La presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi impone al Comune competente la sua disamina e l’adozione dei provvedimenti conseguenti, di talché gli atti repressivi dell’abuso in precedenza adottati perdono efficacia, salva la necessità di una loro rinnovata adozione nell’eventualità di un successivo rigetto dell’istanza di sanatoria. Se infatti è accolta la domanda di concessione in sanatoria, conseguentemente gli atti sanzionatoti impugnati sono implicitamente rimossi; se viceversa il Comune disattende l’istanza, respingendola, è tenuto, in base all’art. 40, comma 1, L. n. 47 del 1985 (anche questo richiamato dall’art. 32, comma 25, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, che rinvia alle disposizioni di cui ai capi IV e V della L. n. 47 del 1985), a procedere al completo riesame della fattispecie, assumendo se del caso nuovi, e questa volta conclusivi, provvedimenti sanzionatori, che a loro volta troveranno esecuzione oppure saranno oggetto di autonoma impugnativa, con conseguente cessazione immediata, anche in caso di diniego di sanatoria, di ogni efficacia lesiva da parte della primitiva ordinanza impugnata. Pertanto, la richiesta di concessione in sanatoria determina la sopravvenuta carenza d’interesse all’annullamento dell’atto sanzionatorio in relazione al quale tale domanda è stata presentata (a seconda dei casi, l’ordine di demolizione dell’abuso accertato, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, e/o i successivi provvedimenti di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale), con la traslazione dell’interesse a ricorrere sul futuro provvedimento che, eventualmente, abbia a respingere la domanda medesima (ad esempio, per la mancata corresponsione dell’oblazione definitivamente accertata come dovuta), e disponga nuovamente la demolizione dell’opera abusiva.
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2438 del 15 aprile 2019 (Cons. Stato n. 2438/2019)
L’ordine di demolizione di opere abusive è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere illegittime e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso; in sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. Di conseguenza, in ragione della natura vincolata dell’ordine di demolizione, non è pertanto necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento né un’ampia motivazione.
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Non è legittima l’ordinanza di demolizione di opere abusive emessa in pendenza del termine o in presenza della già avvenuta presentazione della istanza di condono edilizio, poiché l’art. 44, comma ultimo, L. 28 febbraio 1985, n. 47 prevede che, in pendenza del termine per la presentazione di tali domande, tutti i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi. In maniera analoga, l’art. 38 L. n. 47 del 1985 prevede che la presentazione della domanda di condono sospende il procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative. Ne consegue che, nella pendenza della definizione di tali domande, non può essere, tra l’altro, adottato alcun provvedimento di demolizione e tale disposizione si applica anche ai condoni presentati ai sensi dell’art. 39 L. n. 724 del 1994.
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 540 del 22 gennaio 2019 (Cons. Stato n. 540/2019)
L’art. 22, comma 3, del D.P.R. 380/2001 prevede tre diverse tipologie di interventi edificatori – di cui la prima è costituita proprio da quelli di ristrutturazione, come individuati dall’art. 10, comma 1, lettera c), D.P.R. 380/2001, sottoposti al regime del permesso di costruire, per i quali, per ragioni di carattere acceleratorio, si consente all’interessato di optare per la presentazione della DIA (c.d. “super DIA”). Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale (dei presupposti), penale e contributivo resta ferma l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire.
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 5983 del 19 ottobre 2018 (Cons. Stato n. 5983/2018)
È illegittimo un provvedimento con il quale un Comune ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria (nella specie, di Euro 20.000,00), ai sensi e per gli effetti dell’art. 31, comma 4-bis, D.P.R. 380/2001, per non avere provveduto ad ottemperare al contenuto di una ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, nel caso in cui si tratti di immobile sottratto alla disponibilità delle parti, in quanto sottoposto a sequestro penale; infatti, l’ordine di demolizione di un immobile colpito da un sequestro penale deve essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell’art. 21-septies L. n. 241 del 1990 (in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c.) e, quindi, radicalmente inefficace, per l’assenza di un elemento essenziale dell’atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell’oggetto del comando.
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2337 del 17 maggio 2017 (Cons. Stato n. 2337/2017)
L’art. 31, co. 5, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – T.U. edilizia (il quale prevede che “L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico”), offre una via di uscita, consentendo, di fatto, alla mano pubblica ciò che non è permesso alla parte privata rispetto alla soluzione finale della demolizione dell’edificazione abusiva, permettendo che – questa volta in mano pubblica – l’edificazione non legittima resti pur sempre in situ. Per l’effetto di essa, l’integrità del territorio leso non risulta comunque ricostituita; di contro, delle risultanze della lesione (l’edificazione non legittima) gode un’intera comunità.
