Art. 55 quater – Testo Unico sul Pubblico Impiego

(D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche - TUPI)

Licenziamento disciplinare

Art. 55 quater - testo unico sul pubblico impiego

1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; (9)
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio;
d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.
f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell’articolo 54, comma 3; (3)
f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell’infrazione di cui all’articolo 55-sexies, comma 3; (3)
f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l’applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell’arco di un biennio; (3)
f-quinquies) insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell’ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell’articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 150 del 2009. (3)
1-bis. Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta. (2)
[2. Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54.] (4)
3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento è senza preavviso. Nei casi in cui le condotte punibili con il licenziamento sono accertate in flagranza, si applicano le previsioni dei commi da 3-bis a 3-quinquies. (5)
3-bis. Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato. La sospensione è disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione di tale termine non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile. (2)
3-ter. Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare di cui al comma 3-bis si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’Ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4. Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno quindici giorni e può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato. Fino alla data dell’audizione, il dipendente convocato può inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni. Il differimento del termine a difesa del dipendente può essere disposto solo una volta nel corso del procedimento. L’Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito. La violazione dei suddetti termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’articolo 55-bis, comma 4. (2)
3-quater. Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro venti giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L’azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all’articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centocinquanta giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia. (6) (8)
3-quinquies. Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l’omessa attivazione del procedimento disciplinare e l’omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell’ufficio competente per il procedimento disciplinare, all’Autorità giudiziaria ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali reati. (2)
3-sexies. I provvedimenti di cui ai commi 3-bis e 3-ter e quelli conclusivi dei procedimenti di cui al presente articolo sono comunicati all’Ispettorato per la funzione pubblica ai sensi di quanto previsto dall’articolo 55-bis, comma 4. (7)
(1)

Art. 55 quater - Testo Unico sul Pubblico Impiego

1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; (9)
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio;
d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.
f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell’articolo 54, comma 3; (3)
f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell’infrazione di cui all’articolo 55-sexies, comma 3; (3)
f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l’applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell’arco di un biennio; (3)
f-quinquies) insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell’ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell’articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 150 del 2009. (3)
1-bis. Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta. (2)
[2. Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54.] (4)
3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento è senza preavviso. Nei casi in cui le condotte punibili con il licenziamento sono accertate in flagranza, si applicano le previsioni dei commi da 3-bis a 3-quinquies. (5)
3-bis. Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato. La sospensione è disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione di tale termine non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile. (2)
3-ter. Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare di cui al comma 3-bis si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’Ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4. Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno quindici giorni e può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato. Fino alla data dell’audizione, il dipendente convocato può inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni. Il differimento del termine a difesa del dipendente può essere disposto solo una volta nel corso del procedimento. L’Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito. La violazione dei suddetti termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’articolo 55-bis, comma 4. (2)
3-quater. Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro venti giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L’azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all’articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centocinquanta giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia. (6) (8)
3-quinquies. Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l’omessa attivazione del procedimento disciplinare e l’omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell’ufficio competente per il procedimento disciplinare, all’Autorità giudiziaria ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali reati. (2)
3-sexies. I provvedimenti di cui ai commi 3-bis e 3-ter e quelli conclusivi dei procedimenti di cui al presente articolo sono comunicati all’Ispettorato per la funzione pubblica ai sensi di quanto previsto dall’articolo 55-bis, comma 4. (7)
(1)

Note

(1) Il presente articolo è stato inserito dall’art. 69 D.Lgs. 27.10.2009, n. 150 (G.U. 31.10.2009, n. 254 – S.O. n. 197) con decorrenza dal 15.11.2009.
(2) Il presente comma è stato inserito dall’art. 1, D.Lgs. 20.06.2016, n. 116 (Modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare) con decorrenza dal 13.07.2016 ed applicazione agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto.
(3) La presente lettera è stata inserita dall’art. 15, D.Lgs. 25.05.2017, n. 75 con decorrenza dal 22.06.2017 ed applicazione agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto modificante.
(4) Il presente comma è stato abrogato dall’art. 15, D.Lgs. 25.05.2017, n. 75 con decorrenza dal 22.06.2017 ed applicazione agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto modificante.
(5) Il presente comma è stato così modificato dall’art. 15, D.Lgs. 25.05.2017, n. 75 con decorrenza dal 22.06.2017 ed applicazione agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto modificante.
(6) Il presente comma è stato inserito dall’art. 1, D.Lgs. 20.06.2016, n. 116 con decorrenza dal 13.07.2016 ed applicazione agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, così come modificato dall’art. 3, D.Lgs. 20.07.2017, n. 118 con decorrenza dal 05.08.2017.
(7) Il presente comma è stato inserito dall’art. 1, D.Lgs. 20.06.2016, n. 116 così come modificato dall’art. 3, D.Lgs. 20.07.2017, n. 118 con decorrenza dal 05.08.2017.
(8) È stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016 (C.cost. 10.04. 2020, n. 61, sentenza).
(9) Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55-quater, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), inserito dall’art. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4, primo comma, 24, primo comma, 35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30, dal Tribunale ordinario di Vibo Valentia, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe (C.Cost. 23.06.2020, n .123, sentenza).

