Vittima: singolare, femminile

Articolo a cura del Dott. Alberto Aduasio

Da diversi anni ormai è ormai frequente, guardando la televisione, leggendo il giornale o navigando sui social network, sentir parlare di violenza sessuale, di molestie sessuali o di stalking come di reati subìti unicamente da soggetti di sesso femminile, i cui autori spesso vengono identificati negli uomini, tanto da aver coniato il termine “femminicidio” per il delitto di omicidio commesso in danno delle donne – delitto che, chiaramente, nella sua forma “neutra” esiste da tempo immemore nella nostra legislazione penale.
Al contrario, è più raro ascoltare notizie relative alla violenza sugli uomini, pur avendo tale fenomeno una rilevanza non di poco conto, che può meglio comprendersi osservandone i dati concreti.

Violenza contro gli uomini


Con riferimento agli omicidi commessi in Italia nel 2017 il Viminale ha rilevato che “sono state uccise volontariamente 355 persone: di queste, ben 236 nelle cosiddette R.I.S. (relazioni interpersonali significative). Le donne sono 120, gli uomini 116 più 4 ammazzati all’estero dalle loro partner che non avevano accettato la fine della relazione, o per soldi” ed inoltre, secondo i dati Istat nel 2016, oltre 3,5 milioni di uomini sono stati vittime di violenze e molestie sessuali.
Nel 2012, analizzando uno studio dell’Università di Siena, milioni di uomini hanno subìto graffi, morsi, spinte, folgorazioni con la corrente elettrica e violenza sessuale, reato per il quale la legge non specifica il genere né della persona offesa, né dell’autore.
Invero, ai sensi dell’art. 609-bis, primo comma, del codice penale, “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.
Ciononostante, ancorché la legge non specifichi il sesso della persona offesa, lo stigma sociale ormai in voga impedisce a molti uomini di denunciare, e nelle ipotesi in cui questi trovino la forza di farlo, la violenza esercitata dalle donne contro gli uomini è banalizzata in ragione del fatto che il fisico femminile è comunemente ritenuto più debole, ciò per una sottorappresentazione dell’uomo come vittima, ed una sovrarappresentazione dello stesso come autore di violenze, che rimarca in tal modo lo stereotipo di “sesso forte”.
Ciò ha portato questo fenomeno ad essere considerato una eccezione, rendendo invece “normale” considerare vittime di violenza solo e soltanto le donne, diminuendo sensibilmente l’allarme sociale con riferimento ai casi in cui le vittime sono di sesso maschile.

1. Violenza sessuale

Recentemente, con riguardo al reato di violenza sessuale, la terza sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 29577 del 07/05/2021, ha accertato che l’imputata ricorrente, nel corso di un contesto di accesa conflittualità relativamente alle parti comuni del fabbricato dove abitava, dopo che il cognato le aveva impedito il passaggio attraverso un cancello, si era posta davanti a lui avvicinando il suo volto, e dopo avergli cinto i fianchi per tirarlo verso di sé, posizionava il ginocchio destro tra le sue gambe, toccandogli due volte i genitali, facendo esplicito riferimento alle doti sessuali del cognato, che cercava di respingerla.
La Suprema Corte ha quindi ritenuto integrato il reato di violenza sessuale, non ritenendo rilevante la conflittualità fra le parti, in quanto nessun contatto fisico è stato voluto o provocato dalla persona offesa in quella circostanza, e che la condotta dell’imputata non era determinata dalla necessità di difendersi in alcun modo.
Va ricordato che tra gli atti idonei ad integrare il delitto di cui all’art. 609-bis c.p., vanno ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purché ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente, come ad es. palpamenti, sfregamenti (cfr. Cass. Pen, Sez. 3, n. 42871 del 26/09/2013).
Inoltre, l’art. 609-bis tutela il bene giuridico della libertà sessuale, una libertà assoluta ed incondizionata. Al fine di integrare l’elemento oggettivo del reato de quo, è necessario che l’atto posto in essere possa essere definito come “sessuale” sul piano obiettivo, essendo sufficiente che l’imputato sia consapevole di aver commesso una condotta di natura sessuale, dovendosi ritenere tale anche il gesto compiuto con finalità di irrisione ed essendo invece irrilevante la natura ingiuriosa o minacciosa dell’azione compiuta dalla donna. E dunque, alla stregua di tali premesse, il gesto compiuto dall’imputata è stato correttamente inquadrato nella fattispecie ex art. 609-bis.

