L’attuale distinzione operata dal Codice Rocco tra i beni giuridici del «patrimonio», oggetto di tutela del Titolo XIII, e della «economia pubblica», oggetto di tutela del Titolo VIII, poggia su una considerazione tradizionale e arcaica del primo bene come unità singola, privata e individuale, e del secondo come un bene «macroeconomico di interesse generale» [1], inteso in una accezione esclusivamente pubblicistica e collettiva, connessa all’economia nazionale e al suo regolare funzionamento.
Tuttavia, negli ultimi anni, diversi sono stati i fattori che hanno spinto la dottrina italiana [2] a porsi un interrogativo circa il possibile inquadramento della criminalità economica all’interno della criminalità patrimoniale, al fine di considerare tutti i delitti contro l’economia pubblica o privata come appartenenti ad un unico genus [3]. Difatti, risulta essere sempre più manifesta la tendenza, nel nostro ordinamento, ad una integrazione di tutela fra la prospettiva patrimoniale e quella economica, a causa di una sovrapposizione dei piani della tutela non sempre facilmente districabile.
In primo luogo, i delitti lesivi del patrimonio, seppure offendono interessi che fanno capo a singole persone fisiche o giuridiche, possono a loro volta comportare effetti lesivi di interessi superindividuali, generali o collettivi, mediante degli attacchi apparentemente rivolti al solo rapporto patrimoniale individuale, ma che indirettamente possono produrre un’espansione dell’offesa tale da centrare, con ripercussioni negative, anche interessi collettivi. Vista la possibile natura plurilesiva dei suddetti reati, in un’ottica de lege ferenda, accogliendo – in una accezione dinamica del patrimonio – la definizione del danno patrimoniale come «limitazione della potenzialità economica del soggetto» [4], esso potrà considerarsi sussistente in presenza di un ostacolo o una deviazione del potere di disposizione del soggetto sui mezzi economici, che cagioni un pregiudizio agli obiettivi perseguiti dal titolare: a divergere sarà proprio la titolarità dei mezzi economici medesimi, che nei delitti contro il patrimonio apparterrà al singolo, mentre, nei delitti contro l’economia, allo Stato, rappresentativo degli interessi dei consociati – in gruppi ben definiti o nel loro complesso (come intere collettività), fino a giungere alla loro globalità [5] – i quali altro non sono che i destinatari ultimi dei danni cagionati dalle azioni limitative del cd. «patrimonio collettivo». Si offrono così interessanti spunti di sistematizzazione della materia patrimoniale-economica nella sua globalità, che valorizzano i principi generali di riferimento, tra cui la legalità, l’offensività e la frammentarietà, secondo due filoni guida ancorati ai concetti di «patrimonio individuale», preposto all’immediato sviluppo della potenzialità economica del singolo, e di «patrimonio collettivo», preposto al soddisfacimento mediato degli interessi del singolo, in quanto facente parte di una collettività alla quale spetta la titolarità dei diritti sui beni medesimi [6]; d’altronde, il settore economico si presenta particolarmente adatto ad una considerazione dinamico-funzionale del bene giuridico oggetto di tutela, anche in connessione alla titolarità superindividuale dello stesso [7].
In secondo luogo, sotto un profilo sistematico, risulta scarsamente consistente il concetto del bene «economia pubblica» come oggetto giuridico di categoria [8]: esso spicca per eterogeneità di contenuti, al punto tale che si è ritenuto un «alibi politico-criminale per far passare il nocciolo duro costituito dalla criminalizzazione della lotta di classe» [9] in un periodo in cui l’ideologia autoritaria ha fortemente inciso sulla struttura e sul contenuto del Titolo in analisi. Esso, nelle originarie intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto realizzare l’obiettivo di raggruppare, mediante una rubrica manifestamente pubblicistica, una serie di reati finalizzati alla tutela del sistema economico nazionale, «enfatizzando la volontà del potere costituito di realizzare un rigoroso dirigismo economico che altro non doveva essere se non un segmento dell’occupazione statale dell’intera società che il regime fascista si proponeva» [10]. Superandosi così l’impostazione liberista del Codice Zanardelli, il legislatore del 1930 costruì un autonomo titolo, di preminente interesse collettivo e non più privato, che garantiva una tutela rafforzata alle attività produttive, costellato da fattispecie descritte in una forma rudimentalmente astratta al punto tale da essere in gran parte inapplicabili, quasi come se si trattasse di meri emblemi propagandistici: tanta normazione servì soltanto a sbandierare nuovi indirizzi politici piuttosto che a sovvenire a concrete esigenze di tutela [11], punendosi l’inosservanza di norme organizzative e non la realizzazione di fatti socialmente dannosi mediante un intervento penale avente una funzione meramente sanzionatoria [12]. Completa disattenzione verso profili di offensività e tutela; esaltazione di momenti politici e puramente propagandistici di uno Stato-autorità, retaggio della trascorsa ideologia fascista; scarsa capacità sistematica di un bene giuridico dai dubbi confini; utilizzo improprio e meramente sanzionatorio dello strumento penale a tutela di un interesse generale così distante dal nostro progetto costituzionale, ci conducono ad affermare con fermezza che nel Titolo VIII si è irrimediabilmente lontani da quella concezione personalistica con la quale l’adozione di misure penali legittime e ponderate in campo economico deve porsi in diretto e costante rapporto [13]. Sarebbe dunque auspicabile, in un’ottica de lege ferenda, l’abbandono della concezione di Stato-autorità posta a fondamento del Titolo VIII, concepita in un periodo storico che giustificava un intervento penale a presidio del prestigio e della potenza della Nazione, a favore di una concezione di Stato-comunità che legittimi un intervento finalizzato alla tutela di tutti quegli interessi economici pubblici, «generali» o «collettivi», destinati alla creazione delle migliori condizioni di vita dell’individuo nella società liberale: è solo in questo modo che le connessioni tra i due settori della legislazione penale diverrebbero vive e presenti, soprattutto considerando il patrimonio individuale nella sua funzionalizzazione personalistica.
