La colpevolezza di una persona in stato di ubriachezza deve essere valutata secondo i normali criteri d’individuazione dell’elemento psicologico del reato e, poiché l’art. 92 cod. pen. nel disciplinarne l’imputabilità nulla dice in ordine alla di lui colpevolezza, questa deve essere apprezzata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43 cod.pen. (Nella specie, la S.C, ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva confermato la responsabilità a titolo di dolo eventuale, nonostante l’ubriachezza, dell’imputato che, dopo aver percorso per più chilometri un tratto di autostrada contromano, si era reso responsabile di omicidio plurimo e lesioni, valorizzando elementi quali il comportamento poco prima tenuto all’uscita da un locale, la corretta condotta di guida nella prima parte del percorso autostradale, il comportamento tenuto durante un diverbio occorso nella serata ed il fatto che, nell’immediatezza dell’incidente, l’imputato non era apparso affatto in stato confusionale agli automobilisti ed agenti intervenuti). Cassazione penale, Sez. V sentenza n. 45997 del 2 novembre 2016 (Cass. pen. n. 45997/2016)
In tema di guida in stato di ebbrezza (art. 186 cod. della strada), l’ubriachezza volontaria, non determinata cioè da caso fortuito né da forza maggiore, non esclude né diminuisce l’imputabilità: l’agente risponde del reato commesso in tale stato a titolo di dolo o di colpa a seconda dell’elemento psicologico del reato accertato. (Nella fattispecie la Corte ha rigettato la tesi difensiva circa l’impossibilità dell’imputato, ubriaco, di rifiutarsi di spostare l’autovettura per essergli il comando provenuto da un vigile urbano, ed ha sostenuto che, dato lo stato di alterazione volontariamente determinato dal soggetto agente, l’imputato non avrebbe dovuto ottemperare). Cassazione penale, Sez. V sentenza n. 10226 del 16 marzo 2005 (Cass. pen. n. 10226/2005)
L’aggravante del motivo futile può essere applicata anche nel caso in cui il colpevole abbia agito in stato di ubriachezza. Invero ai sensi dell’art. 92 c.p. l’ubriachezza volontaria o colposa non esclude né attenua l’imputabilità, di guisa che i motivi che hanno determinato l’ubriaco al delitto non possono essere valutati con criteri diversi da quelli adottati per la persona normale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 466 del 19 gennaio 1994 (Cass. pen. n. 466/1994)
In tema di maltrattamenti (art. 572 c.p.), il fatto che i singoli episodi costituenti nel loro complesso la condotta criminosa siano commessi durante lo stato di ubriachezza, in cui l’imputato frequentemente versa, non implica che esse siano da considerarsi frutto di violazioni episodiche perché scaturite improvvisamente dalla crisi alcolica e, quindi, non inserite in quella unitaria coscienza e volontà di sottoporre i soggetti passivi a continui patimenti fisici o morali, che integra il delitto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12562 del 20 settembre 1990 (Cass. pen. n. 12562/1990)
Nel caso di ubriachezza volontaria, colposa o preordinata, la presunzione legale d’imputabilità non è sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità penale, occorre, infatti, accertare la colpevolezza dell’ubriaco secondo i normali criteri d’individuazione dell’elemento psicologico del reato e, poiché l’art. 92 c.p. nel disciplinare l’imputabilità nulla dice in ordine alla di lui colpevolezza, questa va valutata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43 c.p. È dunque, necessario prendere in considerazione la condotta dell’ubriaco, al momento della commissione del fatto, per stabilire se egli ha agito con dolo o colpa. Ciò perché, secondo il vigente sistema penale, l’ideazione e la volizione dell’ubriaco vanno indagate e valutate dal giudice, nonostante la perturbazione psichica e la riduzione del senso critico determinate dall’alcool. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7157 del 22 maggio 1990 (Cass. pen. n. 7157/1990)
Nel caso di reato commesso in stato di ebbrezza alcoolica non accidentale né preordinata, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’agente, è decisivo l’atteggiamento psichico, sia pure abnorme, al momento in cui il fatto si è verificato: trattandosi di delitto doloso, la responsabilità del soggetto deve essere esclusa soltanto se risulti in concreto che il fatto è stato commesso per colpa o comunque non è stato voluto.
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Non è giuridicamente illogica l’individuazione dello stato di ebbrezza alcoolica quale causale del reato, poiché la piena imputabilità dell’agente sancita dall’art. 92 c.p. nonostante l’alterazione psichica conseguente alla ubriachezza volontaria o colposa, costituisce mera finzione giuridica imposta dalla necessità di difesa sociale, mentre permane sul piano naturalistico tale alterazione, che, soggiogando più o meno compiutamente le facoltà intellettive e volitive del soggetto, può essa stessa costituire causa efficiente del reato e la ratio della sua punizione. (Fattispecie in tema di tentato omicidio). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2509 del 22 febbraio 1990 (Cass. pen. n. 2509/1990)
In caso di ubriachezza volontaria o colposa, l’imputabilità rimane integra, quali che siano gli effetti dell’alcool sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, il quale perciò risponde del reato commesso, sempre che sia accertata l’esistenza dell’elemento psicologico proprio del reato stesso. L’ubriachezza accidentale, derivante cioè da caso fortuito o da forza maggiore, rappresenta un’ipotesi del tutto eccezionale, e la relativa prova deve essere sicuramente acquisita al processo, come in genere per tutte le cause idonee ad escludere o diminuire l’imputabilità quando questa è presunta dalla legge. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6065 del 28 giugno 1984 (Cass. pen. n. 6065/1984)
Nell’accertare l’estremo della colpevolezza della condotta dell’ubriaco, il dolo non può essere escluso argomentando esclusivamente dallo stato di ebbrezza alcoolica, qualora le modalità soggettive ed oggettive del comportamento depongano, secondo i criteri ordinari, per l’intenzionalità dell’evento. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3380 del 15 aprile 1981 (Cass. pen. n. 3380/1981)
Il principio di cui all’art. 92 c.p. secondo il quale, in caso di ubriachezza, è presunta la capacità d’intendere e di volere del soggetto, non esime il giudice dall’obbligo d’accertare in ogni singola fattispecie la colpevolezza attraverso l’indagine sull’atteggiamento psicologico assunto in concreto dall’ubriaco nel momento in cui il fatto è stato commesso. Trattandosi di delitto doloso, la responsabilità del soggetto deve essere esclusa ove risulti che in concreto il fatto è stato commesso per colpa o, comunque, non è stato voluto dall’ubriaco. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 842 del 19 gennaio 1980 (Cass. pen. n. 842/1980)
La peculiarità della normativa degli artt. 92 e 93 c.p. comporta che l’autore del fatto previsto come reato debba rispondere penalmente come se egli fosse rimasto capace di intendere e di volere nel momento in cui lo commise, e ciò postula che si debba guardare all’atteggiamento da lui tenuto in quell’occasione, per identificare l’elemento psicologico che caratterizza la condotta, e non quello della messa in opera della situazione che ha determinato la perdita o la menomazione dell’imputabilità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 607 del 7 giugno 1973 (Cass. pen. n. 607/1973)
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