La tutela del whistleblowing nel settore pubblico e privato e lo stato dell’arte del recepimento della direttiva europea

Articolo a cura dell’Avv. Fortunato Luciano Vittorio

Nell’ultimo decennio il numero di denunce di whistleblowing è salito alle stelle a livello mondiale, con ulteriore peggioramento delle segnalazioni nel periodo pandemico.
I Panama Papers, LuxLeaks, il medico cinese che ha allertato il mondo della minaccia posta dal Covid-19, il recente scandalo che ha coinvolto Facebook: è ormai evidente come i whistleblower giochino un ruolo di fondamentale importanza nel far venire alla luce comportamenti illeciti, salvaguardando, tra gli altri, il benessere della collettività, le finanze pubbliche e la salute.
L’istituto del whistleblowing ha origine nel XIX secolo all’interno dell’ordinamento statunitense.
L’espressione “soffiare il fischietto” rimanda alla denuncia da parte di membri di un’organizzazione di pratiche illegali, immorali o illegittime sotto il controllo dei loro datori di lavoro, a individui o organizzazioni che hanno la facoltà di agire in merito.
Attualmente, il panorama mondiale è costellato di ulteriori esempi di regolamentazione dell’istituto in esame. A livello sovrannazionale, appaiono degne di nota talune Convenzioni, Raccomandazioni e la Direttiva (EU) 2019/1937 sul whistleblowing, il cui obiettivo primario è quello di individuare uno standard minimo di tutela nello spazio europeo.

Whistleblowing

L’elaborato ha per oggetto lo studio della disciplina del whistleblowing nell’ordinamento giuridico italiano.
Con il termine inglese “whistleblowing”, tradotto “soffiare il fischietto”, si vuole indicare la segnalazione di attività illecite da parte di un soggetto che ne sia venuto a conoscenza in occasione della prestazione lavorativa, al datore di lavoro o altro organismo interno all’organizzazione o azienda o a specifiche autorità competenti. È evidente la delicatezza di tale posizione, la cui tutela è composta di disposizioni, che spaziano dall’ambito giuslavoristico a quello penale e che l’istituto sia per sua natura votato a una dimensione giuridica interdisciplinare.
L’istituzionalizzazione del whistleblowing è avvenuta per opera della Legge 6 novembre 2012, n. 190 [1], in ritardo di qualche anno rispetto alla maggioranza dei paesi europei e di oltre un secolo rispetto agli Usa.
La legge aveva operato sul TUPI [2],il cui nuovo art. 54-bis impediva qualsiasi ripercussione nei confronti del dipendente che avesse denunciato al superiore gerarchico, all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile condotte illecite di cui fosse venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.
Più precisamente, ai sensi del primo comma dell’art. 54-bis, il dipendente pubblico non poteva essere sanzionato, licenziato, sottoposto a misure discriminatorie ricadenti sulle condizioni di lavoro per motivi connessi, anche solo indirettamente, alla denuncia stessa: chiaramente, purché sussistessero alcuni indefettibili presupposti – delineati in parte dalle linee guide in argomento [3],in parte dalla dottrina – finalizzati a impedire l’utilizzo pretestuoso della tutela in esame [4]. Il secondo comma della norma in parola garantiva inoltre al soffiatore di fischietto l’anonimato nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare scaturente dalla sua segnalazione [5].
Il terzo comma della norma apriva altresì un primo canale di segnalazione, permettendo la denuncia di eventuali misure “discriminatorie dinanzi al dipartimento di pubblica sicurezza. Il quarto e ultimo comma, infine, realizzando «un’importante componente della garanzia di riservatezza» [6] sottraeva la denuncia del segnalante al diritto di accesso previsto dalla legge 241 del 1990, nell’intento di limitare il più possibile la divulgazione di identità di quest’ultimo.
