Ai fini della valutazione della sussistenza dell’inadempimento nei contratti sinallagmatici, il giudice – alla luce dei criteri legali e, primo fra tutti, quello dell’esecuzione del contratto secondo buona fede (art. 1375 c.c.), che impone di evitare il pregiudizio dell’interesse della controparte alla corretta esecuzione dell’accordo ed al conseguimento della relativa prestazione, non potendosi invocare a giustificazione l’altrui errore, ove agevolmente rilevabile e rimediabile senza dover sopportare sforzi o costi sproporzionati al risultato – deve tener conto di tutte le circostanze rilevanti e, segnatamente, delle eventuali negligenze di entrambe le parti, l’una nei confronti dell’altra, non essendo sufficiente che abbia riguardo alla condotta, ancorché negligente, di una sola di esse. Cass. civ., sez. , III 29 settembre 2011, n. 19879
Anche quando la parte convenuta in giudizio per la risoluzione di un contratto per inadempimento risulti, con riferimento all’epoca della domanda giudiziale, non essere adempiente per inesigibilità, a quella data, della prestazione dedotta in giudizio, la sopravvenuta esigibilità di questa in corso di causa, senza che il convenuto l’adempia, comporta la rilevanza della sopravvenuta inadempienza ai fini della pronuncia di risoluzione, costituendo l’inadempimento, agli effetti della risoluzione del contratto, una condizione dell’azione che, in quanto tale, è sufficiente che sussista al momento della sentenza. Cass. civ. sez. I 20 febbraio 2004, n. 3378
Nel valutare la sussistenza o meno di un inadempimento contrattuale, occorre interpretare le clausole contrattuali e valutare il comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto anche in relazione al rispetto da parte dei contraenti dei doveri di correttezza e buona fede. (Nel caso di specie, in particolare, la S.C. ha ritenuto che la corte di merito non avesse adeguatamente indagato se l’obbligo della alienante di procurare la cancellazione dei vincoli gravanti sull’immobile, previsto nel contratto come coincidente al più tardi con la data del rogito notarile, avrebbe dovuto in realtà essere adempiuto in epoca precedente, e comunque in tempo utile per consentire l’eventuale concessione ed erogazione del mutuo fondiario in favore dei promittenti acquirenti, essendo tale concessione subordinata alla possibilità di iscrivere garanzia ipotecaria sul predetto bene). Cass. civ. sez. II 17 febbraio 2004, n. 2992
La domanda di risoluzione di un contratto, costituendo legittimo esercizio del potere di chiedere al giudice la tutela giurisdizionale di una situazione giuridica nascente dal contratto stesso, non manifesta, di per sé, il proposito della parte di non adempiere la propria obbligazione e non può, conseguentemente, giustificare, in mancanza di effettivo inadempimento, la risoluzione per fatto a questa imputabile. Cass. civ. sez. II 22 giugno 1993, n. 6906
Poiché nella fase di esecuzione del contratto le parti, al fine di conservare integre le reciproche ragioni, devono comportarsi con correttezza e secondo buona fede, anche la mera inerzia cosciente e volontaria, che sia di ostacolo al soddisfacimento del diritto della controparte, ripercuotendosi negativamente sul risultato finale avuto di mira nel regolamento contrattuale degli opposti interessi, contrasta con i doveri di correttezza e di buona fede e può configurare inadempimento. (Nella specie, la S.C., in applicazione del surriportato principio, ha ritenuto che correttamente la corte del merito aveva ravvisato l’inadempimento del promittente venditore, che aveva omesso di espletare tempestivamente le pratiche amministrative richieste per il rilascio della licenza edilizia, necessaria per la costruzione dell’edificio in cui era compreso l’appartamento oggetto del preliminare di vendita, tenendo conto che, pur in difetto di un termine convenzionale per il compimento di quelle pratiche, la suddetta inerzia aveva superato congrui limiti di tolleranza). Cass. civ. sez. II 10 aprile 1986, n. 2500
La tolleranza del creditore non può in alcun caso giustificare l’inadempimento e non comporta, per sé stessa, modificazione della disciplina contrattuale voluta dalle parti, non essendo possibile desumere una completa acquiescenza alla violazione di un obbligo contrattuale posta in essere dall’altro contraente né un consenso alla modificazione suddetta da un comportamento equivoco, come è normalmente quello di non avere preteso in passato l’osservanza dell’obbligo stesso, in quanto tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto. Cass. civ. sez. III 15 dicembre 1981, n. 6635
In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza ma non l’inadempienza dell’obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Il medesimo principio applicabile anche nell’ipotesi d’inesatto adempimento si estende anche alle obbligazioni di risultato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che ove l’acquirente di un software applicativo, in mancanza del risultato stabilito dal contratto abbia agito in giudizio per la sua risoluzione, una volta provato il contratto costitutivo della sua pretesa, possa limitarsi ad allegare l’inadempimento o l’inesatto adempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l’onere di provare di aver esattamente adempiuto alla propria obbligazione, vale a dire l’idoneità del sistema fornito a conseguire i risultati richiesti dall’acquirente, comunicati dallo stesso al venditore e da questi tenuti presenti nell’effettuare la fornitura). Cass. civ., sez. , II 21 maggio 2019, n. 13685
La colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l’uso della normale diligenza, non è stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili. Cass. civ., sez. , II 29 marzo 2019, n. 8924
L’esecutività della sentenza del tribunale amministrativo regionale di annullamento del provvedimento presupposto del contratto ad evidenza pubblica già stipulato (nella specie, di nomina a direttore generale di ASL) determina immediatamente l’inefficacia dell’atto negoziale, con la conseguenza che, riformata in appello la sentenza di primo grado, non è configurabile, in relazione alla mancata esecuzione del contratto nelle more, un inadempimento imputabile all’ente pubblico (che è parte vittoriosa nel giudizio amministrativo), fonte di danno risarcibile per il contraente privato, dovendosi il pregiudizio ricondurre all’esercizio del potere giurisdizionale, non suscettibile di ristoro fuori delle ipotesi specificamente contemplate dall’ordinamento. Cass. civ. sez. lav. 1 aprile 2004, n. 6450