In terzo luogo, la stessa condotta ondivaga del nostro legislatore ha dimostrato, più o meno consapevolmente e con alcuni interventi di riforma settoriali e disorganici, di condividere l’idea che la linea di confine tra fattispecie «individuali» contro il patrimonio e fattispecie «collettive» contro l’economia si sia andata sempre più ad assottigliare. Diverse sono le tracce di tutela di interessi collettivi presenti nel titolo patrimoniale: si pensi all’art. 639 bis c.p., che prevede la perseguibilità d’ufficio dei delitti di cui agli artt. 631, 632, 633 e 636 c.p. «se si tratta di acque, terrenti, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico». Si pensi agli artt. 648 bis e 648 ter c.p., interessati dalle innovazioni – portatrici di una dimensione collettiva – intervenute con L. 9 agosto 1993, n. 328: non v’è dubbio che la loro collocazione topografica nel titolo patrimoniale – forse dettata dalle affinità esteriori con la fattispecie di ricettazione di cui all’art. 648 c.p. – susciti forti perplessità, in quanto il reale oggetto di tutela risulta essere l’ordine economico quale componente essenziale dell’ordine pubblico [14], bene giuridico di categoria che avrebbe di sicuro meglio accolto le fattispecie in analisi, a maggior ragione per gli stretti rapporti intercorrenti con il reato di associazione di tipo mafioso, di cui all’art. 416 bis c.p. [15]. Probabilmente, il legislatore, individuando quale oggetto di tutela i flussi finanziari nella loro dinamicità, e i beni e le ricchezze intesi come prodotti terminali, dinamici o statici, di tali flussi, ha inteso offrire seppur inconsapevolmente degli spunti di una nuova angolazione attraverso la quale guardare al rilievo penale del patrimonio, per poterne definire una nuova dimensione [16]. Si pensi ancora alla pubblicizzazione della figura della truffa, attuata di recente con l’introduzione dell’art. 640 bis c.p. disciplinante la figura della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche [17], che prende in considerazione quale elemento essenziale del giudizio di disvalore, oltre al danno arrecato al patrimonio dello Stato o di altri enti pubblici, anche la «produzione dello sviamento di fondi statali o comunque pubblici dallo scopo per il quale è stato ritenuto opportuno il finanziamento» [18]. È da menzionare inoltre la prassi giurisprudenziale degli ultimi anni di far ricorso, facendone un utilizzo forzato, alle fattispecie di cui agli artt. 640 e 646 c.p. per far fronte ai «fatti di fido», ascrivibili al settore-banche, che non trovano una adeguata disciplina nella legislazione penale vigente [19]. In un sistema evoluto come quello italiano, il risparmio viene in considerazione non come una mera entità statica, bensì come investimento, che si stacca dalla disponibilità individuale e materiale del titolare per confluire negli impieghi produttivi. Si impone automaticamente una tutela del risparmiatore in quanto investitore, il che implica una considerazione congiunta di plurimi interessi patrimoniali, sia individuali che collettivi: una inadeguata e improduttiva allocazione del risparmio produce un grave nocumento sia sul benessere individuale del singolo che sul benessere della collettività, non potendovi in tal caso essere uno sviluppo economico nazionale [20]. Infine, vale la pena richiamare anche la fattispecie di fraudolento danneggiamento dei beni assicurativi e mutilazione fraudolenta della propria persona, recentemente riformata dalla L. 12 dicembre 2002, n. 273: la ratio sottesa all’ampliamento di tutela è stata quella di garantire maggior protezione alla normalità delle contrattazioni nel settore assicurativo, attività di particolare interesse e di rilievo pubblico, anche di natura economica, che fa emergere in toto la dimensione pubblicistica della fattispecie [21]. È palese dunque come il legislatore italiano, nelle riforme susseguitesi negli ultimi anni, si sia sempre di più orientato a favore di fattispecie “miste”, a metà fra l’economico e il patrimoniale, snaturando completamente il volto originario dell’oggetto giuridico di categoria posto al fondamento del titolo patrimoniale: infatti, il vero significato politico-criminale delle riforme che hanno riguardato le figure di reato ivi analizzate va rinvenuto nella esigenza di combattere la criminalità organizzata e nella necessità di prevenire gli inquinamenti dei mercati economici e finanziari, con il conseguente allontanamento dagli interessi originariamente tutelati all’interno di una dimensione puramente privatistica del patrimonio [22].
