In tema di circostanze attenuanti, l’età del minore può essere valutata al duplice fine di riconoscere l’attenuante della minore età di cui all’art. 98 cod. pen. e per fondare il giudizio sulla concessione delle circostanze attenuanti generiche, in cui il riferimento alla età del minore non rileva in sé ma in ragione degli elementi familiari ed ambientali che ne hanno influenzato la crescita nella fase adolescenziale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva riconosciuto le attenuanti in relazione ad un delitto di omicidio commesso da minore quindicenne, cresciuto in condizioni di deprivazione morale e in una situazione ambientale deficitaria per lo stato di detenzione di tutti i familiari). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 49673 del 11 aprile 2019 (Cass. pen. n. 49673/2019)
Ai fini dell’accertamento della non imputabilità derivante da immaturità, l’indagine sulla personalità del minore non richiede necessariamente un accertamento di tipo psichiatrico, in quanto l’esame della maturità mentale del minore può legittimamente essere condotto attraverso la valutazione degli esperti o delle persone che abbiano avuto rapporti con l’imputato – attività indicate dall’art. 9, comma secondo, d.P.R. n. 448 del 1988 – ed in base a tutti gli elementi desumibili dagli atti e, tra questi, dalle modalità del fatto, esaminate anche in considerazione dell’età del minorenne, le quali dimostrino la sussistenza di detta imputabilità. (In motivazione la S.C. ha precisato che l’incapacità di intendere e di volere da immaturità ha carattere relativo nel senso che, trattandosi di qualificazione fondata su elementi non solo biopsichici ma anche socio – pedagogici, relativi all’età evolutiva va accertata con riferimento al reato commesso, sulla base degli elementi, offerti dalla realtà processuale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 18345 del 11 aprile 2017 (Cass. pen. n. 18345/2017)
Il giudice che accerti la capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne non ha alcun potere discrezionale nell’operare la diminuzione della pena ai sensi dell’art. 98 cod. pen., in quanto tale disposizione prevede l’obbligatorietà della riduzione della pena; tuttavia, la minore età, operando come circostanza soggettiva inerente alla persona del colpevole, è soggetta, al giudizio di comparazione e al criterio previsto dall’art. 65 n. 3 cod. pen. per l’entità della riduzione. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 33004 del 28 luglio 2015 (Cass. pen. n. 33004/2015)
La capacità di intendere e di volere del minore che abbia compiuto gli anni quattordici e non ancora i diciotto non è presunta ma deve essere accertata in concreto; ai fini di siffatta indagine non è necessario l’esperimento di apposita perizia, in quanto l’accertamento delle predette capacità non è necessariamente vincolato a particolari accertamenti tecnico-specialistici, ma ben può essere affidato alla diretta valutazione del giudice, con ogni mezzo a sua disposizione e con riferimento al caso concreto. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione di declaratoria di non luogo a procedere fondata sulla mancanza di prova della capacità di intendere e di volere facendo assurgere un dato negativo (difetto di prova di capacità) ad elemento di prova positiva (rilievo di immaturità). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4104 del 3 febbraio 2011 (Cass. pen. n. 4104/2011)
Ai fini dell’accertamento della capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne, non è necessaria una specifica indagine peritale, ben potendo il giudice desumere la capacità del minore anche dalla diretta osservazione della sua personalità e del suo comportamento, purché la relativa decisione sia congruamente motivata. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 24004 del 23 giugno 2010 (Cass. pen. n. 24004/2010)
L’accertamento della capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne, va espletato dal giudice direttamente e con ogni mezzo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 23006 del 4 giugno 2009 (Cass. pen. n. 23006/2009)
Il giudice che accerti la capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne non ha alcun potere discrezionale nell’operare la diminuzione della pena ai sensi dell’art. 98 c.p., in quanto tale disposizione prevede l’obbligatorietà della riduzione della pena. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 42105 del 15 novembre 2007 (Cass. pen. n. 42105/2007)
Nel computo della pena detentiva stabilita per ciascun reato ai fini dell’applicazione dell’amnistia elargita con D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, anche la diminuente prevista dall’art. 98, comma primo, c.p. va calcolata nella sua estensione minima di un giorno. (Fattispecie nella quale è stata esclusa, “in executivis”, l’applicabilità dell’amnistia al reato di cui all’art. 71, comma quarto, della legge n. 685 del 1975, commesso da minore). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2112 del 26 giugno 2000 (Cass. pen. n. 2112/2000)
