L’elaborato ha per oggetto lo studio della disciplina del whistleblowing nell’ordinamento giuridico italiano.
Con il termine inglese “whistleblowing”, tradotto “soffiare il fischietto”, si vuole indicare la segnalazione di attività illecite da parte di un soggetto che ne sia venuto a conoscenza in occasione della prestazione lavorativa, al datore di lavoro o altro organismo interno all’organizzazione o azienda o a specifiche autorità competenti. È evidente la delicatezza di tale posizione, la cui tutela è composta di disposizioni, che spaziano dall’ambito giuslavoristico a quello penale e che l’istituto sia per sua natura votato a una dimensione giuridica interdisciplinare.
L’istituzionalizzazione del whistleblowing è avvenuta per opera della Legge 6 novembre 2012, n. 190 [1], in ritardo di qualche anno rispetto alla maggioranza dei paesi europei e di oltre un secolo rispetto agli Usa.
La legge aveva operato sul TUPI [2],il cui nuovo art. 54-bis impediva qualsiasi ripercussione nei confronti del dipendente che avesse denunciato al superiore gerarchico, all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile condotte illecite di cui fosse venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.
Più precisamente, ai sensi del primo comma dell’art. 54-bis, il dipendente pubblico non poteva essere sanzionato, licenziato, sottoposto a misure discriminatorie ricadenti sulle condizioni di lavoro per motivi connessi, anche solo indirettamente, alla denuncia stessa: chiaramente, purché sussistessero alcuni indefettibili presupposti – delineati in parte dalle linee guide in argomento [3],in parte dalla dottrina – finalizzati a impedire l’utilizzo pretestuoso della tutela in esame [4]. Il secondo comma della norma in parola garantiva inoltre al soffiatore di fischietto l’anonimato nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare scaturente dalla sua segnalazione [5].
Il terzo comma della norma apriva altresì un primo canale di segnalazione, permettendo la denuncia di eventuali misure “discriminatorie dinanzi al dipartimento di pubblica sicurezza. Il quarto e ultimo comma, infine, realizzando «un’importante componente della garanzia di riservatezza» [6] sottraeva la denuncia del segnalante al diritto di accesso previsto dalla legge 241 del 1990, nell’intento di limitare il più possibile la divulgazione di identità di quest’ultimo.
Eppure, nel contemperamento tra esigenze squisitamente funzionali ed esigenze di tutela del dipendente, la novella del 2012 sembrava accordare prevalenza alle seconde; come del resto comprova la mancata introduzione di procedimenti premiali volti ad incentivare “ad ogni costo” la segnalazione di illeciti sul luogo di lavoro.
Essa mostrava tuttavia il limite dell’applicabilità al solo dipendente pubblico, così come definito al comma 2 dell’art. 54-bis, con plateale [7] violazione delle prescrizioni della Convenzione di Strasburgo [8], la quale, lungi dal discriminare tra settore pubblico e privato, richiedeva una piena tutela di entrambe le categorie di lavoratori [9].
Solo nel corso del 2017 vi è stata l’introduzione di una regolamentazione strutturale del whistleblowing in ambito privato [10].
L’intervento legislativo, successivo a quello che aveva inserito tra i destinatari della segnalazione l’Anac [11], ha inoltre stralciato la facoltà di segnalare l’illecito al datore di lavoro, sostituito dal «più affidabile» [12]Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza: si tratta di una novità destinata a catalizzare l’emersione degli illeciti penali, ove si consideri che quest’ultimo, a differenza del datore di lavoro, è un pubblico ufficiale, pertanto soggetto gravato dal dovere istituzionale di denuncia dei reati.
Ancora, la legge in commento ha incrementato i canali di segnalazione degli illeciti sui luoghi di lavoro, incaricando l’ANAC di predisporre le relative linee guida e, in parallelo, ha rafforzato la garanzia di anonimato del segnalante, estendendola al procedimento penale ove l’identità di quest’ultimo «è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 c.p.p.» [13]. Infine, la novella ha previsto un’inversione probatoria nell’eventuale procedimento disciplinare derivante dalla segnalazione, prescrivendo al datore di lavoro l’onere di dimostrare la natura non discriminatoria delle misure asseritamente ritorsive.
Il D.Lgs n.90/2017 [14], oltre a modificare, con l’art. 1, il sopra menzionato art. 54-bis del TU pubblico impiego [15], con l’art. 2 ha integrato il contenuto dell’art. 6 del D.lgs. n. 231/2001 attraverso l’inserimento di un nuovo comma 2-bis.
La norma dispone, infatti, che nei modelli organizzativi degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica debbano essere previsti più canali, di cui almeno un alternativo caratterizzato da modalità informatiche, che consentano sia ai soggetti che nell’ente rivestano un ruolo apicale, sia ai sottoposti, di presentare, a tutela dell’integrità della persona giuridica, segnalazioni circostanziate attinenti a condotte illecite rilevanti ai sensi del Decreto stesso costituite su elementi di fatto precisi e concordanti o di violazioni del modello di organizzazione o gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte.
