Estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni tra giurisprudenza e dottrina: un pericoloso ritorno?

Articolo a cura dell’avv.ssa Enrica Maria Rigo

Dalla semplice lettura delle norme di riferimento emerge come, nel reato di estorsione, obiettivo del reo è il procurarsi un ingiusto profitto con l’altrui danno, mentre la fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni presuppone l’idea di farsi arbitrariamente ragione da sé potendosi, invece, ricorrere in via giudiziaria.
L’aspetto cruciale, tuttavia, emerge dall’elemento comune dei due reati, in quanto in entrambe le fattispecie giuridiche la condotta del soggetto attivo si connota per l’utilizzo della violenza o minaccia.

1. Artt. 629 e 393 c.p.: elementi in comune e differenze

È proprio sotto quest’ultima base comune che nascono le difficoltà di distinzione tra i due delitti qualora l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni venga posto in essere con violenza alla persona. Tale distinzione risulta particolarmente importante date le problematiche di rilevanza pratica che essa pone.
Il primo problema concerne la procedibilità in quanto, mentre l’estorsione è un reato procedibile d’ufficio, la fattispecie disciplinata ex art. 393 c.p. è procedibile esclusivamente a querela di parte. Non meno importante è la diversità di trattamento sanzionatorio che vede punita l’estorsione con una pena ben maggiore rispetto all’altro reato.
Il trattamento sanzionatorio più mite è evidentemente giustificato dal fatto che il soggetto agisce ritenendo di essere stato ingiustamente danneggiato e quindi con l’intento di ottenere sbrigativamente giustizia da sé, aspetto che senza dubbio riverbera sull’elemento psicologico del reato (e quindi con un minor grado di colpevolezza) anche se, in definitiva, esso si scontra con l’interesse giuridico di garantire il processo
Nel contempo, meno giustificato risulterebbe il mettere in atto condotte connotate da violenza o minaccia, anche molto grave diretta verso la persona, come nel caso del comma 3 art. 393 c.p.. Questo atteggiamento, se poteva essere condivisibile in un ordinamento anteriore all’entrata in vigore della Costituzione, è, ad oggi, con la centralità che ha assunto la tutela della persona, entrato certamente in crisi.

2. Artt. 629 e 393 c.p.: l’elemento distintivo attraverso dottrina e giurisprudenza

Dall’esame delle numerose pronunce giurisprudenziali degli ultimi anni, emerge un evidente tentativo di limitare l’applicabilità della fattispecie disciplinata dall’art. 393 c.p. con preferente attenzione alla norma sull’estorsione.
Per decenni in giurisprudenza e dottrina era stato utilizzato come discrimen l’elemento psicologico, ossia il fine cui la condotta violenta o minacciosa tendeva1 applicandosi così la disciplina dell’estorsione ove il soggetto avesse agito per un ingiusto profitto con altrui danno2.
Fino ad oggi la Cassazione si è pronunciata più volte altalenante sul tema ponendo vari criteri di distinzione tra le due fattispecie sebbene con pronunce caratterizzate dalla condivisione del medesimo indirizzo di politica criminale, in quanto tutte orientate a circoscrivere l’applicazione del reato ex art. 393 c.p. e ad ampliare la portata della norma sull’estorsione.
La Suprema Corte ha affermato più volte che per la sussistenza del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è necessario che la pretesa per cui si agisce sia astrattamente tutelabile in giudizio a prescindere dalla sua concreta fondatezza (ex multis Cass. pen., 10.11.2016 n. 52525).
Altro criterio distintivo utilizzato è stato quello dell’intensità della violenza o della minaccia3. In base a tale indirizzo, che non rinnega totalmente il criterio discretivo del dolo specifico, si è giunti ad affermare che quest’ultimo non sarebbe da solo sufficiente per la configurazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ma che è, invece, necessario procedere ad una valutazione della condotta posta in essere per verificare se sia o meno compatibile con la finalità di giustizia perseguita4.
Questo ragionamento sembrerebbe ragionevole soprattutto in relazione alle minacce di carattere mafioso, che per la loro potenzialità intimidatoria integrerebbero il delitto di estorsione.
Tuttavia tale tesi non è esente da critiche in quanto dare rilievo all’intensità della violenza apparirebbe estraneo alla letterale previsione legale, poiché il legislatore, quando ha voluto attribuire rilevanza alle modalità della condotta, l’ha fatto espressamente. Tanto più che la valutazione di concetti fortemente discrezionali, quali la gravità della condotta, finirebbero per essere rimessi alla valutazione interpretativa dei giudici. Sul punto, infatti, vi sono pronunce della Suprema Corte che ritengono configurabile il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni anche nel caso in cui la violenza esercitata sia gravissima quasi da portare a configurare un sequestro di persona5. Lo stesso comma 3 dell’art. 393, infatti, fa rientrare in tale fattispecie anche la condotta violenta del soggetto che si fa ragione da sé con l’uso delle armi.
Pertanto, alla luce di tali osservazioni, “le forme esteriori della condotta” non possono essere utilizzate come unico criterio di distinzione ma possono, casomai, essere indici sintomatici utili per ricondurre il fatto nell’estorsione piuttosto che nell’esercizio arbitrario6. Successivamente, si rilevano pronunce della Suprema corte in cui, per distinguere tra le due fattispecie, si guarda all’effetto manipolatorio, andando ad integrare il delitto di estorsione con l’atteggiamento di costrizione della vittima; ove, invece, si rilevi solo una mera persuasione della vittima, si integrerebbe il reato di “ragion fattasi”. Tuttavia, il criterio della costrizione, oltre a non essere mai stato effettivamente valorizzato in quanto nelle sentenze che lo hanno accolto non vi era una pretesa effettivamente azionabile in giudizio, denota una grande fragilità poiché è bene notare come in caso di violenza o minaccia l’agente è pur sempre posto nell’alternativa di dover scegliere tra due mali ed è lo stesso inquadramento dell’estorsione tra i delitti commessi mediante cooperazione artificiosa della vittima che mette in luce la fragilità di questo criterio di distinzione.
A seguito di questo lungo dibattito, nell’ottobre del 2020, con sentenza n. 29451, le S.U. hanno stabilito che il discrimen è dato dall’elemento psicologico che deve essere accertato di volta in volta secondo le ordinarie regole probatorie. L’intervento delle S.U. si è reso necessario in quanto, dall’articolata stratificazione di pronunce ermeneutiche, sono emersi vari criteri di distinzione da alcuni applicati alternativamente e da altri in modo cumulativo.

