Art. 30 – Testo Unico Enti Locali

(D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali - TUEL)

Convenzioni

Articolo 30 - testo unico enti locali

1. Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni.
2. Le convenzioni devono stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie.
3. Per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un’opera lo Stato e la regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra enti locali, previa statuizione di un disciplinare-tipo.
4. Le convenzioni di cui al presente articolo possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.

Articolo 30 - Testo Unico Enti Locali

1. Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni.
2. Le convenzioni devono stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie.
3. Per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un’opera lo Stato e la regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra enti locali, previa statuizione di un disciplinare-tipo.
4. Le convenzioni di cui al presente articolo possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.

Massime

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale – promosse dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 123 Cost., nonché all’art. 3, comma 2, dello Statuto – dell’art. 1, comma 609, lett. a ), della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che, modificando il comma 3- bis del d.l. n. 138 del 2011 (convertito con modificazioni in legge n. 148 del 2011), prevede che gli enti locali partecipino obbligatoriamente agli enti istituiti o designati per il governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali, al fine di organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica; cosicché, in caso di mancata adesione, assegna al Presidente di Regione (previa diffida all’ente locale), i relativi poteri sostitutivi. La disposizione impugnata mira a migliorare i risultati di gestione dei servizi pubblici locali indicati, promuovendo processi di aggregazione. Essa trova pertanto un duplice fondamento, perché da un lato esprime un forma di coordinamento della finanza pubblica, dall’altro tutela la concorrenza. Sotto il primo profilo, l’autonomia comunale non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare gli spazi dell’autonomia municipale a fronte di esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di funzioni già assegnate agli enti locali. Le norme che prevedono la loro partecipazione ad autorità d’ambito alle quali sia trasferito l’esercizio di competenze in materia di servizi pubblici non ne ledono pertanto l’autonomia amministrativa, in quanto si limitano a razionalizzarne le modalità di esercizio, al fine di superare la frammentazione nella gestione, e sempre che sia preservato uno specifico ruolo per gli enti titolari di autonomia costituzionalmente garantita, nella forma della partecipazione agli organismi con poteri decisionali, o ai relativi processi deliberativi. Né può sostenersi l’irragionevolezza e l’oscurità della disposizione censurata, che pur richiamando l’art. 1, comma 90, della l. n. 56 del 2014 (che rafforza il ruolo delle Province, attribuendogli il compito di organizzare i servizi pubblici locali, prima assegnato a enti o agenzie soppressi) lo contraddirebbe. Se, in linea di principio, possono risultare costituzionalmente illegittime – per irragionevolezza ridondante sulle attribuzioni regionali – norme statali dal significato ambiguo, tali da porre le Regioni in una condizione di obiettiva incertezza, è pur sempre possibile conciliare le due disposizioni, attraverso una lettura sistematica, rispettosa della ratio di entrambe. Infatti, nulla impedisce alle Regioni, nei casi in cui optino per ambiti o bacini di dimensioni provinciali (o, eccezionalmente, sub-provinciali), di conformarsi a quanto previsto dall’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014, vale a dire di designare come enti di governo, titolari delle relative funzioni di organizzazione, le Province, secondo i principi di adeguatezza e sussidiarietà. Quanto al profilo della tutela della concorrenza, la legittimità della norma impugnata deriva dal riconoscimento allo Stato della competenza a disciplinare il regime dei servizi pubblici locali per gli aspetti che hanno una diretta incidenza sul mercato e sono strettamente funzionali alla gestione unitaria, e a superare situazioni di frammentazione, garantendo la competitività e l’efficienza dei relativi mercati. La ricorrente non offre argomenti che inducano a ritenere che la norma non rispetti i criteri di proporzionalità e adeguatezza, ritenuti essenziali per definire il legittimo ambito di operatività della competenza statale quando viene in rilievo la tutela della concorrenza. Sulla qualificazione della disciplina statale della gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, v., analogamente a quanto ritenuto in relazione ad altri, sia pure differenti, istituti di cooperazione tra enti locali, le citate sentenze nn. 44/2014 e 22/2014. Sulla competenza statale relativa alla tutela della concorrenza riguardo la disciplina dei servizi pubblici, per gli aspetti che hanno una diretta incidenza sul mercato e sono strettamente funzionali alla gestione unitaria, ivi compresa la disciplina degli ambiti territoriali ottimali e delle relative autorità di governo, soprattutto quando essa sia finalizzata a superare situazioni di frammentazione e a garantire la competitività e l’efficienza dei relativi mercati, v. la citate sentenze nn. 134/2013, 46/2013, 128/2011 e 325/2010. Sulla necessità che le norme statali a tutela della concorrenza rispettino i criteri di proporzionalità e adeguatezza, la cui eventuale mancanza va adeguatamente motivata v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 443/2007, e 14/2004. Sull’autonomia dei Comuni, che non implica una riserva intangibile di funzioni, v. la citata sentenza n. 286/1997; sulla conseguente legittimità delle norme che prevedono la partecipazione degli enti locali ad autorità d’ambito alle quali sia trasferito l’esercizio di competenze in materia di servizi pubblici, v. la citata sentenza n. 246/2009. Sulla necessità, qualora si opti per l’esercizio delle funzioni comunali mediante organismi associativi, di preservare uno specifico ruolo agli enti locali titolari di autonomia costituzionalmente garantita, v. la citata sentenza n. 50/2013. Sull’irragionevolezza delle norme statali dal significato ambiguo, tali da ridondare negativamente sulle prerogative di autonomia delle Regioni, poste in tal modo in una condizione di obiettiva incertezza, v. le citate sentenze n. 200/2012 e 326/2010. Sulla competenza delle Regioni, qualora istituiscano ambiti o bacini territoriali provinciali per la gestione dei servizi locali, di designare le Province come enti di governo, sopprimendo, nel contempo, enti e agenzie alle quali sia stato demandato in precedenza l’esercizio delle stesse funzioni, senza che ciò leda l’autonomia comunale, v. la citata sentenza n. 50/2015. (Corte Costituzionale Sentenza 7 luglio 2016 n. 160)

In materia di licenziamenti disciplinari, nell’ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato dal contratto collettivo come infrazione disciplinare cui consegua una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione (trattandosi di condizione di maggior favore fatta espressamente salva dall’art. 12 della l. n. 604 del 1966), a meno che non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva. (Nella specie, la S.C. ha confermato il licenziamento irrogato ad un dirigente per molestie sessuali, perchè non sussumibili, stante la gravità del comportamento posto in essere con abuso di qualità, nelle previsioni contrattuali che disponevano la misura conservativa per i meri atti di molestia, anche sessuale). (Corte di Cassazione Sezione L Civile Sentenza 10 luglio 2020 n. 14811)

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