La disposizione impone che sia garantita la riservatezza dell’identità del segnalante e vieta di porre in essere atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione.
Inoltre, il modello di organizzazione e di gestione D.lgs. n. 231/2001 deve prevedere, nel sistema disciplinare valido a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nei modelli stessi, sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, tanto più nei confronti di chi compie con dolo o colpa grave segnalazioni che dovessero rivelarsi poi insussistenti [16].
Il comma 2-quater, inoltre, conformemente all’art. 54-bis del TU pubblico impiego, statuisce la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio, il mutamento di mansioni, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del soggetto segnalante [17]. Di particolare rilievo sono anche le previsioni contenute nell’art. 3 della nuova legge. Il legislatore è intervenuto, infatti, sui presupposti applicativi di altre norme, sia civilistiche che penalistiche, che vietano la diffusione di notizie che è interesse dell’organizzazione o impresa mantenere riservate e che sarebbero, pertanto, in modo astratto applicabili al segnalante [18]. Il comma uno estende la tutela del whistleblower sancendo espressamente che, nel caso di segnalazioni o denunce effettuate in conformità all’art. 54-bis TU pubblico impiego e all’art. 6 del D.lgs. n. 231/2001, costituisce giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto” di cui agli artt. 326, 622 e 623 c.p. e 2105 c.c. [19]
In entrambi i settori, pubblico e privato, è sempre garantita la riservatezza dell’identità del segnalante; tuttavia, solo per il settore pubblico, il comma 4 [20] dell’art. 54-bis D.lgs 165/2001 prevede espressamente la sottrazione al diritto d’accesso ai documenti inerenti alla segnalazione effettuata.
Ciò nonostante, la giurisprudenza, in più occasioni, ha attribuito prevalenza al principio generale di accessibilità alle informazioni, al fine di consentire al segnalato di articolare compiutamente la propria difesa [21].
Una rilevante novità introdotta dalla Legge n. 179/2017, nell’ambito pubblico e privato, riguarda l’introduzione di un istituto premiale che consiste in uno scudo penale a favore del dipendente che al fine di denunciare le condotte illecite violi i segreti d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale. L’interesse prevalente, infatti, dinanzi al rispetto del segreto aziendale è quello dell’integrità degli enti pubblici e privati; perciò, affinché operi tale scriminante è necessario che il lavoratore agisca in esclusiva tutela dell’ente e che i segreti non siano rilevanti con modalità eccedenti rispetto alle finalità di eliminazione dell’illecito.
La disciplina risulta però ancora granitica e per tali ragioni è intervenuta l’Ue con l’obiettivo di uniformarla in tutti gli stati membri, ed esortare quelli che invece non l’avessero ancora prevista ad introdurla, dando agli stessi tempo fino al 17 dicembre 2021. Con la Direttiva 2019/1937 l’Ue ha ampliato l’oggetto delle segnalazioni stabilendo che possono essere denunciate da parte dei lavoratori ogni violazione del diritto dell’unione europea.
Ha inoltre fornito una rilettura molto più ampia del termine lavoratore, prevedendo la possibilità di denunciare tutte le violazioni conosciute anche a seguito di un rapporto di lavoro terminato o ancora non iniziato. Inoltre, la direttiva ha stabilito l’obbligo di introdurre sistemi premiali all’interno degli ordinamenti al fine di incentivare i soggetti a segnalare e soprattutto a rinforzare la garanzia di riservatezza del segnalante, stabilendo il bisogno di istituire canali interni ed esterni ad hoc per le segnalazioni.
A tal proposito, il recepimento della Direttiva (anche alla luce dei principi e criteri direttivi poc’anzi citati) non può che indurre il legislatore italiano a un cambio di rotta, poiché l’allineamento agli standard europei porta con sé «la necessità di ripensare il sistema del whistleblowing nel settore privato, che dovrà essere sganciato dal contesto del d. lgs. 231/2001 ed equiparato, quanto ai livelli di tutela, al settore pubblico» [22].
Inoltre, tale recepimento potrebbe rappresentare una valida occasione per riflettere sulla possibilità di un’eventuale introduzione di meccanismi premiali in favore del segnalante (cui, in verità, non fa cenno neanche la Direttiva de qua), alla luce del potere dei singoli Stati membri di prevedere standard più alti di tutela.
Attualmente, la previsione di una nuova delega al Governo è stata inserita nel Disegno di Legge (C-3208) approvato dalla Camera il 16 dicembre 2021, trasmesso al Senato il 20 dicembre e, alla data dello scorso 1° marzo 2022, in corso di esame alla quattordicesima Commissione permanente (Politiche dell’Unione Europea) in sede referente
In conclusione, nell’attesa di un intervento nazionale di trasposizione della direttiva [23], non rimane che sperare un’armonizzazione su scala europea della normativa in tema di whistleblowing, la quale sappia suggerire un bilanciamento ancor più funzionale tra esigenze efficientistiche e istanze garantistiche.