Art. 151 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Amnistia

Articolo 151 - codice penale

L’amnistia estingue il reato (129, 531, 578 c.p.p.), e, se vi è stata condanna (648 c.p.p.), fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie (672 ss. c.p.p.) (1).
Nel concorso di più reati, l’amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduta.
La estinzione del reato per effetto dell’amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa.
L’amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi.
L’amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza (102, 103, 105, 108), salvo che il decreto disponga diversamente.

Articolo 151 - Codice Penale

L’amnistia estingue il reato (129, 531, 578 c.p.p.), e, se vi è stata condanna (648 c.p.p.), fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie (672 ss. c.p.p.) (1).
Nel concorso di più reati, l’amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduta.
La estinzione del reato per effetto dell’amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa.
L’amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi.
L’amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza (102, 103, 105, 108), salvo che il decreto disponga diversamente.

Note

(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 175 del 5 luglio 1971, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui esclude che l’imputato, rinunciando all’applicazione dell’amnistia possa ottenere di essere giudicato nel merito, con conseguenti applicazioni delle sanzioni penali a suo carico, ove egli risulti colpevole, ma anche col riconoscimento della sua completa innocenza, ove ciò emerga nella prosecuzione o definizione del giudizio.

Massime

In caso di reato permanente, ove la cessazione della permanenza non sia specificata nel capo di imputazione e emerga la continuazione della condotta anche nel corso del giudizio di primo grado è possibile l’affermazione di responsabilità anche in relazione a tali ultime condotte senza la necessità di procedere a contestazione suppletiva e la permanenza deve ritenersi cessata solo con la condanna di primo grado. (Nell’affermare il principio di cui in massima, la Corte ha conseguentemente escluso che potesse ritenersi, nel caso di specie, il reato estinto per amnistia). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1174 del 1 febbraio 1996 (Cass. pen. n. 1174/1996)

È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 D.P.R. n. 75 del 1990, nella parte in cui non differenzia l’ipotesi dell’amnistia propria da quella impropria in relazione alla pena ritenuta in sentenza rispetto a quella edittale, in quanto la distinzione tra amnistia propria e amnistia impropria è prevista dall’art. 151 c.p., ed essa non contrasta con l’art. 3 Cost., trattandosi di situazioni oggettivamente diverse, implicanti come tali, una disciplina differente, rispondente a non irragionevole scelta di politica legislativa. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5799 del 17 gennaio 1996 (Cass. pen. n. 5799/1996)

La rinuncia all’amnistia è un negozio giuridico processuale unilaterale recettizio perché produce i suoi effetti allorché perviene all’autorità giudiziaria procedente: dopo tale momento la rinuncia diventa irrevocabile in quanto il negozio giuridico si è perfezionato in tutti i suoi elementi, sicché non è nella disponibilità dell’interessato annullarne o modificarne i contenuti. Peraltro l’amnistia costituisce una deroga di carattere eccezionale al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, per cui è da escludere che, attraverso la revoca della rinuncia, possa essere fatta valere oltre i limitati casi previsti dalla legge. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 11215 del 15 novembre 1995 (Cass. pen. n. 11215/1995)

Ai fini del computo della pena per l’applicazione dell’amnistia di cui al D.P.R. 12 aprile 1990 n. 75 si deve aver riguardo al massimo della pena edittale stabilita per ciascun reato consumato o tentato, mentre per le attenuanti alle quali tale D.P.R. attribuisca rilievo la diminuzione va operata nel minimo, e cioè in un solo giorno di reclusione per ciascuna di esse. (Fattispecie relativa a ipotesi di ricettazione lieve prevista dall’art. 648, comma secondo, c.p., attenuata ai sensi dell’art. 62 n. 4 stesso codice, per la quale si è ritenuta esclusa l’applicabilità dell’amnistia). Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 9567 del 13 settembre 1995 (Cass. pen. n. 9567/1995)

L’amnistia impropria fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie, ma non estingue gli altri effetti penali, tra cui quello della condanna ai fini della recidiva, della dichiarazione di abitualità a delinquere, e della revoca dell’indulto applicato ai sensi di determinati provvedimenti di clemenza, come quelli di cui al D.P.R. n. 413 del 1978 e al D.P.R. n. 744 del 1981, nel caso in cui la medesima si riferisca a un delitto non colposo per cui sia stata inflitta una pena detentiva non inferiore a una certa misura. (Fattispecie relativa a revoca di indulto, conseguente all’estinzione, in forza di amnistia impropria, di delitto doloso commesso nel quinquennio successivo alla data di entrata in vigore dei citati provvedimenti, ai sensi dei quali l’indulto stesso era stato concesso). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 432 del 5 aprile 1995 (Cass. pen. n. 432/1995)