Ciò che è emerso dall’analisi finora condotta è certamente un quadro dai contorni confusi, in cui l’ambiguità investe non solo isolate fattispecie, ma interi titoli del codice: come il Titolo XIII, anche quello dedicato alla economia pubblica risulta ormai del tutto inadeguato sia in rapporto alle originarie esigenze di tutela che alle nuove ed emergenti istanze di protezione dei beni di natura economica [23]. Il primo risulta irrimediabilmente contaminato da componenti pubblicistiche, dinamiche e immateriali; il secondo, appare compromesso da esigenze di tutela individualistiche [24]; entrambi condividono non solo una comune oggettività giuridica, ma anche affinità dommatico-strutturali. Tuttavia, l’attuale codicistica italiana non fornisce alcun appiglio normativo tale da poter contribuire efficacemente alla elaborazione di un concetto di «patrimonio collettivo» da affiancare a quello individuale; una interessante esperienza è rinvenibile invece nella codificazione penale spagnola che, nel 1995, ha visto una riorganizzazione degli illeciti patrimoniali ed economici mediante una sistemazione unitaria.
Nell’intento di superare le difficoltà di organizzazione sistematica delle due materie economico-patrimoniale, il legislatore spagnolo ha destinato loro un autonomo Titolo, il XIII, dedicato ai “Delitti contro il patrimonio e contro l’ordine socioeconomico”, comprensivo di tutte quelle fattispecie in grado di ledere indistintamente beni individuali o macroeconomici. Le ragioni che hanno accompagnato il Progetto di riforma del 1992 sono molteplici: la consapevolezza che la tradizionale distinzione fra prospettiva individualistica patrimoniale e pubblicistica economica sarebbe stata sostenibile solo con gravi riserve; l’esigenza di conferire un rilievo sociale alla dimensione pubblicistica dell’offesa tradizionalmente patrimoniale, quale quella prodotta dalle truffe finanziarie e dalle bancarotte fraudolente soprattutto delle grandi imprese economiche; la comprensione del fatto che l’esistenza di una zona intermedia o comune fra le fattispecie poste a tutela dell’uno e dell’altro interesse avrebbero reso difficile una loro netta separazione; l’esigenza tecnica di evitare doppioni normativi [25]. Non sono mancate critiche da parte della dottrina spagnola a tale scelta sistematica: in particolare, il legislatore non avrebbe fornito alcuna indicazione su quali delitti del titolo siano da considerare contro il patrimonio e quali contro «l’ordine socioeconomico», espressione considerata generica, fuorviante e di scarsa utilità esegetica, la cui esatta portata contenutistica resta ancora dubbia [26]; inoltre, il titolo difetta di una sottocategorizzazione dei reati in ragione dell’interesse patrimoniale o socioeconomico tutelato che permetta di chiarire i rapporti reciprocamente intercorrenti. Su un punto però si converge all’unanimità: l’espressione «ordine socioeconomico» rinvia ad un concetto ampio di ordine economico omnicomprensivo della intera normativa disciplinante «la produzione, la distribuzione e il consumo di beni e di servizi» [27].
Al di là dei contrasti, la scelta di unificazione operata dal legislatore spagnolo costituisce un unicum nel panorama internazionale, ove si consideri che in altri Paesi contrassegnati da recenti esperienze di riforma e di nuova codificazione, non è stata minimamente vagliata l’ipotesi di un raggruppamento unitario secondo il suddetto modello [28].
