.p.c.
Il cuore della novella del processo del lavoro è però rappresentato dall’art. 3, co. 32, d.lgs. 149/2022, che introduce, nel corpo del Libro II, Titolo IV, Codice di Procedura Civile, il Capo I-bis, rubricato: “Delle controversie in materia di licenziamenti”, che si compone degli artt. 441-bis, 441-ter e 441-quater.
L’art. 441-bis c.p.c., rubricato: “Controversie in materia di licenziamento”, disciplina la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel luogo di lavoro.
In particolare, i primi due commi dettano il principio generale secondo cui “la trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto”.
Nella prospettiva della semplificazione della disciplina processuale, il Legislatore ha inoltre ricondotto anche le controversie in materia di licenziamento alla disciplina generale delle controversie in materia di lavoro di cui all’art. 409 e ss. c.p.c., portando così a compimento il superamento del così detto rito Fornero, iniziato già con la riforma del 2015.
Un concreto strumento attuativo finalizzato alla riduzione dei tempi della giustizia e alla trattazione prioritaria delle cause relative alla reintegrazione del lavoratore, è poi previsto dall’art. 144-quinquies disp. att. c.p.c., rubricato: “Controversie di lavoro”. Tale disposizione statuisce che il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio favoriscono e verificano la trattazione prioritaria di cui al Capo I-bis del Titolo IV del Libro II del Codice di Procedure Civile prevedendo, altresì, per ciascun ufficio giudiziario, l’obbligo di effettuare estrazioni statistiche trimestrali, che consentono di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441-bis c.p.c. rispetto alla durata degli altri processi in materia di lavoro.
Sempre in linea con la ratio della riforma, il comma 3 dell’art. 441-bis c.p.c., statuisce che la trattazione e la decisione prioritaria delle controversie aventi a oggetto l’impugnazione dei licenziamenti può essere garantita dal giudice attraverso la riduzione, “fino alla metà”, dei “termini del procedimento”, “tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso”, e, in ogni caso, garantendo la tutela del convenuto e del terzo eventualmente chiamato in giudizio, con la previsione che, “tra la data di notificazione del ricorso al convenuto, o al terzo chiamato, e quella della udienza di discussione, deve intercorrere un termine non minore di venti giorni, e che, in tal caso, il termine per la costituzione del convenuto, o del terzo chiamato, dovrà essere ridotto della metà”.
Il comma 4, poi, attribuisce al giudice del lavoro il potere di disporre, nel corso dell’udienza di discussione, “in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali, ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro”.
In particolare, tale esigenza di concentrazione delle fasi processuali è garantita mediante la riserva di particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze.
Verosimilmente, il Legislatore ha inteso operare nella direzione di impedire la proliferazione delle domande cautelari ante causam, che, alla luce della perseguita celerità del processo, risulterebbero ragionevolmente prive del presupposto del periculum in mora.
Infine, il comma 5 dispone che la celerità e la concentrazione costituiscono principi estensibili anche nell’ambito del giudizio d’appello e di cassazione.

2.1. Il licenziamento del socio di cooperativa

Con l’art. 441-ter c.p.c., rubricato: “Licenziamento del socio di cooperativa”, il Legislatore ha voluto comporre il conflitto giurisprudenziale, sorto all’indomani della L. n. 142/2001, in merito all’ufficio giudiziario legittimato a conoscere delle domande relative all’esclusione del socio di cooperativa, nelle ipotesi in cui alla cessazione del rapporto mutualistico seguiva il recesso datoriale.
La disposizione in esame statuisce l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 409 e ss. c.p.c. all’impugnazione del licenziamento del socio di cooperativa prevedendo inoltre che, in tale ipotesi, il giudice del lavoro decida anche sulle questioni relative al rapporto associativo, eventualmente proposte.

2.2. La domanda di nullità del licenziamento discriminatorio

Particolare attenzione è riservata altresì dal Legislatore al licenziamento discriminatorio.
L’art. 441-quater c.p.c. legittima infatti il lavoratore a introdurre la domanda di nullità del recesso con i riti speciali ex art. 38 d.lgs. n. 198/2006 ed ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011, qualora lo stesso decida, per le circostanze del caso, di non preferire le garanzie del giudizio a cognizione piena ex art. 409 ss. c.p.c.. Tuttavia, al fine di evitare la duplicazione dei giudizi, il Legislatore ha previsto che l’introduzione della domanda relativa alla nullità del licenziamento e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, precluda di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.