L’effetto abolitivo delle pene accessorie si produce contemporaneamente all’effetto estintivo del reato, in coincidenza con l’entrata in vigore del provvedimento col quale è concessa l’amnistia, mentre la declaratoria di applicazione di questa ha efficacia ex tunc, indipendentemente dal momento in cui essa interviene. Pertanto, non commette il reato di cui all’art. 116 bis del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736 colui che abbia trasgredito al divieto di emissione di assegni bancari, impostogli come pena accessoria per il reato di emissione di assegno senza provvista, dopo l’entrata in vigore di un provvedimento di amnistia incidente su tale reato, essendo irrilevante l’epoca in cui è resa la declaratoria di applicazione dell’amnistia impropria e di cessazione della pena accessoria. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 9685 del 7 settembre 1994 (Cass. pen. n. 9685/1994)

Nell’ipotesi di truffa ai danni dello Stato commessa da soggetto che, producendo un falso certificato di laurea, abbia conseguito l’abilitazione all’insegnamento e successivamente l’immissione in ruolo conseguentemente percependo, in costanza del rapporto, la regolare retribuzione, il reato perdura fino a quando non vengono interrotte le riscossioni o per volontà del soggetto attivo o per iniziativa di quello passivo ed il momento consumativo coincide quindi con la cessazione dell’attività illecita; trattasi, invero, non di reato continuato, o permanente, ovvero ad effetti permanenti, bensì di reato a «consumazione prolungata», in cui l’azione dà luogo ad un evento che continua a prodursi nel tempo con la realizzazione degli illeciti profitti man mano maturati con altrui danno. (Alla stregua di tale principio la Corte ha escluso l’applicabilità dell’amnistia il cui termine di efficacia era scaduto in epoca antecedente alla interruzione delle riscossioni). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 6360 del 31 maggio 1994 (Cass. pen. n. 6360/1994)

L’amnistia impropria applicabile a condanne a pena condizionalmente sospesa non fa venir meno gli effetti penali della condanna, tra i quali rientrano l’impossibilità di ottenere la reiterazione della sospensione condizionale della pena per chi ne abbia fruito già due volte. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 819 del 11 marzo 1994 (Cass. pen. n. 819/1994)

Ai fini dell’applicazione dell’amnistia di cui al D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, l’art. 5 di tale provvedimento indulgenziale, col prevedere la rinunciabilità del beneficio, non fissa alcun obbligo del giudice di preventivo interpello dell’interessato. Cassazione penale, Sez. V, ordinanza n. 4375 del 24 gennaio 1994 (Cass. pen. n. 4375/1994)

Con l’estinzione del reato per amnistia viene meno non solo l’eseguibilità della pena principale, ma anche l’obbligo di pagare la sanzione pecuniaria sostitutiva di questa, eventualmente disposta con la condanna, poiché siffatto obbligo non può sopravvivere all’estinzione del reato cui inerisce e per il quale è sorto e non è ipotizzabile l’esecuzione di una sanzione sostitutiva quando la pena sostituita non è più eseguibile per la sopravvenuta estinzione del reato. Pertanto, l’imputato non è tenuto a pagare la sanzione pecuniaria sostitutiva disposta per un reato estinto per effetto di amnistia e l’omesso versamento non costituisce reato. (Fattispecie relativa all’applicazione dell’amnistia impropria di cui al D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, operante, in ragione della data dei fatti, nei confronti del reato di assegno a vuoto e non anche di quello successivo, di violazione degli obblighi, di cui all’art. 83, L. 24 novembre 1981, n. 689, pure ascritto all’imputato). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5443 del 27 maggio 1993 (Cass. pen. n. 5443/1993)

L’amnistia impropria, mentre fa cessare l’esecuzione della pena principale, della pena accessoria e delle misure di sicurezza personali, oltre a non estinguere le obbligazioni civili nascenti dal reato — ad eccezione di quelle previste dagli artt. 196 e 197 c.p. — lascia in vita anche gli effetti penali del giudicato, cioè le conseguenze giuridiche di carattere afflittivo, come l’aumento di pena per la recidiva, la dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato, l’impossibilità di ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena o la revoca di quella già concessa. Ne deriva come logico corollario che l’amnistia impropria non impedisce al giudicato di condanna di costituire legittima causa di revoca dell’indulto condizionato, salvo che specifiche disposizioni dirette a eliminare tale effetto siano inserite dal legislatore nei singoli provvedimenti di clemenza. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 198 del 1 marzo 1993 (Cass. pen. n. 198/1993)

