Art. 89 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Vizio parziale di mente

Articolo 89 - codice penale

Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita (65, 141, 148, 219; 70, 220, 508 c.p.p.).

Articolo 89 - Codice Penale

Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita (65, 141, 148, 219; 70, 220, 508 c.p.p.).

Massime

In tema di reato continuato, nella determinazione dell’aumento di pena per ciascun reato che rientra nel calcolo ex art. 81, secondo comma, cod. pen. si deve tenere conto della diminuente di cui all’art. 89 cod. pen., attesa la sua natura di circostanza inerente alla persona del colpevole. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 8749 del 4 marzo 2020 (Cass. pen. n. 8749/2020)

In caso di annullamento parziale della sentenza, qualora sia rimessa al giudice del rinvio la questione relativa al riconoscimento della circostanza attenuante del vizio parziale di mente, il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d’annullamento. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 1355 del 15 gennaio 2020 (Cass. pen. n. 1355/2020)

In tema di rito abbreviato, l’instaurazione e celebrazione del giudizio sulla base della richiesta formulata dall’imputato di cui sia stata accertata, ai sensi dell’art.71 cod.proc.pen., l’incapacità di stare in giudizio al momento in cui ha espresso la volontà, sono insanabilmente viziate da nullità assoluta, deducibile in ogni stato e grado del procedimento e non preclusa dall’opzione per il rito speciale. (In motivazione, la Corte ha precisato che la richiesta formulata dall’imputato ai sensi dell’art. 438 cod. proc. pen. costituisce un atto personalissimo, in quanto atto dispositivo direttamente incidente sul suo diritto di libertà, che richiede la piena consapevolezza rappresentativa e la compiuta capacità deliberativa degli effetti giuridici da esso derivanti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1355 del 25 febbraio 2019 (Cass. pen. n. 8316/2019)

In tema di accertamento dell’elemento soggettivo del reato, l’indagine sulla colpevolezza di un soggetto che sia stato riconosciuto seminfermo di mente va effettuata con gli stessi criteri adottabili nei riguardi di persona pienamente capace, potendo la ridotta capacità di intendere e di volere avere influenza solo nei casi contraddistinti da un particolare dolo specifico. (Fattispecie in tema di accertamento del dolo generico del reato di tentato omicidio). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16141 del 11 aprile 2018 (Cass. pen. n. 16141/2018)

Nell’ipotesi di accertato grave disturbo della personalità, funzionalmente collegato all’agire e tale da incidere, facendola scemare grandemente, sulla capacità di volere, l’accertamento della circostanza aggravante della premeditazione richiede un approfondito esame delle emergenze processuali che porti ad escludere, con assoluta certezza, che la persistenza del proposito criminoso sia stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati alla formazione od alla persistenza della volontà criminosa. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 17606 del 28 aprile 2016 (Cass. pen. n. 17606/2016)

La premeditazione può risultare incompatibile con il vizio parziale di mente nella sola ipotesi in cui consista in una manifestazione dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato, nel senso che il proposito coincida con un’idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che una sindrome paranoide tale da rendere l’imputato infermo di mente potesse escludere la premeditazione). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 25608 del 14 novembre 2013 (Cass. civ. n. 25608/2013)

La premeditazione può risultare incompatibile con il vizio parziale di mente nella sola ipotesi in cui consista in una manifestazione dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato, nel senso che il proposito coincida con un’idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che una sindrome paranoide tale da rendere l’imputato infermo di mente potesse escludere la premeditazione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 25608 del 11 giugno 2013 (Cass. pen. n. 25608/2013)

Non sussiste, sul piano astratto, alcuna incompatibilità tra il vizio parziale di mente e la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 c.p. in quanto i due particolari motivi (abietti o futili) non costituiscono in sé una costante e diretta estrinsecazione della infermità per la quale la capacità di intendere e di volere può risultare grandemente scemata. (In motivazione, la Corte ha precisato che il giudizio di compatibilità deve essere svolto tramite un apprezzamento della situazione sottoposta in concreto al giudice di merito). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 15571 del 4 aprile 2013 (Cass. pen. n. 15571/2013)

Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, nessun rilievo può assumere la presenza, in capo all’autore della condotta delittuosa, di un generico stato di agitazione determinato da una crisi di astinenza dall’abituale consumo di sostanze stupefacenti, e non accompagnato da una grave e permanente compromissione delle sue funzioni intellettive e volitive. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la su descritta condizione integra gli estremi di uno stato emotivo e passionale, valutabile nella determinazione del trattamento sanzionatorio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 17305 del 5 maggio 2011 (Cass. pen. n. 17305/2011)