Massime

Dal combinato disposto degli artt. 2119 cod. civ., 1 e 3 della legge n. 604/1966 si desume che è ammessa la prosecuzione del rapporto nel periodo di preavviso per il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, mentre, per il licenziamento per giusta causa, il rapporto di lavoro viene immediatamente estinto, non essendo consentita la sua prosecuzione “neppure provvisoria”. Non sussistono differenziazioni qualitative fra i due diversi tipi di licenziamento disciplinare, perché il profilo distintivo attiene alla gravità della violazione contrattuale addebitata al dipendente, che è minore nell’ipotesi tipizzata dall’art. 3 della legge n. 604/ 1966. La fiducia, infatti, è fattore che condiziona la permanenza del vincolo contrattuale e può avere un’intensità differenziata a seconda della funzione, della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che le stesse esigono. Dal principio di carattere generale, che valorizza le peculiarità proprie del singolo rapporto, discende che nell’ambito del lavoro dirigenziale anche la nozione di giustificato motivo soggettivo, al pari di quella di giusta causa, risente dell’investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro sulla correttezza dell’operato del dirigente, al quale siano stati attribuiti compiti di impulso, coordinamento e controllo della struttura dallo stesso diretta, sicché il vincolo fiduciario può risultare irrimediabilmente compromesso ogniqualvolta la condotta contestata porti fondatamente a dubitare sull’esatto futuro adempimento di detti compiti. Nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato, inoltre, il dirigente, tenuto ad osservare le leggi e ad adempiere le funzioni pubbliche «con disciplina ed onore» (art. 54 Cost.), partecipa alla realizzazione degli obiettivi imposti alle amministrazioni pubbliche dall’art. 97 Cost., sicché il vincolo fiduciario riposa anche sulla capacità del dirigente di assicurare la legalità, l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa (cfr. Cass. n. 14773/2017). Il giustificato motivo soggettivo si caratterizza rispetto alla giusta causa in quanto ravvisabile in presenza di condotte che, seppure idonee a ledere il vincolo fiduciario, per la loro minore gravità, non legittimano l’interruzione immediata del rapporto e, quindi, sono compatibili con la momentanea prosecuzione dello stesso. La sospensione facoltativa, in quanto misura cautelare e non disciplinare, trova la sua ratio nella necessità di tutelare la “credibilità dell’amministrazione presso il pubblico, cioè il rapporto di fiducia dei cittadini verso l’istituzione, che può rischiare di essere incrinato dall’ombra gravante su di essa a causa dell’accusa da cui è colpita una persona attraverso la quale l’istituzione opera” (Corte Cost. n. 206/1999). La stessa implica una valutazione discrezionale della Pubblica Amministrazione che deve tener conto, non solo della gravità dei fatti per i quali si procede in sede penale, ma anche dell’opportunità di affrontare l’alea insita nella misura cautelare, posto che quest’ultima potrebbe rivelarsi non giustificata all’esito del procedimento disciplinare.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 15640 del 14 giugno 2018 (Cass. civ. n. 15640/2018)

Anche nei confronti del personale della Polizia penitenziaria la dispensa per scarso rendimento di cui all’art. 129 del D.P.R. n. 3 del 1957 (T.U. imp. civ. Stato) si configura quale istituto di diretta ed autonoma applicazione, costitutivo di principi generali validi per tutto il pubblico impiego ed essenzialmente applicabile alle ipotesi in cui la continuazione del rapporto di servizio risulti impossibile sulla base di una valutazione oggettiva e globale della condotta lavorativa del dipendente, se raffrontata con la condotta che il rapporto di servizio medesimo viceversa impone.

La dispensa dal servizio per scarso rendimento risponde innanzitutto all’esigenza di tutelare la funzionalità e l’assetto organizzativo della pubblica amministrazione nei riguardi del comportamento del dipendente, che, complessivamente, denoti insufficiente rendimento dell’attività da lui prestata, con riguardo all’insussistenza di risultati utili, per quantità e qualità, alla funzionalità dell’ufficio, ed ha pertanto natura diversa da quella disciplinare, potendo tuttavia basarsi anche su fatti disciplinarmente rilevanti (indipendentemente dall’esito del relativo procedimento) e idonei ad apprezzare la scadente attività lavorativa e lo stesso comportamento.

