Art. 168 quater – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova

Articolo 168 quater - codice penale

(1) La sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata:
1) in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità;
2) in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede.

Articolo 168 quater - Codice Penale

(1) La sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata:
1) in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità;
2) in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede.

Note

(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 3, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67.

Tabella procedurale

In tema di sospensione del processo con messa alla prova nei confronti di imputato maggiorenne, è legittima la revoca dell’ordinanza di sospensione fondata anche su un’unica trasgressione alle prescrizioni imposte, in quanto l’espressione “ripetute e gravi trasgressioni” di cui all’art. 168-quater cod. pen., deve essere interpretata quale presupposto “sostanziale” del provvedimento, riferibile anche ad una condotta isolata di qualità e gravità tali da escludere la possibilità di una prognosi positiva sull’evoluzione della personalità del sottoposto. (Nella fattispecie, in cui l’imputato “messo alla prova”, dopo il primo giorno, aveva interrotto il lavoro di pubblica utilità programmato per sei mesi omettendo di comunicare l’impedimento nelle forme previste dalla legge e non avanzando istanza all’autorità giudiziaria per ottenere la proroga per gravi motivi, la Corte ha ritenuto immune da censure il provvedimento di revoca dell’ordinanza di sospensione). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 19226 del 25 giugno 2020 (Cass. pen. n. 19226/2020)

Ai fini della revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova per commissione di un reato, ai sensi dell’art. 168-quater, comma primo, n. 2, cod. pen., il giudice del sub-procedimento di messa alla prova non deve attendere il passaggio in giudicato della sentenza che definisca il procedimento relativo a detto reato, ma deve verificare che la sua commissione sia provata in termini di elevata probabilità, attraverso una delibazione della serietà dell’ipotesi accusatoria compiuta sulla scorta di una solida base cognitiva, avuto riguardo, qualora il nuovo fatto-reato costituisca ancora una semplice notitia criminis, alla documentazione allegata alla richiesta di revoca o prodotta dalle parti, agli elementi ed alle argomentazioni offerti nel corso dell’udienza ex art. 464-octies, cod. proc. pen. ed alle eventuali dichiarazioni rese dall’interessato; qualora, invece, nel giudizio di merito su detto reato siano intervenute decisioni – quali la sentenza di primo grado, il decreto dispositivo del giudizio o provvedimenti cautelari “irrevocabili” – il giudice non può prescindere da tali delibazioni compiute nell’autonomo procedimento nel contraddittorio delle parti.

In tema di revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice è titolare di uno spazio di discrezionalità, limitato al solo apprezzamento dei presupposti di legge, che gli impone uno specifico onere di motivazione dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 464-octies cod. proc. pen., censurabile in sede di ricorso per cassazione. (In motivazione la Corte ha affermato che il giudice, una volta accertati i presupposti di una delle ipotesi di revoca previste dall’art. 168-quater cod. pen., non può compiere alcuna valutazione in ordine alla possibilità di proseguire comunque la prova). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28826 del 21 giugno 2018 (Cass. pen. n. 28826/2018)

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