Art. 223 – Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942 n. 267 - Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa)

Fatti di bancarotta fraudolenta

Articolo 223 - legge fallimentare

I. Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
II. Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se:
1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile.
2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.
III. Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 216.

Articolo 223 - Legge fallimentare

I. Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
II. Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se:
1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile.
2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.
III. Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 216.

Massime

Integra il delitto di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose previsto dall’art. 223, secondo comma, n. 2), legge fall., l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto e dei contributi previdenziali e assistenziali che abbia causato il dissesto della società, potendo il reato fallimentare concorrere con quello tributario e con quello previdenziale in ragione della diversità sia dei beni tutelati sia della struttura dei reati. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 30735 del 12 luglio 2019 (Cass. pen. n. 30735/2019)

In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall., possono consistere anche nella compensazione dell’ingente esposizione debitoria della società nei confronti del fisco con crediti inesistenti, in quanto siffatta operazione, comportando l’azzeramento meramente formale dei debiti, consente alla società di operare e contribuisce, in modo prevedibile, ad aggravare il dissesto della stessa determinando il maturarsi di ulteriori debiti con il fisco. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 30735 del 12 luglio 2019 (Cass. pen. n. 22488/2019)

In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 24752 del 1 giugno 2018 (Cass. pen. n. 24752/2018)

Il delitto di bancarotta impropria ex art. 223, comma 2, n. 2, l.fall. può concorrere con quello di insolvenza fraudolenta ex art. 641 c.p. qualora la condotta di acquisizione di obbligazioni con il proposito di non adempierle si collochi storicamente solo come antefatto di una serie di più complesse operazioni fraudolente finalizzate a causare (od aggravare) il dissesto della società fallita. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 18089 del 24 aprile 2018 (Cass. pen. n. 18089/2018)

Il reato di malversazione a danno dello Stato, di cui all’art. 316-bis cod. pen., concorre con quello di bancarotta impropria distrattiva, di cui all’art. 223, comma 1, legge fall., in quanto l’autore dapprima si appropria delle risorse erariali immettendole nel patrimonio della società, e successivamente le sottrae alla garanzia generica dei creditori, destinando le somme a finalità diverse sia rispetto a quelle per le quali era stato concesso il contributo o il finanziamento, sia rispetto a quelle proprie dell’attività imprenditoriale della società. (In motivazione, la Corte ha individuato un rapporto di progressione criminosa tra le due fattispecie incriminatrici). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 49992 del 31 ottobre 2017 (Cass. pen. n. 49992/2017)

In tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 45672 del 17 novembre 2015 (Cass. pen. n. 45672/2015)

In tema di bancarotta fraudolenta impropria “da reato societario”, di cui all’art. 223, secondo comma, n. 1, R.D. 16 marzo 1942 n. 267, la nuova formulazione degli artt. 2621 e 2622 cod. civ., introdotta dalla L. 27 maggio 2015, n. 69, ha determinato – eliminando l’inciso “ancorchè oggetto di valutazioni”, ed inserendo il riferimento, quale oggetto anche della condotta omissiva, ai “fatti materiali non rispondenti al vero” – una successione di leggi con effetto abrogativo, peraltro limitato alle condotte di errata valutazione di una realtà effettivamente sussistente. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto escluse dall’effetto parzialmente abrogativo l’esposizione di crediti inesistenti perché originati da contratti fittizi, l’esposizione di crediti concernenti i ricavi di competenza dell’esercizio successivo, l’esposizione di crediti relativi ad una fattura emessa per operazioni inesistenti). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 33774 del 30 luglio 2015 (Cass. pen. n. 33774/2015)

È legittima la revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente qualora il reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634), originariamente contestato all’imputato, sia assorbito dal delitto di bancarotta fraudolenta impropria c.d. societaria, per il quale non è prevista la confisca per equivalente, né può essergli, comunque, estesa in via interpretativa, in ragione del principio di tassatività e del divieto di analogia in “malam partem”. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 18775 del 6 maggio 2015 (Cass. pen. n. 18775/2015)