Eppure, nel contemperamento tra esigenze squisitamente funzionali ed esigenze di tutela del dipendente, la novella del 2012 sembrava accordare prevalenza alle seconde; come del resto comprova la mancata introduzione di procedimenti premiali volti ad incentivare “ad ogni costo” la segnalazione di illeciti sul luogo di lavoro.
Essa mostrava tuttavia il limite dell’applicabilità al solo dipendente pubblico, così come definito al comma 2 dell’art. 54-bis, con plateale [7] violazione delle prescrizioni della Convenzione di Strasburgo [8], la quale, lungi dal discriminare tra settore pubblico e privato, richiedeva una piena tutela di entrambe le categorie di lavoratori [9].
Solo nel corso del 2017 vi è stata l’introduzione di una regolamentazione strutturale del whistleblowing in ambito privato [10].
L’intervento legislativo, successivo a quello che aveva inserito tra i destinatari della segnalazione l’Anac [11], ha inoltre stralciato la facoltà di segnalare l’illecito al datore di lavoro, sostituito dal «più affidabile» [12]Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza: si tratta di una novità destinata a catalizzare l’emersione degli illeciti penali, ove si consideri che quest’ultimo, a differenza del datore di lavoro, è un pubblico ufficiale, pertanto soggetto gravato dal dovere istituzionale di denuncia dei reati.
Ancora, la legge in commento ha incrementato i canali di segnalazione degli illeciti sui luoghi di lavoro, incaricando l’ANAC di predisporre le relative linee guida e, in parallelo, ha rafforzato la garanzia di anonimato del segnalante, estendendola al procedimento penale ove l’identità di quest’ultimo «è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 c.p.p.» [13]. Infine, la novella ha previsto un’inversione probatoria nell’eventuale procedimento disciplinare derivante dalla segnalazione, prescrivendo al datore di lavoro l’onere di dimostrare la natura non discriminatoria delle misure asseritamente ritorsive.
Il D.Lgs n.90/2017 [14], oltre a modificare, con l’art. 1, il sopra menzionato art. 54-bis del TU pubblico impiego [15], con l’art. 2 ha integrato il contenuto dell’art. 6 del D.lgs. n. 231/2001 attraverso l’inserimento di un nuovo comma 2-bis.
La norma dispone, infatti, che nei modelli organizzativi degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica debbano essere previsti più canali, di cui almeno un alternativo caratterizzato da modalità informatiche, che consentano sia ai soggetti che nell’ente rivestano un ruolo apicale, sia ai sottoposti, di presentare, a tutela dell’integrità della persona giuridica, segnalazioni circostanziate attinenti a condotte illecite rilevanti ai sensi del Decreto stesso costituite su elementi di fatto precisi e concordanti o di violazioni del modello di organizzazione o gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte.
La disposizione impone che sia garantita la riservatezza dell’identità del segnalante e vieta di porre in essere atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione.
Inoltre, il modello di organizzazione e di gestione D.lgs. n. 231/2001 deve prevedere, nel sistema disciplinare valido a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nei modelli stessi, sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, tanto più nei confronti di chi compie con dolo o colpa grave segnalazioni che dovessero rivelarsi poi insussistenti [16].
Il comma 2-quater, inoltre, conformemente all’art. 54-bis del TU pubblico impiego, statuisce la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio, il mutamento di mansioni, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del soggetto segnalante [17]. Di particolare rilievo sono anche le previsioni contenute nell’art. 3 della nuova legge. Il legislatore è intervenuto, infatti, sui presupposti applicativi di altre norme, sia civilistiche che penalistiche, che vietano la diffusione di notizie che è interesse dell’organizzazione o impresa mantenere riservate e che sarebbero, pertanto, in modo astratto applicabili al segnalante [18]. Il comma uno estende la tutela del whistleblower sancendo espressamente che, nel caso di segnalazioni o denunce effettuate in conformità all’art. 54-bis TU pubblico impiego e all’art. 6 del D.lgs. n. 231/2001, costituisce giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto” di cui agli artt. 326, 622 e 623 c.p. e 2105 c.c. [19]
In entrambi i settori, pubblico e privato, è sempre garantita la riservatezza dell’identità del segnalante; tuttavia, solo per il settore pubblico, il comma 4 [20] dell’art. 54-bis D.lgs 165/2001 prevede espressamente la sottrazione al diritto d’accesso ai documenti inerenti alla segnalazione effettuata.
