Art. 62 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Circostanze attenuanti comuni

Articolo 62 - codice penale

Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali (63), le circostanze seguenti:
1) l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;
2) l’aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui (599);
3) l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale (102104) o professionale (105), o delinquente per tendenza (108);
4) l’avere, nei delitti contro il patrimonio (624 ss., 1135 ss. c.n.), o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità; (1)
5) l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa;
6) l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni (185); o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reat; o l’avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati. (2)

Articolo 62 - Codice Penale

Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali (63), le circostanze seguenti:
1) l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;
2) l’aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui (599);
3) l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale (102104) o professionale (105), o delinquente per tendenza (108);
4) l’avere, nei delitti contro il patrimonio (624 ss., 1135 ss. c.n.), o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità; (1)
5) l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa;
6) l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni (185); o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reat; o l’avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati. (2)

Note

(1) Il presente numero è stato così sostituito dall’art. 2, L. 07.02.1990. n. 19.
(2) Il presente numero è stato così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150 con decorrenza dal 30.12.2022 ed applicazione di cui al comma 2 bis, dell’art. 92, del suddetto decreto modificante, così come modificato dall’art. 5 novies, D.L. 31.10.2022, n. 162, così come inserito dall’allegato alla legge di conversione, L. 30.12.2022, n. 199 con decorrenza dal 31.12.2022.

Massime

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma primo, ord. pen., in relazione agli artt. 3, 24 e 27 Cost., nella parte in cui non esclude dal novero dei reati ostativi cd. di “prima fascia” quello di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel caso di mera partecipazione e di concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen., in quanto il riconoscimento di circostanze attenuanti idonee a mitigare il trattamento sanzionatorio non incide sulla scelta del legislatore di considerare il reato di particolare allarme sociale e meritevole di un trattamento più rigoroso in sede esecutiva. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 20503 del 9 luglio 2020 (Cass. pen. n. 20503/2020)

In tema di furto in abitazione, qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti soggette a giudizio di comparazione concorrano con la circostanza aggravante privilegiata di cui agli artt. 624-bis, comma terzo, e 625 cod. pen., sulla pena determinata in ragione dell’aumento applicato per questa, sottratta al giudizio di comparazione, deve essere calcolata la diminuzione per le eventuali attenuanti riconosciute, ancorché queste siano state separatamente assorbite con giudizio di equivalenza nel bilanciamento con altre aggravanti non privilegiate. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 19083 del 23 giugno 2020 (Cass. pen. n. 19083/2020)

In tema di bancarotta patrimoniale per distrazione, non è configurabile l’attenuante della riparazione del danno, di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., qualora la restituzione di beni oggetto della condotta distrattiva sia avvenuto a seguito del prospettato esercizio dell’azione revocatoria da parte del curatore fallimentare e non per iniziativa dell’imputato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8445 del 2 marzo 2020 (Cass. pen. n. 8445/2020)

In riferimento alla fattispecie aggravata di cui all’art. 495, comma secondo, n. 2, cod. pen., l’attenuante del ravvedimento attivo, di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., non può essere applicata nell’ipotesi in cui le mendaci dichiarazioni circa la propria identità personale siano state trasfuse in una sentenza di condanna pronunziata nei confronti del soggetto del quale siano state declinate falsamente le generalità in quanto le condotte riparatorie, eventualmente poste in essere dall’autore del reato, non sarebbero idonee concretamente ad elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5723 del 13 febbraio 2020 (Cass. pen. n. 5723/2020)

Non è configurabile la circostanza attenuante della provocazione, di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen., nel caso in cui la condotta criminosa venga posta in essere quale reazione a un fatto ingiusto erroneamente attribuito alla vittima, atteso che, in tal caso, trova applicazione la disciplina prevista dall’art. 59, comma terzo, cod. pen., secondo cui se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui. (Fattispecie in cui è stata esclusa la circostanza attenuante in relazione alla condotta del ricorrente che, assistendo ad una colluttazione tra il figlio e la vittima, sorpresa dal primo a rubare dei meloni, ignorando tale circostanza, inseguiva la vittima, esplodendo più colpi di fucile due dei quali la attingevano mortalmente) Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 45322 del 7 novembre 2019 (Cass. pen. n. 45322/2019)

Non può essere invocata l’attenuante della provocazione quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l’agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni. (Fattispecie relativa a reato di stalking in cui la Corte ha escluso sia la scriminante della legittima difesa, sia l’attenuante della provocazione invocata dal ricorrente, poichè le reciproche azioni violente si erano verificate nel contesto di una perdurante condotta persecutoria da parte dell’imputato in danno della vittima, che era stata attesa sotto casa e lì aggredita). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 27698 del 15 giugno 2018 (Cass. pen. n. 27698/2018)

La circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 5 c.p., costituita dall’ “essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa”, è configurabile quando la condotta della persona offesa non soltanto si inserisce nella serie causale di produzione dell’evento, ma si collega anche sul piano della causalità psicologica a quella del soggetto attivo, nel senso che la persona offesa abbia voluto la realizzazione dello stesso evento avuto di mira dall’agente.(Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che bene fosse stata esclusa la sussistenza della circostanza in questione in un caso in cui la persona offesa del reato di truffa, poi degenerato in rapina, avrebbe agito nella prospettiva di commettere a sua volta un reato di ricettazione). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 25915 del 7 giugno 2018 (Cass. pen. n. 25915/2018)

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 6 cod. pen., è necessario che la riparazione del danno, oltre che volontaria ed integrale, sia anche effettiva nel senso che la somma di danaro proposta dall’imputato come risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale deve essere offerta alla parte lesa in modo da consentire alla medesima di conseguirne la disponibilità concretamente e senza condizioni di sorta, nel rispetto delle prescrizioni civilistiche relative al versamento diretto del danaro o a forme equipollenti che rivelano la reale volontà dell’imputato di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze dannose del reato commesso. (Nella specie, è stata esclusa l’attenuante perché l’imputato aveva offerto, mediante lettera raccomandata, peraltro non recapitata, una somma di danaro non quantificata).
Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 21517 del 15 maggio 2018 (Cass. pen. n. 21517/2018)

La circostanza aggravante speciale della finalità di odio razziale (art. 3 d.l. 26 aprile 1993 n. 122) è compatibile con l’attenuante comune della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 c.p., non potendosi considerare due stati d’animo contrastanti e reciprocamente escludenti, da un lato, quello diretto a rendere percepibile all’esterno un sentimento d’odio, senza che rilevi la mozione soggettiva dell’agente (ovvero i motivi che lo hanno spinto alla commissione del reato), e dall’altro, quello comportante l’attenuazione della gravità del fatto. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2630 del 22 gennaio 2018 (Cass. pen. n. 2630/2018)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., qualora la persona offesa non abbia accettato il risarcimento, è necessario che l’imputato proceda ad offerta reale dell’indennizzo ai sensi degli artt. 1029 e ss. cod. civ., in modo che la somma sia a completa disposizione della persona offesa e che successivamente il giudice possa valutare l’adeguatezza e la riconducibilità ad una effettiva resipiscenza del reo. (Nella fattispecie la S.C. ha respinto il ricorso dell’imputato evidenziando che non era stata fornita dalla difesa alcuna prova del fatto che la somma offerta a mezzo assegno circolare e rifiutata dalla parte offesa, fosse successivamente rimasta al di fuori della disponibilità del ricorrente). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 56380 del 18 dicembre 2017 (Cass. pen. n. 56380/2017)

La circostanza attenuante comune dell’attivo ravvedimento, prevista dall’art. 62, comma primo, n. 6, seconda ipotesi, cod. pen. non può essere concessa per il fatto che l’autore del reato abbia intrapreso un percorso terapeutico volto alla comprensione del disvalore del reato commesso, e, quindi, in relazione a semplici stati psicologici interiori dell’imputato, essendo, invece, necessaria l’elisione delle conseguenze dannose della condotta. (Fattispecie di realizzazione di materiale pedopornografico in cui la S.C. ha, altresì, puntualizzato che eventuali percorsi interiori di comprensione del disvalore del reato commesso possono essere al più valutati ai fini della determinazione della pena, ai sensi dell’art. 133, comma secondo, n. 3), cod. pen., ovvero del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, di cui all’art. 62-bis, cod. pen.). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 38635 del 2 agosto 2017 (Cass. pen. n. 28292/2017)

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. “per accumulo”, si richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, la cui esistenza è, tuttavia, da escludersi, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e reazione. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato con rinvio la decisione con cui la Corte di assise di appello ha escluso l’attenuante della provocazione nei confronti dell’imputato, che aveva ucciso il genero, esplodendo al suo indirizzo sei colpi di pistola, non verificando se l’azione fosse da collegare alla condizione di persistente tensione emotiva nella quale versava da tempo l’imputato per la condizione di disagio familiare patita dalla figlia, che aveva presentato diverse querele nei confronti del coniuge, riacutizzata da un ultimo episodio vessatorio compiuto dalla vittima, che si era rifiutata di colloquiare con il suocero per un chiarimento in merito alla situazione di tensione che si era determinata con la moglie). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 28292 del 7 giugno 2017 (Cass. pen. n. 28292/2017)

Nei reati sessuali, la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen. non è configurabile con riferimento all’ipotesi di ravvedimento attivo di cui alla seconda parte della disposizione, postulando una reversibilità degli effetti delittuosi non applicabile a reati di natura istantanea, come quelli indicati, nei quali la realizzazione del fatto tipico integra ed esaurisce l’offesa; l’attenuante è invece sempre configurabile con riferimento all’ipotesi di risarcimento del danno di cui alla prima parte della disposizione citata, sempre che il reo provveda alla integrale riparazione di ogni conseguenza pregiudizievole, anche di natura non patrimoniale, derivata dal reato.

Nei reati sessuali, nel caso di somma offerta a titolo di risarcimento del danno alla persona offesa e da questa accettata, il giudice che ritenga tale somma insufficiente al ristoro dell’integrale pregiudizio, e dunque inidonea a dimostrare l’effettivo ravvedimento del colpevole, deve negare la circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 6, cod. pen., non potendo tuttavia limitarsi ad enunciare, quale elemento ostativo al suo riconoscimento, l’inadeguatezza del risarcimento versato in relazione al danno morale e di relazione patito dalla vittima, ma dovendo invece esprimere una rigorosa valutazione delle specifiche configurazioni assunte dal danno non patrimoniale in relazione alle concrete ripercussioni negative sulla vittima, in relazione alle quali commisurare la liquidazione equitativa. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 18483 del 13 aprile 2017 (Cass. pen. n. 18483/2017)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, non integra di per sé “fatto ingiusto”, il comportamento di un genitore che interferisca nelle scelte sentimentali della figlia maggiorenne, con lui convivente, in quanto i doveri genitoriali non si conformano ad tempus e possono persistere al cospetto di comportamenti da parte dei figli maggiori di età, ma conviventi, su cui il genitore ritenga di intervenire. (In applicazione del suddetto principio, la Suprema Corte ha ritenuto legittima l’esclusione dell’attenuante, invocata dal ricorrente, condannato per il tentato omicidio del padre della fidanzata, che ne aveva ostacolato la relazione in ragione del suo stile di vita e dopo averlo visto lanciare della sostanza stupefacente dal finestrino della propria autovettura, reputato dalla Corte quale valido motivo della condotta del genitore). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16595 del 3 aprile 2017 (Cass. pen. n. 16595/2017)

La misura della diminuzione della pena per ciascuna delle circostanze attenuanti applicate costituisce l’oggetto di una tipica facoltà discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere al relativo obbligo di motivazione, non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento. (In applicazione del principio la Corte ha censurato la decisione del giudice di appello che, riconosciuta la sussistenza della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 6, cod. pen., esclusa in primo grado, aveva, tuttavia, applicato una riduzione di pena esigua e sproporzionata rispetto a quella determinata in prime cure alle circostanze attenuanti generiche, giustificando tale scelta con la necessità di evitare che la pena fosse contenuta nei limiti previsti dall’art. 163 cod. pen. per la concessione della sospensione condizionale). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 6877 del 14 febbraio 2017 (Cass. pen. n. 6877/2017)

La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “res”, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale l’imputato invocava la configurabilità della predetta circostanza attenuante in una fattispecie di furto di merce del valore commerciale di 82 euro, sul presupposto che tale somma fosse irrilevante rispetto alla capacità economica del supermercato vittima del reato). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 6635 del 13 febbraio 2017 (Cass. pen. n. 6635/2017)

La responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell’illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha individuato un nesso mediato ma eziologicamente rilevante tra i danni causati in maniera diretta dai reati fine dell’associazione a delinquere e le condotte associative che hanno garantito le condizioni per la loro determinazione, ancorché per i reati fine l’imputato fosse stato assolto, escludendo perciò la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen., essendo inidonea all’uopo l’offerta risarcitoria dell’imputato da riferirsi anche a tali danni). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4701 del 31 gennaio 2017 (Cass. pen. n. 4701/2017)

Non è configurabile la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità con riferimento al delitto di ricettazione avente ad oggetto assegni in bianco e documenti, poiché il valore da considerare per la valutazione del danno non è quello dello stampato, ma quello, non determinabile, derivante dalla sua potenziale utilizzabilità. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 24075 del 5 giugno 2015 (Cass. pen. n. 24075/2015)

Ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., la valutazione della speciale tenuità, nel caso di reato continuato, va effettuata non in relazione all’importo complessivo delle somme contestate, ma con riguardo al danno patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato. (Fattispecie in tema di peculato continuato, in cui la Corte ha censurato la sentenza che aveva negato il riconoscimento dell’attenuante sulla base della considerazione dell’importo complessivo delle somme percepite in relazione a ciascun fatto appropriativo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14040 del 3 aprile 2015 (Cass. pen. n. 14040/2015)

La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è applicabile anche ai reati che offendono la fede pubblica in quanto riferibile, in virtù del tenore testuale assunto dall’art. 62, comma primo, n. 4 cod. pen. a seguito della modifica introdotta dall’art. 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, a tutti i delitti determinati da motivi di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene tutelato, purché la speciale tenuità riguardi sia l’entità del lucro (conseguendo o conseguito dall’agente), sia l’entità dell’evento dannoso o pericoloso subito dalla vittima. (Fattispecie relativa al delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 9248 del 3 marzo 2015 (Cass. pen. n. 9248/2015)

La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante: ai fini dell’accertamento della tenuità del danno è, inoltre, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “res”. (In applicazione del principio la S.C. ha confermato la decisione del giudice di appello, il quale aveva escluso l’applicabilità della circostanza attenuante al furto di una cinepresa compiuto da un agente di polizia all’interno del proprio Commissariato, derivando da esso grave pregiudizio al rapporto fiduciario di servizio). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 8530 del 25 febbraio 2015 (Cass. pen. n. 8530/2015)

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. per accumulo, si richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, la cui esistenza è, tuttavia, da escludersi, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e reazione. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso l’attenuante della provocazione, nei confronti dell’imputato, che aveva inferto alla moglie ferite con un coltello multiuso, sfregiandole il viso, dopo che questa le aveva confessato il persistere della relazione con il cognato). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 51237 del 10 dicembre 2014 (Cass. pen. n. 51237/2014)

Ai fini della valutazione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 4, c.p., il giudice deve avere riguardo soltanto al “danno patrimoniale” (nel quale rientra anche quello fisico o morale procurato dalla condotta illecita alla persona offesa), e non può quindi attribuire rilievo ostativo agli elementi indicati dall’art. 133 c.p., e, in particolare, alla capacità a delinquere. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 13575 del 24 marzo 2014 (Cass. pen. n. 4033/2014)

La circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto postula la sussistenza di una riunione imponente e disordinata di individui che, per effetto di una spinta emozionale, reagisca in modo improvviso e rumoroso e il mancato concorso nonché la mancata confluenza dell’autore con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto reato. (Fattispecie relativa ad una violenta aggressione posta in essere dal ricorrente ed altri tre individui, in danno degli agenti di polizia municipale intenti al controllo di un veicolo, in la S.C. ha escluso l’aggravante). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11915 del 12 marzo 2014 (Cass. pen. n. 4033/2014)

Le circostanze attenuanti generiche non possono essere riconosciute solo per l’incensuratezza del’l’imputato, dovendosi considerare anche gli altri indici desumibili dall’art. 133 c.p.. (Principio affermato in relazione al testo dell’art. 62 bis c.p. vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 125 del 2008). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4033 del 29 gennaio 2014 (Cass. pen. n. 4033/2014)

Agli effetti della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 c.p. la durata del danno nel reato di furto assume rilevanza solo come elemento complementare – e non alternativo – di quello del valore della cosa sottratta. Ne consegue che, se la cosa è di grande valore in sé, a nulla rileva che sia stata sottratta soltanto per brevi momenti: il danno è obiettivamente grave per il solo fatto dello spossessamento, sia pure limitato nel tempo. Al contrario, nel caso di recupero in brevissimo tempo di una somma sottratta di non grossa entità, il danno di speciale tenuità può ravvisarsi, nella indifferenza del valore della cosa sottratta, in ragione del minimo pregiudizio che la breve sottrazione ha causato. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 3167 del 23 gennaio 2014 (Cass. pen. n. 3167/2014)

La circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che una irregolare e imprudente manovra di guida della persona offesa potesse giustificare l’applicazione della invocata attenuante, alla condotta dell’imputato, che aveva reagito mostrando un coltello e posizionando la propria autovettura in modo da impedire alla vittima di proseguire nella marcia). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 604 del 9 gennaio 2014 (Cass. pen. n. 604/2014)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso l’applicabilità dell’attenuante nel caso di “provocazione lenta”, frutto di ipotizzate vessazioni da parte della vittima del delitto di omicidio che ostacolava la relazione extraconiugale della moglie e la cui gelosia non era sfociata in alcun modo in condotte violente). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 47840 del 2 dicembre 2013 (Cass. pen. n. 47840/2013)

In tema di atti sessuali con minorenne, la valutazione della congruità dell’offerta risarcitoria ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. non può essere condotta sulla scorta di un semplice “criterio equitativo” ma deve tener conto della dimensione concreta degli effetti del reato, da determinarsi anche con l’ausilio di perizie mediche o psicologiche. (Nel caso di specie la Corte ha censurato la motivazione della sentenza di merito che aveva considerato incongrua l’offerta risarcitoria sul presupposto, non documentato, della compromissione del regolare sviluppo psico-fisico della minore). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 45179 del 8 novembre 2013 (Cass. pen. n. 45179/2013)

Un risarcimento dei danni non integrale seppure non consente il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen., può essere valutato dal giudice in funzione della concessione delle attenuanti generiche. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34522 del 8 agosto 2013 (Cass. pen. n. 34522/2013)

La spontanea “ritrattazione” della denuncia non esclude la punibilità del delitto di calunnia, integrando un “post factum” irrilevante rispetto all’avvenuto perfezionamento del reato, eventualmente valutabile quale circostanza attenuante ai sensi dell’art. 62, n. 6, cod. pen. (Fattispecie relativa ad una falsa accusa di furto di un assegno, ritrattata dall’imputata il giorno successivo alla presentazione della denuncia). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 29536 del 10 luglio 2013 (Cass. pen. n. 29536/2013)

Nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità é applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima. (Fattispecie relativa al tentativo di furto di monete custodite in apposito cassetto di un distributore automatico di bevande). Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 28243 del 28 giugno 2013 (Cass. pen. n. 28243/2013)

Ai fini del diniego dell’attenuante della riparazione del danno, in presenza di una seppur generica dichiarazione liberatoria della persona offesa, il giudice è tenuto a motivare specificamente sulle ragioni per cui ritenga la stessa inadeguata e il risarcimento operato dall’imputato comunque insufficiente. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 26388 del 17 giugno 2013 (Cass. pen. n. 26388/2013)

Ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., il risarcimento, ancorché effettuato dalla società o dall’ente nell’ambito del quale opera l’imputato, deve ritenersi effettuato personalmente dall’imputato medesimo tutte le volte in cui questi ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio. (Fattispecie in cui la Corte ha riconosciuto l’attenuante al delegato alla sicurezza di un’azienda con riferimento al risarcimento effettuato dalla società titolare dell’azienda medesima). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 23663 del 31 maggio 2013 (Cass. pen. n. 23663/2013)