In tema di reati fallimentari, la proroga di un finanziamento a condizioni onerose, in luogo della restituzione della somma maturata, può integrare un’operazione dolosa di cui all’art. 223, comma secondo n. 2, l. fall. rimproverabile ai gestori della società debitrice che ne abbiano fatto richiesta; tuttavia, affinché possa addebitarsene la responsabilità anche al creditore, non è sufficiente la mera decisione di concedere la proroga ovvero di pretendere condizioni più gravose piuttosto che richiedere l’immediato rientro ovvero il fallimento, e ciò anche quando questi è consapevole dello stato di dissesto del debitore, ma è, invece, necessario che il comportamento del creditore presenti, in forma diversa ed ulteriore, i caratteri del contributo causale alla consumazione del reato, come quando vi sia una istigazione, nella consapevolezza dell’impatto della proroga sull’equilibrio economico dell’impresa, a porre in essere l’operazione ritenuta illecita . (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per non avere il giudice di merito identificato il contributo causale prestato dal creditore in una operazione di differimento della restituzione di un prestito che il debitore aveva precedentemente veicolato, su indicazione del primo, a società già in stato di decozione e che era stato frazionato in quattro autonome linee di debito con scadenze progressive e con tassi differenziati e crescenti). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 15613 del 15 aprile 2015 (Cass. pen. n. 15613/2015)

In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma secondo n. 2, l. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva qualificato come operazione dolosa il mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 29586 del 7 luglio 2014 (Cass. pen. n. 29586/2014)

I reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma primo, L.F.) e quello di bancarotta impropria di cui all’ art. 223 comma secondo, n. 2, L.F. hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività – né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili – ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 L.F., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società – siano stati causa del fallimento. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 24051 del 9 giugno 2014 (Cass. pen. n. 24051/2014)

In tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all’art 223, comma secondo n. 2, l. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 17408 del 18 aprile 2014 (Cass. pen. n. 17408/2014)

In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma secondo n. 2, l. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa individuabile e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva considerato qualificabile come operazione dolosa a norma dell’art. 223, secondo comma, n. 2 l. fall., il mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12426 del 17 marzo 2014 (Cass. pen. n. 12426/2014)

In tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi del fallimento cagionato per effetto di operazioni dolose, il concorso dell’”extraneus” istigatore e beneficiario delle operazioni è configurabile qualora questi risulti consapevole del rischio che le suddette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società, non essendo invece necessario che egli abbia voluto causare un danno ai creditori medesimi. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11624 del 26 marzo 2012 (Cass. pen. n. 11624/2012)

Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma primo, L.F.) e quello di bancarotta impropria (art. 223 comma secondo, n. 2), concernono ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili, ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 L.F., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società – siano stati causa del fallimento. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 17978 del 11 maggio 2010 (Cass. pen. n. 17978/2010)

In tema di fallimento determinato da operazioni dolose, che si sostanzia in un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura “dolosa” dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare. (In motivazione, la S.C. ha precisato che per la configurabilità del reato è necessaria la rappresentazione dell’azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi della società).

In tema di fallimento determinato da operazioni dolose, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 c.p., né l’aggravamento di un dissesto già in atto.

La fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, comma primo, e 216, comma primo, n. 1), l. fall., in quanto la nozione di “operazione” postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 17690 del 7 maggio 2010 (Cass. pen. n. 17690/2010)

Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale nei confronti del sindaco di una società per il reato di bancarotta fraudolenta, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere desunta solo dalla sua posizione di garanzia e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula l’esistenza di elementi, dotati del necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, in qualsiasi modo, del sindaco stesso all’attività dell’amministratore ovvero dell’effettiva incidenza causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo rispetto alla commissione del reato da parte dell’amministratore. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 15360 del 21 aprile 2010 (Cass. pen. n. 15360/2010)

In tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto, dal punto di vista oggettivo ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod. pen., per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico (art. 2392 cod. civ.) di impedire, e, dal punto di vista soggettivo, se sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ampiamente argomentato in ordine all’effettiva consapevolezza da parte degli amministratori di diritto delle condotte dell’imputato, desumendone la prova dagli stessi verbali del consiglio di amministrazione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11938 del 26 marzo 2010 (Cass. pen. n. 11938/2010)

Il delitto di bancarotta fraudolenta impropria (art. 223, comma secondo, n. 1 L.fall.) è strutturato come reato complesso, rispetto al quale un reato societario tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo deve essere causa o concausa del dissesto societario; tuttavia, il momento consumativo del reato è da individuarsi nella dichiarazione di fallimento, che fissa anche il “dies a quo” da cui decorre la prescrizione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 32164 del 6 agosto 2009 (Cass. pen. n. 32164/2009)

La responsabilità del mero consigliere d’amministrazione di società per fatti di bancarotta fraudolenta, materialmente posti in essere dal presidente, presuppone la rappresentazione dell’evento, nella sua portata illecita, desunta da segnali perspicui e peculiari, e la volontaria omissione nell’impedirlo, sì che possa affermarsi che egli abbia quanto meno accettato il rischio di verificazione dello stesso. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 9736 del 3 marzo 2009 (Cass. pen. n. 9736/2009)

In tema di bancarotta fraudolenta societaria, la nuova formulazione dell’art. 223, comma secondo, L. fall., introdotta dall’art. 4 D.L.vo n. 61 del 2002 che richiede il nesso di causalità tra l’operato dell’amministratore e il fallimento della società non riguarda l’art. 223, comma primo, L. fall. che, ai fini della condotta incriminata, fa riferimento al disposto di cui all’art. 216 L. fall., il quale prescinde da qualsiasi nesso eziologico in rapporto al fallimento. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1694 del 16 gennaio 2009 (Cass. pen. n. 1694/2009)

L’amministratore «di fatto» in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 c.c., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore «di diritto» per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, c.p. (principio affermato, nella specie, con riguardo ad ipotesi di bancarotta per distrazione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 7203 del 14 febbraio 2008 (Cass. pen. n. 7203/2008)

In tema di bancarotta fraudolenta dell’amministratore di fatto della società, poiché il fallimento non deve necessariamente e intenzionalmente essere voluto quale conseguenza della condotta, non sussiste contrasto logico tra compimento di operazioni dolose (nella specie emissione di fatture per operazioni inesistenti e false comunicazioni sociali), per effetto delle quali sia stato cagionato il fallimento e interesse alla società poi fallita, stante la diversità concettuale tra l’elemento psicologico delle predette operazioni e il rapporto causale con il fallimento stesso, ben potendo coesistere la mera consapevolezza di quest’ultimo quale possibile esito (anche) della propria condotta, e quindi l’assunzione del relativo rischio, con un soggettivo interesse ad esiti meno infausti. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3942 del 24 gennaio 2008 (Cass. pen. n. 3942/2008)

In tema di reati fallimentari, la previsione di cui all’art. 2639 c.c. — nel testo modificato dal D.L.vo n. 61 del 2002 — non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali — in tempi successivi o anche contemporaneamente — esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 46962 del 18 dicembre 2007

In tema di bancarotta fraudolenta, nel caso in cui alla ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, il concorso di norme tra l’art. 236, comma secondo, n. 1, L. fall. e l’art. 223 L. fall. va risolto utilizzando il principio di specialità, con l’applicazione della fattispecie di bancarotta fallimentare. Ne consegue che la prescrizione decorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 39307 del 24 ottobre 2007 (Cass. pen. n. 39307/2007)

