In tema di reati urbanistici, l’accertamento della responsabilità penale dell’indagato, in presenza del quale è consentita la confisca urbanistica per il reato di lottizzazione abusiva ex art. 44 D.P.R 6 giugno 2001, n. 380 anche nelle ipotesi di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, deve essere fondato su elementi evincibili dagli atti attraverso un’analisi giurisdizionale idonea ad accertare l’effettiva sussistenza del reato in tutti i suoi elementi, oggettivi e soggettivi, nel rispetto delle garanzie processuali che consentono all’imputato di interloquire sul materiale di causa al fine di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa. (In applicazione del principio, la Corte ha affermato che l’accertamento della responsabilità non può basarsi su atti irripetibili compiuti durante le indagini o sulle misure cautelari disposte nel corso del procedimento, come l’intervenuto sequestro preventivo). (Rigetta, Tribunale Sassari, 9 febbraio 2017).
Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 14005 del 4 dicembre 2018 (Cass. pen. n. 14005/2018)
Il divieto di un secondo giudizio per il reato di abuso edilizio di cui all’art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda soltanto la condotta posta in essere nel periodo indicato nell’imputazione ed accertata con la sentenza irrevocabile, ma non anche l’eventuale prosecuzione o la ripresa degli interventi edificatori in un periodo successivo, attesa la natura permanente della fattispecie e la conseguente scomponibilità giuridica dei comportamenti posti in essere dall’imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento di rigetto della istanza di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo disposto con sentenza irrevocabile, nonostante per i successivi interventi edificatori il reato fosse stato dichiarato estinto per prescrizione).
Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 19354 del 21 aprile 2015 (Cass. pen. n. 19354/2015)
L’esecutore dei lavori edilizi ha il dovere di controllare preliminarmente che siano state richieste e rilasciate le prescritte autorizzazioni, rispondendo a titolo di dolo del reato di cui all’art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in caso di inizio delle opere nonostante l’accertamento negativo, e a titolo di colpa nell’ipotesi in cui tale accertamento venga omesso.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 16802 del 8 aprile 2015 (Cass. pen. n. 16802/2015)
È inammissibile, per erroneità del presupposto interpretativo, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), impugnato, in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui vieta di applicare la confisca urbanistica nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato, anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi. Tale interpretazione del giudice remittente, fondata sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, determinerebbe che, una volta qualificata una sanzione ai sensi dell’art. 7 della CEDU, e dunque dopo averla reputata entro questo ambito una “pena”, essa non potrebbe venire inflitta che dal giudice penale, attraverso la sentenza di condanna per un reato. Si sarebbe così operata una saldatura tra il concetto di sanzione penale a livello nazionale e quello a livello europeo. Per effetto di ciò, l’area del diritto penale sarebbe destinata ad allargarsi oltre gli apprezzamenti discrezionali dei legislatori, persino a fronte di sanzioni lievi, ma per altri versi pur sempre costituenti una “pena” ai sensi dell’art. 7 CEDU. Una simile premessa interpretativa, che garantisce la massima protezione del diritto di proprietà con il sacrificio di principi costituzionali di rango superiore, si mostra erronea in quanto di dubbia compatibilità sia con la Costituzione sia con la stessa CEDU. In relazione al diritto interno, l’autonomia dell’illecito amministrativo dal diritto penale, oltre che ad impingere nel più ampio grado di discrezionalità del legislatore nel configurare gli strumenti più efficaci per perseguire la effettività dell’imposizione di obblighi o di doveri, corrisponde altresì, sul piano delle garanzie costituzionali, al principio di sussidiarietà, per il quale la criminalizzazione, costituendo l’ultima ratio, deve intervenire soltanto allorché, da parte degli altri rami dell’ordinamento, non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire. Per quanto concerne la giurisprudenza della Corte EDU, quest’ultima ha elaborato peculiari indici per qualificare una sanzione come “pena” ai sensi dell’art. 7 della CEDU, proprio per scongiurare che i vasti processi di decriminalizzazione possano avere l’effetto di sottrarre gli illeciti, così depenalizzati, alle garanzie sostanziali assicurate dagli artt. 6 e 7 della CEDU, senza con ciò porre in discussione la discrezionalità dei legislatori nazionali di arginare l’ipertrofia del diritto penale attraverso il ricorso a strumenti sanzionatori ritenuti più adeguati. La questione è, altresì, inammissibile per l’erroneità del presupposto interpretativo secondo cui il giudice nazionale sarebbe vincolato all’osservanza di qualsivoglia sentenza della Corte di Strasburgo e non, invece, alle sole sentenze costituenti “diritto consolidato” o delle “sentenze pilota” in senso stretto. Infatti, se è vero che alla Corte di Strasburgo spetta pronunciare la “parola ultima” in ordine a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, resta fermo che l’applicazione e l’interpretazione del sistema generale di norme è attribuito in prima battuta ai giudici degli Stati membri. Il ruolo di ultima istanza riconosciuto alla Corte di Strasburgo, poggiando sull’art. 117, primo comma, Cost. deve quindi coordinarsi con l’art. 101, secondo comma, Cost. nel punto di sintesi tra autonomia interpretativa del giudice comune e dovere di quest’ultimo di prestare collaborazione, affinché il significato del diritto fondamentale cessi di essere controverso. Dunque, il giudice comune è tenuto ad uniformarsi alla giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente, in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza e fermo il margine di apprezzamento che compete allo Stato membro.