Ai fini della esclusione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 2 c.p., il requisito della proporzione tra fatto ingiusto e reazione, pur non avendo il carattere dell’essenzialità, può assumere rilevanza se l’accertata mancanza di un qualsiasi rapporto di adeguatezza della reazione al fatto provocatorio faccia sì che questo debba essere considerato un mero pretesto di cui l’agente abbia approfittato per dare sfogo alla propria prepotenza, violenza, malvagità d’animo o aggressività così escludendo la sussistenza del nesso causale fra fatto provocatorio e reazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16632 del 12 aprile 2013 (Cass. pen. n. 16632/2013)

La circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p. ricorre solo quando il danno patrimoniale subito dalla parte offesa come conseguenza diretta e immediata del reato sia di valore economico pressoché irrilevante. (Fattispecie relativa ai reati di ricettazione e detenzione e vendita di prodotti industriali con il marchio contraffatto). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 15576 del 4 aprile 2013 (Cass. pen. n. 15576/2013)

L’attenuante prevista per l’ipotesi che l’imputato si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato non può concorrere con quella della cosiddetta “dissociazione attuosa”, prevista dall’art. 8 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, poiché, benché entrambe facciano riferimento ad un comportamento dell’imputato idoneo ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, la seconda presenta elementi di specialità ravvisabili nel contesto criminale di riferimento, nelle modalità concrete attraverso le quali l’imputato perviene all’interruzione degli effetti dannosi del reato e negli effetti dispiegati sul trattamento sanzionatorio. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2833 del 18 gennaio 2013 (Cass. pen. n. 2833/2013)

Nel caso in cui il procedimento venga definito con giudizio abbreviato, il risarcimento del danno, ai fini del riconoscimento della relativa circostanza attenuante, deve aver luogo prima che sia pronunziata l’ordinanza prevista dall’art. 438, comma quarto, c.p.p.. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 45629 del 22 novembre 2011 (Cass. pen. n. 45629/2012)

La circostanza attenuante del danno di speciale tenuità non è integrata per il solo fatto della scarsa entità del valore della cosa (nella specie del denaro sottratto nel corso di una rapina), occorrendo far riferimento ad una valutazione il più completa possibile del danno. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 36916 del 13 ottobre 2011 (Cass. pen. n. 36916/2011)

La configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 c.p. implica, nel caso che la persona offesa del reato non abbia voluto accettare il risarcimento, che il colpevole faccia offerta reale nei modi stabiliti dagli art. 1209 e ss. c.c., e cioè che questa sia stata seguita dal relativo deposito o atto equipollente, sicché la somma sia a completa disposizione della persona offesa e successivamente il giudice possa valutare adeguatezza e tempestività dell’offerta, al fine di accertare l’effettiva resipiscenza del reo. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 36037 del 5 ottobre 2011 (Cass. pen. n. 36037/2011)

Non vi sono i presupposti per il riconoscimento dell’attenuante della riparazione del danno (art. 62, comma primo, n. 6 c.p.), nel caso in cui danneggiato dal reato sia un ente pubblico, ove manchi adeguata dimostrazione dell’esatta entità e congruità della somma versata, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera attestazione di pagamento di somme dovute in favore dell’ente danneggiato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 30123 del 28 luglio 2011 (Cass. pen. n. 30123/2011)

La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l’attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma quinto, D.P.R. n. 309/1990. (Fattispecie relativa alla vendita di due dosi di marijuana per la somma di euro 40,00, in cui la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione della Corte distrettuale in ordine all’esclusione del riconoscimento dell’attenuante “de qua”). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 20937 del 25 maggio 2011 (Cass. pen. n. 20937/2011)

La condotta criminosa posta in essere da un appartenente alla polizia giudiziaria nell’esercizio delle funzioni e con abuso di potere, non può essere qualificata dalla circostanza attenuante di motivi di particolare valore morale e sociale, prospettati sulla base dell’interesse pubblico di primaria importanza che l’attività di polizia giudiziaria è diretta a soddisfare.(In motivazione la Corte ha precisato che la commissione di un reato da parte di un appartenente alla polizia giudiziaria, pur se finalizzata al conseguimento di brillanti risultati investigativi, non riceve particolare approvazione dalla collettività, potendo gli stessi risultati essere legittimamente raggiunti con un’attività sotto copertura). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 18896 del 13 maggio 2011 (Cass. pen. n. 15111/2011)

La circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto non trova applicazione se l’autore abbia concorso e confluito con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto reato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 15111 del 13 aprile 2011 (Cass. pen. n. 15111/2011)

Ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. il risarcimento, ancorché eseguito dal comune datore di lavoro dell’imputato e della persona offesa, deve ritenersi effettuato personalmente dall’imputato tutte le volte in cui questi ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio. (Fattispecie relativa ad omicidio colposo addebitato al responsabile di un reparto della ditta presso la quale lavorava la p.o.). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 14523 del 11 aprile 2011 (Cass. pen. n. 14523/2011)

L’attenuante della riparazione del danno (art. 62, comma primo, n. 6 c.p.) non è applicabile nel caso in il risarcimento del danno sia l’effetto, in tutto o in parte, non già della libera determinazione degli imputati, bensì dell’opera di terzi (nella specie Ministero della Difesa). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 14461 del 11 aprile 2011 (Cass. pen. n. 14461/2011)

La circostanza attenuante comune dell’attivo ravvedimento (art. 62, comma primo, n. 6, seconda ipotesi, c.p.) non è applicabile ai reati contro il patrimonio, in quanto si riferisce esclusivamente all’elisione o all’attenuazione di quelle conseguenze che non consistono in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto incensurabile la motivazione del giudice di merito che ha statuito l’inapplicabilità della circostanza in questione al delitto di usura a fronte del parziale risarcimento del danno effettuato dall’imputato). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2970 del 27 gennaio 2011 (Cass. pen. n. 2970/2011)

L’attenuante di cui all’art. 62 n. 5 c.p., richiedendo la sussistenza del fatto doloso della persona offesa, rinvia, per la nozione del dolo, al precedente art. 43 e quindi presuppone che la persona offesa preveda e voglia l’evento dannoso come conseguenza della propria cooperazione attiva o passiva al fatto delittuoso dell’agente. (Nella specie è stata esclusa la ricorrenza dell’attenuante nella reazione a una rapina a mano armata da parte di un gioielliere che, al termine della colluttazione, finì ucciso dai rapinatori, sul rilievo che le confliggenti condotte della vittima e degli aggressori non costituivano elementi della medesima serie causale di produzione dell’evento, ma si ponevano in rapporto di mera occasionalità, nel senso che la reazione della persona offesa rappresentava l’antecedente). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 29938 del 29 luglio 2010 (Cass. pen. n. 29938/2010)

La possibilità di applicare simultaneamente l’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale e quella della provocazione è subordinata all’accertamento, in concreto, della loro ascrivibilità a distinte situazioni concrete, poiché qualora il fatto che ne è alla base sia unico, per il principio del “ne bis in idem” sostanziale che impedisce la reiterata valutazione del medesimo elemento ai fini della riduzione della pena, deve applicarsi una sola delle anzidette circostanze. (Fattispecie relativa ad omicidio volontario di persona che minacciava la figlia minorenne dell’agente e ne picchiava la convivente, in cui è stato ritenuto corretto il riconoscimento della sola attenuante della provocazione, a fronte di richiesta di valutazione del fatto anche ai fini della concessione dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 29929 del 29 luglio 2010 (Cass. pen. n. 29929/2010)

Le due circostanze attenuanti del reato contenute nell’art. 62 n. 6 c.p. (riparazione totale del danno e ravvedimento operoso) hanno sfere di applicazione autonome, l’una essendo correlata al danno inteso in senso civilistico, e cioè alla lesione patrimoniale o anche non patrimoniale, ma economicamente risarcibile, l’altra collegandosi, invece, al danno cosiddetto criminale, cioè alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata. Ne consegue che le due ipotesi, pur potendo essere congiuntamente applicate, con un unico effetto riduttivo, nei reati diversi da quelli contro il patrimonio, nei quali la condotta del colpevole, successiva alla commissione del reato, abbia distintamente realizzato le autonome previsioni normative, non sono tra loro fungibili né possiedono reciproca capacità integratrice, con la conseguenza che il parziale risarcimento del danno, che non attenui il reato secondo la prima previsione, non può essere valutato nemmeno con riferimento alla seconda ipotesi. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 27542 del 15 luglio 2010 (Cass. pen. n. 27542/2010)

La circostanza attenuante della riparazione del danno non si realizza, in riferimento ai fatti criminosi aventi ad oggetto l’emissione di assegni bancari senza copertura, con il solo pagamento dell’importo dell’assegno, essendo necessario che sia risarcito l’intero pregiudizio economico, rappresentato anche dalle spese, dagli interessi, dal lucro cessante. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 27191 del 14 luglio 2010 (Cass. pen. n. 27191/2010)

Non è configurabile l’attenuante della provocazione quando l’esistenza di pregressi contrasti tra autore del fatto e vittima abbia progressivamente condotto a reciproche aggressioni e ripicche in termini tali da non consentire l’attribuzione all’uno o all’altra di uno specifico fatto ingiusto quale causa immediata della reazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 26847 del 13 luglio 2010 (Cass. pen. n. 26847/2010)

È configurabile la circostanza attenuante della provocazione nel fatto, imputabile alla vittima del reato di tentato omicidio, di avere cagionato con un morso il distacco dell’orecchio dell’avversario, nel corso di un litigio avvenuto circa tre ore prima dell’aggressione, tempo che indica una sostanziale continuità tra litigio iniziale e violenta reazione successiva. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 25119 del 2 luglio 2010 (Cass. pen. n. 25119/2010)

La sussistenza della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità in riferimento ai delitti contro il patrimonio non ha riguardo soltanto al valore della cosa oggetto materiale del reato ma anche alla condotta dell’imputato nella sua globalità. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 21014 del 4 giugno 2010 (Cass. pen. n. 21014/2010)

Per la concessione dell’attenuante di cui al n. 4 dell’art. 62 c.p. può rilevare anche il criterio sussidiario del riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo, solo quando il danno, pur essendo di speciale tenuità oggettiva, può costituire un pregiudizio per la vittima, attese le sue disagiate condizioni economiche. (Nella specie, la Corte ha escluso che, ai fini della concessione della suddetta attenuante in relazione al furto ai danni di un supermercato di due bottiglie di champagne, potessero rilevare le condizioni economiche del soggetto passivo). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 20729 del 1 giugno 2010 (Cass. pen. n. 20729/2010)

I motivi di particolare valore morale o sociale cui l’art. 62, comma primo, n. 1, c.p. riconosce efficacia attenuante sono soltanto quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva, ed intorno ai quali vi sia un generale consenso. (Fattispecie nella quale la Corte non ha ravvisato motivi di particolare valore morale o sociale nella condotta degli imputati, resisi responsabili dei reati di interruzione di un servizio pubblico e di interruzione della libera circolazione sulle strade ferrate allo scopo di impedire il transito di un convoglio che trasportava armi ed altro materiale tra due basi militari U.S.A.). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 20312 del 28 maggio 2010 (Cass. pen. n. 13921/2010)

Anche ai fini della ricorrenza dell’attenuante della provocazione cosiddetta “per accumulo” si richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione, in relazione e in occasione di un ultimo episodio pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, non potendosi mai riconoscere la circostanza, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e reazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13921 del 13 aprile 2010 (Cass. pen. n. 13921/2010)

L’attenuante della riparazione del danno non è applicabile quando il completo risarcimento sia l’effetto, in tutto o in parte, non della libera determinazione degli imputati, bensì dell’opera di terzi (nella specie, recupero della refurtiva da parte della polizia). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 3998 del 29 gennaio 2010 (Cass. pen. n. 3998/2010)

La circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale (art. 62, comma primo, n. 4 c.p.) non è applicabile ai reati contro la fede pubblica (nella specie spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate).

Non ricorre l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale di cui all’art. 62, comma primo, n. 1 c.p., nel caso in cui l’imputato per il reato di spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate (art. 455 c.p.) affermi di aver voluto trasferire il denaro al padre residente in Marocco e con precarie condizioni di salute, in quanto l’operatività di detta attenuante presuppone che i motivi dell’azione criminosa superino l’entità della morale comune media, con la conseguenza che l’aiuto economico prestato dal figlio al padre malato non può essere riguardato come eccedente i limiti della normale solidarietà familiare e non è, dunque, ricollegabile ai ‘motivi di particolare valore morale e sociale previsti dalla norma in questione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 49674 del 28 dicembre 2009 (Cass. pen. n. 49674/2009)

Non integra la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6 c.p., la mera cessazione della condotta criminosa che non si risolva né in una volontaria riparazione del danno né nell’eliminazione delle conseguenze del reato. (Fattispecie nella quale è stato escluso il riconoscimento di tale circostanza al complice che, mediante segnalazione telefonica anonima diretta alla P.G., aveva fatto cessare la condotta di sfruttamento in concorso dell’altrui prostituzione). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 44015 del 18 novembre 2009 (Cass. pen. n. 44015/2009)

L’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale di cui all’art. 62, comma primo, n. 1, c.p. postula che, nell’intenzione dell’agente, l’azione delittuosa sia preordinata ad eliminare una situazione effettivamente esistente, ritenuta immorale o antisociale, e che tale movente sia oggettivamente conforme alla morale ed ai costumi del tempo del commesso reato ; detti presupposti non ricorrono nel caso che l’agente dichiari falsamente all’ufficiale dello stato civile di essere il padre naturale del figlio dell’allora convivente, trattandosi di motivo meramente personale inteso a rendere più salda l’unione con quest’ultima e quindi privo di quella componente oggettiva che legittima l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 1 c.p. (Nella specie, tra l’altro, il ricorrente, cessata la convivenza, aveva iniziato l’azione di disconoscimento di paternità). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 31635 del 29 luglio 2008 (Cass. pen. n. 31635/2008)

In tema di circostanze attenuanti comuni, l’attenuante prevista dall’art. 62, n. 6 c.p. non è concedibile ove il danno risarcibile sia di natura psichica o morale, in quanto le conseguenze di tale danno non sono suscettibili di spontanea ed efficace elisione od attenuazione. (Fattispecie in tema di reati sessuali ). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 24090 del 13 giugno 2008 (Cass. pen. n. 47039/2007)

Non può essere riconosciuta la circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale all’omicida del coniuge affetto da grave malattia (morbo di Alzheimer in stadio avanzato), il cui movente sia stato quello di porre fine a una vita di strazi, in quanto dall’azione criminosa non esula la finalità egoistica di trovare rimedio alla sofferenza, consistente nella necessità di accudire un malato grave ridotto in uno stato vegetativo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 47039 del 18 dicembre 2007 (Cass. pen. n. 47039/2007)

Ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, non integra il fatto ingiusto altrui richiesto dall’art. 62 n. 2 c.p. la mancata corresponsione del compenso pattuito per una prestazione carnale, in considerazione del carattere turpe dell’azione di chi si prostituisce e di chi ne compra i favori sessuali. (Fattispecie relativa a omicidio della persona che aveva rifiutato di corrispondere all’autore del reato, che esercitava la prostituzione, l’intera somma pattuita come prezzo del rapporto sessuale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 45514 del 5 dicembre 2007 (Cass. pen. n. 45514/2007)

L’attenuante dell’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale non è configurabile in relazione alla cosiddetta « causa d’onore» (In motivazione, la Corte di cassazione ha osservato che la « causa d’onore» è espressione di una concezione del rapporto di coniugio in contrasto con valori riconosciuti e tutelati anche dalla Costituzione, quali il rispetto della vita, la dignità della persona, l’uguaglianza di tutti i cittadini senza discriminazioni basate sul sesso, l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi all’interno della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 37352 del 10 ottobre 2007 (Cass. pen. n. 37352/2007)

In tema di reati paesaggistici, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante dell’art. 62, n. 6, seconda parte, c.p., costituisce fatto irrilevante l’essersi il reo attivato per ottenere il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria, in quanto detta autorizzazione non comporta da sola né l’eliminazione né l’attenuazione delle conseguenze del reato paesaggistico. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 36612 del 5 ottobre 2007 (Cass. pen. n. 36612/2007)

Ai fini della concessione dell’attenuante della riparazione del danno in caso di omicidio volontario, occorre che il risarcimento sia integrale, diretto cioè nei confronti di ciascuno dei congiunti della vittima, in quanto il diritto alla riparazione per la morte di una persona è acquisito iure proprio sicché a ciascuno deve essere liquidato il pregiudizio individualmente subito. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 21349 del 31 maggio 2007 (Cass. pen. n. 21349/2007)

Sussiste la circostanza attenuante comune della provocazione (art. 62, comma primo, n. 2, c.p.) qualora la reazione iraconda segua a breve distanza di tempo e di luogo rispetto alla condotta aggressiva tenuta dal provocatore. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2671 del 25 gennaio 2007 (Cass. pen. n. 2671/2007)

Deve ritenersi tempestivo, ai fini della concessione dell’attenuante del risarcimento del danno, l’intervento riparatorio effettuato prima della reiterazione delle formalità di apertura del dibattimento, una volta regredito il processo a causa del mutamento del giudice. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 33022 del 3 ottobre 2006 (Cass. pen. n. 33022/2006)

Sussiste l’attenuante del danno di speciale tenuità nel caso di furto di tessera bancomat, atteso che la carta plastificata, se il ladro non ne conosce il codice e non può usarla, non ha alcun valore in sé e la sua sottrazione cagiona l’unico danno consistente nelle spese per il duplicato. (La Corte ha specificato che la differenza rispetto al furto di carta di credito è la inutilizzabilità del bancomat in mancanza del codice). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 25870 del 25 luglio 2006 (Cass. pen. n. 25870/2006)

Non può essere riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p. nel caso di danneggiamento e furto di beni come conseguenza di una manifestazione contro la guerra, posto che le motivazioni politiche ispiratrici di comportamenti criminosi non possono venire in considerazione ai fini dell’attenuazione del trattamento sanzionatorio. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 21065 del 16 giugno 2006 (Cass. pen. n. 21065/2006)

La circostanza attenuante del «fatto doloso dell’offeso» (art. 62 n. 5 c.p.) attiene direttamente al nesso di causalità tra condotta ed evento del reato, nel senso che il fatto doloso del soggetto passivo deve risultare concausa efficiente dell’evento del reato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 15990 del 10 maggio 2006 (Cass. pen. n. 15990/2006)

In tema di reati contro il patrimonio, l’attenuante comune del danno di speciale tenuità (art. 62, comma primo, n. 4 c.p.) non si applica al delitto tentato (nella specie tentato furto), posto che il danno patrimoniale non è elemento costitutivo dell’ipotesi delittuosa. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11142 del 30 marzo 2006 (Cass. pen. n. 11142/2006)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, la valutazione del pregiudizio economico subito dal soggetto passivo va fatta con riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla sottrazione, a nulla rilevando il maggior danno che possa eventualmente verificarsi o si verifichi dopo il momento consumativo del reato (fattispecie nella quale la Corte ha escluso la rilevanza dei disagi che la persona offesa avrebbe dovuto subire per ottenere il rinnovo dei documenti sottratti). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 6770 del 23 febbraio 2006 (Cass. pen. n. 6770/2006)

Ai fini del riconoscimento dell’effetto attenuante al risarcimento del danno (art. 62, comma primo, n. 6 c.p.) è necessario che il danneggiato sia stato completamente integrato nella posizione qua ante, non essendo sufficiente, a tal fine, una qualsivoglia chiusura del rapporto risarcitorio conseguente al reato. Ne deriva che è immune da censure la decisione del giudice di appello che escluda detta attenuante nei confronti dell’imputato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta (artt. 216 e 223 L. fall.), il quale si sia limitato a restituire le somme indebitamente percepite a titolo di emolumenti non dovuti. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 46866 del 22 dicembre 2005 (Cass. pen. n. 46866/2005)

Per l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., si richiede che la riparazione del danno, tanto nella forma specifica della restituzione, quanto in quella del risarcimento, sia effettiva, integrale e volontaria. La detta circostanza, pertanto, non può trovare applicazione quando la dazione sia avvenuta tramite un intervento surrogatorio di una compagnia di assicurazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 46329 del 20 dicembre 2005 (Cass. pen. n. 46329/2005)