Non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta impropria di cui all’art. 223 comma secondo n. 2 che deve considerarsi assorbito nel primo quando l’azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta, poichè, mentre non è concepibile la realizzazione di un reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale, che non si accompagni alla volontà deliberata o quanto meno all’accettazione del rischio che la condotta costituisca causa — unica o concorrente — del fallimento, che è elemento costitutivo del reato, in tale atteggiamento psicologico si concreta anche l’elemento soggettivo della bancarotta impropria. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 35066 del 19 settembre 2007 (Cass. pen. n. 35066/2007)

La responsabilità dell’amministratore unico della società in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale effettivamente commesso da altri, non può essere fondata sull’inosservanza dei doveri di vigilanza impostigli dalla posizione di garanzia rivestita ai sensi dell’art. 2392 c.c., quando la stessa non sia preordinata a rendere possibile la commissione di reati. Detta inosservanza può rilevare infatti esclusivamente quando si tratti di reati punibili a titolo di colpa. (In applicazione di tale principio la S.C. ha affermato che la acquisizione di una veste formale idonea ad operare sui depositi bancari della società non esclude la fittizietà del ruolo di amministratore e, d’altro canto, non dimostra la consapevole partecipazione di quest’ultimo alla specifica condotta di cui all’art. 216, comma secondo, L. fall., consistente nella materiale sottrazione o distruzione dei beni e delle scritture contabili, con la conseguenza che la relativa responsabilità rimane, in tale ipotesi, esclusa). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 3610 del 31 gennaio 2007 (Cass. pen. n. 3610/2007)

In tema di reati fallimentari commessi da persone diverse dal fallito, gli elementi di prova ritenuti insufficienti per radicare la qualità di amministratore di fatto in capo all’estraneo non possono essere utilizzati come prova presuntiva della sua responsabilità a titolo di concorso esterno nel reato proprio del fallito (nella specie, bancarotta per distrazione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 37038 del 9 novembre 2006 (Cass. pen. n. 37038/2006)

In tema di reati fallimentari, l’art. 106 delle disposizioni per l’attuazione del c.c. (come modificato dall’art. 9 del D.L.vo n. 6 del 2003), estende al commissario governativo, nominato dall’autorità di Governo in sostituzione degli organi del consorzio a norma dell’art. 2619 c.c., le disposizioni in tema di poteri dell’amministratore giudiziario, con la conseguenza che, in forza di tale estensione, all’attività del commissario si applica la normativa di cui agli artt. 223 e 224 della legge fallimentare. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 21175 del 20 giugno 2006 (Cass. pen. n. 21175/2006)

In tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 L. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la attribuzione effettuata dai giudici di merito della qualifica di amministratore di fatto al preposto al settore commerciale di un piccolo organismo operante nel mercato del commercio, in considerazione del peso decisivo rivestito da costui nella conduzione della società). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 19145 del 31 maggio 2006 Cass. pen. n. 19145/2006)

In tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore, di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo, giuridico di impedire; a tal fine, è necessaria, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza da parte del primo, che l’amministratore effettivo distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali. Tale consapevolezza, se da un lato non deve investire i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fatto si è estrinsecata, dall’altro, non può essere desunta dal semplice fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore; tuttavia, allorché, come nella specie, si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria. condotta omissiva possono scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 7208 del 27 febbraio 2006 (Cass. pen. n. 7208/2006)

In tema di reati fallimentari, se la gestione della società da parte di chi non ricopre la qualifica di amministratore legale viene ad essere esplicata, sia pure con stabilità, solamente in un determinato ambito dell’attività sociale e con riferimento a specifico e circoscritto compito, l’attribuzione a detto soggetto della qualifica di amministratore di fatto può trovare applicazione esclusivamente in relazione ad atti inerenti al settore della sua operatività. (Nella fattispecie, la Corte ha escluso che l’incarico dato all’imputato di risanare le posizioni debitorie della società con gli istituti di credito potesse dimostrare che costui fosse divenuto a tutti gli effetti amministratore della società). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5893 del 15 febbraio 2006 (Cass. pen. n. 5893/2006)