Per cui, la soluzione che potrebbe essere adottata nell’ordinamento italiano consiste, in primo luogo, in una riforma complessiva della nozione di «patrimonio individuale», nella sua connotazione dinamico-funzionale di natura personalistica. In questa nuova prospettiva le “cose” cambiano notevolmente valore, qualificandosi il patrimonio come il complesso dei beni e dei rapporti utili allo sviluppo della persona che presentino un contenuto economico, e prendendosi in considerazione gli effetti delle lesioni formali ai diritti patrimoniali sulla reale potenzialità economica del soggetto titolare: ai fini della configurazione del danno, elasticamente e funzionalmente inteso, non rileva tanto il saldo negativo che deriva da diminuzione e accrescimento di singole parti di patrimonio, quanto la limitazione della potenza economica del titolare del patrimonio, poiché esso subisce un pregiudizio nella realizzazione dei suoi obiettivi economici [29]. La tutela del patrimonio viene a coincidere con la tutela della personalità del soggetto titolare, in quanto a rilevare è l’interesse funzionale del soggetto a mantenere inalterata la propria signoria sulle cose affinché possa correttamente sviluppare la sua individualità in campo economico: che si tratti di diritti soggettivi o di rapporti di fatto non disapprovati dall’ordinamento giuridico, il fattore determinante affinché le singole cose possano assurgere a componenti significative del patrimonio è la dimensione personale dell’interesse del soggetto a soddisfare con la cosa i propri bisogni.
Inoltre, sulla scia dell’esempio spagnolo, alla concezione di patrimonio individuale si andrebbe ad affiancare una nuova nozione di patrimonio, anch’essa caratterizzata da una visione strumentale ma contraddistinta da un «respiro collettivo» [30], in maniera tale da unificare anche sistematicamente i due settori di tutela. Allo stato dell’attuale elaborazione giuridica, è fuori discussione la necessità di prestare protezione penale ai beni superindividuali, tuttavia restano ancora dubbie le tecniche di tutela che meglio potrebbero assicurare la rispondenza delle fattispecie ai principi ed alle esigenze penali di rango costituzionale. La soluzione che qui si prospetta, una volta abbandonata l’impostazione pubblicistica ed autoritaria tipica del codice vigente, è quella di consolidare la tutela del patrimonio in chiave personalistica, che in piena conformità al dettato costituzionale di cui all’art. 2 Cost., sarà preordinato al perseguimento di un duplice obiettivo: da un lato, in quanto strumento preposto alla realizzazione dell’uomo come singolo, alla tutela del «patrimonio individuale», dall’altro, in quanto strumento preposto alla realizzazione dell’uomo nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, alla tutela di un «patrimonio con valore generale o collettivo» [31]. In questa concezione di patrimonio, che coniuga simbioticamente momenti individuali e superindividuali, si può identificare la via penale per la tutela del modello economico misto della democrazia sociale, così come descritto dagli artt. 41–47 e 53–81 Cost., nel pieno rispetto sia dei principi su cui la Costituzione tradizionalmente fonda la propria idea personalistica, sia delle disposizioni della «Costituzione economica», in particolare valorizzando l’ideale di «capitalismo popolare» insito nell’art. 47 Cost., che chiaramente individua come uno dei punti cardine dell’equilibrio economico del paese la tutela dell’interesse generale alla proprietà ed alla ricchezza (risparmio e credito) come mezzo di soddisfacimento di essenziali esigenze individuali.
La lettura di patrimonio che è stata data appare pienamente conforme col disegno solidaristico-personalistico fornito dalla Costituzione, in quanto garantisce il più ampio spazio di protezione possibile ai valori dell’individuo: in questa prospettiva, il patrimonio viene difeso per l’utilità pratica che fornisce direttamente al suo titolare, costituendo la sede naturale per l’allocazione delle risorse economiche e finanziarie costituenti la ricchezza collettiva nazionale; le situazioni patrimoniali individuali, inoltre, ottengono un riconoscimento di inviolabilità in quanto espressione della persona in tutta la completezza del suo essere, come individuo o come parte integrante di un gruppo. In virtù di tale riconoscimento, la mancanza di una adeguata tutela penale codicistica potrebbe essere considerata un ostacolo, nella materia giuridico-economica, allo sviluppo della personalità individuale, e siccome la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale risulta essere un compito fondamentale della Repubblica, l’ordinamento deve quanto prima attivarsi per poter garantire una piena attuazione dell’art. 3, comma 2, Cost. in materia di libertà patrimoniale: non è più ammissibile considerare il patrimonio soltanto come un ammasso di rapporti giuridici di proprietà, possesso, pacifico godimento e così via, poiché per tale strada si rimane bloccati alla cultura dell’appartenenza individuale, in una prospettiva ristretta rispetto al presente e all’avvenire, in cui le relazioni tra uomini e beni economici avranno sempre di più una misura collettiva. Duemila e più anni di esperienza giuridica vissuta nel sistema dell’appartenenza individuale non devono scoraggiare l’adozione di soluzioni da affiancare, per ottenere una migliore organizzazione giuridica, alla tutela tradizionale del patrimonio.