Ai fini della risoluzione del contratto, l’art. 1453 c.c. richiede che la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento sia imputabile a dolo o colpa, non essendo sufficiente che lo stesso sia stato diffidato ad adempiere ex art. 1454 c.c. mediante richiesta fatta per iscritto dal creditore. Ne consegue che, ove ricorrano circostanze obiettivamente apprezzabili, idonee a far escludere l’elemento psicologico, l’inadempimento deve essere ritenuto incolpevole e non può pronunziarsi la risoluzione del contratto. Cass. civ. sez. II 19 novembre 2002, n. 16291
Nell’azione di adempimento, qualora il creditore eccepisca non un inesatto adempimento ma un integrale inadempimento, è tenuto soltanto a provare l’esistenza del titolo, mentre incombe sul debitore l’onere di fornire la prova di avere adempiuto e, quindi, anche la corrispondenza dell’oggetto della prestazione resa, a quello pattuito. Cass. civ. sez. II 25 settembre 2002, n. 13925
Nel giudizio di risarcimento danni da inadempimento contrattuale, qualora il convenuto sollevi eccezione d’inadempimento, per stabilire il riparto dell’onere della prova occorre distinguere: a) se il convenuto eccepisca l’integrale inadempimento delle proprie obbligazioni da parte dell’attore (excpetio inadimpleti contractus), quest’ultimo ha l’onere di provare di avere esattamente adempiuto; b) se, invece, il convenuto si limiti ad eccepire un inadempimento soltanto parziale (exceptio non rite adimpleti contractus), è l’eccipiente stesso che ha l’onere di dimostrare l’inesattezza dell’altrui adempimento. Cass. civ. sez. III 10 febbraio 2000, n. 1457
In tema di risoluzione del contratto per inadempimento (nella specie: di contratto di locazione per mutata destinazione della cosa locata), la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo va accertata specificamente, sulla scorta delle risultanze processuali ed in base alle deduzioni delle parti, con riferimento alla natura ed all’oggetto del contratto, alle modalità del concreto svolgimento del rapporto ed all’interesse delle parti stesse. Conseguentemente l’inadempimento può essere ritenuto incolpevole solo ove emergano concrete e precise circostanze idonee ad escludere l’elemento qualificante la condotta dell’obbligato, a termini dell’art. 1218 c.c. non bastando al riguardo il mero convincimento dello stesso senza alcun riscontro nella realtà accertata. Cass. civ. sez. III 12 giugno 1985, n. 3516
L’inadempimento, affinché possa avere effetto risolutorio, deve essere valutato non soltanto in ordine all’elemento obiettivo in cui si concreta la violazione contrattuale, ma anche in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo, che qualifica la stessa violazione e consiste nell’effettiva volontà del debitore di sottrarsi ingiustamente alla prestazione dovuta. Ma perché tale volontà manchi, rendendo l’inadempimento non imputabile al debitore, è necessario che questi abbia usato la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.), senza essere sufficiente la sola buona fede circa l’apprezzamento della propria condotta se questa non coincida con l’esaurimento di tutte le possibilità di adempiere l’obbligazione secondo la normale diligenza potendo la colpa, a differenza del dolo, sussistere anche in caso di errore, per non avere usato la diligenza che avrebbe preservato dal cadere nell’errore. Cass. civ. sez. II 9 luglio 1984, n. 4020
Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche deve procedersi ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, con la conseguenza che, qualora l’inadempimento di una delle parti sia valutato come prevalente deve considerarsi legittimo il rifiuto dell’altra di adempiere alla propria obbligazione e alla risoluzione del contratto deve seguire l’esame dell’eventuale richiesta di risarcimento del danno della parte non inadempiente. Cass. civ., sez. , II 22 maggio 2019, n. 13827
Il giudice adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l’una e rigettare l’altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti. Cass. civ., sez. , VI-I 5 giugno 2018, n. 14314
In presenza di reciproche domande di risoluzione contrattuale fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell’altra, il giudice che accerti l’inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta di entrambi i contraenti ex art. 1453, comma 2, c.c., e pronunciare comunque la risoluzione del contratto, con gli effetti di cui all’art. 1458 c.c., essendo le due contrapposte manifestazioni di volontà dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale. Cass. civ., sez. , III 19 marzo 2018, n. 6675
Nei contratti con prestazioni corrispettive, il giudicato formatosi sulla risoluzione del contratto per inadempienze reciproche di pari gravità non consente l’attribuzione di un inadempimento colpevole, che costituisce l’elemento fondante del giudizio di responsabilità, ed impedisce, quindi, l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni che ciascuna delle parti abbia proposto nei confronti dell’altra. Cass. civ., sez. , I, 27 settembre 2016, n. 18932
Nei contratti di durata, l’azione di risoluzione non è proponibile se la scadenza contrattuale, convenzionale o legale, sia già intervenuta, non potendosi provocare la cessazione di un rapporto già cessato; ove, peraltro, l’azione per la declaratoria della cessazione per intervenuta scadenza sia “sub iudice”, la domanda di risoluzione è ancora proponibile in quanto condizionata all’esito negativo del giudizio di accertamento. Cass. civ., sez. , VI 12 ottobre 2015, n. 20408