Il vizio parziale di mente, attenendo alla sfera dell’imputabilità, è una circostanza inerente alla persona del colpevole ed è pertanto soggetto al giudizio di comparazione, che ha carattere unitario. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 40812 del 18 novembre 2010 (Cass. pen. n. 40812/2010)

L’attenuante della provocazione è incompatibile con la diminuente del vizio parziale di mente nei casi in cui vi sia sostanziale coincidenza tra lo stato d’ira e l’infermità mentale o quest’ultima abbia avuto preponderante incidenza sul primo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 21405 del 21 maggio 2009 (Cass. pen. n. 21405/2009)

In tema di imputabilità, il disturbo della personalità, per rilevare ai fini del vizio parziale di mente, deve influire concretamente sul motivo e la decisione che conducono alla commissione del reato. Ne consegue che, in relazione a un soggetto che soffra di un disturbo di mancanza di controllo degli impulsi, la valutazione del ruolo della patologia, anche ai fini della determinazione della pena, richiede l’analisi delle condotte poste in essere con riferimento al grado della loro riprovevolezza, morale e giuridica, per stabilire fino a che punto tale valenza possa, anche in un soggetto con diminuite capacità di controllo degli impulsi, esercitare una funzione di freno. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da errori la pronunzia di merito che, nonostante il riconosciuto vizio parziale di mente, ha condannato l’imputato dello stupro continuato ai danni della figlia minorenne ad una pena molto limitatamente ridotta in considerazione delle azioni compiute, le quali – nella loro evidente gravità – avrebbero dovuto attivare l’inibizione anche in un soggetto portatore della patologia mentale accertata nel colpevole). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 36190 del 3 ottobre 2007 (Cass. pen. n. 36190/2007)

La diminuente del vizio parziale di mente è compatibile con una maggiore intensità del dolo, che può giustificare il diniego delle attenuanti generiche in considerazione delle gravi modalità della condotta criminosa. (Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito i quali, pur avendo accertato la sussistenza di un vizio parziale di mente dell’imputato, avevano negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sulla base dell’elevata gravità della condotta da questi posta in essere, consistita in reiterate molestie anche di carattere sessuale — ai danni di una giovane donna, di natura simile ad altri specifici precedenti penali). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 19248 del 20 maggio 2005 (Cass. pen. n. 19248/2005)

In tema di imputabilità, le anomalie che influiscono sulla capacità di intendere e di volere sono le malattie mentali in senso stretto, cioè le insufficienze celebrali originarie e quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cerebrali di varia natura, nonché le psicosi acute o croniche, contraddistinte, queste ultime, da un complesso di fenomeni psichici che differiscono da quelli tipici di uno stato di normalità per qualità e non per quantità. Ne consegue che esula dalla nozione di infermità mentale il gruppo delle cosiddette abnormità psichiche, come le nevrosi e le psicopatie, che non sono indicative di uno stato morboso e si sostanziano in anamalie del carattere non rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p., in quanto hanno natura transeunte, si riferiscono alla sfera psico-intellettiva e volitiva e costituiscono il naturale portato di stati emotivi e passionali. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 24614 del 5 giugno 2003 (Cass. pen. n. 24614/2003)

In tema di imputabilità, gli articoli 88 e 89 c.p. – che disciplinano rispettivamente l’infermità totale e parziale di mente, quali cause che escludono o diminuiscono la capacità di intendere e di volere – postulano l’esistenza di una vera e propria malattia mentale, ossia di uno stato patologico che incide sui processi volitivi e intellettivi della persona oppure di anomalie psichiche che, seppure non classificabili secondo precisi schemi nosografici, perché sprovviste di una sicura base organica, siano tali, per la loro intensità, da escludere totalmente o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere del colpevole. Ne consegue che una condizione di perturbamento psichico transitoria, di natura non patologica, dovuta ad una sindrome ansiosa depressiva, non essendo destinata ad incidere sulla capacità di intendere e di volere, non è in grado di compromettere l’imputabilità dell’imputato. (Contrasto segnalato con relazione n. 74 del 2003). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 22765 del 22 maggio 2003 (Cass. pen. n. 22765/2003)