Ciò nonostante, la giurisprudenza, in più occasioni, ha attribuito prevalenza al principio generale di accessibilità alle informazioni, al fine di consentire al segnalato di articolare compiutamente la propria difesa [21].
Una rilevante novità introdotta dalla Legge n. 179/2017, nell’ambito pubblico e privato, riguarda l’introduzione di un istituto premiale che consiste in uno scudo penale a favore del dipendente che al fine di denunciare le condotte illecite violi i segreti d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale. L’interesse prevalente, infatti, dinanzi al rispetto del segreto aziendale è quello dell’integrità degli enti pubblici e privati; perciò, affinché operi tale scriminante è necessario che il lavoratore agisca in esclusiva tutela dell’ente e che i segreti non siano rilevanti con modalità eccedenti rispetto alle finalità di eliminazione dell’illecito.
La disciplina risulta però ancora granitica e per tali ragioni è intervenuta l’Ue con l’obiettivo di uniformarla in tutti gli stati membri, ed esortare quelli che invece non l’avessero ancora prevista ad introdurla, dando agli stessi tempo fino al 17 dicembre 2021. Con la Direttiva 2019/1937 l’Ue ha ampliato l’oggetto delle segnalazioni stabilendo che possono essere denunciate da parte dei lavoratori ogni violazione del diritto dell’unione europea.
Ha inoltre fornito una rilettura molto più ampia del termine lavoratore, prevedendo la possibilità di denunciare tutte le violazioni conosciute anche a seguito di un rapporto di lavoro terminato o ancora non iniziato. Inoltre, la direttiva ha stabilito l’obbligo di introdurre sistemi premiali all’interno degli ordinamenti al fine di incentivare i soggetti a segnalare e soprattutto a rinforzare la garanzia di riservatezza del segnalante, stabilendo il bisogno di istituire canali interni ed esterni ad hoc per le segnalazioni.
A tal proposito, il recepimento della Direttiva (anche alla luce dei principi e criteri direttivi poc’anzi citati) non può che indurre il legislatore italiano a un cambio di rotta, poiché l’allineamento agli standard europei porta con sé «la necessità di ripensare il sistema del whistleblowing nel settore privato, che dovrà essere sganciato dal contesto del d. lgs. 231/2001 ed equiparato, quanto ai livelli di tutela, al settore pubblico» [22].
Inoltre, tale recepimento potrebbe rappresentare una valida occasione per riflettere sulla possibilità di un’eventuale introduzione di meccanismi premiali in favore del segnalante (cui, in verità, non fa cenno neanche la Direttiva de qua), alla luce del potere dei singoli Stati membri di prevedere standard più alti di tutela.
Attualmente, la previsione di una nuova delega al Governo è stata inserita nel Disegno di Legge (C-3208) approvato dalla Camera il 16 dicembre 2021, trasmesso al Senato il 20 dicembre e, alla data dello scorso 1° marzo 2022, in corso di esame alla quattordicesima Commissione permanente (Politiche dell’Unione Europea) in sede referente
In conclusione, nell’attesa di un intervento nazionale di trasposizione della direttiva [23], non rimane che sperare un’armonizzazione su scala europea della normativa in tema di whistleblowing, la quale sappia suggerire un bilanciamento ancor più funzionale tra esigenze efficientistiche e istanze garantistiche.

whistleblowing

L’elaborato ha per oggetto lo studio della disciplina del whistleblowing nell’ordinamento giuridico italiano.