Il compimento dei 18 anni di età, ai fini del raggiungimento della piena imputabilità penale, va fissato secondo le regole stabilite dall’art. 14, comma secondo, c.p. e dall’art. 172, comma quarto, c.p.p. e, quindi, trattandosi di termine da computarsi ad anni, allo scadere delle ore 24 del giorno del diciottesimo compleanno del soggetto. (Nella specie, in applicazione di tale principio, è stato ritenuto che fosse da considerare ancora minorenne un soggetto che aveva commesso un reato intorno alle ore 23,40 del giorno del suo diciottesimo compleanno). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 158 del 11 febbraio 1999 (Cass. pen. n. 158/1999)
Pur se non è configurabile una incompatibilità assoluta ed astratta tra motivi a delinquere e condizioni inerenti alla persona, implicanti una diminuita imputabilità, (quale la minore età ed il vizio parziale di mente), è necessario, tuttavia, distinguere la futilità del motivo, sintomatica di capacità a delinquere, dalla irrazionalità del motivo, che è soltanto rappresentativa d’ingenuità, immaturità ed emozionalità adolescenziale. L’aggravante, quindi, deve essere individuata con criterio sia oggettivo che soggettivo, onde rendere possibili scelte razionali, non arbitrarie ed astratte, concretamente ancorate ai fatti ed alla personalità dell’individuo, nella quale la futilità, qual espressione di malvagità, trova ragione di aggravamento della pena. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8450 del 18 settembre 1997 (Cass. pen. n. 8450/1997)
Poiché la capacità di intendere e di volere del minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni non si presume, si richiede al giudice di merito un’adeguata motivazione sull’accertamento, in concreto, di detta capacità intesa come attitudine del soggetto ed avere la consapevolezza del disvalore sociale dell’atto e delle relative conseguenze e a determinare liberamente la sua condotta in relazione ad esso. Inoltre il suddetto accertamento deve essere rapportato agli episodi criminosi in cui il minore risulta coinvolto. Invero, mentre l’incapacità di intendere e di volere derivante da causa psicopatologica ha carattere assoluto, nel senso che prescinde dalla natura e dal grado di disvalore sociale della condotta posta in essere, quella da immaturità ha carattere relativo, nel senso che la maturità psichica e mentale del minore è accertabile sulla base di elementi non soltanto psichici, ma anche socio-pedagogici, relativi all’età evolutiva e, quindi, il relativo esame va compiuto con stretto riferimento al reato commesso. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 534 del 22 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 534/1993)
Al fine di accertare la eventuale immaturità del minore infradiciottenne rispetto allo specifico tipo di condotta posta in essere, poiché il problema non inerisce ad incapacità derivante da malattia, l’indagine deve essere volta all’accertamento della maturità psichica raggiunta dal minore e, se si acclara che lo sviluppo intellettuale e morale del giovane gli fa sufficientemente comprendere la portata e le conseguenze del proprio comportamento, allora lo si può ritenere imputabile, ma con la diminuente della pena prevista dall’art. 98 c.p. Poiché nel vigente sistema processuale non sono previste prove rituali e vige il principio del libero convincimento, il giudice non è tenuto a disporre apposita perizia, potendo ricavare gli elementi necessari al giudizio sulla maturità del minore dagli atti del procedimento nonché dal di lui comportamento processuale ed extraprocessuale, rapportati al fatto contestato. L’omissione di apposita relazione formulata da esperti o perito non vizia il procedimento neanche in relazione all’art. 11, R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, la cui violazione non è sanzionata da nullità, purchè, comunque, risulti che il giudice abbia specificamente indugiato nell’esame della personalità del minore al fine di accertarne la capacità e la seconda come capacità all’autodeterminazione, rapportandole al disvalore etico-sociale della condotta in esame. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10002 del 26 settembre 1991 (Cass. pen. n. 10002/1991)
In tema di accertamento dell’imputabilità del minore ultraquattordicenne, non esistendo schemi astratti valevoli a tal fine, occorre valutare il comportamento del soggetto in concreto, onde verificare se egli presenta, in rapporto al fatto delittuoso, un grado di maturità tale da rendersi conto del suo disvalore sociale, e ciò è desumibile dal ruolo specifico che ha svolto nell’attività criminosa, dalla sua effettiva capacità organizzativa, dal contegno che ha assunto nel corso dell’impresa delittuosa e nel processo. (La Cassazione ha precisato che il giudizio deve essere fondato su elementi non soltanto biopsichici, ma anche socio – economici, in relazione alla evoluzione dell’età e in connessione con il tipo di reato commesso e con le modalità esecutive dello stesso). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 9265 del 13 settembre 1991 (Cass. pen. n. 9265/1991)
