Art. 173 – Codice di Procedura Penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477 - aggiornato al D.Lgs. 08.11.2021, n. 188)

Termini a pena di decadenza. Abbreviazione

Articolo 173 - codice di procedura penale

1. I termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge (606, lett. c).
2. I termini stabiliti dalla legge a pena di decadenza non possono essere prorogati, salvo che la legge disponga altrimenti.
3. La parte a favore della quale è stabilito un termine può chiederne o consentirne l’abbreviazione con dichiarazione ricevuta nella cancelleria o nella segreteria dell’autorità procedente.

Articolo 173 - Codice di Procedura Penale

1. I termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge (606, lett. c).
2. I termini stabiliti dalla legge a pena di decadenza non possono essere prorogati, salvo che la legge disponga altrimenti.
3. La parte a favore della quale è stabilito un termine può chiederne o consentirne l’abbreviazione con dichiarazione ricevuta nella cancelleria o nella segreteria dell’autorità procedente.

Massime

È inammissibile l’istanza di restituzione in termini per proporre opposizione alla richiesta di archiviazione, in quanto il termine di dieci giorni, previsto dall’art. 408, comma terzo, cod. proc. pen. in favore della persona offesa, non ha natura perentoria, bensì meramente ordinatoria. Cass. pen. sez. VI 25 settembre 2014, n. 39778

I termini per la proposizione della domanda di oblazione, previsti dagli artt. 162 e 162 bis c.p.sono da considerare perentori, pur in presenza della innovativa disposizione (rispetto al codice di rito previgente), contenuta nell’art. 173, comma 1, c.p.p.secondo cui «i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi stabiliti dalla legge», giacché tale disposizione non impedisce di far derivare la perentorietà dalla natura stessa dei termini quando, come nella specie, essi, pur avendo natura processuale, siano stabiliti non dal codice di procedura penale (nella cui stesura il legislatore delegato ha avuto cura di indicare espressamente i casi in cui la loro inosservanza dava luogo a decadenza), ma da disposizioni contenute in altre leggi, sulle quali il medesimo legislatore delegato non aveva poteri d’intervento. Cass. pen. sez. III 24 aprile 1998, n. 4851

Il termine di venti giorni che l’art. 27 c.p.p. stabilisce con carattere di perentorietà a pena di inefficacia della misura coercitiva adottata da giudice dichiaratosi incompetente, non si sottrae, nonostante detto suo carattere, alla regola generale stabilita dall’art. 172 stesso codice, né, in difetto di contraria statuizione, influenza il metodo di calcolo del decorrere del termine previsto da detta norma. Difatti, il termine in questione non è di quelli automaticamente incidenti sullo status libertatis, dato che, nell’ipotesi in cui sia sorto conflitto sulla competenza, il termine medesimo decorre, ai sensi dell’art. 32 c.p.p.dalla comunicazione dell’estratto della sentenza ai giudici in conflitto. (In motivazione la Suprema Corte ha chiarito che, argomentando per analogia, se ne deve inferire che, qualora il conflitto non sorga, i venti giorni devono trovare il loro dies a quo nel momento di conoscenza del provvedimento emesso dal giudice dichiaratosi incompetente nel giorno di arrivo degli atti nella cancelleria del giudice ritenuto competente). Cass. pen. sez. VI 23 marzo 1994, n. 3523

I termini stabiliti a pena di decadenza possono essere prorogati o sospesi nei casi e modi stabiliti dalla legge (art. 173, secondo comma, c.p.p.). Tra tali casi è ricompreso anche quello sul procedimento incidentale di costituzionalità e dei relativi termini, in quanto la sospensione del giudizio, nel quale venga ritenuta non manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale, non è facoltativa o affidata alla valutazione discrezionale del giudice remittente, ma è imposta obbligatoriamente dall’art. 23, secondo comma della L. 11 marzo 1953, n. 87. (Nella specie la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del tribunale, in sede di riesame, che aveva sospeso il procedimento con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio incidentale di costituzionalità dell’art. 324, sesto comma, c.p.p. Il ricorrente aveva dedotto l’illegittimità della disposta sospensione del procedimento, essendo previsto dall’art. 309, decimo comma, c.p.p. l’obbligo di decidere entro il termine di dieci giorni a pena di inefficacia della misura cautelare). Cass. pen. sez. VI 7 luglio 1992, n. 2090

In materia di gravame avverso le ordinanze concernenti misure cautelari personali, l’inosservanza del termine di venti giorni dalla ricezione degli atti stabilito dall’art. 310 c.p.p. per la decisione del tribunale in sede di appello non comporta l’inefficacia del provvedimento restrittivo. Ciò in quanto in difetto di un’espressa previsione normativa in senso diverso, a tale termine deve attribuirsi natura ordinatoria e non perentoria. Cass. pen. sez. II 25 giugno 1992

Poiché a mente dell’art. 173, comma primo, nuovo c.p.p. «i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge», il termine fissato in sette giorni dall’art. 458, comma primo, dello stesso codice ed assegnato all’imputato, di cui è stato disposto che venga tratto a giudizio immediato, per chiedere invece il giudizio abbreviato, è perentorio in quanto la stessa norma prevede la decadenza, mentre il termine di cinque giorni assegnato al pubblico ministero per esprimere il consenso a tale rito non è accompagnato da eguale comminatoria e va quindi qualificato come ordinatorio. Cass. pen. sez. I 31 ottobre 1990

Il termine di cinque giorni entro il quale il pubblico ministero può – ex art. 458 c.p.p. – esprimere il proprio consenso sulla richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato non è perentorio. Cass. pen. sez. I 31 ottobre 1990 (c.c. 20 settembre 1990 n. 2721)

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