Con il termine inglese “whistleblowing”, tradotto “soffiare il fischietto”, si vuole indicare la segnalazione di attività illecite da parte di un soggetto che ne sia venuto a conoscenza in occasione della prestazione lavorativa, al datore di lavoro o altro organismo interno all’organizzazione o azienda o a specifiche autorità competenti. È evidente la delicatezza di tale posizione, la cui tutela è composta di disposizioni, che spaziano dall’ambito giuslavoristico a quello penale e che l’istituto sia per sua natura votato a una dimensione giuridica interdisciplinare.
L’istituzionalizzazione del whistleblowing è avvenuta per opera della Legge 6 novembre 2012, n. 190 [1], in ritardo di qualche anno rispetto alla maggioranza dei paesi europei e di oltre un secolo rispetto agli Usa.
La legge aveva operato sul TUPI [2],il cui nuovo art. 54-bis impediva qualsiasi ripercussione nei confronti del dipendente che avesse denunciato al superiore gerarchico, all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile condotte illecite di cui fosse venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.
Più precisamente, ai sensi del primo comma dell’art. 54-bis, il dipendente pubblico non poteva essere sanzionato, licenziato, sottoposto a misure discriminatorie ricadenti sulle condizioni di lavoro per motivi connessi, anche solo indirettamente, alla denuncia stessa: chiaramente, purché sussistessero alcuni indefettibili presupposti – delineati in parte dalle linee guide in argomento [3],in parte dalla dottrina – finalizzati a impedire l’utilizzo pretestuoso della tutela in esame [4]. Il secondo comma della norma in parola garantiva inoltre al soffiatore di fischietto l’anonimato nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare scaturente dalla sua segnalazione [5].
Il terzo comma della norma apriva altresì un primo canale di segnalazione, permettendo la denuncia di eventuali misure “discriminatorie dinanzi al dipartimento di pubblica sicurezza. Il quarto e ultimo comma, infine, realizzando «un’importante componente della garanzia di riservatezza» [6] sottraeva la denuncia del segnalante al diritto di accesso previsto dalla legge 241 del 1990, nell’intento di limitare il più possibile la divulgazione di identità di quest’ultimo.
Eppure, nel contemperamento tra esigenze squisitamente funzionali ed esigenze di tutela del dipendente, la novella del 2012 sembrava accordare prevalenza alle seconde; come del resto comprova la mancata introduzione di procedimenti premiali volti ad incentivare “ad ogni costo” la segnalazione di illeciti sul luogo di lavoro.
Essa mostrava tuttavia il limite dell’applicabilità al solo dipendente pubblico, così come definito al comma 2 dell’art. 54-bis, con plateale [7] violazione delle prescrizioni della Convenzione di Strasburgo [8], la quale, lungi dal discriminare tra settore pubblico e privato, richiedeva una piena tutela di entrambe le categorie di lavoratori [9].
Solo nel corso del 2017 vi è stata l’introduzione di una regolamentazione strutturale del whistleblowing in ambito privato [10].
L’intervento legislativo, successivo a quello che aveva inserito tra i destinatari della segnalazione l’Anac [11], ha inoltre stralciato la facoltà di segnalare l’illecito al datore di lavoro, sostituito dal «più affidabile» [12]Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza: si tratta di una novità destinata a catalizzare l’emersione degli illeciti penali, ove si consideri che quest’ultimo, a differenza del datore di lavoro, è un pubblico ufficiale, pertanto soggetto gravato dal dovere istituzionale di denuncia dei reati.
Ancora, la legge in commento ha incrementato i canali di segnalazione degli illeciti sui luoghi di lavoro, incaricando l’ANAC di predisporre le relative linee guida e, in parallelo, ha rafforzato la garanzia di anonimato del segnalante, estendendola al procedimento penale ove l’identità di quest’ultimo «è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 c.p.p.» [13]. Infine, la novella ha previsto un’inversione probatoria nell’eventuale procedimento disciplinare derivante dalla segnalazione, prescrivendo al datore di lavoro l’onere di dimostrare la natura non discriminatoria delle misure asseritamente ritorsive.