L’imputabilità del minore va considerata in relazione allo stato evolutivo proprio dell’età, certamente lungi dal compimento e al quale si accompagnano, per fatto naturale, una parziale immaturità, che si prospetta tale se comparata alla condizione del maggiore, approdata alla fase terminale dell’accrescimento fisico intellettivo, ma che è cosa normale se riferita all’età minorile, cui la legge, infatti accorda in ogni caso, con presunzione assoluta una generale considerazione (la diminuente ex art. 98 c.p.) ritenendo naturalmente compromessa la piena capacità di intendere e di volere. La capacità intellettiva e di autodeterminazione, cioè fissata in generale, tanto maggiore deve considerarsi, con la connessa consapevolezza nel disvalore sociale dell’atto delittuoso, quanto questo si ponga come lesione di regole etiche minime, attinenti alla tutela di beni primari (la vita, l’integrità personale, la libertà) dell’individuo. Ne consegue che nello stesso soggetto l’imputabilità può sussistere o meno a secondo del tipo di reato commesso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14674 del 9 novembre 1990 (Cass. pen. n. 14674/1990)
Ai fini dell’imputabilità del maggiore di 14 anni e del minore di 18 anni la maturità può aversi per raggiunta dal soggetto se sussistono lo sviluppo intellettivo e volitivo e l’attitudine di distinguere il bene dal male e il lecito dall’illecito, se le possibilità di determinarsi nelle scelte siano nella norma, tutto ciò può anche non avvenire per effetto di una infermità mentale, ma non necessariamente, in tal caso, deve ravvisarsi la immaturità dato che «immaturità» e «infermità mentale» sono concetti ontologicamente diversi, ed i due stati possono, in un minore di età, coesistere o meno. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2083 del 15 febbraio 1990 (Cass. pen. n. 2083/1990)
In tema di imputabilità, deve essere annullata con rinvio ad altro giudice, per difetto di motivazione e violazione di legge la sentenza che dia atto della capacità di un minore imputato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, in base a considerazioni astratte e apodittiche, facendo riferimento all’intelligenza che questi avrebbe mostrato nel dibattimento (peraltro seguito a distanza di qualche anno dal fatto, mentre è all’epoca del fatto che i giudici avrebbero dovuto riferirsi per accertarne la capacità a norma dell’art. 98 c.p.), e senza mostrare di distinguere tra la normale intelligenza di un ragazzino e la sua capacità di rendersi conto della situazione di pericolo e di valutare le possibili conseguenze della propria condotta; cosa tanto più necessaria trattandosi di un reato colposo. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 1510 del 2 febbraio 1990 (Cass. pen. n. 1510/1990)
La capacità di intendere e di volere del minore che abbia compiuto quattordici anni, ma non ancora i diciotto deve essere accertata dal giudice di merito che, nell’esprimere il suo giudizio di fatto sul punto deve tener conto di una molteplicità di fattori correlati agli aspetti psicologici e fisici dell’evoluzione del minore, alle sue condizioni socio-ambientali e familiari, al grado di istruzione e di educazione, alla natura dei reati commessi, al comportamento processuale. Pertanto, da un lato detta indagine non può prescindere normalmente dalle speciali ricerche previste dall’art. 11 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, dall’altro non può essere trascurata la natura del reato commesso, in quanto il livello di discernimento varia a seconda della natura dell’illecito, del bene giuridico offeso e della struttura della fattispecie criminosa. Ne consegue che risulta congruamente motivato il giudizio sulla maturità del minore allorché il giudice di merito, pur tenendo espressamente conto del deficit intellettivo globale ritenuto dai periti, abbia valutato la personalità del minore ed abbia spiegato che gli accertamenti peritali non possono condurre ad un giudizio di immaturità sia perché lo sviluppo noetico, affettivo e cognitivo del minore stesso, nonostante quei fattori negativi era pur sempre tale da rendere immediatamente percepibile il valore dell’atto criminoso (matricidio) sia perché il comportamento dell’imputato era una chiara manifestazione della comprensione dell’illecito commesso, come risultò dal fatto che immediatamente dopo il reato lo stesso chiese ai familiari di chiamare i carabinieri. Infatti, il vizio parziale di mente è compatibile con la ritenuta maturità del minore. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7454 del 19 maggio 1989 (Cass. pen. n. 7454/1989)