Nei contratti a prestazione continuata o periodica, la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento è alternativa alla domanda di accertamento dell’esercizio del recesso, atteso che, mirando essa a una pronuncia di carattere costitutivo che faccia risalire la risoluzione al momento dell’inadempimento, il suo accoglimento preclude l’esame delle altre cause di scioglimento del medesimo rapporto contrattuale; le due domande non sono tuttavia incompatibili, poichè l’attore può proporle entrambe nello stesso giudizio, di guisa che il giudice, in caso di rigetto della prima, dovrà esaminare se sia fondata la domanda di declaratoria di legittimo esercizio del diritto di recesso, potendo inoltre in detta ipotesi essere fatte valere, indipendentemente dalla gravità dell’inadempimento, anche le ragioni di danno – relative al rapporto – sorte anteriormente ma non quelle conseguenti all’estinzione del contratto per recesso, poichè queste ultime non trovano causa nell’inadempimento del debitore. (Fattispecie relativa al contratto atipico di concessione di vendita). Cass. civ. sez. III 14 luglio 2004, n. 13079
In caso di proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento prima che si verifichi l’esigibilità della prestazione, se questa diviene esigibile nel corso del giudizio e il convenuto non adempia, egli non si sottrae ad una pronuncia di risoluzione, essendo l’inadempimento una condizione dell’azione che può maturare in corso di causa e fino al momento della sentenza. Cass. civ. sez. III 1 giugno 2004, n. 10490
Deve escludersi che costituisca requisito essenziale per l’accoglimento della domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento, a prescindere dalla difesa del convenuto, l’aver l’attore eseguito la prestazione a suo carico, o l’aver offerto l’esecuzione della prestazione, in quanto tale requisito non è previsto dall’art. 1453 c.c.; soltanto ove il convenuto sollevi eccezione di inadempimento o proponga a sua volta domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento della controparte, ampliando il thema decidendum, occorrerà accertare, nell’ambito di una valutazione comparativa degli inadempimenti reciprocamente dedotti dalle parti, s e colui che ha introdotto in giudizio la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. sia a sua volta inadempiente rispetto agli obblighi contrattualmente assunti. Cass. civ. sez. II 17 febbraio 2004, n. 2992
L’istanza di risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell’acquirente non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto qualora essa risulti «quesita», prima della sentenza dichiarativa del fallimento stesso, attraverso la trascrizione della relativa domanda giudiziale, non potendosi essa legittimamente iscrivere, ex art. 24 legge fallimentare, nel novero delle «azioni derivanti dal fallimento» assoggettate alla vis actrativa della relativa procedura. L’eventuale (e connessa) domanda di accertamento del diritto al risarcimento del danno, avendo ad oggetto una pretesa necessariamente assoggettata alla regola del concorso, non può, per converso, sopravvivere, in sede ordinaria, alla dichiarazione di fallimento, e deve essere fatta valere, previa separazione delle cause, nelle forme di cui agli artt. 93 seguenti della legge fallimentare, mentre la domanda principale di risoluzione prosegue, del tutto legittimamente, con il rito ordinario per la relativa decisione nel merito. Cass. civ. sez. I 9 dicembre 1998, n. 12396
È inaccoglibile la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive proposta nei confronti della controparte inadempiente che sia stata, nelle more, dichiarata fallita, potendo conseguire, ad una eventuale pronuncia di accoglimento, effetti restitutori e risarcitori lesivi del generale principio della par condicio imposta, al contrario, dalla procedura concorsuale previa cristallizzazione delle posizioni giuridiche di ciascun creditore. Non è idonea a costituire eccezione a tale principio la domanda di risoluzione contrattuale fondata su di una clausola risolutiva espressa riferita ad un inadempimento verificatosi in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, se la domanda medesima risulti proposta dopo l’apertura della procedura fallimentare. Cass. civ. sez. I 17 gennaio 1998, n. 376
In caso di inadempimento di una delle parti di un contratto a prestazioni sinallagmatiche per essere inutilmente decorso il previsto termine non essenziale, l’altra parte, che non abbia ancora proposto domanda giudiziale di risoluzione del contratto, può non di meno rifiutare legittimamente l’adempimento tardivo quando tenuto conto della non scarsa importanza dell’inadempimento in relazione alle posizioni delle parti, suscettibile di verifica ad opera del giudice sia venuto meno l’interesse della parte non inadempiente a che il contratto abbia esecuzione e pertanto può, anche dopo l’offerta di adempimento tardivo, agire in giudizio per la risoluzione del vincolo contrattuale. Cass. civ. Sezioni Unite 6 giugno 1997, n. 5086
In tema di risoluzione per inadempimento non è ammissibile una caducazione parziale del contratto quanto all’oggetto, ossia per una sola parte della prestazione, salvo che il contratto stesso sia ad esecuzione continuata o periodica (nel qual caso trova applicazione l’art. 1458, comma primo, c.c.). Il contratto, infatti, è unico, e l’impossibilità di restituire l’oggetto nel suo stato originario esclude la risoluzione, non solo quando l’impossibilità sia totale, ma anche quando sia parziale non essendo più possibile l’esatta rimessione in pristino. In tale caso ne consegue che il contratto permane in toto, salvo, per la parte adempiente, di chiedere – ove non si siano verificate preclusioni di ordine sostanziale o processuale – la riduzione della propria prestazione, ed il risarcimento del danno nel caso di colpa della controparte. Cass. civ. sez. II 29 aprile 1991, n. 4762
La materiale impossibilità di specifica reintegrazione delle posizioni giuridiche anteriori al contratto non pregiudica l’esperibilità e il favorevole esito dell’azione di risoluzione per inadempimento, potendo ciò comportare soltanto che la reintegrazione patrimoniale avvenga per equivalente pecuniario, secondo il principio pretium succedit in locum rei, attraverso una sostituzione oggettiva sancibile anche d’ufficio qualora – dall’accertamento riservato al giudice del merito – risulti l’obiettiva impossibilità della restituzione specifica. Cass. civ. sez. III 23 giugno 1982, n. 3827