3. Le novità relative al giudizio d’appello

Il Legislatore è intervenuto direttamente sulla disciplina processuale dell’appello in materia di controversie di lavoro solo con poche disposizioni, rimettendo, al limite della compatibilità, l’applicazione delle modifiche apportate al processo ordinario di cognizione d’appello.
In particolare all’art. 434 c.p.c. prevede che il ricorso debba contenere le indicazioni prescritte dall’art. 414 c.p.c. e che, per ciascun motivo, debba essere indicato, a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: (i) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; (ii) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; (iii) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza al fine della decisone impugnata.
Tale norma costituisce l’attuazione del comma 8, lett. c) dell’unico articolo della legge delega, che richiede di “prevedere che negli atti introduttivi dell’appello disciplinati dagli art. 342 e 434 (…) le indicazioni a pena di inammissibilità siano esposte in modo chiaro, sintetico e specifico”.
Come si legge nella relazione illustrativa allo schema di decreto attuativo, la novella sembra costituire il risultato del bilanciamento tra le esigenze di efficienza e quelle di tutela effettiva, dovendo la medesima essere letta nel senso che la chiarezza e sinteticità non debbano comportare la compressione del diritto di difesa delle parti, impedendo che il processo si concluda con una pronuncia nel merito.
Con l’art. 436-bis c.p.c. il Legislatore introduce, poi, nel giudizio d’appello la c.d. “sentenza immediata”, stabilendo che nelle ipotesi in cui l’appello sia inammissibile, improcedibile, manifestamente fondato o infondato, il collegio, all’udienza di discussione, sentiti i difensori delle parti, pronunci sentenza, dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediate esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.
Infine, l’art. 438 c.p.c., specularmente all’art. 430 c.p.c., prevede che nelle ipotesi diverse dall’art. 436-bis c.p.c., la sentenza debba essere depositata entro sessanta giorni dalla pronuncia e che il cancelliere sia tenuto a darne immediata comunicazione alle parti.
Infine, va osservato che il Legislatore della riforma non ha novellato l’art. 431 c.p.c., continuando a mantenere, pertanto, inalterata la dicotomia tra il regime dell’esecuzione provvisoria della sentenza di condanna favorevole al lavoratore (commi da 1 a 3) e il regime dell’esecuzione provvisoria della sentenza di condanna favorevole al datore di lavoro (commi 5 e 6). Tuttavia, richiamando il comma 5 dell’art. 431 c.p.c. il novellato art. 283 c.p.c., tale norma assume rilevanza anche nell’ambito del processo del lavoro. Con l’entrata in vigore della novella, il lavoratore potrà pertanto proporre istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza a lui sfavorevole, allorché “l’impugnazione appare manifestamente fondata o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”.

4. Gli strumenti a garanzia della maggior speditezza sul processo

In merito al nucleo della riforma che attiene all’implementazione degli strumenti, anche informatici, per l’organizzazione e lo svolgimento del processo civile, a garanzia della maggior speditezza dello stesso, particolare attenzione meritano, con riferimento al rito del lavoro, le novità introdotte dall’art. 3, co. 10 d.lgs. n. 149/2022.
Attraverso tale disposizione, il Legislatore ha modificato l’art. 127 c.p.c. (introducendo un ulteriore comma), e ha introdotto l’art 127-bis c.p.c., rubricato: “Udienza mediante collegamenti audiovisivi”, e l’art. 127-ter c.p.c., rubricato: “Deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza”. La novella legislativa ha così reso permanenti le scelte introdotte dal Legislatore durante l’emergenza pandemica, legittimando il giudice ad ordinare che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza ovvero sia sostituita dal deposito di note scritte.
La formulazione delle disposizioni, pare affidare la determinazione delle modalità di svolgimento dell’udienza alla discrezionalità del giudice, coerentemente al potere di direzione allo stesso riconosciuto dall’art. 127 c.p.c.. che quindi dovrà, nell’esercizio di tale potere, tenere necessariamente conto anche del principio di oralità a cui il processo del lavoro è per sua natura improntato.

5. Il regime intertemporale della riforma

Con riguardo al regime intertemporale della nuova disciplina, l’art. 35, co. 1, d.lgs. n. 149/2022, così come modificato dalla l. n. 197/2022 (così detta legge di bilancio 2023), art. 1, co. 380, dispone che la novella del processo civile entrerà in vigore a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicherà ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, salvo “quanto diversamente disposto ai commi 2-10” del medesimo articolo. In particolare, tali commi dispongono che:

  • le disposizioni di cui agli artt. 127, co. 3, 127-bis, 127-ter, 193, co. 2, c.p.c. hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023, trovando applicazione ai procedimenti civili che, a tale data, sono pendenti davanti al giudice di pace, al tribunale ordinario, alla corte di appello e alla Corte di cassazione;
  • le nuove disposizioni relative al ricorso per Cassazione, trovano applicazione ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, eccezion fatta per gli artt. 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis c.p.c. che si applicano ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023, ma per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.
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