Art. 3 – Statuto dei lavoratori

(L. 20 maggio 1970, n. 300 - Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà  sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento)

Personale di vigilanza

Art. 3 - statuto dei lavoratori

I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.

Art. 3 - Statuto dei lavoratori

I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.

Massime

La disposizione di cui all’art. 3 della l. n. 300 del 1970 – secondo la quale i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati – non ha fatto venire meno il potere dell’imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., di controllare, direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti e, così, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente dalle modalità con cui sia stato compiuto il controllo, il quale, attesa la suddetta posizione particolare di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino ne’ il principio di correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto di lavoro, nè il divieto di cui all’art. 4 della stessa l. n. 300 del 1970, riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza e non applicabile analogicamente, siccome penalmente sanzionato. Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 21888 del 9 ottobre 2020 (cass. civ. n. 21888/2020)

Il divieto di licenziamento discriminatorio – sancito dall’art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall’art. 15 della legge n. 300 del 1970 e dall’art. 3 della legge n. 108 del 1990 – è suscettibile di interpretazione estensiva sicché l’area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, che costituisce cioè l’ingiusta e arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente quindi di natura vendicativa. In tali casi, tuttavia, è necessario dimostrare che il recesso sia stato motivato esclusivamente dall’intento ritorsivo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, nel constatare che il licenziamento era stato disposto “a causa delle posizioni rigide e polemiche” assunte dal lavoratore nei confronti della società datrice di lavoro e rese pubbliche dalla stampa, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare adottato in violazione delle procedure richieste dalla legge, pur senza ritenere che il licenziamento stesso potesse essere considerato un atto vendicativo o di rappresaglia).. Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 6282 del 18 marzo 2011 (cass. civ. n. 6282/2011)

Le disposizioni (artt. 2 e 3 della legge n. 300 del 1970) che delimitano – a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali – la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi – e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3) – non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (quale, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, nè, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica. Tuttavia, il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, nè l’adempimento, nè l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (nella specie, l’appropriazione indebita di danaro riscosso per il datore di lavoro e sottratto alla contabilizzazione). Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 9167 del 7 giugno 2003 (cass. civ. n. 9167/2003)

Istituti giuridici

Novità giuridiche