Il D.Lgs n.90/2017 [14], oltre a modificare, con l’art. 1, il sopra menzionato art. 54-bis del TU pubblico impiego [15], con l’art. 2 ha integrato il contenuto dell’art. 6 del D.lgs. n. 231/2001 attraverso l’inserimento di un nuovo comma 2-bis.
La norma dispone, infatti, che nei modelli organizzativi degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica debbano essere previsti più canali, di cui almeno un alternativo caratterizzato da modalità informatiche, che consentano sia ai soggetti che nell’ente rivestano un ruolo apicale, sia ai sottoposti, di presentare, a tutela dell’integrità della persona giuridica, segnalazioni circostanziate attinenti a condotte illecite rilevanti ai sensi del Decreto stesso costituite su elementi di fatto precisi e concordanti o di violazioni del modello di organizzazione o gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte.
La disposizione impone che sia garantita la riservatezza dell’identità del segnalante e vieta di porre in essere atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione.
Inoltre, il modello di organizzazione e di gestione D.lgs. n. 231/2001 deve prevedere, nel sistema disciplinare valido a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nei modelli stessi, sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, tanto più nei confronti di chi compie con dolo o colpa grave segnalazioni che dovessero rivelarsi poi insussistenti [16].
Il comma 2-quater, inoltre, conformemente all’art. 54-bis del TU pubblico impiego, statuisce la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio, il mutamento di mansioni, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del soggetto segnalante [17]. Di particolare rilievo sono anche le previsioni contenute nell’art. 3 della nuova legge. Il legislatore è intervenuto, infatti, sui presupposti applicativi di altre norme, sia civilistiche che penalistiche, che vietano la diffusione di notizie che è interesse dell’organizzazione o impresa mantenere riservate e che sarebbero, pertanto, in modo astratto applicabili al segnalante [18]. Il comma uno estende la tutela del whistleblower sancendo espressamente che, nel caso di segnalazioni o denunce effettuate in conformità all’art. 54-bis TU pubblico impiego e all’art. 6 del D.lgs. n. 231/2001, costituisce giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto” di cui agli artt. 326, 622 e 623 c.p. e 2105 c.c. [19]
In entrambi i settori, pubblico e privato, è sempre garantita la riservatezza dell’identità del segnalante; tuttavia, solo per il settore pubblico, il comma 4 [20] dell’art. 54-bis D.lgs 165/2001 prevede espressamente la sottrazione al diritto d’accesso ai documenti inerenti alla segnalazione effettuata.
Ciò nonostante, la giurisprudenza, in più occasioni, ha attribuito prevalenza al principio generale di accessibilità alle informazioni, al fine di consentire al segnalato di articolare compiutamente la propria difesa [21].
Una rilevante novità introdotta dalla Legge n. 179/2017, nell’ambito pubblico e privato, riguarda l’introduzione di un istituto premiale che consiste in uno scudo penale a favore del dipendente che al fine di denunciare le condotte illecite violi i segreti d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale. L’interesse prevalente, infatti, dinanzi al rispetto del segreto aziendale è quello dell’integrità degli enti pubblici e privati; perciò, affinché operi tale scriminante è necessario che il lavoratore agisca in esclusiva tutela dell’ente e che i segreti non siano rilevanti con modalità eccedenti rispetto alle finalità di eliminazione dell’illecito.
La disciplina risulta però ancora granitica e per tali ragioni è intervenuta l’Ue con l’obiettivo di uniformarla in tutti gli stati membri, ed esortare quelli che invece non l’avessero ancora prevista ad introdurla, dando agli stessi tempo fino al 17 dicembre 2021. Con la Direttiva 2019/1937 l’Ue ha ampliato l’oggetto delle segnalazioni stabilendo che possono essere denunciate da parte dei lavoratori ogni violazione del diritto dell’unione europea.