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È legittima una delibera con la quale un Comune, in sede di esecuzione del giudicato che aveva annullato una concessione edilizia, in applicazione dell’art. 31, co. 5, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha deciso di non procedere alla demolizione del fabbricato, rinvenendo un “prevalente interesse pubblico” nella soluzione di incapsulare in parte del piano terra dell’edificio non legittimo (per il resto costituito, per quanto consta, da un condominio a tutti gli effetti) uffici pubblici, destinati per loro natura alla fruizione collettiva. Con tale soluzione l’ente locale ha anche risolto un problema non secondario, di cui non s’è fatto carico il contenzioso pregresso: dove ricollocare i privati proprietari delle unità immobiliari sovrastanti detto piano terra.
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 1770 del 13 aprile 2017 (Cons. Stato n. 1770/2017)
L’annullamento giurisdizionale del titolo ad aedificandum (seppur a seguito di D.I.A.) implica sia l’illiceità delle opere edilizie realizzate in base ad esso, sia l’obbligo del Comune di dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti conseguenziali e, sebbene non si debba necessariamente procedere alla demolizione delle opere realizzate (come prescrive l’art. 31, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) e vi sia una gamma articolata di possibili soluzioni, l’extrema ratio dell’ordine di demolizione e di remissione in pristino non è sinonimo di illegittimità di procedervi ogni qual volta non sia possibile né sanare i vizi, né conservare il manufatto a cagione dell’insormontabile distonia, degli uni e dell’altro, con lo stato dei luoghi e con le prescrizioni di zona.
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 3366 del 7 luglio 2015 (Cons. Stato n. 3366/2015)
Il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri, che voglia sfuggire all’effetto sanzionatorio di cui all’art. 31, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia», della demolizione o dell’acquisizione, come effetto della inottemperanza all’ordine di demolizione, deve provare la intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all’abuso, siano però anche idonee a costringere il responsabile dell’attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa.
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2211 del 4 maggio 2015 (Cons. Stato n. 2211/2015)
L’art. 31, commi 2, 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e nell’art. 15, commi 1 e 3 della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia), che hanno carattere di lex specialis rispetto all’art. 6 della L. 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale) si riferiscono non all’«autore», ma al «responsabile» dell’abuso, quest’ultimo inteso come esecutore materiale, ma anche come proprietario o come soggetto che abbia la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva. Sia la norma statale che quella regionale, infatti, indicano espressamente come destinatari della sanzione demolitoria, in forma non alternativa, sia il proprietario che il responsabile: la prima, imponendo testualmente detta sanzione «al proprietario e al responsabile dell’abuso»; la seconda, disponendo la notifica dell’ingiunzione «al responsabile dell’abuso nonché al proprietario, ove non coincidente con il primo»; le ulteriori misure (acquisizione gratuita e pagamento di una somma in caso di inottemperanza) non possono che riferirsi ai medesimi soggetti obbligati.
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 1650 del 30 marzo 2015 (Cons. Stato n. 1650/2015)
In tema di reati edilizi, il termine per adempiere all’obbligo di demolizione del manufatto abusivo cui sia stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il giudice abbia omesso di provvedere alla sua indicazione, è quello di giorni novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, desumibile dai parametri della disciplina urbanistica prevista dall’art. 31 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380. (In motivazione, la Corte ha specificato che la condizione apposta al beneficio mira alla rapida eliminazione della situazione antigiuridica, di modo che non è accettabile che possa essere adempiuta fino alla scadenza del diverso termine normativo stabilito ai fini dell’estinzione del reato).
Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 7046 del 4 dicembre 2014 (Cass. pen. n. 7046/2014)
L’art. 31, comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (“Testo unico in materia di edilizia”), dispone che “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune”. La stessa noma dispone che “l’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”. Dall’analisi della suddetta disposizione si desume che il bene da acquisire deve essere individuato con precisione e che, nell’applicazione della sanzione, l’autorità competente rispetti il principio di proporzionalità mediante l’irrogazione di una sanzione che, entro il limite massimo legale stabilito, sacrifichi la posizione soggettiva del privato in modo adeguato, necessario e strettamente proporzionale all’obiettivo di interesse pubblico perseguito.
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 5607 del 14 novembre 2014 (Cons. Stato n. 5607/2014)
In tema di edilizia e urbanistica, nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/ 2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione; e, pertanto, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia.
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In tema di tutela penale del territorio, l’esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l’acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del comune.
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 1260 del 6 marzo 2012 (Cons. Stato n. 1260/2012)
L’ordine di demolizione delle opere abusive deve intendersi sempre emesso allo stato degli atti, sicché il giudice è comunque tenuto a valutarne la persistenza dei presupposti lungo tutta la durata del processo.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 32540 del 1 settembre 2010 (Cass. pen. n. 32540/2010)
In presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma terzo, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 16392 del 27 aprile 2010 (Cass. pen. n. 16392/2010)