La costituzione in mora di regola non è necessaria ai fini della risoluzione per inadempimento, salvo quando la risoluzione si basi sulla mora in senso stretto, cioè su di un inadempimento non definitivo relativo ad una prestazione da eseguire al domicilio del debitore; in tali casi la mancata costituzione in mora prima del giudizio di risoluzione non impedisce l’esecuzione della prestazione, in deroga al principio generale dettato dall’art.1453, ultimo comma, c.c. Cass. civ., sez. , II 18 giugno 2018, n. 15993
La circostanza che una delle parti del contratto, nell’esecuzione degli obblighi assunti, abbia violato norme imperative, se può comportarne la nullità, tuttavia non ne giustifica, di per sé, la risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c., la quale può essere pronunciata soltanto ove si accerti che la suddetta violazione abbia concretamente e decisivamente inciso sull’interesse della controparte e, di conseguenza, sul sinallagma contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte territoriale che aveva respinto l’impugnazione di nullità di un lodo arbitrale anche in riferimento alla doglianza del rigetto della domanda di risoluzione del contratto di appalto, proposta dal committente, per aver gli arbitri escluso che integrasse grave inadempimento dell’appaltatore la violazione da parte di quest’ultimo delle norme sulla regolare assunzione dei lavoratori). Cass. civ., sez. , II 22 marzo 2011, n. 6492
In tema di contratti, le domande giudiziali di annullamento e di risoluzione possono essere proposte in via alternativa perché, sebbene entrambe aventi ad oggetto lo scioglimento di un vincolo giuridico, sono affidate ad azioni distinte e basate su presupposti diversi, tuttavia non possono essere considerate tra loro incompatibili in base al principio logico di non contraddizione. Ne consegue che la scelta tra l’azione di annullamento e quella di risoluzione di un contratto o anche del loro esercizio alternativo nel processo rientra nel potere discrezionale della parte. Cass. civ. sez. II 4 aprile 2003, n. 5313
La categoria dell’accertamento costitutivo in via incidentale si può considerare categoria generale, in quanto le norme degli artt. 1442 quarto comma, e 1449, secondo comma, c.c., che espressamente la prevedono, sono suscettibili di applicazione analogica, non potendo qualificarsi come norme eccezionali. Ne consegue che, in tema di azione costitutiva non necessaria (quale deve ritenersi quella avanzata ai sensi dell’art. 1453 c.c., in relazione alla quale l’effetto giuridico della risoluzione del rapporto negoziale non necessariamente deve verificarsi per via giudiziale, potendo trovare realizzazione anche attraverso un accordo di scioglimento del contratto), l’effetto giuridico della risolubilità del contratto per inadempimento può essere invocato anche in via di eccezione dalla parte non inadempiente che sia stata convenuta in giudizio dall’altra per la tutela di un qualche effetto giuridico che debba ricollegarsi alla vigenza attuale o pregressa del contratto, realizzandosi in tal modo un fenomeno per cui l’accertamento incidentale della risolubilità per via di eccezione è funzionale alla elisione dell’effetto giuridico del negozio. (Omissis). Cass. civ. sez. III 30 marzo 2005, n. 6733
L’eccezione inadimpleti contractus consente non solo di paralizzare la domanda di adempimento della controparte, ma pure di escludere il diritto della controparte di fare accertare o di domandare la risoluzione del contratto. Cass. civ. sez. II 11 agosto 1997, n. 7480
In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, la facoltà di “mutatio libelli” di cui all’art. 1453, comma 2, c.c. si estende alla domanda consequenziale e accessoria di restituzione, purché la stessa sia stata proposta contestualmente o, in ogni caso, nel medesimo grado di giudizio rispetto alla domanda risolutoria. Cass. civ., sez. , II 26 luglio 2016, n. 15461
Il creditore, dopo aver promosso il giudizio per ottenere l’adempimento del contratto, può, in corso di causa, dichiarare che intende valersi della clausola risolutiva espressa, trattandosi di facoltà riconducibile allo “ius variandi” ammesso in generale dall’art. 1453, secondo comma, c.c.. Cass. civ., sez. , II 31 ottobre 2013, n. 24564
In materia contrattuale, il diritto di scelta tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione attribuito, dal primo comma dell’art. 1453 cod. civ., alla parte adempiente non si consuma all’esito della pronunzia di condanna del debitore all’esecuzione della prestazione. Ne consegue che, ove la parte inadempiente sia stata condannata all’adempimento con sentenza passata in giudicato e l’inadempimento permanga, l’altra parte può chiedere la risoluzione del contratto, senza che si possa configurare un contrasto di giudicati tra loro incompatibili. Cass. civ., sez. , II 12 luglio 2011, n. 15290
Nei contratti a prestazioni corrispettive è consentito sostituire, ferma restando l’identità dei fatti costitutivi, la domanda di adempimento coattivo del contratto con quella di risoluzione per inadempimento, anche in grado d’appello, derogando al divieto di “mutatio libelli” contenuto nell’art. 345 c.p.c. e anche nel giudizio di rinvio. Ne consegue che la parte appellata che intenda procedere al mutamento della domanda può esercitare tale facoltà anche nella comparsa di risposta senza dover proporre, nei termini e nelle forme previste dalla legge, impugnazione incidentale. Cass. civ., sez. , II 6 giugno 2011, n. 12238
La regola posta dall’art. 1453, secondo comma, c.c., in forza della quale la parte può sostituire la domanda di adempimento del contratto con quella di risoluzione, trova applicazione anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, comportando la possibilità che il creditore che abbia chiesto in via monitoria la prestazione pattuita domandi, nel successivo giudizio di opposizione, la risoluzione del contratto per inadempimento. Cass. civ. sez. II 28 aprile 2006, n. 9941
L’art. 1453 c.c., derogando ai principi di ordine processuale che vietano la mutatio libelli in corso di causa, consente di sostituire in qualsiasi fase e grado del giudizio alla originaria domanda di adempimento in forma specifica quella di risoluzione, ma tale facoltà è attribuita solamente alla parte che abbia chiesto l’adempimento e non anche a quella che in giudizio ad essa si opponga, la quale è pertanto tenuta a spiegare tempestivamente eventuale domanda di risoluzione. Cass. civ. sez. II 24 maggio 2005, n. 10927
La stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive e l’inadempimento di uno dei contraenti sono, ai sensi dell’art. 1453 c.c., i fatti costitutivi del diritto dell’altro contraente ad ottenere la risoluzione del contratto, ovvero l’adempimento, ed in ogni caso il risarcimento del danno; questi diritti, benchè abbiano in comune gli stessi fatti costitutivi (l’obbligazione e l’inadempimento), sono tuttavia diversi, in quanto permettono al titolare di conseguire utilità differenti, e diverse sono anche le azioni proponibili per ottenerne il soddisfacimento, con la conseguenza che la rinuncia all’una non equivale a rinuncia alle altre e, pertanto, in riferimento al contratto di compravendita di beni mobili, la rinuncia da parte del compratore all’azione di risoluzione del contratto non impedisce l’esperimento dell’azione di risarcimento dei danni per i vizi della cosa. Cass. civ. sez. I 11 maggio 2005, n. 9926
Il secondo comma dell’art. 1453 c.c. deroga alle norme processuali che vietano la mutatio libelli nel corso del processo nel senso di consentire la sostituzione della domanda di adempimento del contratto con quella di risoluzione per inadempimento, non già anche con quella di risarcimento del danno (fatto “salvo in ogni caso” dal primo comma), la quale integra un’azione del tutto diversa per petitum dalle altre due, con la conseguenza che urta contro tale divieto, e quindi è inammissibile, la domanda di risarcitoria introdotta in corso di causa, in luogo di quella (iniziale) di adempimento. (Fattispecie relativa alla domanda di alcuni piloti di declaratoria della costituzione del rapporto dalla data di ammissione al corso di addestramento, ovvero da quella di sei mesi da essa, e al pagamento delle connesse differenze retributive, mutata in corso di causa nella richiesta del risarcimento del danno per l’incidenza della retrodatazione della costituzione del rapporto sull’anzianità di servizio). Cass. civ. sez. lav. 27 marzo 2004, n. 6161
La previsione del secondo comma dell’art. 1453 c.c., in forza della quale è possibile, in deroga alle norme processuali che dispongono il divieto della mutatio libelli nel corso del processo, la sostituzione – anche in appello ed eventualmente in sede di giudizio di rinvio – della domanda di risoluzione per inadempimento a quella originaria di adempimento del contratto, non può essere estesa al caso in cui la domanda originaria abbia avuto ad oggetto il risarcimento del danno, che integra un’azione avente un petitum del tutto diverso sia dalla domanda di adempimento che da quella di risoluzione. Ne consegue che l’introduzione della domanda di risoluzione nel corso del giudizio, in aggiunta all’originaria domanda risarcitoria, urta contro il suddetto divieto e la domanda di risoluzione dev’essere dichiarata inammissibile, non rilevando, peraltro, in contrario che all’atto della proposizione della domanda risarcitoria si fosse fatta espressa riserva di chiedere la risoluzione del contratto, equivalendo tale riserva a mancata proposizione della relativa domanda. Cass. civ. sez. III 26 aprile 1999, n. 4164
L’esercizio dello jus variandi di cui all’art. 1453 è consentito quando la domanda di risoluzione e quella d’adempimento sono proposte nello stesso giudizio in via subordinata. Non altrettanto può dirsi quando la manifestazione di volontà del contraente che agisce per la risoluzione e per l’adempimento avviene non contestualmente ma in separati giudizi. Infatti, la manifestazione di volontà diretta alla risoluzione del contratto è dalla legge valutata come mancanza in chi la emette di un interesse a conseguire la prestazione tardiva, e, per l’affidamento che essa determina, non può vincolare l’altra parte ad attendere l’esito anche delle azioni successivamente proposte nei suoi confronti. Cass. civ. sez. II 29 aprile 1998, n. 4361
In tema di contratti e prestazioni corrispettive, ove la domanda di adempimento sia stata rigettata con sentenza passata in giudicato, non è preclusa la possibilità di agire nuovamente in giudizio chiedendo la risoluzione del medesimo contratto, sempre che a fondamento di detta domanda sia dedotto un inadempimento diverso da quello fatto valere con la domanda di adempimento. Cass. civ. sez. I 26 febbraio 1998, n. 2072
La disposizione dell’art. 1453 comma secondo c.c. la quale in deroga agli artt. 183, 184, 345 c.p.c. consente di sostituire all’originaria domanda di esecuzione del contratto quella di risoluzione per inadempimento, trova applicazione anche nel caso in cui la condanna all’adempimento sia stata pronunciata con sentenza passata in giudicato, sempre che questa non abbia avuto esecuzione per essere proseguito l’inadempimento. Cass. civ. sez. II 18 maggio 1994, n. 4830
La disposizione dell’art. 1453, secondo comma, c.c. secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l’adempimento, fissa un principio di contenuto processuale in virtù del quale sono derogate le norme che vietano la mutatio libelli nel corso del processo e quindi la parte che ha invocato la condanna dell’altra ad adempiere ben può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione, non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio d’appello, sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi, cioè degli inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria. Cass. civ. sez. II 22 luglio 1993, n. 8192
In tema di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, non trova applicazione la regola generale, relativa ai contratti di durata, secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione comporta la cristallizzazione delle posizioni delle parti contraenti fino alla pronuncia giudiziale definitiva – nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla – atteso che in tale contratto, invece, vale il differente principio per il quale il conduttore può corrispondere il canone anche dopo la presentazione della detta domanda, ma il pagamento non sana o diminuisce le conseguenze dell’inadempimento precedente e rileva soltanto ai fini della valutazione della relativa gravità. Cass. civ., sez. , III- 26 novembre 2019, n. 30730