Ha inoltre fornito una rilettura molto più ampia del termine lavoratore, prevedendo la possibilità di denunciare tutte le violazioni conosciute anche a seguito di un rapporto di lavoro terminato o ancora non iniziato. Inoltre, la direttiva ha stabilito l’obbligo di introdurre sistemi premiali all’interno degli ordinamenti al fine di incentivare i soggetti a segnalare e soprattutto a rinforzare la garanzia di riservatezza del segnalante, stabilendo il bisogno di istituire canali interni ed esterni ad hoc per le segnalazioni.
A tal proposito, il recepimento della Direttiva (anche alla luce dei principi e criteri direttivi poc’anzi citati) non può che indurre il legislatore italiano a un cambio di rotta, poiché l’allineamento agli standard europei porta con sé «la necessità di ripensare il sistema del whistleblowing nel settore privato, che dovrà essere sganciato dal contesto del d. lgs. 231/2001 ed equiparato, quanto ai livelli di tutela, al settore pubblico» [22].
Inoltre, tale recepimento potrebbe rappresentare una valida occasione per riflettere sulla possibilità di un’eventuale introduzione di meccanismi premiali in favore del segnalante (cui, in verità, non fa cenno neanche la Direttiva de qua), alla luce del potere dei singoli Stati membri di prevedere standard più alti di tutela.
Attualmente, la previsione di una nuova delega al Governo è stata inserita nel Disegno di Legge (C-3208) approvato dalla Camera il 16 dicembre 2021, trasmesso al Senato il 20 dicembre e, alla data dello scorso 1° marzo 2022, in corso di esame alla quattordicesima Commissione permanente (Politiche dell’Unione Europea) in sede referente
In conclusione, nell’attesa di un intervento nazionale di trasposizione della direttiva [23], non rimane che sperare un’armonizzazione su scala europea della normativa in tema di whistleblowing, la quale sappia suggerire un bilanciamento ancor più funzionale tra esigenze efficientistiche e istanze garantistiche.

Note

[1] Legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” (c.d. Legge Severino). Legge, quest’ultima, con cui, anche su impulso del diritto sovranazionale, si sono finalmente definiti i contorni della politica di prevenzione della corruzione nel nostro ordinamento.
 CLARICH, MATTARELLA, La prevenzione della corruzione, in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, cit., 59; CINGARI, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica, cit., 155 ss.
[2] Testo Unico del pubblico impiego”, D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.
[3] Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing),12, disponibile in https://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/Attivitadocumentazione/ConsultazioniOnLine/_consultazioni?id=24ae67df0a77804218f2f9d137ca4406.
[4] Sotto questo profilo, proprio la clausola di apertura della norma – «fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia e di diffamazione» – subordinava l’operatività della tutela stessa al rispetto dell’obbligo di buona fede gravante sul dipendente pubblico, da ritenersi violato anche qualora la segnalazione integrasse un illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. Al limite della buona fede si aggiungeva poi quello del “fondato sospetto” che, seppur non menzionato dalla norma in esame, faceva capolino dalle numerose linee guida in materia; le quali, tra l’altro, subordinavano la concessione delle “misure di protezione” alla verifica della correttezza e della attendibilità della soffiata, non ritenuta meritevole di tutela se fondata su meri sospetti o voci.
[5] Garanzia, questa, che sarebbe tuttavia venuta meno qualora il segnalante avesse prestato il suo consenso, ovvero laddove «la conoscenza [dell’identità del segnalante] sia [fosse] assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato». Sulla eccessiva genericità di detta eccezione, che pare attribuire all’amministrazione un ampio potere nel decidere cosa sia o non sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato, si veda CORSO, Segnalazione di illeciti da dipendente pubblico: tutela debole, in Dir. Lav., 2013, 11, 717.
[6] Così RUGANI, I profili penali del whistleblowing alla luce della l. 30 novembre 2017 n. 179, cit., 6.
[7] CANTONE, La tutela del whistleblower: l’art. 54-bis de d.lgs. n. 156/2001 (art. 1, comma 51), in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, cit., 254.
