Il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, la quale è in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. Tuttavia, non trattandosi di principio inderogabile che coinvolga interessi pubblici o generali, le parti possono derogare alla recedibilità ad nutum purchè la rinuncia – sia pure implicita – investa direttamente la stessa recedibilità. Pertanto qualora, come nella specie, il contratto rechi la disciplina pattizia soltanto di alcune ipotesi di inadempimento, tale previsione, in difetto di specifiche determinazioni ulteriori, non può incidere sulla recedibilità ad nutum che rappresenta la causa estintiva ordinaria del rapporto di prestazione d’opera professionale (dedotto nella specie). Cass. civ. sez. lav. 4 agosto 2004, n. 14970
Il recesso unilaterale, lungi dal costituire una facoltà normale delle parti contraenti, presuppone, invece, a norma dell’art. 1373 c.c., che essa sia specificamente attribuita per legge o per clausola contrattuale e, in quest’ultimo caso, l’onere di provarne l’esistenza ricade sulla parte che intenda farla valere in giudizio. Cass. civ. sez. lav. 12 febbraio 1990, n. 987
La clausola con la quale si attribuisce ad uno o ad entrambi i contraenti la facoltà di recesso ex art. 1373 c.c., siccome derogativa al principio generale per il quale il contratto ha forza di legge tra le parti, pur non richiedendo alcuna formula sacramentale, deve essere sempre redatta in termini inequivoci, tali da non lasciare alcun dubbio circa la volontà dei contraenti di inserirla nel negozio da loro sottoscritto. Cass. civ. sez. II 26 novembre 1987, n. 8776
Il diritto di recesso ex art. 1373 c.c. – insuscettibile di interpretazione estensiva per la sua natura di eccezione al principio generale della irrevocabilità degli impegni negoziali – non può essere svincolato da un termine preciso o, quanto meno, sicuramente determinabile, in assenza del quale l’efficacia del contratto resterebbe indefinitamente subordinata all’arbitrio della parte titolare di tale diritto, con conseguente irrealizzabilità delle finalità perseguite con il contratto stesso. Cass. civ. sez. III 20 ottobre 1983, n. 6160
A norma dell’art. 1373 c.c., la facoltà di una delle parti di recedere dal contratto non può essere esercitata se non alle condizioni e nei modi convenzionalmente stabiliti. Pertanto, quando tali condizioni comprendono una prestazione a carico del recedente, sia che tale prestazione abbia il contenuto di un indennizzo o di un prezzo dello jus poenitendi, sia che, invece, si risolva nell’adempimento di un’obbligazione restitutoria o, comunque, avente oggetto diverso da quello indennitario, il recesso non ha effetto se la prestazione non sia stata adempiuta. L’atto con il quale si esercita il diritto potestativo di recesso di cui all’art. 1373 c.c. integra un negozio giuridico unilaterale recettizio che deve sottostare alle medesime garanzie di forma prescritta per la costituzione del rapporto contrattuale alla cui risoluzione il recesso stesso è preordinato. Pertanto, la manifestazione di volontà rivolta allo scioglimento di un contratto preliminare di vendita immobiliare, redatto per iscritto a norma dell’art. 1351 c.c., deve necessariamente assumere la forma scritta e non può, quindi, essere desunta dal comportamento omissivo opposto da una delle parti all’invito rivoltole dall’altro contraente di prestarsi alla stipula dell’atto definitivo. Cass. civ. sez. II 28 gennaio 1976, n. 267
Non può configurarsi come recesso unilaterale a norma dell’art. 1373 c.c. una facoltà esercitabile, per espressa previsione delle parti, soltanto a contratto eseguito. Cass. civ. sez. III 16 novembre 1973, n. 3071
L’art. 1373 c.c. – il quale, nel disciplinare l’istituto del recesso unilaterale (diverso da quello per inadempimento previsto dall’art. 1385 c.c.), stabilisce che la parte cui è attribuita pattiziamente detta facoltà può esercitarla finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione – non prescinde, in virtù sia del suo testo letterale, sia della sua ratio (ravvisabile nell’incompatibilità concettuale tra proposito di sciogliere unilateralmente il rapporto e consenso precedentemente manifestato a darvi attuazione, sia pure parziale), da una connotazione volontaristica del «principio di esecuzione», nel senso che questo, per poter precludere il recesso, o deve essere stato posto in essere dallo stesso recedente o, se posto in essere da altro contraente, non deve aver trovato opposizione e rifiuto da parte del primo. Ne consegue che la domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, di cui all’art. 2932 c.c., non può – sempre che l’altra parte non vi abbia aderito o non abbia accettato l’eventuale contemporanea offerta della controprestazione – in alcun modo considerarsi di per sé principio di esecuzione del contratto preliminare ai sensi ed agli effetti dell’art. 1373 c.c. e che il convenuto, a cui favore sia stato attribuito il diritto di recesso, deve ritenersi legittimato a farlo valere in via di azione o di eccezione riconvenzionale ed a paralizzare così la pretesa avversaria di sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. Cass. civ. sez. II 1 dicembre 1994, n. 10300
Se è vero che, fin quando non si sia formato il consenso per il contratto definitivo o non sia passata in giudicato la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., il contratto preliminare non si può considerare eseguito, peraltro, quando la parte interessata chiede giudizialmente la pronuncia ex art. 2932 c.c. offrendo anche il dovuto prezzo e gli accessori, ha inizio l’iter che conduce all’esecuzione del preliminare, e, perciò, sussiste quel principio di esecuzione che impedisce alla controparte l’esercizio della facoltà di recesso eventualmente a suo favore. Cass. civ. sez. III 13 dicembre 1980, n. 6482