Le norme di cui agli artt. 129 e 130 del D.P.R. n. 3 del 1957 dispongono che all’eventuale dispensa dell’impiegato dal servizio si giunge previa assegnazione di un termine per osservazioni, potendo l’interessato chiedere di essere sentito personalmente e, nel caso di dispensa per motivi di salute, che alla visita medica collegiale egli ha diritto di farsi assistere da un medico di fiducia; nel relativo procedimento non è prevista la difesa tecnica, non trattandosi di sanzione di natura disciplinare.

La dispensa dal servizio per incapacità o insufficiente rendimento esprime un percorso di formazione ed un tipo di valutazione analogo ai giudizi annuali sullo svolgimento della carriera dell’impiegato pubblico, anch’essi rivolti a valutare l’attività svolta nel periodo considerato connotati come una tipica procedura di salvaguardia del buon andamento dell’azione amministrativa, rivolti non tanto a sanzionare singoli episodi, bensì a scandire ed a garantire il regolare funzionamento e/o la compatibilità con il servizio dovuto, della “attività” prestata dall’impiegato, attraverso un apprezzamento del complesso dei profili personali, professionali ed operativi che connotano la sua condotta. L’ampiezza della discrezionalità che l’amministrazione può impiegare per la adozione dei relativi provvedimenti è esclusivamente censurabile mediante l’eccesso di potere e soltanto in presenza di evidenti vizi di illogicità, irragionevolezza e/o travisamento dei fatti.
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 884 del 24 febbraio 2017 (Cons. Stato n. 884/2017)

Ai sensi dell’art. 55-quater c. 1 lett. a) del D.Lgs. n. 165 del 2001, la registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro è corretta e non falsa solo se nell’intervallo compreso tra le timbrature in entrata ed in uscita il lavoratore è effettivamente presente in ufficio, mentre è falsa e fraudolentemente attestata nei casi in cui miri a far emergere, in contrasto con il vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita.

La fattispecie disciplinare di cui all’art. 55-quater c. 1 lett. a) del D.Lgs. n. 165 del 2001 si realizza non solo nel caso di alterazione/manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 25750 del 14 dicembre 2016 (Cass. civ. n. 25750/2016)

Il provvedimento disciplinare di licenziamento (o destituzione) di un pubblico dipendente è da ritenere un atto ad efficacia retroattiva, quando siano intervenuti la sospensione cautelare dal servizio ed il procedimento penale si sia concluso con la condanna o, comunque, con l’accertamento di responsabilità per i medesimi fatti. Detta retroattività va ricondotta alla data di intervenuta sospensione cautelare dal servizio, quando quest’ultima risulti disposta per i fatti, oggetto di valutazione di responsabilità, in sede prima penale e poi disciplinare.
Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza n. 4393 del 3 settembre 2013 (Cons. Stato n. 4393/2013)

In caso di nomina ad un posto di pubblico impiego conseguente alla produzione fraudolente e dolosa di documenti falsi, legittimamente l’Amministrazione che ha indetto la procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 127, lettera d), del D.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 20 del D.M. 30.1.1982 (il quale prevedeva che: «Decade dall’impiego chi abbia conseguito la nomina mediante presentazione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile»), commina la decadenza dell’atto di nomina ex nunc, anche se i documenti falsi attengono ad uno dei requisiti di ammissione (rectius di accesso) al concorso.

Nel caso di scoperta tardiva del fatto che un dipendente non possiede il titolo di studio e l’abilitazione professionale indispensabili per esercitare l’attività inerente al suo rapporto di servizio, l’Amministrazione può anche utilizzare il diverso strumento dell’annullamento d’ufficio dell’atto di nomina; ma ciò non comporta di per sé che sia illegittimo applicare invece l’istituto della decadenza.