[8] Sul punto SALAZAR, Contrasto alla corruzione e processi internazionali di mutua valutazione; l’Italia davanti ai suoi giudici, in Cass. pen., 2012, 4290.
[9] Intuibili le ragioni di una siffatta scelta, rinvenibili con buona probabilità nella natura e negli intenti della novella del 2012, dimostratasi ben poco incisiva nel settore privato. A tal proposito, tuttavia, non pare condivisibile la tesi dottrinale secondo cui la legge anticorruzione avesse inteso attribuire una maggior tutela al dipendente pubblico in virtù della particolare importanza e utilità delle sue informazioni (in argomento si veda SPADARO, PASTORE, Legge anticorruzione (Legge 6 novembre 2012, n. 190), Milano, 2012, 76). Del resto, tale assunto sarebbe sconfessato dal fatto che su una larga cerchia di dipendenti pubblici (si allude, ovviamente, a coloro che ricoprono il ruolo di incaricati di pubblico servizio o pubblici ufficiali), già incombe un vero e proprio dovere di report. Cfr. CANTONE, La tutela del whistleblower: l’art. 54-bis del d.lgs. n. 156/2001 (art. 1, comma 51), in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, cit., 254; nonché PARROTTA, RAZZANTE, Il sistema di segnalazione interna. Il  whistleblowing  nell’assetto anticorruzione, antiriciclaggio e nella prevenzione della responsabilità degli Enti, cit., 46.
[10] La novella ha esteso l’ambito di applicazione del succitato art. 54-bis, che oggi abbraccia non solo i lavoratori del pubblico impiego assoggettabili ad un regime interamente pubblicistico, ma anche coloro ai quali si applica il cd. “regime privatizzato”; ad essi sono stati affiancati i dipendenti di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, così come i lavoratori ed i collaboratori di imprese private appaltatrici della pubblica amministrazione. Per una approfondita riflessione circa l’estensione dell’ambito di applicazione della disciplina in paro- la e le relative incoerenze sistematiche si rinvia a VARRASO, Legge 30 novembre 2017, n. 179. Disposi- zioni per la tutela degli autori di segnalazione di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato, in AA.VV., Compliance. Responsabilità da reato degli enti collettivi, cit., 1734.
[11] Il riferimento è al d.l. 24.56.2014, n. 90, il cui art. 31 co. 1 aveva modificato l’art. 54-bis introducendo l’ANAC tra i destinatari della segnalazione.
[12] Così VARRASO, Legge 30 novembre 2017, n. 179. Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazione di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato, in AA.VV., Compliance. Responsabilità da reato degli enti collettivi, cit., 1734; si veda inoltre FIATA (La tutela del whistleblower nel pubblico impiego dopo la legge n. 179 del 2017, in www.lavoropubblicheamministrazioni.it, 2018), il quale definisce quella in parola una «scelta […] coerente con il sistema di prevenzione della corruzione disciplinato nella legge Severino che affida al Responsabile della prevenzione della corruzione il delicato compito di proporre strumenti e misure per contrastare fenomeni corruttivi».
[13] COPPOLA, Il whistleblowing: la “scommessa etica” dell’anticorruzione, cit., 483.
[14]La legge 30 novembre 2017, n. 179 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” è entrata in vigore il 29 dicembre 2017, ha modificato l’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che disciplina la tutela del dipendente pubblico che segnala presunti illeciti (cd. whistleblowing), nonché l’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e ha integrato la normativa in tema di obbligo di segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico e industriale.
[15] In particolare, è stato ampliato l’ambito soggettivo di applicazione ed è assegnato al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) un ruolo fondamentale nella gestione delle segnalazioni interne. Inoltre, come si vedrà, è stato rafforzato il sistema generale di tutela del segnalante, che ora comprende la garanzia di riservatezza sull’identità, la protezione da eventuali misure ritorsive adottate dalle amministrazioni o enti a causa della segnalazione nonché la qualificazione della segnalazione effettuata dal whistleblower come “giusta causa” di rivelazione di un segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale o di violazione del dovere di lealtà e fedeltà.