2. Violenza psicologica

Così come per i reati contestati agli uomini e commessi in danno delle donne, anche le violenze subìte dagli uomini, consumate spesso tra le mura domestiche, riguardano sia violenze di natura fisica sia violenze di natura psicologica.
Molti uomini testimoniano di aver subito graffi, spintoni, schiaffi, ma principalmente umiliazioni. Gli uomini vengono denigrati con riferimento alla loro posizione economico-sociale, per il fatto di essere disoccupati, per il loro stipendio più basso della media, vengono screditati con riferimento alla loro sfera sessuale e vedono limitati i propri diritti di genitori, soprattutto nell’ambito di conflittuali separazioni coniugali.
Queste violenze vengono infatti poste in essere prevalentemente dalle donne nel contesto di matrimoni o convivenze falliti e nelle separazioni coniugali, laddove, pur a fronte dell’affidamento condiviso dei figli minori, sempre più spesso gli uomini subiscono privazioni arbitrarie del loro diritto di visita, pur continuando a mantenere economicamente la famiglia, magari pagando il mutuo di una casa nella quale non potranno più vivere, dovendo peraltro sostenere spese ulteriori per la propria sussistenza, che spesso degenera in sopravvivenza ai limiti dell’indigenza.
Non sono pertanto solo le donne a dover sopportare situazioni spiacevoli quando non economicamente autosufficienti, ma sono spesso anche gli uomini (prevalentemente mariti e padri) a dover convivere con relazioni tossiche e con matrimoni ormai finiti dal punto di vista affettivo, pur di non perdere i figli, i propri affetti più cari e lo stesso tetto magari ottenuto con tanti sacrifici.

3. William Pezzullo e Lucia Annibali: due pesi e due misure

Probabilmente chi legge si sta chiedendo chi sia William Pezzullo e invece, verosimilmente, la maggior parte dei lettori conoscono il caso che ha riguardato Lucia Annibali.
Nel periodo “malato” che stiamo vivendo, l’odio verso il genere maschile viene fatto passare per una discriminazione giusta, positiva: una discriminazione perpetrata in favore di una presunta parità, che non ha nulla a che vedere con la parità dei sessi, ma che invece genera misandria e pregiudizi che portano a definire gli uomini come “privilegiati” nonostante svolgano lavori più duri, rischiosi e usuranti, e che nonostante questo vadano in pensione più tardi delle donne e pur essendo la maggioranza dei senzatetto, degli infortunati e dei morti sul lavoro.
Uomini che non possono arbitrariamente scegliere di riconoscere o meno un figlio, a differenza di una donna che ne ha la facoltà anche mediante l’aborto.
Uomini come William Pezzullo che una notte di settembre 2012 è stato rovinato per sempre dalla sua ex fidanzata che gli ha versato addosso una bottiglia intera di acido solforico, perché non voleva riconoscere il bambino che lei portava in grembo.
A nulla sono servite le richieste dell’avvocato della famiglia Pezzullo al P.M. di configurare il delitto di tentato omicidio, che alle sue richieste ha testualmente risposto: «ma cosa dice, non vorremmo mica costruire un mostro?».
La ex fidanzata del Pezzullo è stata condannata a 10 anni di reclusione per lesioni personali, che sconta non già in carcere, bensì in una comunità gestita da suore, insieme ad altri ospiti tossicodipendenti.
Orbene, fermo restando l’orrore insito nei suoi gesti, quest’ultima non ha ricevuto lo stesso trattamento dell’ex fidanzato dell’Annibali, condannato – giustamente, lo si vuole gridare a gran voce – a venti anni di reclusione e alla provvisionale di € 800.000,00 per aver fatto sfregiare da due uomini albanesi il viso di Lucia Annibali.
Venti anni di reclusione per aver commissionato l’aggressione dell’Annibali, contro i dieci anni per le “lesioni personali” commesse in danno di William Pezzullo, premeditate da tempo, attese le numerose ricerche effettuate dalla sua ex fidanzata al fine di rendere il più permanente possibile la sua vendetta, studiando quale fosse il metodo per rendere l’acido più aggressivo e per lasciare per sempre i segni sul corpo della sua vittima.
Due pesi e due misure, pertanto, che non solo hanno caratterizzato il trattamento sanzionatorio dei rispettivi colpevoli, ma anche il trattamento e la considerazione riservati alle vittime di due reati della medesima gravità, nonostante la diversa qualificazione giuridica.
Entrambe le vittime menzionate hanno subìto un gravissimo attentato alla propria incolumità e serenità.
Tuttavia, la Annibali riesce a condurre ancora una vita molto simile a quella che viveva prima dell’aggressione, William Pezzullo, di contro, dopo mesi in terapia intensiva, ha perso la sua bellezza, entrambe le sue orecchie, il suo occhio sinistro e il 90% dell’occhio destro, la mobilità del collo e di un braccio.
Pezzullo non è più autonomo, non può più guidare la sua auto, eppure la sua ex fidanzata è stata condannata solo per lesioni personali.
Diversa è altresì la considerazione sociale che ne deriva per le vittime di reati commessi da uomini contro le donne e viceversa.
Nel 2014 Lucia Annibali ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica dal Presidente Napolitano.
Nello stesso anno l’avv. Paola Tomarelli, presidente della associazione “Dalla parte di Giasone”, ha scritto alla Presidenza della Repubblica al fine di richiedere la concessione della medesima onorificenza al sig. Pezzullo, ricevendo tuttavia la seguente risposta negativa: “Il fatto è che, seppure anche i maschi siano vittime di violenza e stalking, oggetto di comportamenti persecutori e di aggressioni sono assai più spesso donne e gli aggressori assai più spesso uomini.
Questo episodio è un chiaro esempio della discriminazione che le vittime maschili stanno vivendo in questi tempi.
Assolutamente condivisibile è lo slogan “Non una di meno”, perché nessuna donna deve subire maltrattamenti, violenze né deve perdere la vita per mano di un altro essere umano.
Tuttavia chiediamoci se sia giusto che tale slogan sia un pretesto per far leggere fra le righe che “solo uno non è abbastanza”.