In tema di esecuzione di pene concorrenti, le pene relative ai reati coperti da amnistia impropria non possono detrarsi dal cumulo giuridico, dovendosi invece sciogliere il cumulo stesso, eliminare le pene inflitte per i reati amnistiati e procedere ex novo all’unificazione delle pene residue secondo le regole sancite dagli artt. da 71 ad 80 c.p. (Nell’enunciare il principio di cui in massima la Cassazione ha altresì evidenziato come rispetto all’amnistia non esista una disposizione analoga a quella dettata dal secondo comma dell’art. 174 c.p. in materia di indulto, secondo la quale tale beneficio «nel concorso di più reati,…si applica una sola volta, dopo cumulate le pene»). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3921 del 23 novembre 1992 (Cass. pen. n. 3921/1992)

L’amnistia impropria estingue soltanto le pene accessorie, le misure di sicurezza e gli effetti civili e amministrativi della sentenza di condanna, ma non ha incidenza su altri effetti quali, in particolare, la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato, l’esclusione dal beneficio della sospensione condizionale della pena o la revoca della sospensione già concessa, come pure dell’indulto condizionato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2794 del 7 luglio 1992 (Cass. pen. n. 2794/1992)

In tema di applicazione di amnistia occorre avere riguardo alla qualificazione del fatto giudicato, considerato nel momento della contestazione e del giudizio, mentre non assume rilievo la quantità della pena in concreto inflitta. (Nella specie il Tribunale di Milano aveva dichiarato estinto per intervenuta amnistia il delitto di resistenza a pubblico ufficiale previsto dall’art. 337 c.p., aggravato ai sensi dell’art. 339 c.p. per essere stato commesso da più persone riunite, ritenendo che la sentenza di condanna passata in giudicato, infliggendo una pena nel minimo edittale, senza alcun riferimento all’esistenza di circostanze aggravanti, avesse ritenuto l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 337 c.p. La Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza, impugnata dal pubblico ministero, applicando il principio di cui in massima e ritenendo che l’errore del giudice, che illegittimamente applica la pena prevista per il reato non aggravato, non abbia la valenza di escludere rispetto al fatto ritenuto la natura di reato aggravato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2125 del 22 giugno 1992 (Cass. pen. n. 2125/1992)

Il diritto a beneficiare dell’amnistia sorge quando il decreto presidenziale sia stato emanato, e solo allora l’imputato può rinunciarvi.

La rinuncia all’amnistia non è condizionata da alcuna forma particolare, essendo sufficiente che la dichiarazione sia non equivoca, provenga dal soggetto legittimato ad emetterla e sia rivolta all’organo cui l’ordinamento commette in via generale la ricezione delle manifestazioni di volontà delle parti; una tale dichiarazione può quindi essere contenuta anche in una memoria depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 145 c.p.p. La circostanza, poi, che il funzionario di cancelleria non abbia indicato la persona che depositava l’atto non può certamente risolversi in danno dell’imputato, dovendosi anzi presumere, in mancanza di diversa attestazione, che la memoria sia stata depositata proprio dalla parte che l’aveva sottoscritta e che aveva diritto di presentarla, e cioè dall’imputato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 473 del 20 marzo 1992 (Cass. pen. n. 473/1992)

Il diritto di rinunciare all’amnistia previsto dall’art. 5 D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, compete solo all’imputato e non all’indagato in quanto presuppone l’esistenza di un «processo» e non semplicemente di una notizia di reato, seguita o meno da indagini, e non potendosi ritenere la sussistenza dell’obbligo del pubblico ministero di esercitare l’azione penale al solo scopo di consentire all’indagato di dimostrare la sua innocenza. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2314 del 4 febbraio 1992 (Cass. pen. n. 2314/1992)

In tema di amnistia, l’imputato o il soggetto sottoposto alle indagini deve essere posto in grado di sapere che vi è un procedimento nei suoi confronti, poiché altrimenti l’applicazione dell’amnistia senza la conoscenza del procedimento si tradurrebbe in una violazione del suo diritto alla rinuncia. Quando tale conoscenza risulta dagli atti, non è necessario alcun formale interpello per l’applicazione dell’amnistia. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1508 del 28 gennaio 1992 (Cass. pen. n. 1508/1992)