[16] L’eventuale adozione di misure discriminatorie nei confronti del whistleblower può essere denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, oltre che dal segnalante, anche dall’organizzazione sindacale da questa incaricata. Si segnala inoltre che il comma 2-ter prevede la possibilità, sia per il whistleblower che per l’organizzazione sindacale da lui indicata, di denunciare all’Ispettorato del lavoro l’eventuale adozione di misure discriminatorie nei confronti del segnalante.
[17] In caso di controversie legate all’irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del whistleblower ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, la norma prevede che sia onere del datore di lavoro dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.
[18]Emerge, infatti, dallo stesso art. 3 che affinché possa operare la scriminante della giusta causa è necessario che il segnalante proceda alla divulgazione delle informazioni, oltre che “nelle forme e nei limiti” di cui all’art. 54-bis del TU pubblico impiego e dell’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001: in conformità a tale disposizione, la giurisprudenza ha recentemente avuto modo di chiarire che la normativa a tutela del whistleblower si limita “a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un’attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge”. (Cass. Pen., sez. V, n. 35792/2018)
Ancora, la segnalazione non deve essere effettuata per scopi meramente personali ma per la finalità indicata dal comma 1 dell’art. 3, ovvero il perseguimento dell’interesse all’integrità dell’amministrazione pubblica o privata nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni. Il comma 2, infine, esclude l’applicabilità della scriminante “nel caso in cui l’obbligo di segreto professionale gravi su chi sia venuto a conoscenza della notizia in ragione di un rapporto di consulenza professionale o di assistenza con l’ente, l’impresa o la persona fisica interessata” e sia, pertanto, un soggetto esterno con l’ente o l’impresa.
Il comma 3 specifica, inoltre che le notizia non devono essere rivelate con “modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito” e, in particolare, “al di fuori del canale di comunicazione specificamente predisposto a tal fine”.
[19] Sul punto il legislatore sembra recepire quanto già affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la divulgazione di informazioni, se effettuata dal lavoratore nel rispetto della verità dei fatti e della continenza della forma espositiva, non determina una violazione dell’obbligo di fedeltà. Nel bilanciamento tra l’esigenza di garantire la segretezza delle informazioni, da un lato, e la libertà del lavoratore di riferire circa i fatti illeciti di cui sia venuto a conoscenza, l’interesse all’integrità dell’amministrazione pubblica o privata e alla prevenzione delle malversazioni, la prima è pertanto destinata a soccombere.
[20] Art. 54-bis, comma 4, D.lgs. 165/2001 “la segnalazione è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti dalla legge 7 agosto 1990, n.241 e successive modificazioni”
[21] Per esempio, T.A.R. Trentino-Alto Adige, sez. I-Trento, 12.10.2016, n. 346 e Consiglio di Stato, sez. VI – 02.01.2020 n. 28
[22] Così DELLA BELLA A., La direttiva europea sul whistleblowing: come cambia la tutela per chi segnala illeciti nel contesto lavorativo, in Sist. Pen, 2019, 12.
[23] La direttiva UE/1937/2019; La disciplina del whistleblowing è stata modificata dalla Direttiva (UE) 2019/1937 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 26 novembre 2019. La direttiva si pone l’obiettivo di dettare norme minime comuni in merito alla figura del whistleblower, chiamata a svolgere un ruolo fondamentale nella prevenzione delle violazioni del diritto dell’UE.
Difatti, una protezione effettiva dell’informatore è, a detta di Parlamento e Consiglio, condizione necessaria per incentivare l’utilizzo dello strumento in parola e, pertanto, per rafforzare l’applicazione del diritto dell’Unione in svariati settori a rischio: solo per citarne alcuni, quello degli appalti pubblici, in cui il whistleblower assume il precipuo compito di prevenire e accertare le frodi e la corruzione, quello della salute pubblica e quello dei servizi finanziari.