1. Premessa
L’ascolto del minore nei giudizi in cui si devono adottare provvedimenti che li riguardano è oggi regolato, nell’ordinamento giuridico italiano, dagli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies del codice civile., introdotti dalla legge 219/2012 e dal successivo decreto legislativo 154/2013.
L’articolo 315 bis c.c., comma 3, in particolare, prevede che il figlio minore, che abbia compiuto i dodici anni (ma anche di età inferiore se capace di discernimento) ha diritto di essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano.
L’art. 336 bis c.c. specifica che il dovere del giudice di ascoltare il minore nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo interessano trova un’eccezione nel caso in cui questo sia in contrasto con il suo interesse o manifestamente superfluo.
2. In cosa consiste l’ascolto del minore?
Nei fatti, l’ascolto del minore è condotto dal giudice il quale può anche essere affiancato da un ausiliario esperto in materie psicologiche.
Prima di ascoltarlo, il giudice informa il minore, con modi e in termini a lui comprensibili, della natura del procedimento e degli effetti della sua audizione. A seguire lo consulta e raccoglie le sue opinioni e aspirazioni.
Dell’ascolto viene redatto un processo verbale per descrivere le dichiarazioni e il contegno del minore oppure viene effettuata una registrazione audio o video.
L’audizione del minore deve essere effettuata con la massima cautela e con modalità che escludano interferenze, turbamenti e condizionamenti. Questo perché egli si deve sentire quanto più possibile a suo agio e nella condizione di esprimere liberamente e compiutamente le sue opinioni ed esigenze.
Non è quindi sufficiente che il minore sia stato interpellato o esaminato dagli assistenti sociali le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale. Se si ritiene di demandare l’attività di ascolto ad un soggetto diverso dal giudice, è necessario che chi procede all’audizione sia investito di una specifica delega da parte del giudice incaricato del procedimento.
3. La capacità di discernimento
Si ritiene capace di discernimento qualunque persona che in una situazione di vita concreta ha la capacità di agire ragionevolmente, ossia chi è in grado di comprendere la portata delle proprie azioni e di comportarsi di conseguenza.
La capacità di discernimento corrisponde alla gradualità di sviluppo della persona e va quindi valutata in concreto in relazione alle singole fattispecie.
Quando ritiene che il minore abbia raggiunto una capacità di discernimento sufficiente, il giudice deve assicurarsi che egli abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti e, se il caso lo richiede, ascoltarlo direttamente o tramite un intermediario, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario ai suoi interessi, per consentirgli di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto.
La capacità di discernimento si presume raggiunta con il compimento del dodicesimo anno di età, salvo diversa valutazione. Con riferimento alla capacità di discernimento del minore infradodicenne, si ritiene che con ciò si intenda consapevolezza e comprensione, limitatamente al senso dell’ascolto. La capacità di discernimento deve essere accertata, preferibilmente, dai Servizi Sociali o da un neuropsichiatra infantile.
4. I procedimenti che riguardano il minore
L’ascolto del minore è previsto come un obbligo, e non una mera facoltà, in tutti i procedimenti che lo riguardano, in quanto ciò rappresenta la modalità più rilevante di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni, nonché elemento di primaria importanza per quel che riguarda la valutazione del suo interesse.
Tra i procedimenti che riguardano i minori troviamo, ad esempio:
- affidamento di figlio nato fuori dal matrimonio;
- revisione delle condizioni di separazione dei coniugi;
- accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i con parenti di ciascun ramo genitoriale.
L’audizione, dicevamo, è un obbligo per il giudice, previsto a pena di nullità del procedimento. L’unico caso in cui il giudice può omettere di ascoltare il minore è qualora lo ritenga manifestamente superfluo o in contrasto con il suo interesse o qualora il minore non sia capace di discernimento. Di questo il giudice deve dare atto con specifica motivazione.
5. Le conseguenze dell’ascolto del minore
Il giudice, pur tenuto all’ascolto e a prendere in considerazione le parole del minore, non è il mero esecutore dei suoi desideri. Infatti, il giudice deve perseguire il reale interesse del minore, capirne i bisogni e disporre quanto è possibile per tutelarne una crescita serena ed equilibrata. L’ascolto serve a dare voce ai desideri dei figli, ma anche a comprendere se tali desideri siano frutto di scelte consapevoli e mature o siano invece derivanti da pressioni esterne.
Ne deriva che il provvedimento, che deve essere opportunamente motivato, non deve necessariamente recepire la volontà espressa dal minore nel corso dell’audizione.
In sede di appello, qualora sia stato già sentito nel precedente grado di giudizio, il giudice non è tenuto a ripetere l’ascolto.
L’ascolto del minore si configura quindi come istituto fondamentale, atto a tutelare il suo interesse, che, considerato primario dal nostro ordinamento, dovrebbe essere ritenuto tale anche dai genitori, a prescindere dai conflitti esistenti tra gli adulti. Partner e genitore sono due ruoli diversi e i figli non dovrebbero diventare la posta in gioco di un conflitto che non deriva da loro.
Nell’ascolto dei minori i difensori non devono interferire. Tuttavia, noi avvocati, oltre che professionisti svolgiamo anche un ruolo di “assistenza psicologica” in procedimenti delicati quali sono quelli di separazione e divorzio. Siamo tenuti quindi a supportare le richieste dei nostri clienti ma anche a dare consigli che proteggano, per quanto possibile e ci compete, l’interesse dei minori che a volte, purtroppo, sfugge a chi è coinvolto in rivendicazioni patrimoniali e personali.