3. Classificazione del reato ex art. 393 c.p. e problema del concorso

Ulteriore tema su cui la Cassazione a S.U. ha voluto porre un punto fermo riguarda la qualificazione del reato come proprio ma non esclusivo; quindi, ad oggi, il reato sarebbe configurabile anche ove la condotta minacciosa o violenta venga posta in essere da un terzo. La giurisprudenza della fine degli anni novanta l’aveva invece fatto rientrare nei reati esclusivi di mano propria basandosi sulla formulazione letterale dell’art. 392 c.p. che prescrive l’intervento “da sé medesimo” 7; tuttavia tale requisito dell’autosoddisfazione avrebbe, secondo l’ultima pronuncia giurisprudenziale, non tanto il fine di qualificare il delitto come proprio esclusivo ma quanto quello di escludere l’intervento dell’autorità pubblica.
La classificazione del reato come proprio ma non esclusivo porta con sé la risoluzione del problema del concorso nel reato. Le S.U. hanno, infatti, affermato sussistere il reato di ragion fattasi, con conseguente punibilità a titolo di concorso, nel caso in cui il terzo, extraneus, abbia agito non per un proprio interesse ma al solo fine di realizzare il diritto del titolare su suo incarico; ribadendo, invece, che ove il terzo agisca anche per il soddisfacimento del proprio interesse, si ravviserebbe il reato di estorsione e quindi i terzi risponderanno di concorso in estorsione8.

4. Conclusioni

Di qui emerge che le stesse S.U. pongono comunque l’attenzione sulla pericolosità insita nei comportamenti violenti e minacciosi, senonché, finiscono con il giustificare la pena più lieve rispetto all’estorsione in base ad un criterio soggettivo quale è l’elemento psicologico.
In definitiva, il bene giuridico tutelato, nel caso di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è quello di garantire il processo evitando che il soggetto, pur titolare di un interesse legittimo, si faccia ragione da sé. Forse che nel caso di esercizio arbitrario delle proprie ragioni prevalga l’interesse di garantire il processo, piuttosto che il punire più gravemente l’effettiva condotta criminosa?

Note

1 Cass. pen., 6.11.2015, n. 44674 e Cass. pen., 4.12.2013, n. 51433
2 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, II, Bologna, 2015, 157 e ss.;
3 S. BRASCHI, I confini fra esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona ed estorsione in Giurisprudenza penale, 2018, n.3, p. 358 e ss
4 Cass. pen., 2.12.2003, n. 10336 V. SILIBERTI, Osservazioni a Cass. pen. 30 settembre 2015 n. 44674, in Cass. pen., 2016, 7-8, 2861 e ss.
5 Cass. pen., 03.02.2009, n. 9731.
6 Cass. pen., 03.07.2015, n. 44476.
7 A. CAPELLINI Tra esercizio arbitrario ed estorsione: una “innovativa” riconferma della Cassazione in Giurisprudenza italiana, 2017, n.8-9, p. 1976 e ss. in commento alla Cass. pen. 3.11.2016 n.46288.
8 Cass. pen. Sez. 5, n. 22003 del 07.03.2013 e S.U. 23.10.2020 n. 29451.