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la responsabilità dell’amministratore che risulti essere stato soltanto un prestanome, nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 44293 del 5 dicembre 2005 (Cass. pen. n. 44293/2005)

La nozione di amministratore di fatto, introdotta dal art. 2639 c.c. postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, «significatività» e «continuità» non comportano necessariamente l’esercizio di «tutti» i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. L’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto congruamente motivata la sentenza di merito, nella quale la qualità di amministratore di fatto veniva desunta da alcune lettere dall’imputato firmate come amministratore della società e da alcuni assegni dall’imputato incassati in tale qualità). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 43388 del 30 novembre 2005 (Cass. pen. n. 43388/2005)

La responsabilità in ordine al reato di bancarotta fraudolenta «impropria» è configurabile in capo ai sindaci, per violazione dei doveri di vigilanza e dei poteri ispettivi che competono loro, ma non anche, contemporaneamente, in capo ai sindaci supplenti, i quali subentrano ai titolari e rispondono del loro operato esclusivamente in caso di morte, rinunzia o decadenza da parte di questi. (Fattispecie nella quale, pur avendo, i sindaci supplenti, partecipato a riunioni del collegio sindacale, sottoscrivendo il relativo verbale, la Corte ha ritenuto che la circostanza fosse inadeguata a intaccare la validità del principio espresso, trattandosi di iniziative anomale e giuridicamente ininfluenti). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 40815 del 10 novembre 2005 (Cass. pen. n. 40815/2005)

In tema di bancarotta semplice documentale, punibile anche a titolo di colpa, la responsabilità del sindaco per l’omesso rilievo della irregolare tenuta delle scritture sociali non può essere esclusa deducendo incompetenza tecnica, posto che coloro che svolgono professionalmente una determinata attività hanno l’obbligo di conoscenza delle norme che la disciplinano e rispondono dell’illecito anche in virtù della colpa lieve. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 34690 del 28 settembre 2005 (Cass. pen. n. 34690/2005)

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e persona obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 28007 del 22 giugno 2004 (Cass. pen. n. 28007/2004)

Il ricorso abusivo al credito (da intendersi non soltanto come richiesta di finanziamento attraverso gli ordinari canali bancari, ma anche come utilizzo di un sistema che consenta il pagamento differito di un debito, mediante l’assoggettamento ad un costo qual’è quello costituito da una fideiussione bancaria), rientra fra le “operazioni dolose” atte a rendere configurabile, qualora ne derivi il fallimento della società, non il reato di cui al combinato disposto degli artt. 218 e 225 l. fall., ma, in virtù della clausola di salvezza contenuta nel citato art. 218, quello di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2, seconda ipotesi, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, posto che in tale ipotesi — a differenza che nell’altra, in cui l’evento costituito dal fallimento sia stato “cagionato con dolo” — non si richiede che l’elemento psicologico sia direttamente collegato con l’evento anzidetto ma solo che questo costituisca una possibilità prevedibile, rimanendo comunque assente, nella previsione normativa, la necessità che sussista anche lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 19101 del 23 aprile 2004 (Cass. pen. n. 19101/2004)