In ipotesi di reato commesso da un seminfermo di mente va comunque accertata la sussistenza dell’elemento psicologico, atteso che quest’ultimo non è incompatibile con il vizio parziale di mente, residuando pur sempre, anche nello status di imputabilità diminuita, la capacità di intendere e di volere, la cui diminuzione può avere rilevanza nei reati a dolo specifico, ma non in quelli caratterizzati dal dolo generico. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9202 del 5 marzo 2001 (Cass. pen. n. 9202/2001)

In tema di imputabilità, in mancanza di una infermità o malattia mentale, o comunque di una alterazione anatomico-funzionale della sfera psichica, le alterazioni di tipo caratteriale ed i connessi disturbi della personalità non acquistano rilievo per escludere o ridurre l’imputabilità: l’eventuale difetto di capacità intellettiva e/o volitiva che ne deriva rimane priva di rilevanza giuridica. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1078 del 27 gennaio 1998 (Cass. pen. n. 1078/1998)

Gli stati emotivi o passionali, per loro stessa natura, sono tali da incidere, in modo più o meno massiccio, sulla lucidità mentale del soggetto agente senza che ciò, tuttavia, per espressa disposizione di legge, possa escludere o diminuire l’imputabilità, occorrendo a tal fine un quid pluris che, associato allo stato emotivo o passionale, si traduca in un fattore determinante un vero e proprio stato patologico, sia pure in natura transeunte e non inquadrabile nell’ambito di una precisa classificazione nosografica. L’esistenza o meno di detto fattore va accertata sulla base degli apporti della scienza psichiatrica la quale, tuttavia, nella vigenza dell’attuale quadro normativo e nella sua funzione di supporto alla decisione giudiziaria, non potrà mai spingersi al punto di attribuire carattere di “infermità” (come tale rilevante, ai sensi degli artt. 88 e 89 c.p., ai fini della esclusione e della riduzione della capacità d’intendere e di volere), ad alterazioni transeunti della sfera psico-intellettiva e volitiva che costituiscano il naturale portato degli stati emotivi o passionali di cui si sia riconosciuta l’esistenza. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 967 del 27 gennaio 1998 (Cass. pen. n. 967/1998)

La malattia di mente rilevante per l’esclusione o per la riduzione dell’imputabilità è solo quella medico-legale, dipendente da uno stato patologico veramente serio, che comporti una degenerazione della sfera intellettiva o volitiva dell’agente; di conseguenza deve ritenersi sussistente la capacità di intendere e di volere in un soggetto affetto solo da anomalie psichiche o da disturbi della personalità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10422 del 17 novembre 1997 (Cass. pen. n. 10422/1997)

In tema di imputabilità, sussiste compatibilità tra il vizio parziale di mente ed il dolo, poiché i due concetti operano su piani diversi ed è la stessa legge che concepisce la compatibilità del funzionamento dell’intelligenza e della volontà — cui va ricondotto il dolo — con una parziale infermità di mente. (Nella fattispecie è stata ritenuta la compatibilità tra il vizio parziale di mente ed il dolo eventuale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8972 del 3 ottobre 1997 (Cass. pen. n. 8972/1997)

L’accertamento della capacità di intendere e di volere di chi è affetto da intossicazione cronica da alcool spetta al giudice indipendentemente da ogni onere probatorio a carico dell’imputato, una volta che questi abbia allegato documentazione attestante il suo etilismo cronico. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 5924 del 23 maggio 1995 (Cass. pen. n. 5924/1995)

Sussiste piena compatibilità logica e giuridica tra ritenuta intensità del dolo e riconoscimento del vizio parziale di mente. Tra la diminuente del vizio parziale di mente, che attiene alla capacità di intendere e di volere ed all’imputabilità, e la intensità del dolo, considerata come grado rilevante della determinazione a conseguire il proposito criminoso, esiste infatti autonomia concettuale, posto che la prima riguarda la sfera psichica del soggetto ed il momento formativo della volontà, mentre la seconda concerne il momento nel quale la volontà si manifesta e persegue l’obiettivo considerato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3633 del 4 aprile 1995 (Cass. pen. n. 3633/1995)