4. Conclusioni

Per evitare di sottostimare il fenomeno della violenza contro gli uomini, nonché per rendere effettiva la parità tra donna e uomo, è necessario eliminare qualsivoglia pregiudizio nei confronti degli uomini, evitando campagne discriminatorie nei confronti della figura maschile, esclusivamente per il suo genere.
È fondamentale che vengano resi più spesso noti anche i dati relativi alle molestie, ai non rari casi di stalking e di violenza subìta ogni anno dagli uomini.
È interessante in proposito il documento pubblicato sul sito ufficiale del Senato Italiano intitolato “Violenze in Famiglia: quello che l’ISTAT non dice”, nella parte in cui rileva che «non esistono in Italia studi ufficiali sulla violenza agita da soggetti di genere femminile ai danni dei propri mariti o partners, ex mariti o ex partners. Forse la violenza è a senso unico, quindi quella femminile non esiste. Come mai nessuna fonte ufficiale ha mai sentito l’esigenza di verificare? Allora il passo è consequenziale: visto che ISTAT e Ministeri non hanno interesse ad investire fondi per l’elaborazione di dati ufficiali, necessita almeno un’indagine ufficiosa».
Nel citato documento, l’autore Fabio Nestola si chiede, per un verso provocatoriamente e per altro verso invece molto seriamente:
«Se il questionario venisse utilizzato a ruoli invertiti, somministrandolo a uomini sposati, uomini single e padri separati, cosa potrebbe uscirne?
Al pari della critica per la pettinatura femminile, la critica al marito per la cravatta sbagliata può essere classificata come violenza?
Se basta una percezione di disagio, mortificazione o imbarazzo per configurare il comportamento violento, cosa dire degli uomini criticati dalle proprie compagne perché incapaci di risolvere i problemi domestici di idraulica e falegnameria?
Degli uomini paragonati impietosamente al marito della vicina, magari sportivo e benestante? Dei mariti criticati per un impiego non troppo remunerato? Apostrofati con toni irridenti, in pubblico e in privato, per non aver fatto carriera? Derisi per aver perso i capelli? Per non saper abbinare i colori?
La lista è infinita….
Ma il filone prevalente, nella sfera delle violenze psicologiche contro il genere maschile, è sicuramente lo stupro delle relazioni, perpetrato attraverso la castrazione del ruolo genitoriale.
In caso di rottura della coppia, la frase in assoluto più frequente che deve subire un padre è: “i tuoi figli te li puoi scordare”.
Una violenza devastante, in quanto – con l’attuale orientamento giurisprudenziale – gli uomini hanno la netta percezione di una minaccia tanto terribile quanto perfettamente attuabile».
Ebbene, per prevenire, ridurre ed evitare la violenza, le molestie, lo stalking e i maltrattamenti contro gli uomini nelle situazioni di conflitto, il diritto dovrebbe essere interpretato ed applicato in modo scevro da pregiudizi e discriminazioni di genere, in entrambe le direzioni.
Ferma restando la severa condanna ad ogni tipo di violenza, da chiunque e contro chiunque perpetrata, al fine di riequilibrare la “parità” di genere occorre che qualsiasi caso venga affrontato senza pregiudizi e discriminazioni, perché “vittima” non è solo singolare femminile.