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità si deve tenere conto, quando oggetto del reato non sia una somma di denaro, del valore oggettivo della cosa e quando si tratti, come nella specie, di furto di un carnet di moduli per assegni bancari (non recanti la indicazione di importi), del valore oggettivo intrinseco (quello «cartaceo» dei moduli de quibus) del medesimo, cui va rapportato il danno diretto da reato, e non già di eventuali ulteriori pregiudizi che potrebbero derivare al soggetto passivo dall’uso da parte di terzi di quanto a lui sottratto, che non rientrano nella nozione del danno quale conseguenza immediata e diretta del reato. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 44639 del 7 dicembre 2005 (Cass. pen. n. 43342/2005)

A seguito della nuova formulazione dell’art. 62 n. 4 c.p., recata dall’art. 2 L. 7 febbraio 1990, n. 19, la circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purché la speciale tenuità riguardi congiuntamente l’entità del lucro (conseguendo o conseguito) e dell’evento dannoso o pericoloso (fattispecie relativa a delitto di falso nummario). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 43342 del 29 novembre 2005 (Cass. pen. n. 43342/2005)

L’attenuante del ravvedimento attivo (art. 62 n. 6 c.p.) non può essere applicata in riferimento al delitto di omicidio, perché essa implica che le condotte riparatorie siano efficaci, e quindi concretamente elidano o attenuino le conseguenze dannose o pericolose del reato, ed invece la commissione dell’indicato delitto determina l’irreversibile distruzione del bene giuridico protetto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 34342 del 26 settembre 2005 (Cass. pen. n. 34342/2005)

Sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62, comma primo, n. 4) nell’ipotesi di furto di una carta telefonica Sim, la quale ha un costo modesto (20 o 25 euro) e un credito telefonico che, ove sussistente, non supera i cinquanta o i cento euro; né si determinano a seguito del detto furto, danni ulteriori posto che il titolare della carta rubata può conservare il numero di telefono che gli era stato attribuito. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 33093 del 13 settembre 2005 (Cass. pen. n. 33093/2005)

Le distinte ed autonome circostanze attenuanti di natura soggettiva previste dall’art. 62 n. 6 c.p. (riparazione totale del danno e ravvedimento operoso) attribuiscono rilievo alla condotta dell’autore del reato successivamente alla consumazione dello stesso al fine di ripararne le conseguenze: nella prima il danno è inteso in senso civilistico come lesione patrimoniale o non patrimoniale, ma economicamente risarcibile (art. 185 cpv. c.p.; art. 2059 c.c.); nella seconda, invece, esso è considerato — unitamente al pericolo di danno — nel suo significato penalistico, ossia quale lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma incriminatrice. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 17637 del 10 maggio 2005 (Cass. pen. n. 17637/2005)

Sussiste la circostanza attenuante comune della provocazione (art. 62, n. 2, c.p.) anche quando la reazione iraconda non segua immediatamente il fatto ingiusto — a differenza di quel che richiede l’esimente di cui all’art. 599 c.p. nel delitto di diffamazione — ma consegua ad un accumulo di rancore, per effetto di reiterati comportamenti ingiusti, esplodendo, anche a distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12860 del 6 aprile 2005 (Cass. pen. n. 12860/2005)

In tema di attenuante del risarcimento del danno, alla luce dell’interpretazione adeguatrice dell’art. 62, n.6, c.p. fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 138 del 1998, deve ritenersi che detta attenuante (da riguardarsi come soggettiva solo relativamente agli effetti mentre, quanto al suo contenuto, è qualificabile come essenzialmente oggettiva), sia riconoscibile anche nel caso in cui il risarcimento sia stato effettuato da un istituto o un’impresa di assicurazione. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 46557 del 1 dicembre 2004 (Cass. pen. n. 46557/2004)

La circostanza attenuante della provocazione non è applicabile nell’ipotesi di reato unito dalla continuazione ad altro reato, perché la reiterazione annulla l’effetto iniziale della provocazione, rivelando il subentrare all’originaria situazione emotiva di spinte psicologiche, diverse dallo stato d’ira. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 38020 del 27 settembre 2004 (Cass. pen. n. 38020/2004)

L’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, comma primo, n. 4, c.p.), non può trovare applicazione nel caso dei reati di contrabbando, in cui l’interesse protetto non è il patrimonio dello Stato ma il suo diritto sovrano alla imposizione e riscossione dei tributi. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 34912 del 25 agosto 2004 (Cass. pen. n. 34912/2004)

La circostanza attenuante del ravvedimento operoso prevista dalla seconda parte dell’art. 62, n. 6 c.p. ha pacificamente natura soggettiva ed è ravvisabile solo se l’azione è determinata da motivi interni e non influenzata da fattori quali l’arresto e lo stato di detenzione. (Fattispecie in cui l’imputato aveva confessato ed indicato il luogo in cui aveva occultato il cadavere a seguito dell’arresto avvenuto per altro reato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 28554 del 24 giugno 2004 (Cass. pen. n. 28554/2004)

L’attenuante del ravvedimento operoso prevista dall’art. 62 n. 6 c.p. consiste nell’elisione o attenuazione delle conseguenze del reato e pertanto non è applicabile ai reati di danno come l’omicidio che determinano la distruzione del bene giuridico protetto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 28272 del 23 giugno 2004 (Cass. pen. n. 28272/2004)

La circostanza attenuante della provocazione è configurabile solo in presenza di una situazione iniziale di legittimità o, almeno, di non illiceità dell’offensore, confliggente con una opposta condizione di illiceità dell’offeso e qualificata da un intento reattivo a siffatta situazione di illiceità. Ne consegue che essa non è applicabile a favore dell’autore di un delitto quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l’agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 26298 del 10 giugno 2004 (Cass. pen. n. 26298/2004)

Per il riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendosi la proporzione tra reazione ed offesa, occorre tener conto del criterio dell’adeguatezza come parametro utile alla valutazione dello stato d’animo del reo che, nel caso di evidente sproporzione, tradisce sentimenti e stati psicologici diversi dallo stato d’ira. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 24693 del 31 maggio 2004 (Cass. pen. n. 24693/2004)

In tema di circostanze attenuanti comuni, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 62 n. 4 c.p. il giudice deve motivare in ordine al valore intrinseco ed economico della cosa e non può limitarsi a valutarla unicamente in relazione alle sue potenzialità di uso ed al servizio da essa reso. (Nella fattispecie è stata annullata con rinvio la sentenza di appello nella parte in cui aveva negato l’attenuante citata in relazione al furto di un telefono cellulare affermando che l’oggetto, per il suo servizio e le sue potenzialità procura un danno e un guadagno non irrilevanti). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 20303 del 30 aprile 2004 (Cass. pen. n. 20303/2004)

In tema di circostanze attenuanti comuni, non può ritenersi avvenuta l’intera riparazione del danno mediante il risarcimento di esso nell’ipotesi in cui l’imputato abbia soltanto prodotto il proprio mero impegno per un successivo versamento, da effettuarsi a favore della parte lesa (nella fattispecie, minorenne), di una somma custodita in deposito presso il difensore (il quale l’avrebbe consegnata alla minore a seguito di autorizzazione del giudice tutelare). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 16883 del 9 aprile 2004 (Cass. pen. n. 16883/2004)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo «stato d’ira» costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il «fatto ingiusto altrui» costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati; c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che non potesse escludersi – come invece avevano fatto i giudici di merito con motivazione giudicata inadeguata – la sussistenza dell’attenuante in discorso in un caso di lesioni volontarie in danno di un giornalista intervenuto alle esequie di un suicida, nonostante che la famiglia del defunto ed il gruppo politico anarchico di cui lo stesso aveva fatto parte avessero manifestato energica contrarietà alla presenza della stampa). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12558 del 16 marzo 2004 (Cass. pen. n. 12558/2004)

Le due ipotesi attenuatrici del reato (riparazione totale del danno e ravvedimento operoso), contenute nell’art. 62 n. 6 c.p., hanno sfere di applicazione di regola autonome: l’una è, infatti, correlata al danno inteso in senso civilistico, e cioè alla lesione patrimoniale o anche non patrimoniale, ma economicamente risarcibile; l’altra si collega, invece, al danno cosiddetto criminale, cioè alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che intimamente ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata. Ne consegue che le due fattispecie, pur potendo essere congiuntamente applicate, con un unico effetto riduttivo, nei reati diversi da quelli contro il patrimonio, nei quali la condotta del colpevole, successiva alla emissione del reato, abbia distintamente realizzato le autonome previsioni normative, non sono tra loro fungibili nè possiedono reciproca capacità integratrice, con la conseguenza che il parziale risarcimento del danno, che non attenui il reato secondo la prima previsione, non può essere valutato nemmeno con riferimento alla seconda ipotesi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4304 del 4 febbraio 2004 (Cass. pen. n. 4304/2004)

Ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi. (Nella specie la Corte ha ritenuto che nel delitto di usura, ai fini della concessione della predetta attenuante, il danno da valutare è quello corrispondente al pregiudizio economico in concreto subito dalla parte offesa con il pagamento o la promessa di pagamento di interessi usurari, restando del tutto irrilevanti gli eventuali inadempimenti successivi della vittima dell’usura, quali la sospensione del pagamento delle rate stabilite per la restituzione del capitale). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 4287 del 4 febbraio 2004 (Cass. pen. n. 4287/2004)

In tema di ricettazione, ai fini della valutazione della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. per valutare l’entità del danno cagionato dal reato di ricettazione di assegni circolari e bancari si deve tener conto dell’importo risultante dai titoli unicamente se il fatto di ricettazione ha avuto per oggetto un assegno già compilato con l’indicazione dell’importo. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2919 del 27 gennaio 2004 (Cass. pen. n. 2919/2004)

L’attenuante di aver cagionato alla persona offesa del reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall’art. 62 n. 4 c.p., è compatibile con l’ipotesi attenuata di ricettazione prevista dall’art. 648, secondo comma, c.p. solo se la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto che caratterizza l’ipotesi attenuata di ricettazione, perché ove il danno patrimoniale sia stato tenuto presente in tale giudizio l’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 è assorbita nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, secondo comma, c.p. (Nella fattispecie, relativa alla ricettazione di alcuni assegni inutilizzabili, la Corte ha escluso la applicabilità dell’attenuante ex art. 62 n. 4 c.p. proprio in ragione del fatto che il giudice di merito aveva già compiuto una valutazione relativa alla estrema tenuità del valore patrimoniale del bene per riconoscere l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 648 c.p.). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 46031 del 28 novembre 2003 (Cass. pen. n. 46031/2003)

In tema di ricettazione, pur essendo compatibile il riconoscimento dell’ipotesi attenuata di ricettazione prevista dall’art. 648 comma secondo c.p., con la concessione della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno, di cui all’art. 62 n. 4 c.p., deve essere esclusa la riconoscibilità dell’attenuante comune nel caso in cui il valore della cosa ricettata assurga ad unico elemento di valutazione per il riconoscimento dell’ipotesi attenuata, onde evitare la duplicazione di circostanze favorevoli basate sulla considerazione del medesimo parametro (in applicazione di tale principio la Corte ha rigettato il ricorso del P.M. volto a contestare la concessione dell’attenuante speciale, basata sulla modestia dell’importo dalla somma ricettata, in luogo di quella comune). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 43394 del 12 novembre 2003 (Cass. pen. n. 43394/2003)

Al fine di ritenere configurabile la circostanza attenuante della provocazione nell’ipotesi di reazione del soggetto provocato diretta contro persona diversa dal provocatore, occorre che la vittima sia legata al provocatore da un rapporto che renda plausibile la reazione nei suoi confronti e, quindi, è necessaria, se non una sua compartecipazione nel fatto provocatorio, almeno la sussistenza di rapporti giuridicamente o moralmente apprezzabili – come quelli di parentela o di solidarietà – tra il provocatore e la vittima stessa, così che sussista un nesso causale tra il fatto del provocatore, i rapporti tra costui e il terzo e la reazione dell’agente nei confronti di quest’ultimo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 35607 del 23 ottobre 2002 (Cass. pen. n. 36299/2001)

La circostanza attenuante comune prevista dall’art. 62 n.4 c.p. è configurabile anche con riferimento al delitto di cui all’art. 171-ter della legge 22 aprile 1941 n. 633 (abusiva duplicazione, riproduzione, vendita, cessione o noleggio di opere destinate al circuito cinematografico o televisivo, dischi, musicassette, videocassette e simili) qualora ricorrano simultaneamente la condizione del perseguimento (o del conseguimento), da parte dell’autore del reato, di un lucro di speciale tenuità e quella della produzione, a detrimento della parte offesa, di un evento dannoso o di una situazione di pericolo, entrambi di speciale tenuità. A tal fine il giudice è chiamato a verificare in concreto il presupposto della speciale tenuità e la sua valutazione è censurabile in sede di legittimità solo per mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 36299 del 8 ottobre 2001 (Cass. pen. n. 36299/2001)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.) in riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona (che non coincide necessariamente con il titolare del diritto sulla cosa sottratta) contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il delitto de quo ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto; ne consegue che, in applicazione della seconda parte della disposizione citata, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante; il relativo apprezzamento, risolvendosi nella verifica di circostanze fattuali, è riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 21872 del 30 maggio 2001 (Cass. pen. n. 21872/2001)

In tema di furto di energia elettrica in utenza domestica, l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. (danno di particolare lievità) non può, di regola, essere concessa in quanto nelle abitazioni l’appropriazione illecita di energia avviene con flusso continuo e la consumazione del reato deve ritenersi protratta per tutto il periodo in cui la casa venga abitata. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 12716 del 30 marzo 2001 (Cass. pen. n. 12716/2001)

In tema di unificazione con il vincolo della continuazione di vari reati, per applicare una circostanza attenuante non è necessario che questa sia presente in ciascuno dei delitti facenti parte della fattispecie complessa, essendo sufficiente ch’essa ricorra in ordine al reato più grave. (Fattispecie in cui, facendo applicazione di questo principio, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza della corte d’appello che non aveva applicato la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. in quanto ritenuta sussistente solo in ordine al reato di furto e non anche al delitto di tentata estorsione, valutato come più grave). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7302 del 22 febbraio 2001 (Cass. pen. n. 7302/2001)

Al fine della concessione dell’attenuante dell’integrale riparazione del danno prevista dall’art. 62 n. 6 c.p., il giudice di merito può tenere conto anche dei danni provocati a persone offese non costituite in giudizio o non identificate, atteso che la materiale difficoltà di rintracciare tali persone non esonera l’agente dall’obbligo di risarcimento. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che, in relazione ad una rapina, aveva escluso l’attenuante avendo riscontrato soltanto il risarcimento del danno contro il patrimonio e non anche di quello fisico e morale cagionato alle persone sottoposte a violenza e minaccia). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 702 del 24 gennaio 2001 (Cass. pen. n. 702/2001)

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione può costituire «fatto ingiusto» anche il ricorso a forme espressive non corrette, ma anzi caratterizzate da insolenza e villania e, quanto allo «stato d’ira», lo stesso è riconoscibile alla sola condizione che sussista un nesso di causalità che lo ricolleghi a quel fatto, senza che sia anche necessario quel rapporto di immediatezza che è invece richiesto, in materia di ingiurie, dall’art. 599, comma secondo, c.p., per la sussistenza dell’esimente ivi prevista. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha ritenuto che ingiustificatamente fosse stata esclusa l’applicabilità dell’attenuante in questione in favore della figlia di un noto uomo politico la quale, incontratasi casualmente con un altro uomo politico che, in precedenza, aveva espresso il desiderio di vedere il di lei padre «consumare il rancio nelle patrie galere», lo aveva apostrofato con un epiteto ingiurioso). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 630 del 23 gennaio 2001 (Cass. pen. n. 630/2001)

Non vi è compatibilità tra l’attenuante della provocazione e un reato a condotta abituale, quale quello di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 c.p., contrassegnato costitutivamente da una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura che si ripetono e si replicano nel tempo, posto che in tal caso quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto si presenta, in realtà, come espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, al quale l’ordinamento non può dare riconoscimento alcuno. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12307 del 29 novembre 2000 (Cass. pen. n. 12307/2000)

La circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, c.p., richiede che la condotta resipiscente dell’agente sia spontanea. Tale requisito non è escluso qualora l’indagato abbia reso confessione in presenza di prove evidenti della sua responsabilità; essendo sufficiente che il soggetto si sia adoperato senza pressioni o costrizioni a elidere o a attenuare le conseguenze del reato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5786 del 18 maggio 2000 (Cass. pen. n. 5786/2000)

L’attenuante del risarcimento del danno ex art. 62, n. 6 c.p., secondo le modalità previste dall’art. 6 del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 conv. nella L. 28 febbraio 1997, n. 30, è applicabile a tutti i reati tributari, sia che incriminino condotte prodromiche, sia che l’evasione dell’imposta costituisca elemento costitutivo del reato; essa è applicabile anche se l’amministrazione finanziaria non si è costituita parte civile e richiede che il risarcimento sia avvenuto nelle forme previste dalla norma citata. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 536 del 5 aprile 2000 (Cass. pen. n. 536/2000)

Ai fini della verifica delle condizioni alle quali l’art. 280 c.p.p. subordina l’applicazione, e quindi il mantenimento, di una misura coercitiva personale, occorre fare riferimento, dopo una sentenza di condanna, alle statuizioni della sentenza stessa. Nella ipotesi in cui il giudice, con detta sentenza, qualifichi differentemente il fatto contestato, inquadrandolo in una figura criminosa diversa meno grave, è a tale nuova qualificazione che deve aversi riguardo per verificare se permangano le condizioni di applicabilità della misura. Ugualmente deve affermarsi se vengano riconosciute circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle a effetto speciale (art. 278 c.p.p.). Viceversa, non assumono alcun rilievo le statuizioni della sentenza di condanna che attengono esclusivamente alla pena, quali la possibile concessione di attenuanti (diverse da quelle dell’art. 62, n. 4, c.p.) e il giudizio di comparazione tra queste e le aggravanti ritenute sussistenti. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4235 del 7 marzo 2000 (Cass. pen. n. 4235/2000)

La circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 5 c.p. (concorso del fatto doloso della persona offesa) non è applicabile ai delitti di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, sia sotto il profilo che il concorso della volontà della prostituta è elemento costitutivo delle due fattispecie, sia sotto il profilo che alla prostituta non può essere riconosciuta la qualità di persona offesa, ma soltanto di parte eventualmente danneggiata e di soggetto passivo, sia sotto il profilo che il fatto della prostituta costituisce soltanto occasione, prossima o remota, del delitto e non vera e propria causa o concausa dell’evento come prescrive l’art. 62 n. 5 c.p. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 285 del 13 gennaio 2000 (Cass. pen. n. 285/2000)

L’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 62 c.p. presuppone che il soggetto, dopo la consumazione del reato, si adoperi fattivamente per eliminare o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del commesso reato; essa non può essere invocata per avere l’imputato indicato il luogo dove era occultato altro stupefacente, circostanza che, attesa la natura permanente del reato di detenzione di sostanze stupefacenti, determina soltanto il cessare della condotta criminosa posta in essere, ma non già l’elisione o il ridimensionamento delle conseguenze del reato stesso posteriori rispetto al momento consumativo. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 13028 del 12 novembre 1999 (Cass. pen. n. 12323/1999)

In materia di stupefacenti, l’attenuante di cui all’art. 73, comma settimo, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 esclude l’applicabilità dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 6 c.p., in quanto, contenendo una formula quasi identica ed avendo anche una configurazione più ampia costituisce norma speciale rispetto all’altra. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 12323 del 30 ottobre 1999 (Cass. pen. n. 12323/1999)

In tema di circostanze del reato, ai fini del riconoscimento o dell’esclusione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.), il danno suscettibile di valutazione va commisurato al valore della cosa al momento della consumazione del reato e non al suo prezzo di acquisto. Pertanto, nella ipotesi di mancata precisazione, ad opera della persona offesa, dell’uno o dell’altro elemento, l’incertezza del parametro di riferimento deve essere risolta in bonam partem. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10361 del 1 settembre 1999 (Cass. pen. n. 10361/1999)