In tema di imputabilità, gli artt. 88 e 89 c.p. postulano una infermità di tale natura e intensità da compromettere seriamente i processi conoscitivi e volitivi della persona, eliminando o attenuando la capacità della medesima di rendersi conto del significato delle proprie azioni e di comprenderne, quindi, il disvalore sociale, nonché di determinarsi in modo autonomo. Le infermità che influiscono sulla imputabilità sono le malattie mentali in senso stretto, cioè le insufficienze cerebrali originarie e quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cerebrali di varia natura, nonché le psicosi acute o croniche. Queste ultime sono contraddistinte da un complesso di fenomeni psichici che differiscono da quelli tipici di uno stato di normalità per qualità e non per quantità, come accade invece per il vasto gruppo delle «abnormità psichiche», quali le nevrosi e le psicopatie, che non sono indicative di uno stato morboso e si sostanziano in anomalie del carattere o della sfera affettiva, non rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p. Ne consegue che, quando a causa di una situazione conflittuale dovuta a particolari tensioni psichiche si determini un’accentuazione di alcuni tratti del carattere del soggetto, inducendolo, come avviene nelle reazioni «a corto circuito», a tenere una condotta animale, non si può certamente parlare di malattia di mente, sicché la disposizione cui occorre riferirsi è quella di cui all’art. 90 c.p. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4954 del 13 maggio 1993 (Cass. pen. n. 4954/1993)

La premeditazione non è incompatibile con il vizio parziale di mente, in quanto anche un seminfermo di mente può essere capace di concepire un atteggiamento psicologico e volitivo più o meno fermo e di subire, opponendovi una diversa resistenza, valide controspinte al delitto. Anche un seminfermo di mente può essere dunque capace di agire sia con dolo d’impeto che con dolo di proposito, e l’unica ipotesi in cui è riscontrabile incompatibilità tra la circostanza aggravante e la diminuente è quella in cui la malattia che provoca la diminuita imputabilità ha diretta incidenza sul processo intellettivo o volitivo, tanto da identificarsi con esso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8771 del 5 agosto 1992 (Cass. pen. n. 8771/1992)

Non sussiste incompatibilità concettuale tra la circostanza aggravante della premeditazione e vizio parziale di mente operando la prima sul piano del dolo ed il secondo sull’imputabilità. Ciò però non esclude che sul piano concreto, si verifichi siffatta incompatibilità tutte le volte che si riscontri che la malattia mentale incida sulle capacità critiche determinando la fissazione dell’ideazione, senza possibilità del sorgere di quel conflitto interiore tra spinte al delitto e controspinte inibitorie, che costituisce il fondamento del maggiore disvalore della condotta e dell’aggravamento di pena. È questo un accertamento di fatto, collegato alla tipologia e gravità della patologia, che sfugge a censure di legittimità quando sia adeguatamente e logicamente motivato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2268 del 2 marzo 1992 (Cass. pen. n. 2268/1992)

La premeditazione è, in linea generale, compatibile con la seminfermità mentale. Il vizio parziale di mente può, tuttavia, portare ad escludere la premeditazione, quando attraverso la disamina e la valutazione critica della perizia psichiatrica e di tutti gli elementi in suo possesso, il giudice accerti che la diminuita capacità di intendere e di volere dell’agente ha influito, in modo determinante, sul modo di essere del suo atteggiamento psicologico, sotto il profilo della consapevole e voluta persistenza nel tempo della volontà criminosa e della sua capacità di comprendere il significato dei propri atti e di superare attraverso la revisione critica e la riflessione, le spinte criminogene, che si identificano con i caratteri e l’essenza dell’infermità, debitamente accertati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11394 del 13 novembre 1991 (Cass. pen. n. 11394/1991)

Affinché possa riconoscersi una imputabilità ridotta per vizio parziale di mente, ai sensi dell’art. 89 c.p., occorre che la capacità di intendere (intesa nel senso di una corretta rappresentazione del mondo esterno e degli effetti della propria condotta) e/o quella di volere (intesa nel senso di una efficiente regolamentazione della propria, libera autodeterminazione) siano scemate grandemente, senza essere escluse, a cagione di una infermità mentale (avente accezione più ampia di quella di malattia mentale) dipendente da un’alterazione patologica insediatasi anche non stabilmente nel soggetto. Conseguentemente non valgono a ridurre l’imputabilità né a costituire vizio parziale di mente, gli stati emotivi e passionali (esclusi dall’art. 90 c.p.) né le anomalie del carattere le quali, pur incidendo sul comportamento, non alterano le capacità di rappresentazione o di autodeterminazione.