violenza contro gli uomini


Con riferimento agli omicidi commessi in Italia nel 2017 il Viminale ha rilevato che “sono state uccise volontariamente 355 persone: di queste, ben 236 nelle cosiddette R.I.S. (relazioni interpersonali significative). Le donne sono 120, gli uomini 116 più 4 ammazzati all’estero dalle loro partner che non avevano accettato la fine della relazione, o per soldi” ed inoltre, secondo i dati Istat nel 2016, oltre 3,5 milioni di uomini sono stati vittime di violenze e molestie sessuali.
Nel 2012, analizzando uno studio dell’Università di Siena, milioni di uomini hanno subìto graffi, morsi, spinte, folgorazioni con la corrente elettrica e violenza sessuale, reato per il quale la legge non specifica il genere né della persona offesa, né dell’autore.
Invero, ai sensi dell’art. 609-bis, primo comma, del codice penale, “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.
Ciononostante, ancorché la legge non specifichi il sesso della persona offesa, lo stigma sociale ormai in voga impedisce a molti uomini di denunciare, e nelle ipotesi in cui questi trovino la forza di farlo, la violenza esercitata dalle donne contro gli uomini è banalizzata in ragione del fatto che il fisico femminile è comunemente ritenuto più debole, ciò per una sottorappresentazione dell’uomo come vittima, ed una sovrarappresentazione dello stesso come autore di violenze, che rimarca in tal modo lo stereotipo di “sesso forte”.
Ciò ha portato questo fenomeno ad essere considerato una eccezione, rendendo invece “normale” considerare vittime di violenza solo e soltanto le donne, diminuendo sensibilmente l’allarme sociale con riferimento ai casi in cui le vittime sono di sesso maschile.

1. Violenza sessuale

Recentemente, con riguardo al reato di violenza sessuale, la terza sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 29577 del 07/05/2021, ha accertato che l’imputata ricorrente, nel corso di un contesto di accesa conflittualità relativamente alle parti comuni del fabbricato dove abitava, dopo che il cognato le aveva impedito il passaggio attraverso un cancello, si era posta davanti a lui avvicinando il suo volto, e dopo avergli cinto i fianchi per tirarlo verso di sé, posizionava il ginocchio destro tra le sue gambe, toccandogli due volte i genitali, facendo esplicito riferimento alle doti sessuali del cognato, che cercava di respingerla.
La Suprema Corte ha quindi ritenuto integrato il reato di violenza sessuale, non ritenendo rilevante la conflittualità fra le parti, in quanto nessun contatto fisico è stato voluto o provocato dalla persona offesa in quella circostanza, e che la condotta dell’imputata non era determinata dalla necessità di difendersi in alcun modo.
Va ricordato che tra gli atti idonei ad integrare il delitto di cui all’art. 609-bis c.p., vanno ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purché ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente, come ad es. palpamenti, sfregamenti (cfr. Cass. Pen, Sez. 3, n. 42871 del 26/09/2013).
Inoltre, l’art. 609-bis tutela il bene giuridico della libertà sessuale, una libertà assoluta ed incondizionata. Al fine di integrare l’elemento oggettivo del reato de quo, è necessario che l’atto posto in essere possa essere definito come “sessuale” sul piano obiettivo, essendo sufficiente che l’imputato sia consapevole di aver commesso una condotta di natura sessuale, dovendosi ritenere tale anche il gesto compiuto con finalità di irrisione ed essendo invece irrilevante la natura ingiuriosa o minacciosa dell’azione compiuta dalla donna. E dunque, alla stregua di tali premesse, il gesto compiuto dall’imputata è stato correttamente inquadrato nella fattispecie ex art. 609-bis.