In tema di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, la nuova formulazione dell’art. 223, comma 2 n. 1, l. fall., introdotta dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, non ha riprodotto, tra i fatti-reato che possono essere causa o concausa di dissesto societario, l’art. 2623 c.c. che, al n. 3), prevedeva il fatto degli amministratori che impediscono il controllo della gestione sociale da parte del collegio sindacale. La tutela del regolare esercizio dell’attività di controllo è ora affidata ad una nuova disposizione, quella contenuta nell’art. 2625 c.c., che ha depenalizzato, in parte, l’illecito previsto dal vecchio art. 2623 c.c. (nel caso in cui non vi siano stati danni per i soci), prevedendo, in ipotesi contraria, una fattispecie delittuosa punibile a querela della persona offesa. (Nel caso di specie, la S.C., nel riqualificare l’originario addebito, formulato ai sensi degli artt. 223 l. fall. in relazione all’art. 2623 c.c., ora abrogato, ha ritenuto che, sussistendo il danno per i soci, residuasse la fattispecie di cui al comma secondo dell’art. 2625 c.c., relativamente alla quale, però, non risultando proposta la querela nel termine di legge — sia pure con la decorrenza stabilita dall’art. 5 del D.L.vo n. 61/2002, e cioè dalla data di entrata in vigore della stessa normativa — ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, con la formula corrispondente). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 25510 del 12 giugno 2003 (Cass. pen. n. 25510/2003)

Il “vantaggio compensativo” nell’ipotesi del collegamento o del gruppo di società, ai sensi dell’art. 2634, comma terzo, c.c., come riformulato dall’art. 1 del D.L.G. 11 aprile 2002, n. 61 (secondo cui “in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo”), presuppone un conflitto di interessi tra il soggetto agente (amministratore, direttore generale e liquidatore) che compie l’atto dispositivo e la società. Tale conflitto deve essere effettivo ed attuale e non può ritenersi insito in ogni atto che vada a nocumento di una società ed a vantaggio di un’altra, collegata o facente parte del gruppo. Il vantaggio compensativo non può, tuttavia, andare oltre la sfera dell’“infedeltà patrimoniale” per la quale è previsto e non è, dunque, applicabile all’ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria riguardante una società collegata od appartenente al gruppo, in quanto il fenomeno del collegamento societario non vulnera il principio dell’autonomia soggettiva delle società interessate ed il fallimento di una di esse prescinde dalla considerazione degli interessi del gruppo societario. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 23241 del 27 maggio 2003 (Cass. pen. n. 23241/2003)

In tema di bancarotta c.d. impropria da reato societario (nel caso di specie, false comunicazioni sociali ), la configurabilità della particolare fattispecie prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 1, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in rapporto agli artt. 2621 e 2622 c.c., nel testo riformulato dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, presuppone, oltre all’esistenza del nesso causale tra condotta e dissesto, anche il superamento delle soglie di punibilità previste dal nuovo reato di false comunicazioni sociali, come modificato dall’art. 1 dello stesso D.L.vo n. 61/2002 (nella fattispecie, in applicazione dei principi di recente affermati dalle Sezioni Unite con sentenza 26 marzo 2003, n. 7, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata in quanto dalle decisioni di merito non risultavano accertati, nel rispetto del contraddittorio tra le parti, gli elementi costitutivi del nuovo reato di false comunicazioni sociali, con particolare riferimento alle soglie di punibilità anzidette ). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 23236 del 27 maggio 2003 Cass. pen. n. 23236/2003)

Il commissario straordinario di grandi imprese in stato di insolvenza, ammesse all’amministrazione straordinaria ai sensi della legge n. 95 del 1979, non può essere soggetto attivo dei reati di cui agli artt. 216 e 223 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (bancarotta fraudolenta e bancarotta impropria), che sono reati propri del fallito e degli organi di amministrazione delle società fallite. Il commissario anzidetto risponde, invece, dei reati propri del pubblico ufficiale, come risulta anche dal D.L.vo 8 luglio 1999, n. 279, che all’art. 40, disciplina i relativi poteri, attribuendogli, per quanto attiene alle sue funzioni, la qualifica di pubblico ufficiale, ed all’art. 96 stabilisce l’applicabilità delle sole disposizioni degli artt. 228, 229 e 230 della legge fallimentare, relative al curatore fallimentare, ad ulteriore conferma dell’equiparabilità della posizione del commissario straordinario a quella del curatore fallimentare. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 20076 del 5 maggio 2003 (Cass. pen. n. 20076/2003)