L’inesistenza di uno stato morboso e la presenza di semplici manifestazioni di tipo nevrotico – depressive, di disturbi della personalità, comunque prive di un substrato organico come la semplice insufficienza mentale, non sono idonee a dare fondamento ad un giudizio di infermità mentale, indispensabile pure ai fini del vizio parziale di mente. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7523 del 12 luglio 1991 (Cass. pen. n. 7523/1991)

Il giudice di merito ha il dovere di dichiarare d’ufficio la mancanza di condizioni di imputabilità soltanto quando sia evidente la prova della totale infermità di mente, mentre l’eventuale vizio parziale di mente costituisce una semplice circostanza attenuante che deve essere allegata dall’imputato. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3262 del 22 marzo 1991 (Cass. pen. n. 3262/1991)

La diminuente del vizio parziale di mente, prevista dall’art. 89 c.p., è compatibile con la sussistenza del dolo. Infatti non vi è contrasto fra l’ammettere la seminfermità di mente ed il ritenere provato il dolo — la coscienza e la volontà, cioè, sebbene diminuite — dal momento che è la stessa legge che concepisce la compatibilità del funzionamento dell’intelligenza e della volontà con il vizio parziale di mente. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16597 del 19 dicembre 1990 (Cass. pen. n. 16597/1990)

Lo stato di tossicodipendenza non integra il vizio parziale di mente, ove non sia provato che il soggetto sia affetto da intossicazione cronica da sostanze stupefacenti che abbia prodotto un’alterazione psichica permanente. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14154 del 24 ottobre 1989 (Cass. pen. n. 14154/1989)

Il giudice, una volta accertato l’elemento intenzionale del reato, risultante dalla volontà dell’agente e dalla rappresentazione dell’evento da parte del medesimo, non è tenuto, se l’imputato è seminfermo di mente, ad alcuna particolare indagine sul dolo, che non resta escluso dal vizio parziale di mente. Infatti, mentre quest’ultimo attiene alla imputabilità del soggetto, il dolo rappresenta la volontà del soggetto diretta verso l’evento ed appartiene alla struttura del reato, di cui costituisce elemento attuale ed operante ed attiene alla colpevolezza, la cui analisi presuppone il superamento logico di quella sulla imputabilità e non può ulteriormente essere influenzata da quet’ultima, neppure nell’ipotesi di ridotta capacità di intendere e di volere. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13852 del 17 ottobre 1989 (Cass. pen. n. 13852/1989)

L’accertamento sull’infermità di mente dell’imputato deve essere compiuto in relazione al fatto concreto addebitato ed al tempo in cui il fatto medesimo è stato commesso. L’indagine già esperita in altro procedimento non è vincolante nel successivo giudizio poiché la malattia precedentemente diagnosticata può essere al momento guarita o attenuata o localizzata ad una determinata sfera di attività. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13010 del 2 ottobre 1989 (Cass. pen. n. 13010/1989)

Sussiste autonomia concettuale tra diminuente per vizio parziale di mente (che inerisce strettamente alla persona ed alla sua imputabilità) e gravità del reato, fondata sui criteri oggettivi e soggettivi dettati dall’art. 133 c.p. nessuno dei quali interessa la sfera della funzione mentale se non, indirettamente, per ciò che attiene alla intensità del dolo. Trattasi, perciò, di concetti diversi e separati, che attengono ad aspetti differenziati ed autonomi del rapporto agente — reato (e del fatto materiale in questo compreso), e la cui valutazione, ancorché naturalmente contestuale, non implica necessità alcuna di interdipendenza o di reciproca influenza. Talché nulla vieta di ritenere e valutare il fatto — reato in conformità dei criteri surricordati (adeguando concretamente la sanzione al livello di gravità ritenuta) e, nel contempo, di ravvisare la diminuente de qua, con la riduzione di pena che consegue ai sensi della legge, e che ricomprende ogni risvolto legato all’accertata compromissione della facoltà di intendere o di volere. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10252 del 19 ottobre 1988 (Cass. pen. n. 10252/1988)

Il dolo eventuale — inteso come atteggiamento di accettazione del rischio di un certo risultato — è compatibile con la seminfermità mentale, a meno che non si dimostri in concreto che la malattia incideva su un particolare aspetto di quell’atteggiamento, alterandolo in modo sostanziale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8719 del 6 agosto 1988 (Cass. pen. n. 8719/1988)

Il vizio parziale di mente va considerato come elemento accidentale del reato, e quindi non può essere preso in considerazione dal giudice della impugnazione ove non formi oggetto di uno specifico punto di gravame o non sia, a questo, essenzialmente connesso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5815 del 9 maggio 1987 (Cass. pen. n. 5815/1987)