La disposizione dell’art. 1373, primo comma, c.c., per la quale la facoltà di recedere dal contratto, attribuita ad una delle parti, può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione, non opera relativamente ai contratti ad esecuzione continuata, per i quali il secondo comma della medesima norma espressamente prevede che detta facoltà può essere esercitata anche successivamente; ed è, comunque, suscettibile di deroga per contraria pattuizione, da riconoscersi sussistente allorché la facoltà di recesso sia attribuita in correlazione ed in funzione di un patto di prova, che necessariamente presuppone l’esecuzione delle prestazioni dedotte in contratto. Cass. civ. sez. lav. 27 febbraio 1990
Il principio che il diritto della parte di recedere dal contratto, anche se collegato alla prestazione di una caparra penitenziale, non si sottrae alla regola generale, stabilita dall’art. 1373, primo comma c.c., secondo cui il recesso non può essere esercitato quando dopo la conclusione del contratto questo abbia avuto un principio di esecuzione, quando cioè l’effetto reale del contratto si è in tutto o in parte realizzato o la prestazione obbligatoria è stata in tutto o in parte adempiuta, trova applicazione anche in ordine al contratto preliminare, dal quale conseguono effetti anticipatori delle prestazioni corrispettive delle parti, come il versamento di un acconto sul prezzo e la consegna della cosa anteriormente alla stipulazione del contratto definitivo. Cass. civ. sez. II 15 dicembre 1984, n. 6582
Il «principio di esecuzione» del contratto – che l’art. 1373, primo comma, c.c. considera ostativo all’esercizio della facoltà di recesso attribuita ad uno dei contraenti – deve ravvisarsi nella consegna della cosa promessa in vendita in tempo posteriore alla stipulazione del preliminare, ancorché non prevista in contratto, e nel rilascio contestuale a detta stipulazione, in funzione del pattuito anticipato adempimento della prestazione del prezzo, di cambiali con scadenza fissata in momenti successivi alla stipulazione stessa, trattandosi di comportamenti di attuazione del contratto preliminare. Cass. civ. sez. II 27 aprile 1982, n. 2615
In base ad una lettura conforme a buona fede deve ritenersi che, in un contratto di durata, in presenza di una pattuizione che riconosca ad una parte, in difetto di una unilaterale manifestazione di una volontà di disdetta dell’altra da compiersi entro un certo termine prima della scadenza del periodo di durata del contratto, il diritto potestativo di determinare la rinnovazione con una sua unilaterale dichiarazione, quest’ultima deve avvenire necessariamente entro il termine di scadenza del contratto, perchè altrimenti l’effetto tipico della rinnovazione – cioè la nascita in prosecuzione di un nuovo contratto con lo stesso contenuto di quello originario, ma di questo sostitutivo, di modo che il rapporto fra le parti possa, pur cambiando la fonte, continuare senza soluzione con le stesse regole – non potrebbe realizzarsi (principio affermato dalla Suprema Corte relativamente ad un contratto di sponsorizzazione di un atleta). Cass. civ. sez. III 26 luglio 2005, n. 15629
Qualora un contratto collettivo – che costituisce uno strumento di composizione di conflitti sorti in un determinato momento – venga stipulato senza l’indicazione di una scadenza, detta mancanza non implica che gli effetti del contratto perdurino nel tempo senza limiti, atteso che – in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 codice civile ed in coerenza con la naturale temporaneità dell’obbligazione – deve essere riconosciuta alle parti la possibilità di farne cessare l’efficacia, previa disdetta, anche in mancanza di una previsione legale, non essendo a ciò di ostacolo il disposto dell’art. 1373 codice civile che regola il recesso unilaterale nei contratti di durata quando tale facoltà è stata prevista dalle parti, senza nulla disporre per il caso di mancata previsione pattizia al riguardo. Cass. civ. sez. lav. 20 settembre 1996, n. 8360
Nel contratto di associazione in partecipazione agli utili dell’impresa o di uno o più affari, il diritto di recesso deve riconoscersi a ciascuno dei contraenti ove manchi la previsione del termine di durata del rapporto, con la conseguenza che l’istituto del recesso unilaterale a norma del secondo comma dell’art. 1373 c.c. è applicabile sia al contratto sopra richiamato che ai rapporti di cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite, che costituisce una figura particolare del contratto di cui all’art. 2549 c.c. Cass. civ. sez. III, 15 aprile 1993, n. 4473
Nei contratti di durata, in cui sono previste reciproche prestazioni da attuarsi in un lungo lasso di tempo, qualora la cessazione del rapporto sia pattuita con riferimento alla consumazione di una certa quantità di beni o di merci da parte di uno dei contraenti, non può parlarsi di durata indeterminata, risultando il termine finale del rapporto prefissato in modo indiretto col rinvio al verificarsi della prevista situazione di esaurimento del bene o della merce in questione. Con la conseguenza che l’esistenza del termine finale (certus an incertus quando) preclude la possibilità del recesso unilaterale, che è applicabile ai contratti senza alcuna determinazione di tempo, essendo i suoi effetti in contrasto con un’esplicita, diversa volontà delle parti. Cass. civ. sez. III 28 novembre 1981, n. 6354
In tema di recesso dal contratto, l’obbligo del preavviso ha la funzione di tutelare il contraente receduto, al quale viene concesso, attraverso la dilazione degli effetti della volontà espressa dal recedente, il tempo sufficiente a regolare i suoi interessi; la sua violazione, peraltro, non comporta una danno in re ipsa, da risarcire a prescindere da qualunque effettivo pregiudizio. Cass. civ., sez. , I 8 gennaio 2013, n. 227