In tema di bancarotta c.d. impropria, la particolare fattispecie di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, riguardante gli amministratori, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori di società fallite che hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società, si applica anche nell’ipotesi in cui la condotta di una delle anzidette persone abbia aggravato una situazione di dissesto già esistente. L’aggravamento del dissesto deve essere considerato globalmente e non già con riferimento a singole situazioni debitorie, sicché quando l’entità complessiva del medesimo sia comunque rimasta invariata o sia stata persino ridotta, la circostanza che la condotta abusiva abbia incrementato determinate voci di passivo non giustifica, di per sé, un’affermazione di responsabilità ai sensi della disposizione in questione, salvo che non si accerti che la diminuzione del passivo, con riguardo ad altre voci, sia stata causata da fattori autonomi ed indipendenti. Solo in questo caso, infatti, è possibile affermare che, essendo per tali fattori migliorata la situazione, la condotta del soggetto, in sé considerata, ha comunque comportato un peggioramento. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 19806 del 29 aprile 2003 (Cass. pen. n. 19806/2003)

La bancarotta impropria da reato societario è reato perseguibile di ufficio anche quando il reato presupposto (nel caso di specie, le false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori di cui al nuovo art. 2622 c.c.) sia punibile a querela di parte. Il reato fallimentare è, infatti, autonomo rispetto al reato societario che lo compone e, poiché per esso non è prevista la procedibilità a querela, che ha carattere eccezionale, vige il principio generale della procedibilità d’ufficio, salvo che non sia diversamente previsto. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2862 del 21 gennaio 2003 (Cass. pen. n. 2862/2003)

In tema di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, la nuova formulazione dell’art. 223, comma 2, n. 1 della legge fallimentare, introdotta dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, ha comportato abrogazione, e non mera continuità, rispetto alla precedente previsione normativa. Ed infatti, l’introduzione di un elemento totalmente nuovo, rappresentato dal rapporto di causalità tra il falso in bilancio (o le altre ipotesi di reato societario richiamate dalla nuova disposizione) ed il dissesto della società conferisce alla nuova fattispecie un significato lesivo del tutto diverso rispetto alla precedente. (Sul presupposto che, abrogata la fattispecie precedente, potesse residuare in concreto — a parte il reato di falso in bilancio comunque prescritto — la diversa ipotesi prevista dallo stesso art. 223, comma 2, n. 2, relativa alla causazione del fallimento con dolo o per effetto di operazioni dolose, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata affinché il giudice di merito verificasse la sussistenza dell’anziddetta ipotesi di reato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 40159 del 27 novembre 2002 (Cass. pen. n. 40159/2002)

In tema di bancarotta impropria da reato societario, la nuova disciplina introdotta dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61 si pone in rapporto di continuità rispetto alla precedente formulazione, in quanto il nesso di causalità tra la condotta ed il dissesto, richiesto dalla novella, costituisce elemento specializzante rispetto alla precedente fattispecie. Si verte, pertanto, in ipotesi di successione di norme con effetto abrogativo solo parziale, e cioè limitatamente ai casi in cui non sussista, in concreto, l’anziddetto rapporto di causalità. Allo scopo di verificare se i fatti commessi prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni siano sussumibili nell’attuale fattispecie criminosa occorre fare riferimento alla contestazione, essendo necessario che siano stati contestati, in termini formali o anche solo sostanziali, comunque in modo da renderne possibile alla difesa, tutti i dati che attualmente concorrono alla configurabilità del reato. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che, non risultando contestate nel capo d’imputazione né la soglia minima di rilevanza penale della condotta ai sensi dell’art. 2621 c.c., né il nesso di causalità richiesto dall’art. 223 legge fallimentare, il fatto come addebitato non rientrava nelle ipotesi criminose delineate da dette norme, sicché si imponeva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 36859 del 5 novembre 2002 (Cass. pen. n. 36859/2002)