Ai fini della configurabilità del vizio parziale di mente non basta la sussistenza in soggetto tossicodipendente di semplici anomalie del carattere o di manifestazioni a tipo nevrotico di natura episodica o sporadica, ma occorre il riscontro di una condizione patologica che incidendo sullo stato di mente dell’imputato sia tale da scemare in modo apprezzabile le sue capacità intellettive e volitive. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 13350 del 29 novembre 1986 (Cass. pen. n. 13350/1986)

Nel nostro sistema giuridico — penale il vizio parziale di mente non è incompatibile con l’elemento soggettivo del reato in quanto implicano due concetti operanti su piani diversi: l’uno riconduce alla imputabilità del soggetto, secondo la nozione fornita dall’art. 85 c.p. ossia a una condizione personale il cui contenuto è la capacità di intendere e di volere, l’altro al rapporto tra il volere del soggetto e un determinato atto preveduto dalla legge come reato; consegue che il reato commesso da un seminfermo di mente non si sottrae all’indagine relativa all’elemento soggettivo per accertare se esso sia attribuibile alla sua volontà. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 1574 del 20 febbraio 1986 (Cass. pen. n. 1574/1986)

La seminfermità mentale e le circostanze aggravanti della premeditazione e del motivo abietto o futile operano su piani distinti: l’una (la seminfermità) è aspetto della capacità di intendere e di volere, ossia dell’imputabilità, la quale è a sua volta uno status in base al quale l’autore di un fatto costituente reato è ritenuto responsabile dei suoi atti e quindi soggetto di diritto penale; le altre ineriscono invece al dolo, che è qualificato più intensamente nel caso di persistenza del proposito criminoso, sia in quello di abnormità del movente. Il seminfermo di mente è pertanto capace di nutrire un dolo (o una colpa) di intensità o di grado pari a quello del sano di mente e di persistere nell’intento criminoso, nonché di valutare l’eventuale abnormità o futilità del movente. L’incompatibilità è invece sussistente, quando le menzionate circostanze aggravanti siano espressioni o manifestazioni dell’essenza stessa dell’infermità psichica. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3732 del 20 aprile 1985 (Cass. pen. n. 3732/1985)

La circostanza aggravante del motivo futile non è astrattamente incompatibile con la diminuente del vizio parziale di mente, dovendo di volta in volta il giudice del merito accertare la reale incidenza dell’infermità sulla concreta sussistenza del movente, quale causa psichica dell’azione umana al reo imputabile. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2079 del 1 marzo 1985 (Cass. pen. n. 2079/1985)

L’aggravante della premeditazione e l’attenuante del vizio parziale di mente non sono in linea di principio incompatibili e quindi possono coesistere, eccetto il caso in cui vi sia identità fra la premeditazione e l’idea fissa ossessiva costituente l’essenza dell’infermità mentale ravvisata, poiché in tal caso non possono sussistere, per motivi patologici, le controspinte morali ed etiche avversanti e bilancianti il proposito delittuoso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10811 del 5 dicembre 1984 (Cass. pen. n. 10811/1984)

Lo stato di senilità non può considerarsi alla stregua di un’infermità capace di produrre un turbamento patologico nel processo intellettivo o volitivo, a meno che assuma caratteristiche cliniche speciali, come la demenza senile, le forme paranoidi o altre forme morbose rilevanti ai fini dell’infermità mentale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 460 del 17 gennaio 1984 (Cass. pen. n. 460/1984)

Perché ricorra il vizio parziale di mente non basta una qualsiasi deviazione della funzione mentale ma occorre che la diminuzione delle facoltà intellettive e volitive dipenda da un’alterazione patologica clinicamente accertabile, corrispondente al quadro tipico di una determinata malattia. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8394 del 28 settembre 1981 (Cass. pen. n. 8394/1981)

L’infermità totale o parziale di mente va intesa come uno stato patologico e quindi esulano dalla sua nozione quelle anomalie del carattere o altre anormalità – quali le psicopatie – che, pur influendo sul processo di determinazione o di inibizione, non sono, tuttavia, suscettibili di alterare la capacità di intendere e di volere. Il vizio, totale o parziale di mente, deve, in altri termini, dipendere sempre da uno stato patologico, che alteri il processo intellettivo o quello della volontà, annullando o scemando grandemente la capacità di intendere e di volere. (Nella specie era stata diagnosticata una “psicopatia disaffettiva”). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8862 del 12 luglio 1980 (Cass. pen. n. 8862/1980)

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