Il divieto, sancito dall’art. 1453, secondo comma, cod. civ., di richiedere l’adempimento del contratto quando sia stata domandata la risoluzione dello stesso non preclude anche la possibilità di formulare la richiesta in questione in via meramente subordinata rispetto all’altra. Cass. civ., sez. , III 12 settembre 2013, n. 20899
Il valore abdicativo della domanda di risoluzione del contratto rispetto alla domanda di adempimento, ai sensi dell’art. 1453, secondo comma, c.c. riguarda la sola parte del rapporto per la quale è logicamente configurabile una scelta su un piano di alternatività tra risoluzione e adempimento, essendo i contraenti ancora su una posizione di parità, a fronte di prestazioni e controprestazioni ineseguite, mentre non riguarda quella parte del rapporto che rimane insensibile alla vicenda risolutiva in quanto vi è stato un adempimento, sia pure da parte di uno dei contraenti. Cass. civ., sez. , I 6 ottobre 2011, n. 20516
Qualora un contraente comunichi la dichiarazione di recesso con contestuale richiesta di restituzione della somma versata a titolo di anticipo (o caparra) e di rimborso delle spese sostenute ed il contraente asseritamente inadempiente comunichi anch’esso la volontà di recedere – pur attribuendo l’inadempimento all’altra parte – e la disponibilità alla restituzione delle somme richieste, si verifica la risoluzione del contratto, atteso che le due dichiarazioni di recesso – pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nell’ipotesi del mutuo consenso, in quanto muovono da premesse contrastanti – sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del contratto e della restituzione delle somme versate, con la conseguenza che resta preclusa la domanda di adempimento successivamente proposta da uno dei contraenti Cass. civ., sez. , II 26 luglio 2011, n. 16317
Il divieto, posto dall’articolo 1453 c.c., di chiedere l’adempimento, una volta domandata la risoluzione del contratto, viene meno e non ha più ragion d’essere quando la domanda di risoluzione venga rigettata, rimanendo in vita in tal caso il vincolo contrattuale e risorgendo l’interesse alla esecuzione della prestazione, con inizio del nuovo termine prescrizionale del diritto di chiedere l’adempimento. Cass. civ., sez. , II 27 dicembre 2010, n. 26152
Il principio dell’inammissibilità della domanda di adempimento proposta successivamente a quella di risoluzione (art. 1453 c.c.) deve ritenersi applicabile alla duplice condizione: 1) che la domanda di risoluzione sia stata proposta senza riserve, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il comportamento del contraente che chieda incondizionatamente la risoluzione è valutato dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva – sicchè l’esercizio dello ius variandi deve, per converso, ritenersi consentito quando la domanda di risoluzione e quella di adempimento siano proposte nello stesso giudizio in via subordinata; 2) che esista un interesse attuale dell’istante alla declaratoria di risoluzione del rapporto negoziale – di talchè, quando tale interesse venga meno per essere stata la domanda di risoluzione rigettata o dichiarata inammissibile, la preclusione de qua non opera, essendo venuta meno la ragione del divieto di cui al ricordato art. 1453 c.c.-. Cass. civ. sez. II 19 gennaio 2005, n. 1077
In tema di inadempimento contrattuale, l’eccezione di improponibilità della domanda in tema di adempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c. (per essere stata in precedenza chiesta la risoluzione del contratto ), essendo fondata su una norma posta nell’esclusivo interesse dell’altra parte contraente, può essere sollevata solo da quest’ultima e nel rispetto delle previste preclusioni, dovendo pertanto escludersi che possa essere rilevata d’ufficio ovvero dedotta per la prima volta in sede di legittimità. Cass. civ. sez. II 25 marzo 2004, n. 5964
Il divieto posto dall’art. 1453 c.c. di chiedere l’adempimento una volta domandata la risoluzione del contratto, non può essere inteso in senso assoluto, ma è operante soltanto nei limiti in cui esiste l’interesse attuale del contraente, che ha chiesto la risoluzione, alla cessazione del rapporto, per modo che, quando tale interesse viene meno, per essere stata rigettata o dichiarata inammissibile la domanda di risoluzione, la preclusione non opera, essendo cessata la ragione del divieto. Da ciò consegue che le due domande, di risoluzione e di adempimento, possono essere proposte, in via subordinata, anche nello stesso giudizio. Cass. civ. sez. II 9 febbraio 1995, n. 1457
Posto che il secondo comma dell’art. 1453 c.c., per cui non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione, è posto nell’interesse della parte convenuta inadempiente, cui vuole evitare di dover programmare insieme la restituzione della prestazione ricevuta (effetto derivante dalla pronuncia di risoluzione, ex art. 1458 c.c.) e l’adempimento di quella corrispettiva fin lì mancata, la violazione di tale disposizione non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepita da parte convenuta. Cass. civ. sez. III 24 maggio 1993, n. 5838
La rinuncia ad esercitare un diritto può risultare da fatti incompatibili con la volontà di avvalersene. In tal caso, al fatto diverso dalla dichiarazione espressa di rinunzia ad un diritto può essere attribuito valore di rinuncia tacita al medesimo diritto ove tra il fatto posto in essere e la volontà di esercitare il diritto sussista un rapporto di contraddizione. Ne consegue che ove una parte, in presenza dell’inadempimento dell’altra a lei noto, abbia tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di ottenere la risoluzione del contratto, deve ritenersi che essa abbia tacitamente rinunciato al diritto di domandarla, esprimendo la volontà che il contratto continui ad avere esecuzione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, reiettiva della domanda di risoluzione del contratto di appalto proposta dall’impresa appaltatrice in seguito a condotte inadempienti imputabili all’ente appaltante, in quanto, successivamente al loro accertamento, le parti avevano concluso uno schema di atto contrattuale aggiuntivo). Cass. civ., sez. , I 20 marzo 2017, n. 7108