Non osta all’applicazione dell’amnistia (nella specie quella concessa con D.P.R. n. 75 del 1990) la rinuncia da parte dell’imputato ad un precedente decreto di clemenza, in quanto ognuno di tali provvedimenti ha una sua autonomia, la quale comporta che la rinuncia al beneficio debba essere espressa per ciascuno degli stessi. La necessità della pluralità delle rinunce deriva, inoltre, sia dalle condizioni eventualmente diverse cui la concessione del beneficio può essere subordinata, sia dalla considerazione che la validità di un’unica rinuncia anche per i decreti successivamente emessi importerebbe la rinunzia al diritto di avvalersi della causa estintiva del reato in astratto considerato, il che mal si concilierebbe con la libera determinazione del soggetto in relazione alle possibili evenienze della sua esistenza non ancora verificatesi. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 9596 del 14 settembre 1991 (Cass. pen. n. 9596/1991)

In materia di amnistia e di indulto, il delitto tentato costituisce un’ipotesi criminosa autonoma rispetto al delitto consumato, e le norme di sfavore relative a quest’ultimo non si estendono al primo, salvo che il decreto di clemenza non disponga espressamente in tal senso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2727 del 4 luglio 1991 (Cass. pen. n. 2727/1991)

In tema di concorso di amnistia propria e di prescrizione intervenute in tempi diversi, trattandosi di cause di estinzione aventi effetti favorevoli di pari efficacia sotto il profilo penalistico, deve applicarsi quella delle due che sia intervenuta per prima. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6583 del 13 giugno 1991 (Cass. pen. n. 6583/1991)

La declaratoria di estinzione del reato per amnistia prevale sulla formula di proscioglimento per concessione del perdono giudiziale, che presuppone un giudizio di colpevolezza dell’imputato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 15196 del 19 novembre 1990 (Cass. pen. n. 15196/1990)

La valenza paritaria dell’amnistia e della prescrizione, già ritenuta sussistente nel vigore della L. 3 agosto 1978, n. 405 e alla luce delle disposizioni contenute nell’art. 12 di detta legge, che contemplano decisione sugli effetti civili unicamente nel caso dell’applicazione dell’amnistia, è stata confermata in maniera risolutiva dall’art. 578 nuovo c.p.p. — applicabile ai procedimenti proseguiti con le norme anteriormente vigenti (art. 245, n. 2, lett. n), D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271) — il quale ha espressamente stabilito che la decisione sugli effetti civili da parte del giudice ad quem in presenza di una sentenza di condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno in favore della parte civile, deve essere pronunciata in caso di estinzione del reato sia per amnistia e sia per prescrizione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12338 del 13 settembre 1990 (Cass. pen. n. 12338/1990)

La rinuncia all’amnistia deve essere riferita ad ogni singolo provvedimento di clemenza, pertanto la rinuncia all’applicazione di un determinato provvedimento di amnistia non estende i suoi effetti a quelli successivamente emanati. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 10893 del 27 luglio 1990 (Cass. pen. n. 10893/1990)

Nell’ipotesi di più condanne, per cui vi sia stato provvedimento di cumulo delle pene, competente ad applicare l’amnistia impropria è il giudice che ha pronunciato le singole sentenze di condanna e non il giudice dell’esecuzione delle pene cumulate, competente solo per l’applicazione dell’indulto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1644 del 27 giugno 1989 (Cass. pen. n. 1644/1989)

Quando un provvedimento di clemenza condiziona l’applicabilità dell’amnistia alla concreta sussistenza di un’attenuante, il giudice ha il potere-dovere di accertare anche d’ufficio se essa ricorra, indipendentemente dalla richiesta dell’appellante. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 11272 del 23 novembre 1985 (Cass. pen. n. 11272/1985)

Nel caso in cui il reato sia escluso dall’ambito di applicazione dell’amnistia, ma si profili la possibilità di eliminazione di un’aggravante, a norma dell’art. 69 c.p., mediante il giudizio di prevalenza o di equivalenza di una circostanza attenuante, che faccia rientrare il reato fra quelli amnistiabili, il giudice deve procedere all’esame pieno del merito, e solo se sia pervenuto al convincimento della responsabilità dell’imputato può applicare il beneficio, motivando la sua pronuncia. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 1922 del 18 febbraio 1978 (Cass. pen. n. 1922/1978)

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