In tema di provocazione, la previsione dell’articolo 62 n. 2 c.p. è correlata ad un fatto ingiusto altrui cui consegue uno stato d’ira che, quale incontestabile impulso reattivo-aggressivo, scateni l’azione criminosa; l’attenuante deve pertanto essere esclusa quando il fatto provocatorio si ponga come mera occasione del delitto, da ricondurre ad un diverso movente o atteggiamento psicologico, insorto indipendentemente o anche dovuto ad una strutturazione e trasformazione dell’originario impulso emotivo in sentimento d’odio, rancore, vendetta o altro. Ed invero, pur non essendo richiesta una immediatezza della reazione, questa deve tuttavia essere collegabile ad un evento più prossimo e idoneo ad innescarla, sempre che non si sia verificata una trasformazione in un diverso sentimento. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 9695 del 29 luglio 1999 (Cass. pen. n. 9695/1999)

L’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p. non è applicabile ai reati di cessione di sostanze stupefacenti. Se è vero che detta circostanza presuppone relativamente all’ipotesi dei delitti determinati da motivi di lucro, quali in astratto potrebbero essere quelli in materia di stupefacenti, il conseguimento di «un lucro di speciale tenuità», tuttavia il requisito dell’«evento dannoso» di speciale tenuità – pure richiesto dalla norma – si attaglia pur sempre ai reati che offendono il patrimonio, e non è configurabile nei reati in materia di sostanze stupefacenti. Tali reati, infatti, risultano lesivi dei valori costituzionali attinenti alla salute pubblica, alla sicurezza e all’ordine pubblico, nonché alla salvaguardia sociale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7830 del 16 giugno 1999 (Cass. pen. n. 7830/1999)

In tema di circostanza attenuante per stato d’ira (art. 62 n. 2 c.p.), la provocazione, oltre che istantanea, può essere lenta protraendosi nel tempo senza mai raggiungere quella intensità di stimolazione da produrre nel perseguitato una «conflagrazione reattiva», ma determinando tuttavia in questi una «accumulazione» degli stimoli psichici cui è stato esposto, destinata ad esplodere, all’occasione, nel comportamento violento reattivo all’altrui fatto ingiusto Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6285 del 19 maggio 1999 (Cass. pen. n. 6285/1999)

A seguito dell’inciso aggiunto con l’art. 2 della L. del 7 febbraio 1990, n. 19 nel testo dell’art. 62, n. 4 c.p., secondo il quale «Nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità», l’attenuante è applicabile a ogni tipo di delitto, indipendentemente dalla natura del bene oggetto di tutela. (Nella specie si trattava di un’ipotesi di reato di violazione di sigilli – apposti su una costruzione abusiva – nella quale, tuttavia, l’attenuante non è stata applicata, non ritenendosi la sussistenza del requisito della «speciale tenuità», trattandosi di reato commesso per completare, in area vincolata a verde cimiteriale, un manufatto in cemento armato, di notevole grandezza: 2.400 mc. e 600 mq.). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7905 del 6 luglio 1998 (Cass. pen. n. 7905/1998)

Poiché l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. prende in considerazione il solo aspetto oggettivo del danno o del lucro, essa può configurarsi anche quando persona offesa dal reato sia lo Stato o altro ente pubblico, sicché il giudice non deve limitarsi a prendere in considerazione l’aspetto soggettivo della vittima ma deve estendere la propria valutazione all’entità del danno con riferimento al valore della cosa. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7104 del 12 giugno 1998 (Cass. pen. n. 7104/1998)

Al fine della sussistenza della circostanza attenuante della provocazione non occorre una vera e propria proporzione tra offesa e reazione; tuttavia occorre comunque l’adeguatezza della risposta rispetto alla gravità del fatto ingiusto. Infatti occorre un nesso causale tra il secondo ed il primo, nesso che va escluso in presenza di una consistentissima sproporzione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 701 del 21 gennaio 1998

Ai fini della applicabilità dell’attenuante della provocazione, uno stato d’animo caratterizzato da odio e rancore non è sufficiente ad integrare lo stato d’ira che l’art. 62 n. 2 del codice penale prevede quale elemento costitutivo dell’attenuante stessa. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione della corte di merito che aveva negato la concessione dell’attenuante, in questione all’imputato il quale, in conseguenza di un litigio, si era reso responsabile di lesioni personali pluriaggravate in danno di un individuo presso il quale si era in precedenza recato con intento punitivo ritenendolo autore di un furto). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6981 del 14 luglio 1997 (Cass. pen. n. 6981/1997)

Le ipotesi previste dall’art. 62 n. 6 c.p. (riparazione totale del danno e ravvedimento operoso), pur avendo sfere di applicazione autonome, non possono essere valutate per una duplice riduzione di pena, inerendo esse ad un’unica ragione giustificatrice, che si individua nella minore capacità a delinquere dimostrata dal reo dopo la commissione del reato, con il comportamento attuoso teso a eliderne le conseguenze dannose o pericolose. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3306 del 6 giugno 1997 (Cass. pen. n. 3859/1997)

Nei delitti contro il patrimonio l’attenuante prevista dall’art. 62 c.p. è applicabile, ove ne ricorrano i presupposti, indipendentemente dalla gravità delle conseguenze dell’evento poiché la legge 7 febbraio 1990 n. 19, prevedendo l’estensione dell’attenuante ai delitti determinati da motivi di lucro, solo per questi ha fissato il limite ulteriore della particolare tenuità anche dell’evento conseguente. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha ritenuto che dovesse essere applicata l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità in una ipotesi di furto in ospedale, da parte di un tossicodipendente, di farmaci ipnotici per un ridotto valore commerciale, indipendentemente dalla pericolosità del farmaco sottratto). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5134 del 31 maggio 1997 (Cass. pen. n. 3859/1997)

Al reato di divieto d’importazione di animali o parti d’animali, appartenenti a specie protette (nel caso Carapaci – carcasse o gusci – di tartarughe), non può essere applicata la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, perché la nuova dizione (legge 7 febbraio 1990, n. 19) dell’art. 62 n. 4 c.p., pur ampliando il campo di applicazione ha lasciato immutato il riferimento ai «delitti». Non può, inoltre, considerarsi di speciale tenuità il danno o il fine di lucro in una disciplina tesa alla tutela di beni irriproducibili e di valore incommensurabile, quali l’ambiente ed il territorio. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3859 del 24 aprile 1997 (Cass. pen. n. 3859/1997)

In tema di reati contro la pubblica amministrazione, possono concorrere l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. e quella di cui all’art. 323 bis c.p., in quanto la prima si riferisce al fatto di reato nella sua globalità, e quindi ai tradizionali elementi della condotta, dell’elemento psicologico e dell’evento, complessivamente considerati, mentre la seconda prende in esame il solo aspetto del danno o del lucro, che deve essere connotato da speciale tenuità. (Fattispecie in tema di abuso d’ufficio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2620 del 18 marzo 1997 (Cass. pen. n. 1285/1997)

In tema di provocazione (art. 62 n. 2 c.p.) deve affermarsi che l’attenuante inerisce ad una situazione iniziale di legittimità o, almeno, di non illiceità dell’offensore, confliggente con una opposta situazione di illiceità dell’offeso e qualificata da un intento reattivo a siffatta situazione di illiceità. Ne consegue che l’attenuante non è applicabile a favore dell’autore di un delitto quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l’agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni.

La circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 n. 6, seconda ipotesi, c.p. solo in via eccezionale opera dopo la commissione del reato e trova fondamento nella minore capacità a delinquere del colpevole il quale, per ravvedimento, si adopera per eliderne le conseguenze che, pur strettamente inerenti alla lesione o alla messa in pericolo del bene tutelato dalla norma incriminatrice, sono d’altra parte estranee all’esecuzione ed alla consumazione del reato stesso. Ne consegue l’inapplicabilità a reati in cui il danno penale sia per sua natura irreversibile e non eliminabile neppure in parte dall’opera del colpevole e, in particolare, al delitto di omicidio, in quanto reato di danno il cui evento consiste nella distruzione del bene giuridico protetto, non più suscettibile di eliminazione o attenuazione successiva da parte del colpevole. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1285 del 13 febbraio 1997 (Cass. pen. n. 1285/1997)

Ai fini del riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno (art. 62 n. 6 c.p.) è sufficiente un’offerta di risarcimento, anche non formale, che abbia i requisiti della congruità e della serietà, in presenza dei quali l’attenuante deve essere concessa ancorché la persona offesa non abbia accettato l’offerta. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 84 del 9 gennaio 1997 (Cass. pen. n. 84/1997)

In materia di ricettazione, l’ipotesi del fatto di particolare tenuità (art. 648 secondo comma) non concerne il solo valore economico dell’oggetto della ricettazione ma riguarda anche il profitto che dalla ricezione o dall’acquisto della cosa l’agente vuole trarre, nonché ogni altro elemento che sia idoneo a definire la portata del reato in termini di lievità o di gravità alla luce dei parametri forniti dall’art. 133 c.p. È possibile pertanto, che sia negata la particolare tenuità del fatto anche quando sia stata applicata la circostanza attenuante dell’art. 62 n. 4 c.p. (danno patrimoniale di speciale tenuità). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10766 del 13 dicembre 1996 (Cass. pen. n. 10766/1996)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, è necessario che il fatto commesso dalla vittima sia oggettivamente ingiusto (anche con riferimento a norme sociali e di costume), a nulla rilevando l’erroneo convincimento del reo al riguardo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7943 del 13 agosto 1996 (Cass. pen. n. 7033/1996)

Lo schema dell’impedimento volontario dell’evento (cosiddetto recesso attivo) si differenzia da quello dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. (attivo ravvedimento): ed invero nel primo caso, ad attività criminosa compiuta, e mentre è in svolgimento l’ormai autonomo processo naturale (che è in rapporto necessario di causa ad effetto tra una determinata condotta ed un determinato effetto cui la prima mette capo), l’agente si riattiva, interrompendo tale processo, così da impedire il verificarsi dell’evento; nel secondo caso, invece, a reato consumato, e quindi ad evento già verificatosi, interviene il ravvedimento dell’agente che spontaneamente ed efficacemente si adopera per attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato: il chiaro discrimine tra le due ipotesi è ravvisabile pertanto nell’avvenuta oppure no verificazione dell’evento normativo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7033 del 11 luglio 1996 (Cass. pen. n. 7033/1996)

In tema di concussione, l’entità del vantaggio patrimoniale che sia conseguito dal colpevole per effetto della sua condotta di costrizione o di induzione, non ha influenza ai fini della configurabilità del delitto, ma solo a quelli dell’applicabilità dell’attenuante del danno di particolare tenuità o dell’aggravante del danno di rilevante gravità. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6140 del 19 giugno 1996 (Cass. pen. n. 6140/1996)

Il danno patrimoniale derivante da furto, rapina o ricettazione di carte di credito in considerazione del valore strumentale di queste, che consentono al titolare di effettuare molteplici atti di acquisto a pagamento differito, non deve essere rapportato al semplice valore venale del documento e non può, pertanto, essere ritenuto modesto. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 4320 del 26 aprile 1996 (Cass. pen. n. 4320/1996)

In tema di alterazione dello stato dei luoghi senza autorizzazione paesaggistica, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. non è applicabile quando l’elisione o attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato avvengano a notevole distanza di tempo dal momento di realizzazione dell’illecito (nella specie quasi due anni) e siano conseguenza di un ordine impartito dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo, poiché manca in tal caso sia l’efficacia che la spontaneità dell’intervento. (La S.C. ha ritenuto che correttamente la corte di merito aveva escluso l’applicabilità dell’attenuante, poiché il ripristino era avvenuto a seguito del comando autoritativo, pur se seguito alla presentazione di progetti dell’interessato). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3510 del 6 aprile 1996 (Cass. pen. n. 3510/1996)

Lo «stato d’ira» previsto, quale circostanza attenuante, dall’art. 62 n. 2 c.p., proprio perché — diversamente dall’«impeto d’ira» di cui parlava il codice penale previgente — può consistere anche in un’alterazione emotiva che si protrae nel tempo, è riferibile ad un fatto anche non in rapporto di immediatezza con la reazione, purché, tuttavia, collegato ad un avvenimento più prossimo ed idoneo a determinare la reazione medesima, e sempre che quest’ultima non si sia tramutata da passione in sentimento di odio, rancore o altro. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3067 del 26 marzo 1996 (Cass. pen. n. 3067/1996)

Per l’applicabilità della circostanza attenuante della riparazione del danno contemplata dall’art. 62 n. 6 c.p. è indispensabile che la riparazione stessa, oltre che volontaria ed integrale, sia anche effettiva. Ne consegue che la somma di danaro proposta dall’imputato come risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale (art. 185 comma 2 c.p.) deve essere offerta alla parte lesa in modo da consentire alla medesima di conseguirne la disponibilità concretamente e senza condizioni di sorta. Tale risultato può essere ottenuto — salva la valutazione di congruità rimessa al giudice e fuori del caso di versamento diretto del danaro nelle mani di colui cui spetta — solo con l’osservanza della forma prescritta dalle disposizioni della legge civile dettate proprio per creare, nell’ipotesi di rifiuto del creditore, un equipollente alla dazione diretta, vale a dire nelle forme dell’offerta reale, la quale si perfeziona con effetto liberatorio per il debitore al momento del deposito della somma presso la cassa deposito e prestiti o presso un istituto bancario. Il rispetto di tali prescrizioni integra l’estremo dell’effettività delle riparazioni ed è altresì rivelatore della reale volontà dell’imputato di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze dannose del reato commesso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2837 del 16 marzo 1996 (Cass. pen. n. 2837/1996)

La circostanza attenuante della provocazione si può configurare anche nel caso di reato commesso da persona diversa dal provocato, anche se, in questo caso, per poter affermare la sussistenza dell’indispensabile rapporto di causalità tra offesa e reazione, è necessario che l’agente sia legato allo stesso provocato da vincoli di solidarietà giuridicamente e moralmente apprezzabili. (La Suprema Corte ha enunciato il principio di cui in massima, ritenendo la configurabilità della provocazione in un caso in cui l’agente ed il provocato erano legati da amicizia). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2554 del 7 marzo 1996

L’attenuante dell’integrale risarcimento del danno è un mezzo apprestato dall’ordinamento non solo per favorire la soddisfazione degli interessi patrimoniali della persona offesa, ma trova la sua ragion d’essere nella rilevanza che assume il comportamento del reo quale indice di ravvedimento e quindi di diminuita pericolosità sociale. L’attenuante perciò può essere concessa anche quando l’imputato offra in risarcimento un bene immobile e la parte lesa rifiuti l’offerta, purché l’offerta sia congrua. Tuttavia occorre che l’offerta sia concreta e determinata, per cui non è sufficiente l’invito a presentarsi da un notaio per la stipula di un atto di cessione di alcuni beni da individuare nel patrimonio dell’imputato, mentre lo sarebbe, ad esempio, una proposta ferma ricevuta da un notaio o una procura irrevocabile a vendere. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1723 del 15 febbraio 1996 (Cass. pen. n. 1723/1996)

La generica offerta di indennizzo, fatta alla parte lesa in momento processuale imprecisato e da questa respinta, non può assumere, ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., quel grado di serietà e congruità richiesto dalla detta norma, occorrendo concretezza, effettività ed immediata disponibilità dell’offerta, anche in ipotesi di non accettazione. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 12804 del 30 dicembre 1995 (Cass. pen. n. 12804/1995)

Per la sussistenza dell’attenuante della provocazione è necessario che il reato sia stato commesso in un vero e proprio stato d’ira determinato da un fatto altrui che deve essere obiettivamente ingiusto. Inoltre, anche senza che vi debba essere un rapporto di proporzionalità tra reazione e fatto ingiusto altrui, è comunque necessario che la reazione sia in qualche modo adeguata all’offesa, al fine di lasciar desumere l’esistenza di un nesso di causalità tra i due fatti e non di mera occasionalità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12785 del 29 dicembre 1995 (Cass. pen. n. 12785/1995)

L’attenuante prevista dall’art. 62, n. 1, c.p. — aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale — ricorre ogniqualvolta il soggetto abbia agito o per motivi meritevoli di particolare approvazione secondo il comune senso etico o per motivi valutati favorevolmente secondo il comune sentire della società civile. Presupposto di tale attenuante non è, quindi, il soddisfacimento di un interesse egoistico, quale, ad esempio, la cosiddetta causa d’onore, ma la spinta a compiere azioni caratterizzate da una componente altruistica. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano escluso l’applicazione della attenuante in esame, in relazione ad un omicidio determinato dalla volontà di interrompere una relazione sentimentale della vittima con la sorella dell’imputato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11043 del 8 novembre 1995

L’attenuante del ravvedimento operoso di cui alla seconda ipotesi dell’art. 62 n. 6 c.p. non è configurabile nei reati di danno il cui evento consista nella distruzione del bene giuridico protetto, perché l’evento medesimo non è più suscettibile di quella eliminazione o attenuazione da parte del colpevole, che sono caratteristiche dell’attenuante in parola. (Nella fattispecie si trattava di omicidio e la Suprema Corte ha escluso l’applicabilità dell’attenuante ex art. 62 n. 6 c.p. enunciando il principio di cui in massima). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7444 del 3 luglio 1995 (Cass. pen. n. 7444/1995)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, lo stato d’ira non è incompatibile con la preordinazione del reato; ma occorre, appunto, che si sia agito in uno stato d’ira, ovvero che il reato sia stato commesso quando l’agente abbia perduto il controllo di sé stesso, per mancato funzionamento dei freni inibitori, determinato dal fatto ingiusto altrui. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7076 del 20 giugno 1995 (Cass. pen. n. 7076/1995)

Per l’applicabilità delle circostanze attenuanti della riparazione del danno di cui all’art. 62 n. 6 c.p., è necessario che la riparazione stessa sia effettiva, integrale e volontaria; le dichiarazioni liberatorie rese dal creditore non assumono rilievo di sorta ai fini del riconoscimento dell’attenuante medesima. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6679 del 7 giugno 1995 (Cass. pen. n. 1493/1995)

In tema di attenuante del ravvedimento operoso in materia di reati concernenti le sostanze stupefacenti, all’espressione «anche» di cui all’art. 73, comma 7, va assegnato valore disgiuntivo; conformemente del resto, all’imprescindibile necessità che il contributo debba essere «efficace». Peraltro, le conseguenze considerate dall’art. 73, comma 7, del D.P.R. n. 309 del 1990 non si riducono a quelle scaturite dal fatto così come realizzato, in un dato momento dal reo, ma si riferiscono anche alla protrazione, e quindi, alla permanenza, del reato, ovvero alla consumazione di successivi delitti che del primo integrino lo sviluppo. Diversamente da quanto previsto dall’art. 62, n. 6, c.p., possono, dunque, concretare l’attenuante in esame anche le confessioni e le chiamate in correità le quali consentano l’interruzione del protrarsi del reato o la scoperta di complici ma non quelle che siano prive di riscontri estrinseci o che conducano soltanto a rafforzare il quadro probatorio a carico dei principali responsabili già identificati, o all’identificazione dei soggetti aventi un ruolo soltanto secondario nell’ambito della complessiva economia criminosa già accertata; o, addirittura, nel senso di ricomprendere nell’area dell’art. 73, comma 7, quei delitti che, costituenti progressione dell’originaria attività criminosa di cui il soggetto si è reso autore o partecipe, troverebbe nelle dette risorse il presupposto causale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1493 del 13 febbraio 1995 (Cass. pen. n. 1493/1995)

La circostanza attenuante della provocazione può competere anche a chi abbia tenuto per primo un comportamento ingiusto, quando l’altrui reazione sia stata così «eccessiva e sproporzionata rispetto all’originario fatto provocatorio» da dare vita a un nuovo fatto ingiusto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1323 del 10 febbraio 1995 (Cass. pen. n. 1323/1995)

Ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., l’entità del danno deve essere valutata con riferimento al complessivo pregiudizio economico subito dalla persona offesa, e non già, al mero valore intrinseco dell’oggetto sottratto. (Fattispecie relativa a furto aggravato dall’uso di violenza sulle cose, consistente in effrazione della porta di un locale, in cui è stato ritenuto che si dovesse tenere conto, oltre che del valore della res sottratta, anche del pregiudizio arrecato con il danneggiamento cagionato).  Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 13068 del 30 dicembre 1994 (Cass. pen. n. 13068/1994)