2. Violenza psicologica

Così come per i reati contestati agli uomini e commessi in danno delle donne, anche le violenze subìte dagli uomini, consumate spesso tra le mura domestiche, riguardano sia violenze di natura fisica sia violenze di natura psicologica.
Molti uomini testimoniano di aver subito graffi, spintoni, schiaffi, ma principalmente umiliazioni. Gli uomini vengono denigrati con riferimento alla loro posizione economico-sociale, per il fatto di essere disoccupati, per il loro stipendio più basso della media, vengono screditati con riferimento alla loro sfera sessuale e vedono limitati i propri diritti di genitori, soprattutto nell’ambito di conflittuali separazioni coniugali.
Queste violenze vengono infatti poste in essere prevalentemente dalle donne nel contesto di matrimoni o convivenze falliti e nelle separazioni coniugali, laddove, pur a fronte dell’affidamento condiviso dei figli minori, sempre più spesso gli uomini subiscono privazioni arbitrarie del loro diritto di visita, pur continuando a mantenere economicamente la famiglia, magari pagando il mutuo di una casa nella quale non potranno più vivere, dovendo peraltro sostenere spese ulteriori per la propria sussistenza, che spesso degenera in sopravvivenza ai limiti dell’indigenza.
Non sono pertanto solo le donne a dover sopportare situazioni spiacevoli quando non economicamente autosufficienti, ma sono spesso anche gli uomini (prevalentemente mariti e padri) a dover convivere con relazioni tossiche e con matrimoni ormai finiti dal punto di vista affettivo, pur di non perdere i figli, i propri affetti più cari e lo stesso tetto magari ottenuto con tanti sacrifici.

3. William Pezzullo e Lucia Annibali: due pesi e due misure

Probabilmente chi legge si sta chiedendo chi sia William Pezzullo e invece, verosimilmente, la maggior parte dei lettori conoscono il caso che ha riguardato Lucia Annibali.
Nel periodo “malato” che stiamo vivendo, l’odio verso il genere maschile viene fatto passare per una discriminazione giusta, positiva: una discriminazione perpetrata in favore di una presunta parità, che non ha nulla a che vedere con la parità dei sessi, ma che invece genera misandria e pregiudizi che portano a definire gli uomini come “privilegiati” nonostante svolgano lavori più duri, rischiosi e usuranti, e che nonostante questo vadano in pensione più tardi delle donne e pur essendo la maggioranza dei senzatetto, degli infortunati e dei morti sul lavoro.
Uomini che non possono arbitrariamente scegliere di riconoscere o meno un figlio, a differenza di una donna che ne ha la facoltà anche mediante l’aborto.
Uomini come William Pezzullo che una notte di settembre 2012 è stato rovinato per sempre dalla sua ex fidanzata che gli ha versato addosso una bottiglia intera di acido solforico, perché non voleva riconoscere il bambino che lei portava in grembo.
A nulla sono servite le richieste dell’avvocato della famiglia Pezzullo al P.M. di configurare il delitto di tentato omicidio, che alle sue richieste ha testualmente risposto: «ma cosa dice, non vorremmo mica costruire un mostro?».
La ex fidanzata del Pezzullo è stata condannata a 10 anni di reclusione per lesioni personali, che sconta non già in carcere, bensì in una comunità gestita da suore, insieme ad altri ospiti tossicodipendenti.
Orbene, fermo restando l’orrore insito nei suoi gesti, quest’ultima non ha ricevuto lo stesso trattamento dell’ex fidanzato dell’Annibali, condannato – giustamente, lo si vuole gridare a gran voce – a venti anni di reclusione e alla provvisionale di € 800.000,00 per aver fatto sfregiare da due uomini albanesi il viso di Lucia Annibali.
Venti anni di reclusione per aver commissionato l’aggressione dell’Annibali, contro i dieci anni per le “lesioni personali” commesse in danno di William Pezzullo, premeditate da tempo, attese le numerose ricerche effettuate dalla sua ex fidanzata al fine di rendere il più permanente possibile la sua vendetta, studiando quale fosse il metodo per rendere l’acido più aggressivo e per lasciare per sempre i segni sul corpo della sua vittima.
Due pesi e due misure, pertanto, che non solo hanno caratterizzato il trattamento sanzionatorio dei rispettivi colpevoli, ma anche il trattamento e la considerazione riservati alle vittime di due reati della medesima gravità, nonostante la diversa qualificazione giuridica.
Entrambe le vittime menzionate hanno subìto un gravissimo attentato alla propria incolumità e serenità.
Tuttavia, la Annibali riesce a condurre ancora una vita molto simile a quella che viveva prima dell’aggressione, William Pezzullo, di contro, dopo mesi in terapia intensiva, ha perso la sua bellezza, entrambe le sue orecchie, il suo occhio sinistro e il 90% dell’occhio destro, la mobilità del collo e di un braccio.
Pezzullo non è più autonomo, non può più guidare la sua auto, eppure la sua ex fidanzata è stata condannata solo per lesioni personali.
Diversa è altresì la considerazione sociale che ne deriva per le vittime di reati commessi da uomini contro le donne e viceversa.
Nel 2014 Lucia Annibali ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica dal Presidente Napolitano.
Nello stesso anno l’avv. Paola Tomarelli, presidente della associazione “Dalla parte di Giasone”, ha scritto alla Presidenza della Repubblica al fine di richiedere la concessione della medesima onorificenza al sig. Pezzullo, ricevendo tuttavia la seguente risposta negativa: “Il fatto è che, seppure anche i maschi siano vittime di violenza e stalking, oggetto di comportamenti persecutori e di aggressioni sono assai più spesso donne e gli aggressori assai più spesso uomini.
Questo episodio è un chiaro esempio della discriminazione che le vittime maschili stanno vivendo in questi tempi.
Assolutamente condivisibile è lo slogan “Non una di meno”, perché nessuna donna deve subire maltrattamenti, violenze né deve perdere la vita per mano di un altro essere umano.
Tuttavia chiediamoci se sia giusto che tale slogan sia un pretesto per far leggere fra le righe che “solo uno non è abbastanza”.