In materia di risoluzione del contratto per inadempimento, in caso di accoglimento della sola domanda di risoluzione, con rigetto di quella risarcitoria sul presupposto – errato in diritto – della non imputabilità dell’inadempimento, il giudice di appello innanzi al quale sia impugnato unicamente il diniego del richiesto risarcimento non può esaminare la statuizione relativa al difetto di imputabilità dell’inadempimento e, conseguentemente, non può rigettare l’appello sulla domanda risarcitoria condividendo l’erronea affermazione del giudice di prime cure, ma deve decidere rilevando l’esistenza di un giudicato interno sul carattere imputabile dell’inadempimento, trattandosi di presupposto della pronuncia di risoluzione del contratto. Cass. civ., sez. , III 23 giugno 2017, n. 15641
La parte che, ai sensi dell’art. 1453, secondo comma, cod. civ., chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello “ius variandi”, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale. Cass. civ. Sezioni Unite 11 aprile 2014, n. 8510
Qualora le parti, nell’ambito dell’autonomia privata, abbiano previsto l’inadempimento di una di esse alle obbligazioni contrattuali quale condizione risolutiva, una volta verificatosi tale inadempimento, lo stesso non può essere invocato dalla controparte quale illecito contrattuale e fonte di obbligazione risarcitoria ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., trattandosi del legittimo esercizio di una potestà convenzionalmente attribuita, in quanto costituente l’evento espressamente dedotto in condizione risolutiva potestativa per concorde volontà dei contraenti. Cass. civ., sez. , II 21 aprile 2010, n. 9504
L’azione di risoluzione del contratto per inadempimento e la relativa azione risarcitoria hanno differenti presupposti applicativi, perché la prima esige che l’inadempimento di una delle parti non sia di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra, mentre l’azione risarcitoria presuppone che l’inesatta esecuzione della prestazione abbia prodotto al creditore un danno; ne consegue che, in tema di mediazione, la condanna del mediatore al risarcimento del danno nei confronti di una delle parti per inadempimento del proprio dovere di informazione non implica automaticamente che il contratto debba essere risolto e che il mediatore perda il diritto alla provvigione. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 20 agosto 2009, n. 18515
La domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, poichè l’art. 1453 c.c., facendo salvo, in ogni caso, il diritto al risarcimento, esclude che la relativa azione presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione, che costituisce un rimedio a tutela dell’equilibrio sinallagmatico del contratto e non ha funzione accertativa dell’inadempimento, il quale sussiste o meno – con tutte le conseguenze sul piano del diritto al risarcimento del creditore della prestazione inadempiuta – indipendentemente dall’eventuale pronuncia di risoluzione. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione, in relazione al risarcimento di ogni danno da inadempimento, inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, indipendentemente dalla data della pronuncia risolutiva. Cass. civ. sez. III 9 marzo 2006, n. 5100
Nel caso di proposizione congiunta della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e di risarcimento dei danni il giudice è tenuto, in ogni caso, a pronunciare sulla prima domanda e, solo se la rigetta, può ritenersi esonerato dal pronunciare espressamente sull’altra, dovendosi la medesima considerare implicitamente rigettata. Cass. civ. sez. III 27 gennaio 2005, n. 1664
In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la parte adempiente abbia proposto domanda di risoluzione e di risarcimento dei danni da inadempimento, non limitandosi a chiedere la condanna generica, il danno può essere liquidato esclusivamente se la parte che si assume danneggiata fornisca la prova della sua effettiva esistenza. Cass. civ. sez. II 19 maggio 2003, n. 7829
In caso di inadempimento del contratto, la parte adempiente può chiedere, oltre alla risoluzione dello stesso, anche il risarcimento del danno, fermo rimanendo che, se lo scioglimento anticipato del rapporto è di per sé un evento potenzialmente generatore di danno, occorre, tuttavia, che la parte adempiente ne provi l’esistenza. Peraltro, le spese erogate in adempimento di un obbligo contrattuale non possono rappresentare, in caso di risoluzione, un danno, trovando la loro causa non già nell’inadempimento, ma unicamente nel contratto, salvo il caso in cui dette spese, per effetto dell’inadempimento di controparte e della risoluzione, si rivelassero, in tutto o in parte, inutili e non suscettibili di un qualunque proficuo risultato. Cass. civ. sez. III 17 ottobre 2002, n. 14744
Lo scioglimento del contratto conseguente al legittimo esercizio della relativa facoltà da parte di uno dei contraenti ha efficacia soltanto “ex nunc”, e produce, pertanto, la caducazione delle obbligazioni scaturenti dal contratto ormai non più esistente con riguardo alla prosecuzione del rapporto, ma non anche ad eventuali aspetti di responsabilità derivanti dal non corretto adempimento di prestazioni in precedenza già eseguite, le quali, attesane la indiscutibile autonomia funzionale, sono idonee ad incidere, “ex se”, su specifici interessi (di ciascuno dei contraenti) diversi da quello cui tende l’effetto finale del contratto. Ne consegue, con riguardo ad un preliminare di vendita immobiliare, che, ove l’obbligo di consegna dell’immobile, previsto per un’epoca precedente la stipula del contratto definitivo, sia stato adempiuto con ritardo, ma anteriormente all’esercizio della facoltà di sciogliersi dal contratto da parte del promissario acquirente (cui era, nella specie, subentrato il curatore fallimentare), tale inadempimento deve ritenersi di per sé idoneo a produrre un danno, con conseguente insorgenza del diritto all’eventuale risarcimento. Cass. civ. sez. I 17 marzo 1999, n. 2382
Il contraente adempiente ha diritto di chiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento o all’inesatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto, ai sensi dell’art. 1453, comma 1, ultima parte, c.c., «in ogni caso» e, cioè, sia quando egli chieda anche la risoluzione del contratto sia quando rivendichi la relativa esecuzione ed anche quando le conseguenze dell’inadempimento siano ancora eliminabili o fattualmente eliminate, per cui la pretesa risarcitoria è accoglibile solo in relazione al pregiudizio realizzato nel tempo dell’inadempimento e fino alla cessazione di questo. Cass. civ. sez. II 23 luglio 1994, n. 6887
