Dato il carattere strumentale e non essenziale delle comunità montane, non può ricavarsi dagli artt. 28 e 29 della legge n. 142 del 1990 (ora artt. 27 e 28 del d.lgs. n. 267 del 2000) un principio generale dell’ordinamento o una norma fondamentale di riforma economico-sociale in ordine alla loro istituzione e alla loro natura di enti necessari, che precluderebbe alla regione il potere rivolto alla loro soppressione; né il divieto di soppressione si potrebbe far derivare dalla indefettibilità delle funzioni necessarie all’attuazione dei programmi e al perseguimento degli obiettivi di sviluppo delle zone montane stabiliti da atti dell’Unione europea e da leggi dello Stato; funzioni, queste ultime, che ben possono essere allocate altrimenti, in base alle particolarità delle situazioni locali, apprezzate dal legislatore regionale nell’esercizio discrezionale del suo potere legislativo in tema di “ordinamento degli enti locali”. Non è, pertanto, fondata la questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Friuli-Venezia Giulia riapprovata l’1/2/2000, il cui art. 2 ha disposto la soppressione delle Comunità montane della Regione, in riferimento agli artt. 5 e 128 Cost. e agli artt. 4, 5, 6 e 59 dello statuto speciale della medesima Regione. (Corte Costituzionale Sentenza 6 luglio 2001 n. 229)
In tema di agevolazioni e benefici contributivi previsti per le imprese e i datori di lavoro aventi sede ed operanti nei comuni montani, l’art. 8 della legge 25 luglio 1952, n. 991 – già implicitamente abrogato per la parte relativa alle agevolazioni fiscali prima dagli artt. 58 e 68 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 e, poi, dall’art. 9 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, e non più richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane, a partire dalla legge 11 marzo 1988, n. 67, che ha fatto riferimento solo alla definizione di territori montani contenuta nell’art. 9 del d.P.R. 601 del 1973 – deve considerarsi implicitamente abrogato, tanto più che la previsione di un regime generalizzato di totale esenzione contributiva è stato abbandonato dal legislatore a partire dalla citata legge n. 67 del 1988. Ne consegue che, in conformità all’art. 1, comma 3, lett. d), del d.lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, il suddetto art. 8 non poteva essere incluso, atteso il carattere meramente ricognitivo dell’intervento legislativo, fra le norme “salvate” dal d.lgs. 179 e la ricomprensione nell’Allegato 1 – voce n. 1266 della legge n. 991 del 1952 tra le disposizioni specificamente indicate da “mantenere in vigore” si deve considerare “tamquam non esset” sulla base di una interpretazione rispettosa dell’art. 15 preleggi e costituzionalmente orientata, nel senso della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento (art. 3 Cost.), del rispetto dei principi e criteri direttivi della legge delega (art. 76 Cost.), e alla luce anche dell’art. 44, secondo comma, Cost. (Corte di Cassazione Sezione L Civile Sentenza 22 agosto 2013 n. 19420)