4. Conclusioni

Per evitare di sottostimare il fenomeno della violenza contro gli uomini, nonché per rendere effettiva la parità tra donna e uomo, è necessario eliminare qualsivoglia pregiudizio nei confronti degli uomini, evitando campagne discriminatorie nei confronti della figura maschile, esclusivamente per il suo genere.
È fondamentale che vengano resi più spesso noti anche i dati relativi alle molestie, ai non rari casi di stalking e di violenza subìta ogni anno dagli uomini.
È interessante in proposito il documento pubblicato sul sito ufficiale del Senato Italiano intitolato “Violenze in Famiglia: quello che l’ISTAT non dice”, nella parte in cui rileva che «non esistono in Italia studi ufficiali sulla violenza agita da soggetti di genere femminile ai danni dei propri mariti o partners, ex mariti o ex partners. Forse la violenza è a senso unico, quindi quella femminile non esiste. Come mai nessuna fonte ufficiale ha mai sentito l’esigenza di verificare? Allora il passo è consequenziale: visto che ISTAT e Ministeri non hanno interesse ad investire fondi per l’elaborazione di dati ufficiali, necessita almeno un’indagine ufficiosa».
Nel citato documento, l’autore Fabio Nestola si chiede, per un verso provocatoriamente e per altro verso invece molto seriamente:
«Se il questionario venisse utilizzato a ruoli invertiti, somministrandolo a uomini sposati, uomini single e padri separati, cosa potrebbe uscirne?
Al pari della critica per la pettinatura femminile, la critica al marito per la cravatta sbagliata può essere classificata come violenza?
Se basta una percezione di disagio, mortificazione o imbarazzo per configurare il comportamento violento, cosa dire degli uomini criticati dalle proprie compagne perché incapaci di risolvere i problemi domestici di idraulica e falegnameria?
Degli uomini paragonati impietosamente al marito della vicina, magari sportivo e benestante? Dei mariti criticati per un impiego non troppo remunerato? Apostrofati con toni irridenti, in pubblico e in privato, per non aver fatto carriera? Derisi per aver perso i capelli? Per non saper abbinare i colori?
La lista è infinita….
Ma il filone prevalente, nella sfera delle violenze psicologiche contro il genere maschile, è sicuramente lo stupro delle relazioni, perpetrato attraverso la castrazione del ruolo genitoriale.
In caso di rottura della coppia, la frase in assoluto più frequente che deve subire un padre è: “i tuoi figli te li puoi scordare”.
Una violenza devastante, in quanto – con l’attuale orientamento giurisprudenziale – gli uomini hanno la netta percezione di una minaccia tanto terribile quanto perfettamente attuabile».
Ebbene, per prevenire, ridurre ed evitare la violenza, le molestie, lo stalking e i maltrattamenti contro gli uomini nelle situazioni di conflitto, il diritto dovrebbe essere interpretato ed applicato in modo scevro da pregiudizi e discriminazioni di genere, in entrambe le direzioni.
Ferma restando la severa condanna ad ogni tipo di violenza, da chiunque e contro chiunque perpetrata, al fine di riequilibrare la “parità” di genere occorre che qualsiasi caso venga affrontato senza pregiudizi e discriminazioni, perché “vittima” non è solo singolare femminile.