Ai fini del riconoscimento dell’attenuante della provocazione è richiesta una certa proporzione tra fatto ingiusto e reazione per escludere che il primo sia stato mera occasione per la commissione del reato e non la causa psicologica di questo. (Nella specie si è ritenuta erronea la sentenza di merito che aveva escluso l’attenuante in questione, pur avendo dato atto che l’omicidio era stato determinato dall’insofferenza per la coabitazione tra imputato e vittima — per qualche tempo insieme alle rispettive donne in ambiente ristretto — insofferenza motivata anche dalla condotta particolarmente asociale della vittima stessa che si ubriacava, provocava rumori molesti, vomitava per le scale, e così via). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11185 del 9 novembre 1994 (Cass. pen. n. 11185/1994)

Poiché l’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p. è configurabile solo quando i motivi a delinquere corrispondono oggettivamente, e non solo soggettivamente, a stimoli ed impulsi psicologici di elevato significato etico o sociale tali da ottenere la valenza dell’atto delittuoso e da riscuotere il consenso o l’approvazione del comune senso etico o sociale, tale consenso è da escludere quando il soggetto reagisce ad offese semplicemente verbali, provocando una rissa e, poi, tentando addirittura di uccidere. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10892 del 31 ottobre 1994 (Cass. pen. n. 9930/1994)

In tema di reati concernenti gli stupefacenti, l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 si pone come attenuante speciale rispetto a quella di cui all’art. 62, n. 6, seconda parte, c.p., per cui quest’ultima non può trovare applicazione ove sia basata sulla medesima condotta collaborativa che già abbia fruttato il riconoscimento dell’attenuante prevista dal comma 7 dell’art. 73 citato. Ed invero, gli stessi elementi non possono essere valutati ripetutamente per il conseguimento di una duplice riduzione di pena, mentre d’altro canto, l’attenuante speciale prevale sempre su quella generale, secondo quanto previsto dall’art. 68 c.p. che disciplina l’ipotesi della «circostanza aggravante», in cui una circostanza aggravante comprende in sé un’altra aggravante, ovvero una circostanza attenuante comprende in sé altra attenuante; ipotesi nella quale la circostanza giuridicamente più rilevante – che importi, cioè, il maggiore aumento o la maggiore diminuzione di pena – è considerata come specifica e, quindi, trova applicazione ed è valutata essa soltanto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9930 del 14 settembre 1994 (Cass. pen. n. 9930/1994)

Ai fini della concessione dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 2 c.p., il fatto ingiusto altrui può essere realizzato non solo da un comportamento antigiuridico ma anche dalla violazione di norme sociali o di costume e deve contenere in sé la potenzialità di suscitare una commotio animi nel senso di una intensa eccitazione capace di alterare la funzionalità dei freni inibitori. (Fattispecie relativa ad omicidio commesso nei confronti di soggetto che aveva proposto all’imputato, il quale aveva reagito, di intrecciare con lui una stabile relazione omosessuale. La circostanza attenuante non è stata ravvisata sul rilievo che la pregressa conoscenza tra vittima ed omicida, implicando la consapevolezza da parte di quest’ultimo delle tendenze omosessuali dell’altra, annullava di fatto la potenzialità commotiva, privando il comportamento della parte lesa di quella inopinatezza che poteva suscitare un irrefrenabile impulso reattivo. Inoltre, vi era enorme sproporzione tra azione e reazione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 9373 del 31 agosto 1994

Per l’applicazione dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 5 c.p. non è sufficiente che la condotta della persona offesa si inserisca nella serie causale determinativa dell’evento ai sensi dell’art. 41 c.p. ma è altresì necessario che essa sia collegata con la condotta del colpevole anche sul piano della causalità psicologica, oltre che su quello della causalità materiale, nel senso che l’offeso deve avere voluto lo stesso evento avuto di mira dal soggetto attivo del reato. Dovendo la volontà della persona offesa convergere verso lo stesso accadimento che la sua condotta concorre a determinare, non basta ad integrare la detta attenuante una qualsiasi determinazione volitiva antigiuridica della stessa. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 9352 del 31 agosto 1994 (Cass. pen. n. 9352/1994)

In tema di stupefacenti, l’attenuante speciale di cui all’art. 73, comma 7, D.P.R. n. 309/1990 ha una configurazione più ampia di quella prevista dall’art. 62 n. 6 c.p. Essa non si ricollega al reato, bensì alla «attività criminosa», che è espressione sicuramente più lata e può comprendere il fatto contestato, senza esaurirsi in esso; non si riferisce al danno criminale o al pericolo di esso, ma a «conseguenze ulteriori», che possono certamente comprendere l’ulteriore aggravamento del detto danno o la verificazione del pericolo di danno, ma che sicuramente superano tali eventi, come è dimostrato sia dalla genericità della formula adottata, sia dall’indicazione esemplificativa di alcuni contributi, quali l’aiuto all’autorità investigativa e la scoperta di risorse rilevanti, che sicuramente non attengono all’elisione del danno criminale del reato già commesso. L’aggravante comune ha riguardo all’adoperarsi del colpevole in vista di una regressione del danno o del pericolo, già integrati dal reato in capo ai soggetti passivi mentre l’aggravante speciale ha riguardo all’evoluzione peggiorativa del detto danno o danni ulteriori e diversi da quello criminale già consolidato. Ne consegue che tra le due norme viene a porsi un rapporto di specialità reciproca, con conseguente prevalenza della norma che, di volta in volta, debba qualificarsi speciale nella concreta fattispecie sottoposta all’esame del giudice.

L’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. ricorre quando il colpevole, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adopera, per ravvedimento, al fine di elidere o attenuare le conseguenze concernenti il cosiddetto danno criminale, che è integrato dalla lesione o dal pericolo di lesione, in capo ai soggetti passivi — reali o potenziali — del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata. Il riconoscimento dell’attenuante, nei reati in materia di stupefacenti, presuppone innanzitutto un giudizio di reversibilità dal danno in concreto arrecato alla parte lesa e, in secondo luogo, l’attivarsi del reo, non già in una direzione qualsiasi, purché dimostrativa della sua qualità di «ravveduto», ma in quella specifica orientata ad elidere, o a ridimensionare, il danno o il pericolo, conseguente all’immissione sul mercato o alla consegna al consumatore, di quella specifica partita di stupefacente oggetto della contestazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6863 del 14 giugno 1994 (Cass. pen. n. 6863/1994)

Presupposto dell’attenuante della provocazione è, nell’aspetto soggettivo, uno stato d’ira incontenibile che provoca nell’agente la perdita dei poteri di autocontrollo, e che non può pertanto essere confuso con stati d’animo diversi quali il risentimento, il rancore, la vendetta. Quanto all’elemento oggettivo, deve tenersi conto del criterio dell’adeguatezza con parametro utile alla valutazione dello stato d’animo e delle intenzioni del reo: ed invero la sproporzione fra offesa e reazione sta a significare che la condotta criminosa ha avuto come fattore endogeno scatenante una causale non ricollegabile con nesso di causalità con la condotta della vittima, essendovi assoluta inconciliabilità tra istinto punitivo e reazione causata da uno stato d’ira. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6811 del 13 giugno 1994 (Cass. pen. n. 6811/1994)

Non ricorre l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 ultima parte c.p. (essersi, prima del giudizio, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato) nell’ipotesi in cui l’imputato consegni la sostanza stupefacente illecitamente detenuta nel corso della perquisizione effettuata dalla polizia giudiziaria. Da un lato, infatti, tale consegna non può ritenersi spontanea; dall’altro lato essa è anteriore alla cessazione della permanenza dell’illecita detenzione, determinandosi in tal modo solo la cessazione dell’attività criminosa costitutiva del reato e non l’elisione o l’attenuazione delle conseguenze costituenti un posterius del medesimo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6757 del 10 giugno 1994 (Cass. pen. n. 6757/1994)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione non è necessario che il fatto ingiusto sia di rilevanza tale da dimostrare obiettivamente la capacità di suscitare nell’autore della reazione quello stato d’ira che costituisce il substrato psicologico nel quale si concretizza la provocazione, ben potendo provocare detto evento come atto terminale di tutta una condotta persecutoria o comunque prevaricatrice dell’altrui agire; conseguentemente il rapporto di adeguatezza che deve intercorrere tra il fatto ingiusto e la reazione non deve essere valutato con riferimento all’atto terminativo, bensì con riguardo alla più ampia condotta ingiusta, tenendosi conto della situazione psicologica che si è venuta a creare per colui che ha reagito. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5395 del 10 maggio 1994 (Cass. pen. n. 5395/1994)

In tema di estinzione del reato per amnistia, l’art. 4, lett. d), del D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, laddove, per la determinazione della pena con riferimento al reato di furto ai fini dell’applicazione di tale causa estintiva deroga alla prevalenza delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62, nn. 4 e 6, c.p. rispetto alle circostanze aggravanti previste dall’art. 625, nn. 1 e 4, comma 2, dello stesso codice, deve essere interpretato, non nel senso che la presenza di una di queste elimini l’effetto delle circostanze attenuanti, bensì nel senso che si tiene conto unicamente di una delle predette aggravanti, con esclusione di tutte le altre. Ne consegue che il furto tentato aggravato da una sola delle circostanze aggravanti previste nell’art. 625, nn. 1 e 4, seconda parte, c.p., e da altre di qualsiasi specie, in concorso di una delle due circostanze attenuanti di cui all’art. 62, nn. 4 e 6, dello stesso codice, è compreso nell’ambito di operatività del D.P.R. n. 75 del 1990, essendo punito, ai sensi degli artt. 56, 624 e 625, comma 1, c.p., con la reclusione non superiore, nel massimo, a quattro anni. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1378 del 30 aprile 1994 (Cass. pen. n. 1378/1994)

In relazione al reato di cui all’art. 1 sexies L. 8 agosto 1985 n. 431 (tutela delle zone di particolare interesse ambientale) non è applicabile l’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 c.p. (danno di speciale tenuità) trattandosi di fattispecie che — a differenza di quella oggetto dell’art. 734 (distruzione o deturpamento di bellezze naturali) — non costituisce un reato di danno bensì di pericolo, che siano compiuti interventi in aree vincolate senza autorizzazione, a prescindere dall’esistenza di conseguenti alterazioni permanenti. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 4698 del 23 aprile 1994 (Cass. pen. n. 4698/1994)

La causa d’onore non può identificarsi con un malinteso senso dell’orgoglio maschile che è incompatibile con i valori sociali che si sono consolidati nella moderna società in tema di infedeltà coniugale. Ed infatti gli istituti apprestati a tutela dell’inconciliabilità della prosecuzione del vincolo coniugale nell’ipotesi di infedeltà non permettono di affermare che sia configurabile l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale nella condotta di chi uccide l’amante della propria moglie per ricostituire l’unità familiare. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4439 del 16 aprile 1994 (Cass. pen. n. 4439/1994)

La qualificazione giuridica dell’ipotesi attenuata dal fatto di particolare tenuità, di cui all’art. 323 bis c.p., deve essere effettuata sulla base di una valutazione globale del fatto, in tutti i suoi elementi e modalità, con la conseguenza che il dato patrimoniale, ancorché positivamente apprezzato ai fini dell’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4, c.p., può non essere sufficiente ad integrare la distinta attenuante in esame, caratterizzata da una più complessa oggettività giuridica. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4062 del 7 aprile 1994 (Cass. pen. n. 4062/1994)

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della riparazione del danno, di cui all’art. 62 n. 6 c.p., non è sufficiente, nel caso di offerta non accettata, che il colpevole metta a disposizione della persona offesa i suoi beni, dato che, perché possa considerarsi sussistente l’attenuante, occorre che la persona offesa sia messa in grado di disporre agevolmente, immediatamente ed incondizionatamente di quanto ha formato oggetto di una offerta non accettata. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che l’indicata ipotesi non si fosse verificata per non essere stati tramutati in danaro i beni offerti, e cioè, la metà del terreno e della casa di abitazione che l’imputato aveva in comproprietà con la moglie). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3807 del 31 marzo 1994 (Cass. pen. n. 3807/1994)

Ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, per stabilire l’adeguatezza psicologica della condotta alla afflizione determinata nell’agente dall’altrui comportamento, il giudice di merito non può limitare l’esame alla condotta ultima della persona oggetto dell’azione delittuosa, ma deve considerare tutta l’eventuale serie di atti contrari a norme giuridiche o a regole primarie di convivenza che si siano succeduti nel tempo ed accertare se questi siano stati idonei, sul piano causale, a potenziare «per accumulo» la carica afflittiva di ingiusta lesione dei diritti dell’offeso e tali da assumere rilevanza nel rapporto causale offesa-reazione. (Fattispecie relativa ad annullamento con rinvio di sentenza che aveva escluso l’attenuante della provocazione per sproporzione tra fatto ingiusto altrui ed azione omicidiale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2784 del 5 marzo 1994 (Cass. pen. n. 2784/1994)

Il giudice non può esimersi dall’affrontare questioni controverse in sede interpretativa, né basare il diniego di richieste avanzate dalla difesa limitandosi ad evidenziare i contrasti giurisprudenziali esistenti sulle suddette questioni, ma deve farsi carico di enunciare, sia pure in maniera sintetica, i termini del contrasto, aderendo argomentatamente ad una delle soluzioni prospettate ovvero proponendone una propria. La pronuncia contenente un siffatto diniego è affetta dal vizio di motivazione e, pertanto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 606, lett. e) c.p.p. (Fattispecie di tentata rapina, nella quale la Suprema Corte ha annullato con rinvio la motivazione del giudice di merito nel punto in cui era stata rigettata la richiesta dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p., sul rilievo del contrasto giurisprudenziale circa l’applicabilità di essa ai reati contro il patrimonio realizzati in forma di tentativo). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2335 del 24 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 2335/1994)

L’attenuante prevista dall’art. 62 n. 6, prima parte, c.p. va intesa in funzione dell’art. 185 stesso codice e di conseguenza, essa è applicabile a qualsiasi reato ogni qualvolta ne sia derivato un danno patrimoniale o non patrimoniale suscettibile di riparazione a norma delle leggi civili nelle forme delle restituzioni e del risarcimento. Detta attenuante, diversamente da quella prevista nell’art. 62 n. 4 — che ha natura oggettiva in quanto prescinde dalla condotta dell’agente — presuppone, invece, il ravvedimento attivo del colpevole, coerentemente alla sua funzione propria che ha fondamento e motivazione psicologica rilevando un ravvedimento che è indice di minore criminosità; per cui, nell’ipotesi di abbandono della refurtiva e recupero della stessa ad opera della polizia giudiziaria, viene a mancare la possibilità stessa di un fattivo ravvedimento del reo e, conseguentemente, di un sicuro accertamento della sua minore pericolosità sociale, ai fini dell’applicabilità delle predetta attenuante.

In tema di circostanze attenuanti, nell’ipotesi di reato continuato la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cit., è applicabile solo quando il risarcimento integrale sia intervenuto in relazione a tutti i fatti avvinti dal vincolo della continuazione, e non solo per quello più grave o per taluni di essi. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2282 del 24 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 2282/1994)

Ai fini dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 c.p., nell’ipotesi di tentativo di furto commesso ai danni di grandi magazzini, il danno stesso non va commisurato al prezzo di acquisto della merce, poiché la legge penale fa riferimento non già al costo, ma al valore commerciale dell’oggetto del reato al momento del fatto. (Fattispecie relativa al tentativo di furto di un cappotto posto in vendita al prezzo di lire 249.000, nella quale la Suprema Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito aveva escluso il danno patrimoniale di speciale tenuità, facendo riferimento al prezzo di vendita, considerato come «il più indicativo del valore commerciale» del capo di abbigliamento suddetto). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2063 del 19 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 2063/1994)

In tema di declaratoria di collaborazione con la giustizia ex art. 58 ter della L. 26 luglio 1975 n. 354 (ordinamento penitenziario), è da escludere, ai sensi e per gli effetti di detta norma, che il riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno prevista dall’art. 62 n. 6 c.p., o comunque la collaborazione oggettivamente irrilevante, possano far luogo dell’attività collaborativa prevista dallo stesso art. 58 ter legge citata. Ed invero il risarcimento del danno è menzionato solo nell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario e non già nell’art. 58 ter, dello stesso ordinamento penitenziario, che richiama la prima norma soltanto per individuare i reati in relazione ai quali lo stesso art. 58 ter trova applicazione, senza rinviare, in modo recettizio, a tutta la disciplina in essa contenuta. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4138 del 4 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 4138/1994)

Pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione fra le opposte condotte elemento caratterizzante l’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 c.p., tuttavia la medesima va negata ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere uno o più degli elementi propri dell’attenuante medesima, come lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1305 del 4 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 1305/1994)

Presupposto indefettibile per la concessione dell’attenuante del risarcimento del danno (art. 62 n. 6 c.p.) è che tale risarcimento avvenga «prima del giudizio», cioè in una fase antecedente alle formalità di apertura del dibattimento di primo grado. La ragione di tale limite temporale va individuata nella possibilità di verifica, da parte del giudice, del sincero ravvedimento, la cui prova può essere data dall’imputato, secondo la presunzione logica che si evince dalla norma, solo prima che egli si sia sottoposto al vaglio del giudizio. È, invece, oggettivamente preclusa l’applicabilità di detta attenuante sulla base di qualsiasi dimostrazione di ravvedimento, pur nel senso previsto dalla norma, ma successivamente all’inizio del giudizio di primo grado, nell’ambito del quale, una volta visto l’andamento del dibattimento, ancor prima della sentenza, l’imputato potrebbe determinarsi, seguendo un calcolo di opportunità, a risarcire il danno ovvero al comportamento alternativo previsto dalla norma in esame. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 897 del 26 gennaio 1994 (Cass. pen. n. 897/1994)

In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, non può invocare l’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p., ossia avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale, colui che si rende responsabile dell’inquinamento ed adduca di averlo cagionato per esigenze produttive e di tutela dei posti di lavoro, in quanto il valore ambiente e la qualità della vita sono percepiti oggi quali valori sociali e morali primari della coscienza sociale. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 439 del 19 gennaio 1994 (Cass. pen. n. 439/1994)

L’attenuante di cui all’art. 62, n. 1 c.p. (l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale) non può essere riconosciuta se non quando il fatto criminoso risulti motivato da pulsioni suscettibili di riscuotere, per la loro valenza morale o sociale, incondizionato e generale apprezzamento nel comune sentire; il che non può dirsi quando ci si trovi in presenza di fatti criminosi che, seppure propagandisticamente presentati come momenti di «lotta» per la realizzazione di un miglior assetto sociale, in realtà ad altro non siano finalizzati se non al conseguimento dell’obiettivo, puramente «politico» (e, pertanto, per sua stessa natura, non certo universalmente condiviso), di scardinare e distruggere l’ordinamento esistente per sostituirlo con un altro, più rispondente alle personali visioni ideologiche dell’agente. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11344 del 11 dicembre 1993 (Cass. pen. n. 11344/1993)

Ai fini dell’applicazione della circostanza di cui all’art. 62 n. 4 c.p. la valutazione della speciale tenuità, nel caso di reato continuato, va commisurata non alla somma globalmente contestata, ma alle distinte ipotesi delittuose poiché — diversamente — la configurabilità dell’attenuante, in base ad uno solo di essi, finirebbe col rendere meno grave anche una o più fattispecie, che tale carattere non presentino.

