1. L’inquadramento funzionale e strutturale della fattispecie “smart contract”
La “rivoluzione” digitale non poteva non investire il contratto [1], che nell’attuale economia di mercato costituisce il principale strumento [2] attraverso cui le parti possono definire l’assetto dei loro interessi patrimoniali [3]. Segno tangibile di tale rivoluzione è l’ingresso nella scena giuridica dello “smart contract” [4]”, ossia il software [5] che permette la realizzazione di un programma negoziale in modo autonomo, senza l’intervento delle parti o di un soggetto terzo [6]. Il sostantivo contract [7], lungi dall’esser adoperato quale sinonimo di “contratto”, é semplicemente indicativo dell’aspetto funzionale del sottostante rapporto contrattuale intercorrente tra due o più soggetti, di cui ne viene automatizzata l’esecuzione.
Dal punto di vista strutturale, alla base del funzionamento dello smart contract si colloca l’algoritmo “if…then” [8], secondo cui alla verificazione di determinati eventi, indicati nel software o segnalati da fonti terze (oracoli [9]), segue il compimento di determinate azioni (prestazioni).
Morfologicamente lo smart contract si connota per le seguenti caratteristiche [10]: automaticità dell’esecuzione, irremovibilità, immodificabilità e inarrestabilità.
L’automacità dell’esecuzione costituisce il tratto qualificante di tale strumento [11], in cui l’esecuzione di quanto previsto avviene, come dianzi indicato, senza l’intervento delle parti o di un terzo [12]. Il che consentirebbe un annullamento o un’attenuazione del rischio di inadempimento [13]. Nondimeno, l’esecuzione automatica del regolamento contrattuale preclude il fenomeno dell’ “inadempimento efficiente” [14], configurabile allorquando l’inadempimento risulta più conveniente, in quanto meno “costoso”, rispetto ad un eventuale adempimento.
L’irremovibilità sta ad indicare che lo smart contract, a seguito dell’esecuzione di quanto previsto, è suscettivo di rimozione dalla catena solo se è stata programmata la funzione “kill”. L’immodificabilità esprime l’impossibilità di emendare il regolamento contrattuale implementato sul software una volta che sia avvenuta la trascrizione sulla blockchain. Infine l’inarrestabilità indica l’impossibilità di bloccare o annullare l’esecuzione automatizzata [15] una volta che sia integrato l’evento costituente presupposto dell’esecuzione de qua.
Discussa é la natura dello smart contract, che secondo l’opinione [16] che appare preferibile non costituirebbe un contratto, ma uno strumento di esercizio dell’autonomia contrattuale [17], attraverso cui le parti affidano ad un algoritmo l’esecuzione del programma contrattuale. A tale conclusione interpretativa si perviene muovendo dalla distinzione tra l’accordo alla base dell’automazione dell’esecuzione, rispetto al quale la volontà [18] dei contraenti é espressa attraverso il linguaggio umano, e smart contract in senso stretto, ossia il software nel quale le clausole contrattuali sono implementate sotto forma di codice al fine di automatizzare l’esecuzione contrattuale. Sulla base di tale premessa si può pertanto ritenere che tra contratto “in senso tradizionale” e smart contract corra un’evidente diversità strutturale, atteso che quest’ultimo, a differenza del primo, si connota per l’utilizzo di un linguaggio non già umano bensì informatico. L’utilizzo di un linguaggio informatico in luogo del linguaggio umano è inoltre l’elemento che consente di distinguere lo smart contract dal contratto telematico [19], ossia il contratto concluso a distanza tramite piattaforme informatiche [20], che come il contratto non telematico è strutturalmente modulato sull’impiego del linguaggio umano. Ed infatti, l’input espresso con linguaggio umano è tradotto in istruzioni telematiche, che sono poi riconvertite in linguaggio umano sul terminale del ricevente [21].
2. Il funzionamento e l’ambito applicativo degli smart contracts
L’automazione dell’esecuzione contrattuale tramite smart contract è preceduta da due fasi [22], ossia l’elaborazione del regolamento contrattuale ad opera delle parti e la trascrizione sulla blockchain [23].
Nella fase di elaborazione si assiste alla redazione in linguaggio informatico delle clausole contrattuali. Questa è l’unica fase in cui è possibile modificare o correggere le previsioni contrattuali implementate sul sistema informatico, in quanto a seguito della trascrizione sulla blockchain lo smart contract diviene tendenzialmente immodificabile [24].