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È inammissibile, per inconferenza della norma censurata e per difetto di motivazione sulla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), impugnato, in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui vieta di applicare la confisca urbanistica nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato, anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi. Tale interpretazione del giudice remittente, fondata sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dei 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, costituisce un superamento del diritto vivente in base al quale la sanzione della confisca urbanistica consegue non solo alla sentenza definitiva di condanna, ma anche alla dichiarazione di prescrizione del reato qualora la responsabilità penale sia stata accertata. Il dubbio di costituzionalità, derivato dall’interpretazione della norma impugnata alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (Varvara c. Italia) e conseguente alla determinazione di un assetto che garantirebbe la massima protezione del diritto di proprietà a fronte del sacrificio di principi costituzionali di rango superiore, avrebbe dovuto essere prospettato con riferimento alla legge nazionale di adattamento, risultando inconferente il riferimento alla norma censurata. Il dovere del giudice comune di interpretare il diritto interno in senso conforme alla CEDU è subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poiché tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU. Nelle ipotesi in cui non sia possibile percorrere tale via, è fuor di dubbio che il giudice debba obbedienza anzitutto alla Carta repubblicana e sia perciò tenuto a sollevare questione di legittimità costituzionale della legge di adattamento. La questione è, altresì, inammissibile per difetto di motivazione in quanto dall’ordinanza di rimessione non è possibile evincere il superamento della presunzione di innocenza che giustificherebbe l’applicazione nel giudizio a quo della normativa impugnata, secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte di Strasburgo 20 gennaio 2009, Sud Fondi Srl.
Corte costituzionale, sentenza n. 49 del 26 marzo 2015 (Corte cost. n. 49/2015)
Ai sensi dell’art. 19 L. 28 febbraio 1985 n. 47 (oggi T.U. 6 giugno 2001 n. 380) la confisca di terreni abusivamente lottizzati (e la successiva pedissequa trascrizione nei registri immobiliari) si configura quale sanzione amministrativa obbligatoria discendente in via inderogabile dalla sentenza penale irrevocabile che abbia accertato l’avvenuta lottizzazione abusiva, tenendo presente che essa identifica tale accertamento penale quale presupposto necessario e sufficiente per l’acquisizione al patrimonio immobiliare del Comune dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere su di essi realizzate, e ciò anche se, per una causa diversa, qual è ad esempio la prescrizione (e come, per l’appunto, avvenuto nel caso di specie) non si pervenga alla condanna dei suoi autori e alla conseguente irrogazione della pena, con l’avvertenza che la confisca in esame differisce sia dalla confisca facoltativa di cui all’art. 240 comma 1 Cod. pen. – la quale invece presuppone sempre la condanna e l’acquisizione al patrimonio statale dei beni confiscati – sia dall’ulteriore tipologia di confisca disciplinata dal comma 2 n. 2 dello stesso articolo del codice penale, la quale, pur essendo obbligatoria e prescindendo dalla condanna, riguarda cose intrinsecamente criminose, la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato; pertanto, ai fini della legittimità del provvedimento amministrativo adottato in esecuzione del giudicato penale, è irrilevante: a) ogni eventuale, ulteriore ed ultroneo apprezzamento svolto dall’Amministrazione comunale procedente in ordine alla residenzialità, o meno, dell’immobile confiscato; b) la circostanza che il titolo edilizio sulla cui base è stato realizzato l’edificio appreso risulti ad oggi formalmente efficace.
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 2711 del 27 maggio 2014 (Cons. Stato n. 2711/2014)
La confisca dei suoli interessati da interventi edilizi abusivi può essere revocata qualora sopravvenga una diversa disciplina urbanistica compatibile con detti interventi, purché ciò avvenga prima che sia passata in giudicato la sentenza che contiene l’ordine di confisca, atteso che in tale momento il suolo è acquisito dall’Ente pubblico e il privato non può più vantare su di esso alcuna pretesa.
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 4224 del 21 agosto 2013 (Cons. Stato n. 4224/2013)
In materia edilizia può essere attribuita al proprietario, non formalmente committente dell’opera, la responsabilità per la violazione dell’art. 44 D.P.R. n. 380/2001, sulla base di valutazioni fattuali, quali l’accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione abusiva, che sia stato individuato sul luogo, che sia destinatario finale dell’opera, che abbia presentato richieste di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria (Cass. pen. sez. III n. 9536 del 20.1.2004). L’art. 165 consente, infatti, di subordinare la sospensione della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato (tale certamente deve ritenersi per l’assetto del territorio l’opera abusivamente realizzata).
Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 37829 del 25 ottobre 2010 (Cass. pen. n. 37829/2010)
In materia di lottizzazione abusiva, la confisca prevista dall’art. 44, comma secondo, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 costituisce una sanzione amministrativa e non una misura di sicurezza di natura patrimoniale, pur permanendone il carattere sanzionatorio ai sensi dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cass. sez. 3, n. 36844 del 09/07/2009). Inoltre, è da escludere l’applicabilità della confisca nei confronti di coloro che effettivamente risultino in buona fede in ordine alla abusività della lottizzazione, nel senso che in essi non sia stato accertato alcun profilo di colpa, anche sotto gli aspetti della imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza. Il terzo acquirente di un immobile abusivamente lottizzato, pur partecipando materialmente con il proprio atto di acquisto al reato di lottizzazione abusiva, può subirne la confisca solo nel caso in cui sia ravvisabile una condotta quantomeno colposa in ordine al carattere abusivo della lottizzazione negoziale e/o materiale (Cass. sez. 3, n. 42178 del 29 settembre 2009). Nella specie, è stato ritenuto errato limitare l’accertamento della buona fede alla mera circostanza dell’acquisto degli immobili tramite rogito notarile ed al rilievo dell’idoneità di tali titoli a trasferire la proprietà.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 33910 del 20 settembre 2010 (Cass. pen. n. 33910/2010)