Al fine di accertare la tenuità del danno, bisogna verificare la sussistenza di tale carattere prima sotto il profilo oggettivo, in base al valore della res o della somma, e poi sotto quello soggettivo, in relazione alle condizioni economiche del soggetto passivo. Qualora però l’esito della prima considerazione sia negativo, la seconda indagine è del tutto superflua. Secondo i criteri correnti, deve escludersi che la somma di lire 700.000, che rappresenta circa la metà della retribuzione mensile di un operaio o di un impiegato di modesto livello, possa essere definita tenue. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 11035 del 2 dicembre 1993 (Cass. pen. n. 11035/1993)

In materia di repressione delle attività illecite concernenti gli stupefacenti, il legislatore, con l’art. 97 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ha introdotto, nei confronti degli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alle unità speciali antidroga la speciale causa di giustificazione dell’acquisto simulato di droga. La detta esimente rende inoperante l’applicazione della circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa. E ciò sia per il principio di non contraddizione che non consente, ad uno stesso tempo, di accentuare il rigore della disciplina sugli stupefacenti, potenziando gli strumenti di lotta al narcotraffico ed attenuare, poi, la pena proprio nei confronti di quanti ne risultino responsabili in virtù delle prove acquisite attraverso l’attività svolta dal «simulato acquirente»; sia perché manca nel comportamento dei soggetti indicati nell’art. 97 del D.P.R. n. 309 del 1990 il requisito dell’illiceità e, dunque, il dolo di concorrere con la propria attività alla produzione dell’evento, in quanto l’attività indicata da detta norma è diretta non all’effettivo acquisto ma solo ad acquisire le prove sull’illecito traffico e sugli autori dello stesso, con ciò escludendosi che possa essere qualificata come causa concorrente alla produzione dell’evento; sia, infine, perché, in subiecta materia, l’ufficiale di polizia giudiziaria non assume il ruolo di persona offesa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10938 del 29 novembre 1993 (Cass. pen. n. 10938/1993)

Ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione si richiede, dissimilmente dall’esimente della legittima difesa, non la proporzione tra la reazione e l’offesa, ma l’adeguatezza di quella a questa quale esaustivo ed utile parametro di valutazione dello stato d’animo dell’autore, nella considerazione che un’azione eccedente l’adeguatezza non sarebbe conseguente allo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui. Ed, al fine di stabilire siffatta adeguatezza, non è consentita una valutazione limitata all’ultimo episodio offensivo al quale l’imputato abbia reagito, dovendosi quella estendere a tutta l’eventuale serie di atti similari ripetuti nel tempo idonei a potenziare, per accumulo, la carica afflittiva e tali da incidere nel rapporto tra offesa e reazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10765 del 24 novembre 1993 (Cass. pen. n. 10765/1993)

In tema di reati tributari non è applicabile la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., non essendo — questi illeciti — annoverabili tra quelli che offendono il patrimonio. La tutela penale ha come oggetto non il patrimonio dello Stato, ma l’interesse pubblico, di rango costituzionale, all’osservanza dell’obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Non trova quindi fondamento razionale la attenuazione della pena, in considerazione dell’entità più o meno lieve del danno, che si pretenderebbe arrecato all’Erario. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 9098 del 6 ottobre 1993 (Cass. pen. n. 9098/1993)

Può configurarsi l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p. (danno patrimoniale di speciale tenuità), nel caso di furto di energia elettrica quando, sia pure mediante uso di un abusivo collegamento avente carattere di stabilità, il prelievo dell’energia elettrica avvenga azionando di volta in volta gli interruttori, dandosi luogo, in tal modo, a tanti furti distinti ciascuno dei quali avente ad oggetto soltanto l’energia consumata mediante il singolo prelievo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 7943 del 23 agosto 1993 (Cass. pen. n. 7005/1993)

Nel caso in cui l’imputato invochi la concessione della circostanza attenuante della provocazione ed alleghi il fatto ingiusto collegato all’evento, è a carico del giudice stabilire se sussista un nesso tra fatto ingiusto e condotta offensiva dell’autore del reato o se la reazione fu invece dovuta a motivi sopravvenuti di diverso tenore, non essendo l’imputato onerato di prova in proposito. (Nella specie, relativa ad omicidio di persona che dominava la zona in cui si esercitava la prostituzione, l’imputato marito di prostituta che il giorno precedente era stata minacciata e percossa dalla vittima perché aveva apposto il suo rifiuto quando la stessa le aveva detto che doveva pagarla se voleva lavorare in quel luogo, aveva invocato la concessione dell’attenuante. Questa, negata dalla Corte d’assise d’appello poiché non vi era prova che l’imputato aveva agito solo per lo stato d’ira insorto nella immediatezza o per il ricordo del fatto provocatorio della vittima anziché per la prevalenza, ritenuta dalla corte medesima escluso ogni nesso con le minacce e le percosse, della baldanza e del biasimevole comportamento con cui l’imputato si era esposto allo scontro del giorno successivo e al pericolo insito in esso, è stata ritenuta sussistente dalla Suprema Corte con l’affermazione del principio di cui in massima). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7005 del 14 luglio 1993  (Cass. pen. n. 7005/1993)

Ai fini del diniego della circostanza attenuante della provocazione, è corretta la motivazione della sentenza che faccia riferimento all’accordo su prestazioni omosessuali non per escludere l’applicazione dell’attenuante per il fatto che anche l’imputato versa in situazione di immoralità, ma perché l’insistenza nella pretesa della prestazione immorale non può avere particolare significato offensivo, essendo del tutto «omologo e coerente all’ordinario e prevedibile sviluppo del rapporto instauratosi tra i due e liberamente accettato», per cui non può assumere il carattere di intollerabile ingiustizia ed offesa alla dignità della persona. (Nella specie l’imputato, che aveva accettato un’offerta in danaro, aveva poi rifiutato la prestazione omosessuale richiesta dalla vittima, alla cui aggressione aveva reagito colpendola e strangolandola quando questa giaceva a terra già esanime, poi derubandola ed incendiando l’appartamento). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6992 del 14 luglio 1993 (Cass. pen. n. 6352/1993)

L’attenuante della provocazione si compone di due elementi: uno oggettivo, costituito dal fatto ingiusto della vittima, che può essere realizzato non solo da un comportamento antigiuridico, ma anche dalla violazione di norme sociali o di costume; uno soggettivo, costituito dallo stato d’ira, inteso come eccitazione psichica capace di incidere sul funzionamento dei freni inibitori, collegato al primo da un nesso di causalità psichica. Occorre, in particolare, che l’elemento oggettivo, per la sua antigiuridicità o per la sua contrarietà alle norme sociali o di costume contenga in sé la potenzialità di suscitare una commotio animi, nel senso di una intensa eccitazione capace di alterare la funzionalità dei freni inibitori. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6355 del 23 giugno 1993 (Cass. pen. n. 6352/1993)

A differenza dell’esimente della provocazione, prevista dall’art. 599, secondo comma, c.p., per l’attenuante di cui all’art. 62, n. 2, c.p., non è richiesto che la reazione iraconda segua immediatamente il fatto ingiusto, come è anche dimostrato dal fatto che il vigente codice penale ha abbandonato la formula di quello precedente, che parlava di «impeto d’ira o di intenso dolore», riferendosi testualmente invece a uno «stato», cioè a una situazione psichica che ben può perdurare nel tempo, accumularsi sotto lo stimolo di reiterati comportamenti ingiusti della vittima, per esplodere infine e a distanza di tempo per un episodio trascurabile in sé, ma che scatena la condotta reattiva fino a quel punto contenuta. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6352 del 23 giugno 1993 (Cass. pen. n. 6352/1993)

La circostanza attenuante della provocazione si compone di due elementi, che devono sussistere entrambi, uno oggettivo, costituito dal fatto ingiusto della vittima (che può essere realizzato non solo da un comportamento antigiuridico, ma anche dalla violazione di norme morali o di costume o comunque da condotte vessatorie, e che in ogni caso deve realmente sussistere, non essendo ammissibile una provocazione putativa), e uno soggettivo, costituito dallo stato d’ira, inteso come eccitazione psichica collegata al fatto ingiusto del soggetto passivo del reato (che può anche non avere carattere di immediatezza, essendo possibile che, di fronte a una serie di atti provocatori protrattisi nel tempo, questi non abbiano l’intensità per stimolare nell’offeso una reazione immediata, ma contribuiscano a determinare una situazione di accumulo per cui, a seguito dell’ultimo atto provocatorio, si scateni una reazione inadeguata allo stimolo reattivo). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5342 del 26 maggio 1993 (Cass. pen. n. 5342/1993)

In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, qualora vengano effettuati scarichi con valori superiori ai limiti tabellari, non è applicabile la circostanza attenuante dell’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, di cui all’art. 62 n. 6 c.p., se l’imputato si sia attivato successivamente all’effettuazione dello scarico, installando un depuratore per elidere o attenuare le conseguenze dannose dell’illecito, in quanto quest’ultimo già si è verificato e non è suscettibile di riparazione. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 4632 del 6 maggio 1993 (Cass. pen. n. 3724/1993)

Nel caso di pluralità di furti, quando risultino sottratte, in tempi diversi, cose di valore non particolarmente lieve e cose per le quali sia invece oggettivamente configurabile l’attenuante del danno di speciale tenuità, detta attenuante, con riguardo a queste ultime, non può essere esclusa sol perché non risulti accertato se le singole sottrazioni abbiano avuto ad oggetto, ogni volta, solo le cose di tenue valore ovvero anche altre. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 3724 del 16 aprile 1993 (Cass. pen. n. 3724/1993)

Non è configurabile la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4, seconda parte, c.p. (come modificato dall’art. 2 della L. 7 febbraio 1990 n. 19), nel caso di cessione di sostanze stupefacenti, giacché, quand’anche il lucro conseguito a seguito di tale cessione fosse di speciale tenuità, non potrebbe comunque mai ritenersi soddisfatta l’altra condizione prevista dalla norma, e cioè la speciale tenuità del danno o del pericolo derivanti al consumatore dall’azione dello spacciatore, sia perché si verte in materia di tutela della salute della persona, sia perché occorre tener conto non dei soli danni immediati, ma anche di quelli non immediati, pur sempre ricollegabili all’uso delle sostanze in questione. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3621 del 9 aprile 1993 (Cass. pen. n. 3621/1993)

Il giudice, nel concedere l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., deve indicare gli elementi in cui individuare il ravvedimento operoso dell’imputato, non essendo sufficiente la considerazione che costui aveva fornito al P.M. utili indicazioni, evitando che il reato fosse portato ad ulteriori conseguenze, nonostante non vi fossero stati positivi risvolti per le indagini, sia pure non per colpa di esso imputato. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 2932 del 24 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2932/1993)

Quando gli elementi di fatto acquisiti al processo consentono di determinare in modo certo il valore del danno cagionato dal reato, ai fini dell’esclusione delle attenuanti del danno lieve e dell’intero risarcimento del danno è sufficiente ed assorbente tale dato ed a nulla rileva la diversa valutazione indicata dalla parte offesa. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2666 del 19 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2666/1993)

Poiché l’attenuante della riparazione del danno non è applicabile se il risarcimento sia stato effettuato da un ente assicuratore in esecuzione di contratto antecedente all’episodio dannoso, il tempestivo comportamento dell’imputato di sollecitazione nei confronti dell’assicuratore e il ritardo di quest’ultimo nell’adempimento del fatto risarcitorio non hanno alcuna rilevanza ai fini della concessione dell’attenuante. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 2336 del 10 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2336/1993)

L’art. 62 n. 6 c.p. configura una attenuante condizionata al fatto che il colpevole prima del giudizio abbia riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni. Trattasi di una attenuante di natura squisitamente soggettiva, che trova la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa, quanto nel rilievo che l’avvenuto risarcimento del danno anteriormente al giudizio assume quale prova tangibile dell’avvenuto ravvedimento del reo e quindi della sua minore pericolosità sociale. Ma perché il ravvedimento del reo possa essere ritenuto, e quindi perché l’attenuante possa trovare applicazione, occorre che il risarcimento del danno sia totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale, avvenuto attraverso la sola restituzione della refurtiva, non accompagnata anche dal risarcimento del danno dalla stessa subito. (Fattispecie relativa a diniego dell’attenuante per il mancato risarcimento integrale dei danni, essendo risultato che il motorino aveva riportato danni per 70/80.000 lire). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 1096 del 5 febbraio 1993 (Cass. pen. n. 1096/1993)

Al danno patrimoniale previsto dall’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. deve assegnarsi valore oggettivo intrinseco, e, pertanto, se esso è collegato al reato di ricettazione di moduli di assegni in bianco e di stampati di carte di identità, la valutazione del danno stesso va eseguita rispettivamente in base al valore degli anzidetti moduli (e non al diritto di credito incorporabile nei titoli) e in base al valore oggettivo degli stampati senza tener conto dell’eventuale pregiudizio subito dalla pubblica amministrazione. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 1036 del 5 febbraio 1993 (Cass. pen. n. 1036/1993)

L’attenuante della provocazione è normalmente inapplicabile al reato di rissa, atteso che in esso la provocazione tra i corrissanti è reciproca e si elide vicendevolmente, a meno che uno dei partecipanti alla contesa abbia ecceduto i limiti accettati e prevedibili, così realizzando – con la propria reazione eccessiva – un nuovo ed autonomo fatto ingiusto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 710 del 26 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 710/1993)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, lo stato d’ira non è incompatibile con la preordinazione del reato.

In tema di provocazione, l’infedeltà coniugale costituisce «fatto ingiusto» per la morale della famiglia e per la civile convivenza. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 708 del 26 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 708/1993)

Per il riconoscimento dell’attenuante della provocazione è necessario che il reato sia stato commesso non già in un generico stato di emozione e di turbamento di animo, ma in uno stato di ira; è necessario, cioè, che l’agente abbia perduto il controllo di sé stesso per mancato funzionamento dei freni inibitori determinato dal fatto ingiusto altrui. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 684 del 26 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 684/1993)

In astratto sussiste compatibilità tra l’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale e l’attenuante della provocazione. In concreto, però, deve essere accertato se esse traggono origine da diverse situazioni di fatto o meno, poiché nel caso in cui il fatto che è alla base sia unico, per il principio di specialità deve applicarsi una sola delle circostanze dette. (Omicidio volontario in persona del figlio originato da unica situazione di fatto costituita dalla raggiunta insopportabilità dell’andamento della famiglia causata dalle manifestazioni della vittima). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12056 del 19 dicembre 1992 (Cass. pen. n. 12056/1992)

L’attivo ravvedimento del reo, di cui all’art. 62 n. 6 seconda parte c.p., deve mirare ad elidere o ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato, per tali intendendosi quelle conseguenze che da un lato siano estranee all’esecuzione e alla consumazione del reato e dall’altro siano strettamente inerenti alla lesione o alla messa in pericolo del bene specificamente tutelato dalla norma incriminatrice, e innanzi tutto derivino in via diretta e immediata dalla condotta posta in essere dal reo sino all’arresto o alla sua scoperta. Ne risulta che esulano dalla previsione della citata norma le chiamate in correità che abbiano consentito l’interruzione della permanenza del reato ovvero, attraverso l’individuazione dei complici, il compimento di ulteriori delitti, ma non anche l’eliminazione delle conseguenze della condotta criminosa tenuta dal chiamante in correità. Al contrario, quelle considerate dall’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990 in tema di reati in materia di stupefacenti non si riducono alle conseguenze immediatamente scaturite dal fatto così come realizzato, in un dato momento, dal reo, ma si riferiscono anche alla protrazione, e quindi alla permanenza, del reato, ovvero alla possibile consumazione di successivi delitti che del primo integrino lo sviluppo. Ne consegue che, in base all’articolo citato da ultimo, e diversamente dall’art. 62 n. 6 c.p., possono concretare l’attenuante in esame anche le confessioni e le chiamate in correità le quali consentano l’interruzione del protrarsi del reato o la scoperta di complici, ma non quelle che siano prive di riscontri estrinseci o che conducano soltanto a rafforzare il quadro probatorio a carico dei principali responsabili già identificati, o all’identificazione dei soggetti aventi un ruolo soltanto secondario nell’ambito della complessiva economia criminosa già accertata. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10594 del 3 novembre 1992 (Cass. pen. n. 10594/1992)

Ai fini della sussistenza della circostanza attenuante della provocazione, il concetto di «fatto ingiusto», pur comprendendo in sé qualsiasi comportamento, intenzionale o colposo, legittimo o illegittimo, purché idoneo a scatenare, l’altrui reazione, presuppone pur sempre la volontarietà dello stesso; lo stato d’ira che scatena la reazione offensiva al fatto ingiusto altrui deve essere a questo legata da un nesso di causalità, non già di semplice occasionalità, essendo indispensabile l’esistenza di un rapporto di proporzione e di adeguatezza tra fatto provocante e fatto provocato. Esula, pertanto, l’attenuante della provocazione nell’ipotesi in cui la reazione iraconda risulti determinata dal fatto altrui del tutto accidentale, per il venir meno dell’indispensabile nesso di causalità giuridica tra i due fatti. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, i giudici di merito avevano negato l’attenuante della provocazione, avendo ritenuto del tutto accidentale lo sfioramento del mento dell’imputato, con la carta di circolazione, da parte del vigile urbano). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10552 del 3 novembre 1992 (Cass. pen. n. 10552/1992)

Non può essere accolta la richiesta di applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, ultima ipotesi, c.p. che sia basata sulla medesima condotta collaborativa che già abbia fruttato il riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 73, comma settimo, d.p.r. n. 309 del 1990. Invero gli stessi elementi non possono essere valutati ripetutamente per il conseguimento di una duplice riduzione di pena mentre, d’altro canto, l’attenuante speciale prevale sempre su quella generale, secondo quanto previsto dall’art. 68 c.p. che disciplina l’ipotesi della «circostanza complessa», in cui una circostanza aggravante comprende in sé un’altra aggravante, ovvero una circostanza attenuante comprende in sé altra attenuante; ipotesi nella quale la circostanza giuridicamente più rilevante — che importi, cioè, il maggior aumento, o la maggior diminuzione di pena — è considerata come specifica e, quindi, trova applicazione ed è valutata essa soltanto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10383 del 29 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 10383/1992)

Ai fini della concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall’art. 62 n. 4 c.p., nel caso di tentativo il giudice deve avere riguardo alle concrete modalità dell’azione rimasta incompiuta o improduttiva di evento e a tutte le circostanze del fatto desumibili dalle risultanze processuali ed accertare che il reato, ove fosse stato consumato, avrebbe cagionato in modo diretto ed immediato un danno di speciale tenuità. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10355 del 29 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 10355/1992)

Dopo l’entrata in vigore della nuova legislazione in materia di sostanze stupefacenti (L. 26 giugno 1990, n. 162), non è più configurabile, per i reati previsti dagli artt. 73 e 74 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., ma solo la diversa attenuante contemplata dal comma settimo dei citati artt. 73 e 74. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9739 del 13 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 9739/1992)

L’attenuante di cui all’art. 62, n. 1, c.p. non può identificarsi con il mero esercizio di un’attività socialmente utile, come quella del giornalista. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9264 del 31 agosto 1992 (Cass. pen. n. 1206/1992)

A seguito della nuova formulazione dell’art. 62, n. 4, c.p., recata dall’art. 2, L. 7 febbraio 1990, n. 19, la circostanza attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità può essere concessa non solo nei tradizionali reati contro il patrimonio, ma anche in quelli che «comunque offendono il patrimonio». Pertanto, poiché i reati ambientali possono cagionare danni economicamente valutabili, salvo la prova nel caso concreto, e tali danni possono presentare una maggiore o minore gravità, appare ragionevole in sede penale che di questa circostanza si possa tenere conto. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, il P.M. aveva lamentato la concessione dell’attenuante de qua per reati — opere edilizie in zona soggetta a vincolo paesistico senza concessione e senza nulla osta — dai quali non deriverebbero «danni economicamente valutabili»). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 1206 del 1 agosto 1992 (Cass. pen. n. 1206/1992)

In tema di tentativo, ai fini della concessione — con riferimento ai delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio — della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, devesi considerare il nocumento che il reato, ove consumato, avrebbe cagionato alla persona offesa, in rapporto all’oggetto materiale del reato stesso e non aver riguardo all’effetto conseguente al fatto materiale del tentativo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8413 del 28 luglio 1992 (Cass. pen. n. 8413/1992)

L’attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno di regola non può essere concessa sulla base della sola dichiarazione della persona offesa di essere stata integralmente risarcita dei danni sul rilievo che la dichiarazione della vittima potrebbe essere dettata da ragioni di mera convenienza; tale indirizzo deve essere, però, contemperato dalla possibilità di riconoscere la sussistenza della predetta attenuante allorquando il giudice, in forza del principio del libero convincimento, ritenga veritiera l’affermazione della persona offesa. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso del P.G., la corte del merito aveva ritenuto di dover dare pieno credito alla dichiarazione espressa dalla persona offesa di essere stata risarcita, e ciò, anche avuto riguardo alla mancanza di prove contrarie emergenti dagli atti processuali). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7988 del 16 luglio 1992 (Cass. pen. n. 7988/1992)