La fattispecie di bancarotta impropria da reato societario di cui all’art. 223 della legge fallimentare, come sostituita dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, si pone in rapporto di specialità rispetto alla precedente, in quanto introduce, come elemento nuovo ed ulteriore rispetto alla precedente formulazione, il rapporto di causalità tra il delitto di false comunicazioni sociali, od altro reato societario tra quelli specificamente richiamati dalla norma, ed il dissesto della società fallita. Trattandosi, tuttavia, di specialità per aggiunta, deve ritenersi che essa comporti una totale abolizione della fattispecie abrogata, in quanto l’elemento aggiuntivo è tale da attribuire alla nuova fattispecie un significato lesivo del tutto diverso da quello della precedente fattispecie. In questa, infatti, assumeva rilievo la sola idoneità della condotta a rappresentare falsamente le condizioni economiche della società, nella nuova configurazione, invece, assume rilievo soprattutto la sua idoneità a contribuire al dissesto dell’impresa. L’abolizione del più grave delitto di cui all’art. 223 legge fallimentare non esclude, non di meno, la configurabilità, in concreto, dell’ipotesi residuale del falso in bilancio, in quanto fattispecie generale rispetto a quella della bancarotta impropria. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 34622 del 16 ottobre 2002 (Cass. pen. n. 34622/2002)

Tra la precedente formulazione del reato di bancarotta fraudolenta impropria di cui all’art. 223, comma 2, n. 1 legge fallimentare e quella introdotta dall’art. 4 D.L.vo 11 aprile 2202, n. 61, sussiste — come per le nuove fattispecie di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. — un rapporto di continuità normativa, in quanto, nonostante le significative modifiche, riguardanti specialmente il rapporto di causalità tra il delitto di false comunicazioni sociali (od altro reato societario tra quelli specificamente richiamati dalla norma) ed il dissesto della società fallita, il legislatore non ha inteso mutare la normativa precedente, ma solo precisarla al fine di eliminare i dubbi interpretativi che erano sorti in sede di applicazione della stessa norma. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 34621 del 16 ottobre 2002 (Cass. pen. n. 34621/2002)

In tema di bancarotta impropria, sussiste violazione dell’art. 2623 c.c. in relazione all’art. 2445 stesso codice, e pertanto il comportamento è penalmente illecito, anche se la delibera avente ad oggetto la riduzione di capitale e la redistribuzione ai soci è stata ritualmente omologata; infatti, il controllo demandato al tribunale sulle deliberazioni sociali è di mera legalità, nel senso che esso riguarda l’esistenza e la regolarità formale dell’atto, la conformità delle deliberazioni alla legge, all’atto costitutivo e allo statuto, ma non può investire in alcun modo il merito, non esercitando il tribunale alcun sindacato attinente alla convenienza economica ed all’opportunità delle operazioni compiute. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 3703 del 19 marzo 1999 (Cass. pen. n. 3703/1999)

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 223 cpv., n. 1 della legge fallimentare, nella parte in cui richiama l’art. 2621 c.c., in riferimento all’art. 3 Cost., per il trattamento deteriore riservato all’amministratore di società dichiarata fallita rispetto all’amministratore di società non fallita che commetta l’identico fatto, nonché rispetto all’amministratore di società egualmente fallita che commetta fatti ancor più lesivi del patrimonio della società, quali quelli di cui agli artt. 2624, 2625 e 2629 c.c. Il diverso, e più grave, trattamento punitivo è infatti ragionevolmente giustificato dalle esigenze della repressione penale dell’insolvenza, presente nella prima fattispecie e non nella seconda, mentre per quanto riguarda il mancato rinvio alle disposizioni di cui agli artt. 2624, 2625 e 2629 c.c., esso si giustifica per il fatto che, quando intervenga il fallimento della società, le condotte ivi descritte possono riassumersi nelle ipotesi tipiche di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all’art. 216, n. 1 della legge fallimentare. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 481 del 27 gennaio 1981 (Cass. pen. n. 481/1981)

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