In ipotesi di imputato in età minorile al momento della commissione del fatto, l’accertamento in concreto della capacità di intendere e di volere è giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuto da motivazione esente da vizi logico-giuridici; tale giudizio può essere correttamente tratto anche dalla accorta difesa articolata dal prevenuto in coerenza all’intento di scagionarsi da grave responsabilità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7712 del 30 giugno 1988 (Cass. pen. n. 7712/1988)
L’accertamento delle capacità di intendere e di volere nel minore infradiciottenne non è vincolato a specifiche indagini tecniche, potendo essere sufficiente l’osservazione diretta del comportamento dell’imputato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2244 del 23 febbraio 1988 (Cass. pen. n. 2244/1988)
Mentre l’incapacità di intendere e di volere da causa psicopatologica ha carattere assoluto, nel senso che prescinde dalla natura e dal grado di disvalore sociale della condotta posta in essere, l’incapacità di intendere e di volere da immaturità ha carattere relativo nel senso che trattandosi di qualificazione fondata su elementi non solo biopsichici, ma anche socio-pedagogici, relativi all’età evolutiva, l’esame della maturità mentale del minore va compiuto con stretto riferimento al reato commesso, attraverso speciali ricerche sui precedenti personali e familiari del soggetto sotto l’aspetto fisico, psichico, morale ed ambientale, senza trascurare di considerare i tempi di commissione del fatto commesso e di cui il minore è imputato lungo l’arco evolutivo della personalità del soggetto e quindi con un maggior rigore valutativo, allorché tale fatto si colloca nella fase dell’età evolutiva. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2140 del 18 febbraio 1988 (Cass. pen. n. 2140/1988)
La capacità del minore ultraquattordicenne è un concetto identificabile con il discernimento che si sviluppa con l’età, in virtù del quale il minore è in grado di rendersi conto delle proprie azioni, sì che per il suo accertamento non si possono stabilire schemi astratti, occorrendo valutare la capacità del soggetto in concreto, in relazione alla natura del reato, con la conseguenza che l’imputabilità di uno stesso soggetto può essere ritenuta per alcuni reati ed esclusa per altri, in considerazione della maggiore o minore avvertibilità del disvalore etico – sociale del reato e dell’immoralità secondo il comune modo di sentire dell’azione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4808 del 16 aprile 1987 (Cass. pen. n. 4808/1987)
La seminfermità mentale opera sul minore nello stesso modo e con gli stessi limiti con i quali incide sul maggiorenne, sicché al minorenne possono essere congiuntamente applicate le diminuzioni previste dagli artt. 89 e 98 c.p. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13531 del 3 dicembre 1986 (Cass. pen. n. 13531/1986)
La capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne è un concetto sinonimo di quel discernimento che si sviluppa con l’età, ponendo il soggetto in grado di rendersi conto delle proprie azioni. Per il relativo accertamento non si possono stabilire schemi astratti né il giudice è vincolato a speciali indagini, peritali o meno, occorrendo valutare il comportamento del minore in relazione alla natura dei singoli reati, desumendolo da ogni elemento di convincimento, e anche dalle dichiarazioni rese dall’interessato. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 5462 del 12 giugno 1984 (Cass. pen. n. 5462/1984)
La consapevolezza del disvalore di un’azione da parte di un minore non è affatto esclusa dall’influenza negativa esercitata dall’ambiente socio — familiare il quale può favorire l’insorgenza di propositi delittuosi, ma non vale certo adescludere l’imputabilità del minore stesso. (Nella fattispecie si trattava di un minore cresciuto in ambiente nomade). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 3739 del 28 aprile 1984 (Cass. pen. n. 3739/1984)
L’imputabilità del minore infradiciottenne è compatibile con il vizio parziale di mente. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8326 del 28 settembre 1982 (Cass. pen. n. 8326/1982)
L’imputabilità di un minore degli anni diciotto può ben essere desunta sia dalla natura del reato, nell’ipotesi in cui il suo contenuto illecito s’imponga anche negli stadi meno elevati dello sviluppo psichico, sia dal comportamento processuale del minore, qualora esso sia improntato a notevole scaltrezza e dimostrativo di un’apprezzabile dose di intelligenza. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 1996 del 27 febbraio 1982 (Cass. pen. n. 1996/1982)