La circostanza della particolare tenuità del fatto nel delitto di ricettazione, di cui all’art. 648, comma secondo, c.p., si distingue da quella della speciale tenuità del danno di cui all’art. 62, n. 4, c.p., perché in quest’ultima ha rilievo il valore della cosa ricettata, oltre al danno arrecato alla parte, mentre nella ricettazione attenuata, pur non escludendosi gli aspetti economici e patrimoniali, si deve avere riguardo a tutti gli altri possibili elementi del fatto. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7818 del 8 luglio 1992 (Cass. pen. n. 7818/1992)

L’attenuante della provocazione concerne reati aventi carattere per sé stesso reattivo a danno del provocatore, tra i quali non rientrano le violazioni alla legge sulle armi che sono punite indipendentemente dall’indagine se l’autore abbia voluto usare delle armi stesse come mezzo per reagire contro una persona. (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto legittimo il diniego della concessione dell’attenuante in questione al colpevole di reati di detenzione e porto abusivo di armi da sparo cal. 7,65). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6915 del 11 giugno 1992 (Cass. pen. n. 6915/1992)

In materia di circostanze attenuanti, la provocazione, oltre che istantanea può essere lenta, protraendosi nel tempo senza mai raggiungere quella intensità di stimolazione da produrre, nell’offeso, una conflagrazione reattiva, ma determinando, tuttavia, in questi, quella accumulazione degli stimoli psichici cui è stato esposto destinata ad esplodere, all’occasione, nel comportamento violento reattivo. (Fattispecie in tema di omicidio). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6913 del 11 giugno 1992 (Cass. pen. n. 6913/1992)

Benché per il riconoscimento dell’attenuante della provocazione non si richieda la proporzione tra reazione e offesa, deve tuttavia tenersi conto del criterio dell’adeguatezza come parametro utile alla valutazione dello stato d’animo e delle intenzioni del reo, in quanto una palese sproporzione sta a significare che una reazione smisurata non è casualmente dipendente dallo stato d’ira insorto a cagione del fatto ingiusto altrui, bensì tradisce malvagità d’animo, odio o risentimento, ossia un sentimento o stato d’animo diversi da quello d’ira. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6909 del 11 giugno 1992 (Cass. pen. n. 6909/1992)

Non può essere riconosciuta l’attenuante del motivo di particolare valore morale o sociale a chi uccida il coniuge venuto meno all’obbligo di fedeltà, non essendo l’omicidio del coniuge un atto idoneo a reintegrare l’ordine familiare turbato, ma rappresentando solo l’espressione di un malinteso senso dell’onore e di un’esasperata valutazione della propria dignità e di quella della propria famiglia. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5428 del 9 maggio 1992 (Cass. pen. n. 5428/1992)

Poiché l’etica predominante nell’attuale momento storico non riconosce la violenza come mezzo per regolare i rapporti familiari, non ricorre l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale nella condotta del coniuge che, al fine di ricostituire l’unità familiare, commetta omicidio in danno della persona con la quale l’altro coniuge sia andato a vivere. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3750 del 27 marzo 1992 (Cass. pen. n. 3744/1992)

Tra i motivi di particolare valore morale o sociale previsti dall’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 1, c.p., non rientra quello di terrorismo. La norma suddetta, invero, conferisce rilievo unicamente a valori obiettivamente riconosciuti dalla coscienza etica della collettività e detta, dunque, un parametro socio-morale, fondato sul consenso, palesemente inadatto al fenomeno del terrorismo, che la società civile ha rifiutato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3744 del 27 marzo 1992 (Cass. pen. n. 3744/1992)

In presenza di fattispecie diverse di reati, unite ex art. 81 c.p. al solo fine quoad poenam, può concedersi la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità ex art. 62 n. 4 stesso codice in relazione al reato ritenuto più grave, indipendentemente dal fatto che la stessa attenuante non ricorra per gli altri episodi considerati meno gravi. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 3305 del 23 marzo 1992 (Cass. pen. n. 3305/1992)

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, perché un atteggiamento possa essere considerato vessatorio, è indispensabile che esso si caratterizzi come persecutorio e sia suscettibile di essere interpretato come oppressivo da chi ne è destinatario. (Nella specie, relativa a ritenuta insussistenza dell’attenuante, il ricorrente sosteneva che il diritto della vittima di scattare fotografie onde disporre di documentazione iconografica di pretese violazioni dei rapporti di vicinato ad opera del fratello sarebbe stato esercitato in modo vessatorio in quanto le fotografie furono scattate in presenza dell’imputato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2290 del 2 marzo 1992 (Cass. pen. n. 2001/1992)

In tema di concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, per determinare se si è in presenza di un danno che sia tenue dal punto di vista obiettivo è necessario considerare il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa. Pertanto, ai fini del riconoscimento della suddetta attenuante in relazione al reato di furto aggravato dalla violenza sulle cose (art. 625, comma primo, n. 2 c.p.) occorre tener conto non solo del valore della res sottratta ma anche del pregiudizio arrecato con la rottura di elementi del locale e degli involucri in cui la refurtiva era custodita. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2001 del 21 febbraio 1992 (Cass. pen. n. 2001/1992)

In tema di concorso in detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, può dare luogo all’applicazione delle attenuanti generiche, ma non di quella dell’attivo ravvedimento, la collaborazione prestata dall’imputato con le chiamate di correità rese in occasione della confessione, in quanto con tale comportamento egli certamente contribuisce, identificando gli spacciatori, a prevenire l’ulteriore diffusione della droga, ma non certo ad elidere o ridurre il danno sociale ormai irreparabile derivato dalla perpetrazione, già esaurita, dei reati di spaccio. Per conseguenze dannose o pericolose del reato devono intendersi quelle concernenti il danno penale causato dal reato stesso, cioè quello strettamente inerente alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata, il quale nel caso di specie va ravvisato nella salute umana e in un sano sviluppo psicofisico dell’individuo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 467 del 20 gennaio 1992 (Cass. pen. n. 467/1992)

In tema di circostanze attenuanti, il danno o il pericolo di danno che deriva al consumatore di sostanza stupefacente dalla azione criminale dello spacciatore non può mai ritenersi di speciale tenuità, sia perché inerente alla salute di una persona (e quindi non classificabile con i normali parametri relativi alla determinazione del danno patrimoniale), sia perché bisogna tener conto non solo dei danni immediati arrecati alla salute del tossicodipendente, ma anche di quelli non immediati ma pur sempre ricollegabili all’uso delle sostanze stupefacenti. Ne consegue che l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., come modificato dall’art. 2 L. n. 19/1990, non è applicabile al reato di detenzione di sostanza stupefacente a fini di lucro. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 341 del 17 gennaio 1992 (Cass. pen. n. 341/1992)

La circostanza attenuante della riparazione del danno di cui alla prima parte dell’art. 62 n. 6 c.p. non è collegata necessariamente con la cosiddetta resipiscenza del reo, potendo trovare la sua giustificazione in una mera utilità del danneggiante o soltanto nelle ampie disponibilità di quest’ultimo. Essa quindi ha contenuto (natura) oggettivo ed effetti soggettivi (art. 70 c.p.). Ne deriva che, quando il risarcimento sia effettuato da un terzo (ente assicuratore), la circostanza va applicata se la riparazione sia riferibile al colpevole, nel senso che questi ne abbia coscienza e mostri la volontà di far proprio il risarcimento stesso. (Nella specie trattavasi di omicidio colposo per infortunio sul lavoro. La riparazione era stata posta in essere dall’ente assicuratore del datore di lavoro. La Corte, dopo avere osservato che sarebbe stato assurdo discriminare tra imputato che esegua la riparazione facendosi successivamente tenere indenne dalla società assicuratrice ed altro che direttamente ne chieda ed ottenga l’intervento, ad avere affermato il principio innanzi trascritto, ha annullato la decisione di merito con rinvio per l’applicazione della attenuante). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 12760 del 18 dicembre 1991 (Cass. pen. n. 12760/1991)

L’attenuante di aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall’art. 62, n. 4, c.p., è compatibile con l’ipotesi attenuata di ricettazione prevista dall’art. 648, secondo comma, c.p., solo se la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto che caratterizza l’ipotesi attenuata di ricettazione, perché ove il danno patrimoniale sia stato tenuto presente in tale giudizio, l’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4 è assorbita nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, secondo comma, c.p. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 10993 del 4 novembre 1991 (Cass. pen. n. 10993/1991)

Il movente della gelosia non riveste quelle caratteristiche di altruismo e di nobiltà che costituiscono il presupposto per la configurabilità dell’attenuante del motivo di particolare valore morale o sociale, prevista dall’art. 62, n. 1, c.p., ma al contrario costituisce uno stato passionale sfavorevolmente apprezzato dalla comune coscienza etica, essendo espressione di un sentimento egoistico tutt’altro che nobile ed elevato. (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto che correttamente il giudice d’appello aveva negato l’attenuante de qua ad un uomo che aveva procurato lesioni volontarie gravissime ad un altro da lui sospettato di insidiargli la moglie). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10644 del 24 ottobre 1991 (Cass. pen. n. 10644/1991)

Non vi è compatibilità tra l’attenuante della provocazione e un reato a condotta abituale. Invero, per quanto lo stato d’ira, che costituisce uno degli elementi della fattispecie in cui si compendia l’attenuante di cui all’art. 62, n. 2, c.p., possa risorgere al ricordo dell’ingiustizia patita e dar luogo ad un comportamento criminoso anche temporalmente da essa distante, deve escludersi che ciò possa reiterarsi indeterminatamente e giustificare l’applicabilità della detta attenuante ad un reato a condotta abituale contrassegnato costitutivamente da una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura che si ripetono e si replicano nel tempo, posto che in tal caso quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto si presenta, in realtà, come espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, al quale l’ordinamento non può dare riconoscimento alcuno. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10006 del 26 settembre 1991 (Cass. pen. n. 10006/1991)

In tema di applicazione dell’attenuante del risarcimento del danno, la previsione normativa dell’aver, prima del giudizio, riparato interamente il danno, implica che tale riparazione deve essere avvenuta, per intero, prima che si inizi il giudizio e, quindi, prima che si apra il dibattimento. (La Corte ha altresì precisato, da un lato, che il principio di cui in massima si applica anche nel caso di giudizio direttissimo, e, dall’altro, che la rinnovazione del dibattimento eventualmente disposta non implica spostamento del termine suindicato).

Ai fini dell’attenuante della riparazione del danno, poiché al giudice è demandata la valutazione dell’esser stato o meno integrale il risarcimento, la sola dichiarazione della parte lesa dell’essere stato risarcito il danno senza la precisa, concreta indicazione delle somme corrisposte, non giova per l’accertamento della sussistenza dell’attenuante stessa. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 9582 del 14 settembre 1991 (Cass. pen. n. 9582/1991)

Per il riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, ai fini di stabilire l’adeguatezza tra reazione e fatto ingiusto altrui, il giudice non può limitarsi a valutare soltanto l’ultimo episodio aggressivo a cui l’agente ha reagito, ma deve considerare tutta l’eventuale serie di atti similari ripetuti nel corso del tempo, idonei a potenziare, per accumulo, la carica afflittiva di ingiusta lesione dei diritti dell’offeso, tali da incidere sul rapporto offesa – reazione. (Nella fattispecie, in tema di uxoricidio, la Corte ha annullato con rinvio, per vizio di motivazione, la sentenza di merito che aveva escluso l’attenuante della provocazione per palese proporzione tra reazione (colpi di martello inferti al capo della vittima) e fatto ingiusto altrui (ingiurie e violenza fisica nel corso di un ennesimo episodio aggressivo). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8133 del 25 luglio 1991 (Cass. pen. n. 8133/1991)

Ai fini dell’applicazione dell’attenuante della provocazione, l’acquiescenza o la mancata reazione dell’imputato di fronte ad una pluralità di fatti, oggettivamente ingiusti, perché contrari a norme etiche o giuridiche o di costume od alle regole della convivenza sociale, non esclude la sussistenza dello stato d’ira, né sul piano psicologico né su quello giuridico, qualora la vittima ponga in essere un nuovo ed ulteriore fatto ingiusto, che ricollegandosi a quelli precedenti per il nesso di derivazione psichica che li avvince, scateni nell’offeso un irrefrenabile moto di reazione violenta e porti, quindi, alla commissione del delitto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7513 del 12 luglio 1991 (Cass. pen. n. 7513/1991)

In materia di circostanze, l’attenuante di cui alla seconda ipotesi dell’art. 62, n. 6, c.p. è di natura soggettiva e trova la sua giustificazione nella minore capacità a delinquere del colpevole, il quale, per ravvedimento, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adopera per elidere od attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato. Sicché essa, che è eccezionalmente operativa dopo la consumazione del reato, non è concepibile in relazione ad un comportamento processuale di collaborazione con gli organi inquirenti, quando tale collaborazione non appaia collegabile alla minore capacità a delinquere o al ravvedimento nei termini innanzi indicati, ma ispirato a calcoli utilitaristici di riduzione della pena o quando la confessione non ha alcuna incidenza reale né potenziale sull’elisione o attenuazione delle conseguenze dannose del reato. (Nella fattispecie — in tema di concorso nel reato continuato di cui all’art. 71, L. 22 dicembre 1975, n. 685 — è stato rigettato il ricorso contro la decisione del giudice di merito, secondo cui la confessione dell’imputata era stata non spontanea, per essere stata successiva al rinvenimento nell’abitazione coniugale di copioso numero di ovuli d’eroina, era servita soltanto a rendere più agevole il giudizio di responsabilità nei confronti dei coimputati, peraltro confessi, ma non anche a consentire che le indagini potessero allargarsi oltre il ristretto gruppo già raggiunto da prove sicure per individuare il fornitore del corriere internazionale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6936 del 28 giugno 1991 (Cass. pen. n. 6936/1991)

Ai fini del riconoscimento della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. l’accertamento del requisito dell’integralità del risarcimento deve essere obbligatoriamente compiuto dal giudice, con la conseguenza che sono del tutto irrilevanti le affermazioni rese al riguardo dal danneggiato o le avvenute transazioni. Qualora vi sia stata offerta reale secondo le modalità previste dal codice civile è necessario, per poter fruire della detta attenuante, che nell’offerta sia compreso anche il danno non patrimoniale, risultando, altrimenti, il risarcimento del tutto incompleto ed inadeguato ai fini di cui trattasi. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 5464 del 17 maggio 1991 (Cass. pen. n. 5464/1991)

L’attenuante della riparazione del danno non è applicabile qualora il risarcimento sia stato effettuato da un ente assicuratore, perché il contratto di assicurazione viene stipulato prima della commissione del reato, mentre la ragione ispiratrice dell’attenuante va individuata nella resipiscenza espressa con il risarcimento. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 4441 del 22 aprile 1991 (Cass. pen. n. 4441/1991)

Ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. è necessario che il riconoscimento sia pieno ed integrale e cioè deve comprendere tutti i danni derivanti dal reato, che vanno individuati con gli stessi criteri con i quali si determina il danno ai sensi degli artt. 185 c.p. e 2043 c.c. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3912 del 9 aprile 1991 (Cass. pen. n. 3912/1991)

L’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, seconda ipotesi, c.p. (l’essersi il colpevole adoperato per elidere od attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato) non è applicabile ai reati contro il patrimonio, per i quali l’attenuazione di pena esige l’integrale risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale da parte dell’imputato. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 3698 del 5 aprile 1991 (Cass. pen. n. 3698/1991)

Non può essere concessa, per il reato di violenza carnale, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p., dell’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale, invocata e giustificata con l’intenzione di aver commesso il fatto allo scopo di sposare la ragazza. Infatti, nel reato indicato è sottintesa una spinta emotiva bassamente egoistica; a ciò va aggiunto che il legislatore, che pure ha previsto una figura distinta in materia di ratto, se questo sia stato motivato da un intento di matrimonio, non ne ha dato eguale rilevanza in tema di violenza carnale, ritenendo del tutto trascurabile tale scopo di fronte alla particolare gravità del reato. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3069 del 13 marzo 1991 (Cass. pen. n. 3069/1991)

La circostanza attenuante della riparazione del danno prevista dall’art. 62, comma primo, n. 6, c.p., non si perfeziona tanto nel caso in cui la riparazione non sia integrale, quanto nel caso in cui essa sia integrale ma anche solo parzialmente non volontaria o non spontanea. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2597 del 26 febbraio 1991 (Cass. pen. n. 2597/1991)

Ai fini della esclusione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 2 c.p., il requisito della proporzione tra fatto ingiusto e reazione, pur non avendo il carattere dell’essenzialità, può assumere rilevanza se l’accertata mancanza di un qualsiasi rapporto di adeguatezza della reazione al fatto provocatorio faccia sì che questo debba essere considerato un mero pretesto di cui l’agente abbia approfittato per dare sfogo alla propria prepotenza, violenza, malvagità d’animo, aggressività o altro. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2076 del 15 febbraio 1991 (Cass. pen. n. 2076/1991)

Condizione essenziale per l’applicabilità dell’attenuante della provocazione ex art. 62 n. 2 c.p. è che il reato sia stato commesso in stato d’ira, come reazione al fatto ingiusto altrui. Ne consegue che non sussiste l’attenuante se l’azione del provocato sia stata commessa sotto l’impulso di uno stato d’animo diverso dall’ira, quale la vendetta, sia pure insorto in correlazione con un fatto ingiusto altrui. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16320 del 7 dicembre 1990 (Cass. pen. n. 16320/1990)

In tema di risarcimento del danno, la circostanza che la parte civile abbia quantificato in sede di conclusioni il danno nella cifra simbolica di una lira, dopo avere rifiutato l’offerta non formale di maggiore importo, non può avere alcuna incidenza sul diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 c.p. per la irritualità e l’inadeguatezza dell’offerta; invero la validità e l’adeguatezza dell’offerta degli importi risarcitori e il relativo rifiuto della parte civile vanno valutati oggettivamente con riferimento al tempo anteriore all’apertura del dibattimento di primo grado, perché è in tale momento che deve aver luogo l’intera riparazione del danno. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 16082 del 5 dicembre 1990 (Cass. pen. n. 16082/1990)

Non è configurabile l’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p. nell’azione delittuosa consumata contro il coniuge consensualmente separato che abbia instaurato un rapporto extraconiugale, in quanto tale situazione non è né immorale né socialmente riprovevole. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 15994 del 29 novembre 1990 (Cass. pen. n. 15994/1990)

L’attenuante della riparazione del danno non è applicabile qualora il risarcimento sia stato effettuato da un ente assicuratore, anche se il contratto di assicurazione sia stato stipulato dall’imputato per la propria responsabilità civile. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 15583 del 24 novembre 1990 (Cass. pen. n. 15583/1990)

L’illecito penale, è sempre «immorale» per definizione ma moralmente apprezzabili possono essere i motivi che lo hanno determinato, i quali vanno quindi valutati nella loro autonoma rilevanza quando si faccia questione della ricorrenza o meno dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 1 c.p. (Nella specie il giudice di merito aveva confuso la riprovevolezza del fatto delittuoso con la riprovevolezza dei motivi, ritenendo che «nella coscienza sociale non è considerata morale l’uccisione di un uomo neppure quando si agisce per una ragione iraconda determinata da fatto ingiusto altrui»). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14856 del 15 novembre 1990 (Cass. pen. n. 14856/1990)

A seguito della modifica apportata all’art. 62 n. 4 c.p. dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19, la circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, e quindi anche a quei delitti che trovino la causa sceleris (e cioè la spinta a delinquere) in un motivo di lucro, in termini di acquisire, quale risultato dell’azione delittuosa, un vantaggio patrimoniale, purché la speciale tenuità riguardi congiuntamente l’entità sia del lucro (conseguendo o conseguito) che dell’evento dannoso o pericoloso. (Fattispecie in tema di spendita di banconota da lire 100.000 contraffatta). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 14713 del 14 novembre 1990 (Cass. pen. n. 14412/1990)

La confessione, che non abbia incidenza reale o potenziale rispetto agli effetti del reato (elisione o attenuante delle conseguenze dannose o pericolose), ma sia utile solo ai fini dell’accertamento del crimine o della scoperta dei correi può spiegare rilevanza nello schema e per i fini dell’art. 133 c.p., ma non può assurgere ad integrare la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6 c.p. né può essere riconosciuta in relazione ad un comportamento processuale di semplice collaborazione con gli inquirenti, trattandosi di comportamento intrinsecamente ispirato a calcoli utilitaristici (riduzione di pena) e non collegabile ad una minore capacità a delinquere o a sincero ravvedimento. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14412 del 2 novembre 1990 (Cass. pen. n. 14412/1990)