La trascrizione sulla blockchain oltre all’immutabilità comporta la trasparenza [25] del registro dei blocchi, atteso che ogni operazione è tracciata e oggetto di consultazione da parte di chiunque.
La fase dell’esecuzione algoritmica invece si concreta nell’attivazione del software al verificarsi dell’evento indicato dal programmatore come presupposto di esecuzione. Evento che può consistere tanto nella scadenza di un termine quanto nella verificazione di un fatto accertato da una fonte esterna, l’oracolo [26].
Vi è infine la fase terminale, che involge la sorte dello smart contract a seguito dell’esecuzione. Lo stesso infatti può tanto rimanere sul blocco nel quale era stato inserito, quanto essere eliminato nel caso in cui sia stata programmata la soppressione tramite la previsione all’interno del software dell’istruzione “kill”.
Controverso è l’ambito applicativo dello smart contract. Innanzitutto ci si chiede se sia possibile adoperare tale strumento per automatizzare finanche la fase di formazione del consenso [27]. Al riguardo non è superfluo rilevare gli evidenti limiti che potrebbero derivare da una tale estensione applicativa. Ed infatti per automatizzare la fase formativa del contratto occorrerebbe passare attraverso un tortuoso iter, in quanto: i) il proponente dovrebbe tradurre la proposta contrattuale in linguaggio informatico; ii) l’oblato, ossia il destinatario della proposta, non solo dovrebbe decodificare lo smart contract al fine di comprendere i termini della proposta, ma dovrebbe trasmettere l’eventuale accettazione mediante uno smart contract, e dunque tradurre la stessa in linguaggio informatico. Procedendo in tal modo non solo si assisterebbe ad un prolungamento delle tempistiche per addivenire alla conclusione del contratto, ma vi sarebbe anche un esponenziale aumento dei costi della negoziazione.
In secondo luogo occorre rilevare che non tutti i contratti sono passibili di esecuzione automatizzata. Ed infatti la tecnologia “smart” sarebbe insuscettiva di applicazione relativamente ai contratti che prevedono prestazioni di fare nonché ai contratti ad efficacia istantanea rispetto ai quali non residuano ulteriori obbligazioni da adempiere [28]. Viceversa suscettivi di esecuzione automatizzata tramite smart contract risultano i contratti che involgono prestazioni pecuniarie (liquide) o prevedenti il trasferimento di beni dematerializzati.
3. Il governo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta nel quadro degli smart contracts
Così perimetrati i contorni della controversa figura degli smart contracts, si può spostare il baricentro dell’analisi sulla vexata quaestio che involge il governo delle sopravvenienze [29] in caso di automazione dell’esecuzione contrattuale, con particolare riferimento all’ipotesi in cui la prestazione di una delle parti dovesse divenire, in corso di rapporto, eccessivamente onerosa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1467 c.c.[30] Questione la cui risoluzione non può prescindere da una breve esegesi della norma de qua, il cui fondamento sarebbe da ravvisare nel principio rebus sic stantibus [31], a tenore del quale il mantenimento del vincolo contrattuale è subordinato alla permanenza nel tempo dell’originario equilibrio economico [32], inteso come rapporto di valore tra le prestazioni corrispettive. Diversamente, in presenza di eventi straordinari e imprevedibili “squilibranti”, come l’eccessiva onerosità della prestazione, tali da alterare l’equilibrio de quo, l’art. 1467 c.c. prevede la possibilità di attivare specifici rimedi [33], come la risoluzione o l’offerta di riduzione ad equità, funzionali all’eliminazione della sopravvenuta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, rispettivamente attraverso la demolizione [34] o la manutenzione dell’originario rapporto contrattuale. In particolare la risoluzione [35], quale rimedio caducatorio, presuppone sul piano applicativo la sussistenza dei seguenti requisiti [36].
Innanzitutto l’evento imprevedibile e straordinario deve causare un’eccessiva onerosità (sopravvenuta)[37] della prestazione di una delle parti, tale da alterare l’originario rapporto di valore tra le reciproche prestazioni [38]. Al riguardo non è superfluo rilevare che tale alterazione deve essere “grave”, atteso l’impatto dirompente che si riconnette all’attivazione del rimedio risolutorio, che conduce come dianzi rilevato alla demolizione del contratto. L’accertamento della sussistenza del requisito di gravità é rimesso all’apprezzamento del giudice, che dovrà condurre una valutazione oggettiva, prescindendo cioè dalla situazione soggettiva di difficoltà di adempimento, che talvolta l’ordinamento considera al fine di escludere l’applicabilità di taluni rimedi [39]. Nondimeno, l’eccessiva onerosità sopravvenuta, per condurre alla risoluzione del rapporto contrattuale, non deve rientrare nell’alea normale [40] del contratto, ovvero in quella sfera di rischio sottesa a qualsivoglia operazione contrattuale.