Fra l’istituto della decadenza dalla nomina e quello dell’autoannullamento dell’atto di nomina non vi è piena coincidenza. La decadenza è una sanzione che può e deve essere applicata a prescindere da ogni valutazione dell’interesse dell’Amministrazione e anche se, in ipotesi, tale interesse sia inesistente (la falsa documentazione potrebbe riguardare elementi necessari ai fini dell’ammissione al concorso, ma irrilevanti riguardo all’idoneità del soggetto a svolgere le sue mansioni); al contrario l’annullamento in autotutela postula che sia stato apprezzato discrezionalmente l’interesse attuale dell’amministrazione ma prescinde invece dalla circostanza che al soggetto sia addebitabile o meno una condotta illecita (l’ammissione al concorso del candidato privo di un titolo potrebbe avere avuto cause diverse dalla falsità della documentazione). In altre parole, non è sempre detto che quando vi siano i presupposti della decadenza vi siano anche quelli dell’autoannullamento, e viceversa; e può anche accadere che vi siano i presupposti di entrambi. Peraltro, quando si verifichi quest’ultima ipotesi, non per questo viene meno la doverosità (o se si preferisce l’automatismo) della decadenza.

Anche nel caso in cui l’Amministrazione, a seguito della scoperta tardiva che la nomina del vincitore di un concorso è avvenuta sulla base di documenti falsi, proceda all’annullamento dell’atto di nomina, piuttosto che alla pronuncia di decadenza, legittimamente gli effetti di tale atto vengono limitati alla sola posizione del concorrente interessato, mentre non si è proceduto al riconoscimento di alcun diritto al concorrente che seguiva in graduatoria, mediante la ricostruzione, utilizzazione o scorrimento della graduatoria stessa, nel caso in cui tale graduatoria non sia più valida ed efficace alla data in cui si è reso vacante il posto. In tal caso, infatti, essendo la graduatoria ormai scaduta, le situazioni sono divenute irreversibili.
Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza n. 3707 del 10 luglio 2013 (Cons. Stato n. 3707/2013)

Nel rapporto di pubblico impiego il licenziamento disciplinare è espressione tipica del potere di supremazia speciale esplicabile nell’ambito del rapporto di lavoro che l’ordinamento di settore riconosce all’amministrazione nei confronti del proprio dipendente.
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 1688 del 18 marzo 2011 (Cons. Stato n. 1688/2011)

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, la contestazione di fatti che comportino asseritamente la decadenza dall’impiego, o comunque una giusta causa o giustificato motivo di recesso, ha natura ontologicamente disciplinare, e deve essere effettuata nel rispetto delle garanzie dettate in favore del lavoratore dall’art. 7, secondo e terzo comma, della legge n. 300 del 1970, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni, a prescindere dal numero dei dipendenti, in virtù del disposto dell’art. 51, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001. Pertanto, per procedere al licenziamento del lavoratore l’ente datore di lavoro deve basarsi sulle condotte regolarmente contestate al lavoratore nel rispetto della normativa in materia di procedimento disciplinare, non potendo addurre in corso di causa nuovi addebiti non preceduti da adeguate contestazioni.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 8642 del 12 aprile 2010 (Cass. civ. n. 8642/2010)

In tema di licenziamento disciplinare dei pubblici dipendenti a seguito di sentenza penale di patteggiamento, non si applica la disciplina del procedimento disciplinare prevista, in particolare, quanto ai termini per l’instaurazione e la conclusione del procedimento, dall’art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990, sia per la particolare connotazione del procedimento penale che si conclude con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, sia per l’inapplicabilità, a far data dalla stipulazione del primo contratto collettivo, della disciplina generale e speciale del procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (artt. da 100 a 123 del D.P.R. n. 3 del 1957 e disposizioni ad esso collegate) in seguito all’entrata in vigore degli artt. 72 e 74 del D.Lgs. n. 29 del 1993 (di attuazione della legge n. 421 del 1992, di privatizzazione del pubblico impiego), e all’abrogazione di tutte le disposizioni in materia di sanzioni disciplinari incompatibili con il nuovo regime giuridico del lavoro pubblico.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 5115 del 3 marzo 2010 (Cass. civ. n. 5115/2010)

Il licenziamento disciplinare, nel regime giuridico contrattuale dei rapporti di lavoro dei dipendenti regionali dettato dall’art. 38 legge reg. Friuli Venezia Giulia n. 18 del 1996 è negozio giuridico di diritto privato regolato dalla legge n. 604 del 1966, in linea con le previsioni generali di cui all’art. 55 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e all’art. 2 comma secondo, del suddetto decreto. L’obbligo di motivazione, quindi, non è quello dei provvedimenti amministrativi, ma il contenuto di esso va determinato in base al disposto dell’art. 2 della legge n. 604 del 1966. Pertanto, l’obbligo di motivazione è assolto dall’amministrazione con l’indicazione del fatto (già oggetto di contestazione) che, ad avviso del datore di lavoro, giustifica il recesso, spettando poi al giudice valutare se il fatto medesimo è idoneo a radicare il potere di estinguere il rapporto.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 758 del 16 gennaio 2006 (Cass. civ. n. 758/2006)

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