Per la concessione dell’attenuante della riparazione del danno (art. 62 n. 6 c.p.) è necessario che il ristoro abbia luogo prima del giudizio e che sia effettivo ed integrale. Tale requisito non è adempiuto quando l’offerta o il pagamento sia avvenuto dopo l’apertura del dibattimento. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 14204 del 26 ottobre 1990 (Cass. pen. n. 14204/1990)

Ai fini della concessione dell’attenuante del danno risarcito, l’integralità del risarcimento deve essere accertata dal giudice di merito — il cui giudizio, se motivato, non è sindacabile in sede di legittimità — e non può essere desunta dall’affermazione delle parti offese di essere state soddisfatte. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 11149 del 4 agosto 1990 (Cass. pen. n. 11149/1990)

Nel reato continuato l’attenuante del risarcimento del danno può essere concessa anche nel caso in cui il risarcimento sia stato effettuato solo in favore della o delle persone offese dal reato più grave. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 9824 del 7 luglio 1990 (Cass. pen. n. 9824/1990)

La circostanza attenuante comune prevista dall’art. 62, n. 6, seconda ipotesi, c.p. (elisione o attenuazione delle conseguenze del reato), è di natura soggettiva e trova fondamento nella minore capacità a delinquere del colpevole, il quale, per ravvedimento, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adopera per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato. L’attenuante è ravvisabile solo se l’azione diretta ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato è spontanea ed efficace, cioè determinata da motivi interni all’agente e non influenzata in alcun modo da fattori esterni che operino come pressione sulla spinta psicologica. Per conseguenze dannose e pericolose del reato debbono intendersi esclusivamente quelle concernenti il danno penale causato dal reato stesso e cioè solo quello strettamente inerente alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata e che quindi non si concretino in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile. L’attenuante trova giustificazione in una condotta che testimoni minor capacità a delinquere in relazione a reati in cui il danno penale non sia per sua natura irreversibile e non eliminabile neppure in parte dall’opera del colpevole. Essa, pertanto, non è concedibile in relazione ad un comportamento processuale di semplice collaborazione con gli organi inquirenti. (Fattispecie relativa e ritenuta inapplicabilità dell’attenuante in quanto la collaborazione dell’imputato — indicazione dei fornitori — è intervenuta dopo l’esaurimento del reato con l’espletamento dell’attività di spaccio degli stupefacenti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8238 del 6 giugno 1990 (Cass. pen. n. 8238/1990)

Il dovere di prestare assistenza ad una persona ferita, previsto dall’art. 593, cpv. c.p., si impone anche a chi ha cagionato volontariamente le ferite mediante un delitto contro la persona senza il fine di uccidere, per cui se egli non adempie a tale dovere risponde, in concorso materiale, del delitto di omissione di soccorso e di quello precedentemente commesso contro la stessa persona. Ne consegue che non è concedibile l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 c.p. qualora il condannato per il delitto di lesioni volontarie abbia portato assistenza alle vittime. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6938 del 15 maggio 1990 (Cass. pen. n. 6938/1990)

La circostanza attenuante della provocazione postula sia l’accertata e non meramente putativa sussistenza del fatto altrui provocatorio ed obiettivamente ingiusto, il quale, cioè, sia contrario a norma giuridica ed alle regole di civile convivenza, in quanto privo di qualsiasi giustificazione sia intrinseca che formale, sia il collegamento provocato in modo che la condotta criminosa di costui sia legata da un rapporto di causalità psichica che l’offesa e venga realizzata nel contesto della turbativa psicologica concretante uno stato d’ira inteso come moto disordinato dell’anima. Tutti gli anzidetti elementi devono concorrere al fine della ravvisabilità della provocazione sicché la mancanza o il difetto di prova su di uno solo di essi è di per sé sufficiente ad impedire il riconoscimento delle condizioni legittimanti l’applicazione dell’art. 62, n. 2 c.p. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6929 del 15 maggio 1990 (Cass. pen. n. 6929/1990)

Per «folla in tumulto», di cui all’attenuante prevista dall’art. 62, n. 3 c.p., deve intendersi una riunione imponente e disordinata di individui che per un concorso di emozioni reagisca in modo improvviso e rumoroso. La predetta attenuante trova il suo fondamento nello stato di minorata resistenza psichica cagionata dall’anzidetta reazione improvvisa, violenta e rumorosa. (Nella specie è stata esclusa l’applicabilità dell’attenuante, essendosi trattato di azione condotta da un gruppo coordinato di individui che avevano freddamente calcolato i fatti di aggressione, e, pur se vi era effettivamente della folla presente al momento dell’aggressione, essa non era affatto in tumulto). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 6396 del 3 maggio 1990 (Cass. pen. n. 6396/1990)

Non è configurabile la circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 5, c.p. né in quei casi nei quali il comportamento della parte offesa è contrassegnato dalla colpa, secondo i criteri di qualificazione enunciati dall’art. 43 c.p., né quando, nell’ambito del processo di causazione dell’evento, essa assume il ruolo di una semplice occasione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5378 del 12 aprile 1990 (Cass. pen. n. 5378/1990)

La circostanza attenuante della provocazione postula non solo l’accertata (e non meramente putativa, art. 59 c.p.) sussistenza del fatto altresì provocatorio ed obiettivamente ingiusto, il quale, cioè, sia contrario a norma giuridica ed alle regole di civile convivenza, in quanto privo di qualsiasi giustificazione sia intrinseca che formale, ma altresì che questo fatto sia eziologicamente collegato con la reazione iraconda del soggetto provocato in modo che la condotta criminosa di costui sia legata da un rapporto di causalità psichica con l’offesa e venga realizzata nel contesto della turbativa psicologica concretante uno stato d’ira inteso come moto disordinato dell’animo. Tutti gli anzidetti elementi devono concorrere ai fini della ravvisabilità della provocazione sicché la mancanza o il difetto di prove su di uno solo di essi è di per sé sufficiente ad impedire il riconoscimento delle condizioni legittimanti l’applicazione dell’art. 62, n. 2, c.p. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5369 del 12 aprile 1990 (Cass. pen. n. 5369/1990)

Le due ipotesi di circostanze attenuanti previste dall’art. 62, n. 6, c.p. (risarcimento integrale del danno e spontanea elisione o attenuazione delle conseguenze dannose del reato) non possono concorrere allorché il reato offende il patrimonio, poiché la seconda ipotesi riguarda il danno non risarcibile economicamente. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5290 del 11 aprile 1990 (Cass. pen. n. 5290/1990)

Il contegno attuoso post factum dell’imputato, il quale con una lunga opera di modernizzazione abbia agito in modo da ridurre l’incidenza degli infortuni sul lavoro, certamente apprezzabile e producente al fine di beneficiare delle attenuanti generiche o per conseguire, in conformità a quanto disposto dall’art. 133, secondo comma, n. 3, c.p., una più equa determinazione della pena, non è tuttavia rapportabile al paradigma apprestato dalla norma di cui all’art. 62, n. 6, c.p. (attivo ravvedimento), la quale richiede l’eliminazione delle conseguenze di un reato, consumato, non il preventivo adoperarsi del reo per evitare la reiterazione di eventi della stessa indole. Infatti, la seconda situazione prevista dall’art. 62, n. 6, c.p. fa riferimento alla condotta del reo improntata ad eliminare o ad efficacemente attenuare le conseguenze dannose e pericolose del fatto; attività questa che deve essere posta in diretto rapporto con l’episodio delittuoso del quale, per effetto di spontaneo ravvedimento, l’autore tende a rimuovere gli effetti negativi. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 5272 del 9 aprile 1990 (Cass. pen. n. 4506/1990)

Ai fini dell’applicabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. è necessario che il ravvedimento operoso sia, oltre che spontaneo, anche efficace, nel senso che debba aver conseguito il risultato dell’elisione o, quanto meno, dell’attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4506 del 2 aprile 1990 (Cass. pen. n. 4506/1990)

L’attenuante di cui all’art. 62, n. 1, c.p. non ricorre quando il movente del fatto, pur prestandosi ad una generica valutazione positiva sul piano della comune coscienza etica e della solidarietà sociale, non si presenti con caratteri di particolare intensità e non si differenzi, in conseguenza, dai motivi che normalmente possono indurre il soggetto a delinquere; ne consegue che non sussiste la situazione considerata dalla norma nell’azione di colui che commette un fatto illecito allo scopo di alleviare le condizioni economiche disagiate, proprie o di congiunti, perché tale scopo non costituisce un motivo di eccezione, quale quello richiesto dalla legge, ma rappresenta uno dei naturali moventi che comunemente possono indurre a commettere un reato. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 4401 del 31 marzo 1990 (Cass. pen. n. 4401/1990)

La circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p. (danno patrimoniale di speciale tenuità) è applicabile nei delitti contro il patrimonio o che, comunque, offendono il patrimonio e non nei delitti contro la vita e l’incolumità individuale. (Fattispecie relativa a diniego dell’attenuante in ordine al reato di omicidio colposo). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3884 del 17 marzo 1990 (Cass. pen. n. 3884/1990)

Ai fini della concessione della circostanza attenuante della riparazione del danno, di cui all’art. 62, n. 6, c.p., è correttamente negato dal giudice d’appello qualsiasi valore probatorio alla esibita copia informale di un atto di transazione e quietanza che, oltre ad essere privo di qualunque carattere di autenticità, sia mancante persino di data e non consenta, pertanto, a prescindere da ogni altra considerazione, di accertare nemmeno l’anteriorità del preteso gesto riparatorio rispetto al giudizio, ossia all’apertura del dibattimento di primo grado: elemento cronologico, questo, essenziale ai fini del riconoscimento della invocata attenuante. Né possono trarsi argomenti di prova, a favore dell’avvenuta integrale riparazione del danno prima del giudizio, dalla mancata presentazione di conclusioni ad opera delle costituite parti civili, stante il significato per niente univoco di siffatta circostanza. (Nella specie la S.C. ha anche ritenuto che «non può servire infine, l’aver allegato al ricorso fotocopia autentica e datata dell’atto transattivo in questione, trattandosi di documento contenente una prova da apprezzare ed esorbitando tale apprezzamento dalle funzioni istituzionali di questa corte di legittimità»). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3860 del 17 marzo 1990 (Cass. pen. n. 3860/1990)

Gli scopi del terrorismo internazionale sono del tutto estranei ed antitetici con i fini dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale, trattandosi, tra l’altro, di aberrazione culturale non favorevolmente apprezzata dalla coscienza etica media del popolo italiano. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto legittimo il diniego della concessione dell’attenuante de qua agli autori di un attacco armato nell’aereoporto di Roma che, per soddisfare gli scopi del terrorismo internazionale, avevano ucciso pacifici cittadini di varia nazionalità). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2511 del 22 febbraio 1990 (Cass. pen. n. 2511/1990)

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno risarcito in caso di rifiuto o rinuncia dell’avente diritto al risarcimento, è necessario che l’intenzione di risarcire il danno abbia assunto un particolare carattere di concretezza; e pertanto, anche se non è indispensabile che la serietà dell’offerta risulti da una prova integrante gli estremi dell’offerta reale prevista dal codice civile, è pur sempre necessario che la somma sia stata posta in modo certo ad effettiva ed incondizionata disposizione del danneggiato e che di tale circostanza sia fornita prova precisa ed inequivocabile. (Nella specie è stato escluso che rispondesse a tali requisiti la testimonianza diretta unicamente a dimostrare che l’imputato si era dichiarato disposto al risarcimento). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 310 del 15 gennaio 1990 (Cass. pen. n. 310/1990)

In tema di ricettazione di assegni, ai fini dell’applicazione dell’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale cagionato alla persona offesa si deve tener conto dell’importo risultante dal titolo solo se il reato di ricettazione abbia avuto ad oggetto un assegno già contenente l’indicazione dell’importo stesso.

L’attenuante di aver cagionato alla persona offesa del reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall’art. 62, n. 4 c.p., è compatibile con l’ipotesi attenuata di ricettazione prevista dall’art. 648, secondo comma, c.p. solo se la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto che caratterizza l’ipotesi attenuata di ricettazione, perché ove il danno patrimoniale sia stato tenuto presente in tale giudizio l’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4 è assorbita nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, secondo comma c.p. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 13330 del 11 ottobre 1989 (Cass. pen. n. 13330/1989)

Agli effetti della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 4 c.p. la durata del danno nel reato di furto assume rilevanza solo come elemento complementare — e non alternativo — di quello del valore della cosa sottratta. Ne consegue che, se la cosa è di grande valore in sé, a nulla rileva che sia stata sottratta soltanto per brevi momenti: il danno è obiettivamente grave per il solo fatto dello spossessamento, sia pure limitato nel tempo. Al contrario, nel caso di recupero in brevissimo tempo di una somma sottratta di non grossa entità, il danno di speciale tenuità può ravvisarsi, nell’indifferenza del valore della cosa sottratta, in ragione del minimo pregiudizio che la breve sottrazione ha causato. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 4240 del 22 marzo 1989 (Cass. pen. n. 4240/1989)

L’art. 62, n. 5, c.p., nel prevedere il fatto doloso della persona offesa come causa concorrente, con l’azione o l’omissione del colpevole, a determinare l’evento, non precisa che la persona offesa debba volere lo stesso evento voluto dal colpevole, ma indica, come indice di minore gravità del reato e della responsabilità del colpevole, un comportamento doloso (anche se non costituente di per sé stesso reato) della persona offesa, che sia tale da costituire una concausa efficiente del reato, secondo il dettato di cui all’art. 41 c.p. (e, pertanto, anteriore, contemporaneo o susseguente all’azione o all’omissione del colpevole). Ne consegue che l’attenuante in questione trova applicazione ogni qualvolta il fatto doloso dell’offeso è tale che, se non vi fosse stato, non si sarebbe verificato l’evento nella sua forma e gravità, indipendentemente dall’indirizzo della volontà della persona offesa e, quindi, dall’evento (risultato) avuto di mira dal dolo dello stesso. (Fattispecie in cui l’imputato, spaventato da alcuni individui che stavano per penetrare in casa a fine di furto, a (dichiarato) scopo intimidatorio, sparava alcuni colpi di pistola, uno dei quali mortalmente attingeva uno dei ladri in fuga nel momento in cui scavalcava il muro di recinzione dello stabile. La corte del merito, nella condotta di tentativo di furto da parte dell’ucciso, non aveva ritenuto individuabile il fatto doloso di cui all’attenuante de qua, mentre la Corte Suprema, andando in contrario avviso, ha espresso la massima di cui sopra). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3741 del 10 marzo 1989 (Cass. pen. n. 3741/1989)

L’attenuante della provocazione e quella dei motivi di particolare valore morale o sociale possono concorrere, ma soltanto quando esse abbiano origine da situazioni di fatto diverse, non quando risalgano al medesimo fatto, nel qual caso per il principio di specialità va applicata solo una delle due circostanze. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1015 del 26 gennaio 1989 (Cass. pen. n. 1015/1989)

Per la configurabilità della circostanza attenuante comune di avere agito per suggestione di una folla in tumulto, prevista dall’art. 62, n. 3, c.p. sono richiesti – oltre che si tratti di riunioni o assembramenti non vietati dalla legge o dall’autorità e che il colpevole non sia delinquente per tendenza – i seguenti requisiti: l’esistenza di un tumulto, ossia di una manifestazione improvvisa, disordinata, violenta e rumorosa, uno stretto nesso di causalità tra l’azione criminosa e la suggestione della folla, nel senso che la prima sia l’effetto della seconda e che non avrebbe avuto luogo al di fuori della sfera di influenza della suggestione. Ne discende che la circostanza attenuante in esame non può essere applicata nel caso di una manifestazione preordinata almeno nella fase iniziale, quindi non sorta improvvisamente per moto spontaneo, ed a maggior ragione qualora il colpevole abbia in precedenza predisposto l’azione criminosa da compiersi in occasione, e non a causa, della prevista manifestazione, per giunta facendo parte del gruppo di persone costituitosi proprio per spingere ad atteggiamenti violenti di intolleranza. (Fattispecie della preordinazione del lancio di razzi in occasione di una partita di calcio da parte di sostenitori di una delle due squadre in competizione con conseguente ferimento e morte di uno spettatore appartenente all’opposto schieramento di tifosi, fatto per il quale è stata ritenuta l’insussistenza dei requisiti per la configurabilità dell’attenuante della suggestione della folla in tumulto). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10234 del 19 ottobre 1988 (Cass. pen. n. 10234/1988)

L’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. in entrambe le due ipotesi, riparatoria e di ravvedimento operoso, è applicabile anche ai reati contro la fede pubblica e quindi anche ai reati di falso in atto pubblico. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 6403 del 27 maggio 1988 (Cass. pen. n. 6403/1988)

In tema di circostanza attenuante del risarcimento del danno, la risarcibilità è incondizionatamente riconosciuta soltanto per i danni patrimoniali. Ne deriva che — con riferimento ai danni non patrimoniali — il semplice rapporto di parentela (nella specie fratello di persona deceduta a seguito di omicidio) non dà luogo necessariamente all’insorgenza dell’obbligo; è quindi indispensabile che il giudice di merito fornisca adeguata motivazione in ordine alla sua concreta sussistenza. (Nel caso in esame è stato ritenuto non congruamente motivato il diniego della detta attenuante, senza esame della prospettata ragione del mancato risarcimento del danno non patrimoniale a favore del fratello della vittima di un omicidio, con questa ultima non convivente ed in disaccordo). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5216 del 28 aprile 1987 (Cass. pen. n. 5216/1987)

Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, quando non si tratti di denaro, si deve tenere conto del valore economico che la cosa oggetto del danno ha nelle normali contrattazioni commerciali in un determinato momento storico senza che possa darsi peso, a tale riguardo, ad elementi contingenti o casuali, di natura oggettiva o soggettiva, che possano influenzare, in un senso o nell’altro, la valutazione della cosa come tale. Non è, in particolare, consentito tenere conto ai fini sopra specificati, del prezzo di affezione, maggiore di quello reale, che la cosa può avere per una determinata persona, né ha rilevanza allo stesso fine, che con azioni successive ad opera dello stesso o di altri soggetti, la cosa in questione venga utilizzata per commettere altre azioni delittuose integranti di per sé stesse uno o più reati, in relazione ai quali la tenuità o la gravità del danno eventualmente prodotto si atteggia in una autonoma tematica circostanziale. (Nella specie si è ritenuto illegittimo il diniego dell’attenuante fondato non sul valore oggettivo degli stampati oggetto dell’illecito, bensì sull’eventuale pregiudizio subito dalla pubblica amministrazione per la ricettazione di moduli di carta d’identità, non rientrando tale pregiudizio nella nozione del danno quale conseguenza immediata e diretta del reato). Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 10445 del 21 novembre 1984 (Cass. pen. n. 10445/1984)

La circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 6 c.p. si articola in due ipotesi ben distinte tra loro, sia quanto all’essenza del fatto preso in considerazione dalla legge quale causa di attenuazione della responsabilità della pena e sia sotto l’aspetto della sfera di applicazione. La prima ipotesi consiste nel risarcimento economico del danno e, quando sia possibile, nelle restituzioni, ed è applicabile ai reati contro il patrimonio, o che, comunque, concretamente e direttamente offendono il patrimonio. La seconda può essere costituita soltanto da fatti diversi dal risarcimento economico e dalle restituzioni, fatti efficaci e spontanei dai quali si desuma l’avvenuto ravvedimento e quindi la minore pericolosità sociale del reo; essa non è applicabile ai reati contro il patrimonio, in quanto si riferisce soltanto a quelle conseguenze del reato che non si concretano in un danno, patrimoniale o non patrimoniale, economicamente risarcibile. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 8183 del 6 ottobre 1984 (Cass. pen. n. 8183/1984)

Anche nei riguardi dei reati contro la fede pubblica è applicabile l’attenuante dell’attivo ravvedimento di cui all’art. 62 n. 6 c.p., ben potendo il colpevole, dopo la realizzazione dell’evento, adoperarsi per elidere o attenuare quelle conseguenze dell’azione criminosa che non si concretino in un danno economicamente risarcibile. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 145 del 7 gennaio 1984 (Cass. pen. n. 145/1984)

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