Qualora il giudice d’appello rimetta al primo giudice la causa di risoluzione del contratto per inadempimento attesa la nullità della notifica della citazione introduttiva, la riassunzione del giudizio non fa retroagire alla data della citazione stessa il divieto di adempiere sancito dall’art. 1453, terzo comma, cod. civ., trattandosi di un effetto sostanziale della domanda, che presuppone la ricezione dell’atto da parte del destinatario, non rilevando, quindi, l’efficacia retroattiva della rinnovazione della notifica, prevista dall’art. 291 cod. proc. civ. Cass. civ., sez. , II 21 febbraio 2014, n. 4211
In un contratto a prestazioni corrispettive, qualora la rinunzia all’azione di risoluzione venga ravvisata in un comportamento di effettiva esecuzione del contratto, posto in essere dal rinunziante ed accettato dall’altra parte, non assume rilievo la regola prevista dall’art. 1453, terzo comma, c.c., secondo cui il debitore inadempiente non può piú adempiere dopo che sia stata chiesta la risoluzione, poiché si tratta di norma a carattere dispositivo. Pertanto, nulla vieta che il creditore, nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata, possa accettare l’adempimento della prestazione, successivo alla domanda di risoluzione, rinunciando agli effetti della stessa, anche quando questa si sia già verificata per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454, 1455, 1457 c.c.), o per effetto di pronuncia giudiziale (art. 1453 c.c.). Cass. civ. sez. II 28 giugno 2004, n. 11967
Nei contratti a prestazioni corrispettive (nella specie, vendita) l’adempimento tardivo di una parte può essere legittimamente rifiutato dall’altra parte adempiente anche nel caso in cui quest’ultima non abbia ancora proposto la domanda per conseguire la risoluzione del contratto, salva la valutazione da parte del giudice della non scarsa importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., dovendosi escludere che l’opposto principio possa farsi derivare dalla disposizione dell’art. 1453 ultimo comma (secondo cui l’inadempiente non è più ammesso ad adempiere dopo la domanda di risoluzione), perché in tal modo si consentirebbe alla parte inadempiente di modificare a suo arbitrio e senza il concorso dell’altra parte la situazione a lei sfavorevole da essa stessa determinata. Cass. civ. sez. II 9 febbraio 1993, n. 1595
Nei contratti a prestazioni corrispettive, dal principio fissato dal terzo comma dell’art. 1453 c.c., secondo il quale dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione, si evince che l’adempimento o la valida offerta dell’adempimento, effettuati da una parte tardivamente, quale che sia l’entità del ritardo, non possono essere legittimamente rifiutati dall’altra parte, ove questa non abbia ancora proposto domanda per conseguire la risoluzione del contratto, e che conseguentemente tale domanda non può trovare fondamento in un ritardo dell’adempimento della controparte, il quale, ancorché abbia superato i limiti della tollerabilità, sia cessato prima della data della domanda stessa. Cass. civ. sez. III 24 novembre 1981, n. 6247
L’art. 1453 comma terzo non introduce per il convenuto un divieto assoluto di adempimento dopo la proposizione della domanda di risoluzione ma si limita a sancire l’inefficacia di un adempimento tardivo a sanare o a lenire le conseguenze del pregresso inadempimento posto a base della domanda nell’implicito presupposto che questo sia sussistente e che quindi il creditore non abbia più interesse all’adempimento. Ne consegue che se l’obbligazione debba, per accordo fra le parti, essere adempiuta a più riprese, abbia cioè più scadenze, e la domanda di risoluzione sia stata proposta quando non tutte le scadenze si siano verificate, il cennato disposto dell’art. 1453 si applica esclusivamente alle prestazioni già scadute, riguardo alle quali soltanto il giudice potrà accertare se vi sia stato inadempimento imputabile al debitore, e non alle prestazioni ancora da scadere, rispetto alle quali il comportamento del debitore non è ancora suscettibile di valutazione in termini di inadempimento, con la conseguenza che rispetto a queste ultime l’eventuale inadempienza sopravvenuta in corso di causa va anch’essa considerata e valutata dal giudice, se dedotta anche implicitamente dalla controparte, ai fini della pronuncia di risoluzione. Cass. civ. sez. II 18 giugno 1991, n. 6880
Il divieto per il debitore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda di risoluzione (art. 1453, terzo comma, c.c.) – divieto che si basa sulla mancanza di interesse del creditore ad ottenere l’adempimento – non è assoluto, presupponendo la fondatezza di tale domanda in base ai fatti dedotti, con la conseguenza che nel caso in cui la domanda non sia fondata, per cui il comportamento del debitore anteriore alla domanda non giustifichi il disinteresse del creditore all’adempimento, lo stesso debitore non è esonerato dall’obbligo di adempiere (o di farne congrua offerta), potendo il suo persistente atteggiamento negativo trasformare il suo precedente inadempimento non grave in inadempimento grave, e perciò tale da legittimare l’accoglimento della domanda di risoluzione. Cass. civ. sez. II 29 agosto 1990, n. 8955
Nei contratti a prestazioni corrispettive (nella specie: vendita) l’adempimento tardivo di una delle parti non pregiudica il diritto dell’altra parte non inadempiente di chiedere successivamente la risoluzione del contratto, salva in ogni caso la valutazione del giudice in ordine alla non scarsa importanza dell’inadempimento. Cass. civ. sez. II 20 dicembre 1988, n. 6959
L’art. 1453 terzo comma c.c., il quale prevede che dopo la domanda di risoluzione per inadempimento il convenuto non può più adempiere, riguarda il caso in cui il convenuto medesimo sia già inadempiente al momento della domanda, e, pertanto, non osta a che possa essere eseguita la prestazione non ancora scaduta a detta data, restando in proposito irrilevante che l’attore abbia espresso il proprio sopravvenuto disinteresse all’adempimento. Cass. civ. sez. II 10 marzo 1986, n. 1588