In secondo luogo il contratto colpito dalla sopravvenienza “squilibrante” deve essere un contratto di durata, non aleatorio [41], a prestazioni corrispettive [42] non ancora eseguite [43], come è dato inferire dalla rubrica e dal corpo dell’art. 1467 c.c.
L’altro rimedio previsto dall’art. 1467 c.c. quale strumento di reazione all’eccessiva onerosità sopravvenuta consiste nell’offerta [44] di riduzione ad equità, prevista al c. 3 della norma de qua, che a differenza della risoluzione consente la manutenzione del rapporto contrattuale [45].
Trattasi di un rimedio attivabile, come è dato desumere dalla disposizione in analisi, dalla parte convenuta nel giudizio di risoluzione, che potrà evitare la caducazione del contratto offrendo una modifica equitativa delle condizioni contrattuali, funzionale all’ablazione della sopravvenuta sproporzione attraverso la riconduzione del rapporto di valore tra le prestazioni corrispettive entro il perimetro tracciato dall’alea normale del contratto [46].
Purtuttavia, in relazione ai contratti di lunga durata, che sono quelli maggiormente esposti al rischio di sopravvenienze squilibranti, una più adeguata [47] ed efficace tutela degli interessi coinvolti passa attraverso un rimedio diverso dalla risoluzione, che consenta la manutenzione del rapporto contrattuale E tale rimedio conservativo é costituito dalla rinegoziazione [48]. Al riguardo vi é da rilevare che il rimedio de quo può essere espressamente previsto dai contraenti, attraverso apposita clausola [49] di rinegoziazione [50], al momento di conclusione del contratto, atteggiandosi in tale ipotesi quale rimedio manutentivo ex ante. Nondimeno, l’inadeguatezza del rimedio risolutorio in ordine ai contratti di lunga durata, in assenza dell’espressa previsione di una clausola di rinegoziazione, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza, specie durante l’emergenza da Covid-19 [51], ad interrogarsi circa la sussistenza di un obbligo legale di rinegoziazione, che troverebbe fondamento nel principio di buona fede (integrativa) [52] e si atteggerebbe a rimedio manutentivo ex post.
La breve ricognizione dei rimedi manutentivi e demolitori prefigurati per il caso di eccessiva onerosità sopravvenuta consente di ritenere che l’applicazione degli stessi non é predicabile allorquando tale sopravvenienza involga una prestazione ad esecuzione automatizzata tramite smart contract. Si tratta infatti di rimedi che nel riferirsi, quali presupposti applicativi, ai concetti di “eccessiva” onerosità, modifica “equitativa”, presuppongono il compimento di un’attività interpretativa, che ad oggi gli smart contracts non sono in grado di compiere [53]. A medesime conclusioni interpretative si può pervenire anche postulando quale rimedio ex post la sussistenza di un obbligo legale di rinegoziazione discendente dal principio di buona fede, atteso che il principio de quo, in quanto principio generale formulato in termini volutamente elastici, necessita, a fini applicativi, di un’attività interpretativa che ad oggi, come dianzi rilevato, é preclusa ad un software, come lo smart contract. Nondimeno, il governo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta che colpisce una delle prestazioni ad esecuzione automatizzata ben può avvenire tramite lo strumento manutentivo della rinegoziazione allorquando lo stesso sia previsto e implementato nel software, prima della trascrizione sulla blockchain. Ma si tratterebbe in ogni caso di un rimedio manutentivo ex ante, in forza del quale le parti potrebbero operare determinate modifiche contrattuali al verificarsi dell’evento squilibrante, lasciando tuttavia scoperti i casi in cui un obbligo di rinegoziazione non fosse oggetto di apposita previsione. Ciononostante vi é chi in dottrina [54] ipotizza che la soluzione di tali problematiche (ad oggi insolute) possa avvenire in un prossimo futuro attraverso la trasmigrazione dalla logica binaria (if…then) ad una logica basata sull’auto-apprendimento, tipica dell’essere umano, che renderebbe compatibile lo smart contract con le esigenze di revisione del regolamento contrattuale implementato sul software.