1. Considerazione introduttive e metodologiche
La dignità della persona umana è senza dubbio il valore dominante di tutte le carte dei diritti. Tra le sue espressioni vi figurano il diritto alla riservatezza e alla tutela della vita privata, nonché il diritto alla protezione dei dati personali che, a partire dai primi, si è sviluppato e, all’interno dell’evoluzione normativa euro-unitaria, come sostenuto da parte della dottrina e giurisprudenza[1], gradualmente emancipato fino ad ascendere a situazione soggettiva con una propria ed autonoma dimensione di tutela. La tutela del trattamento dei dati di carattere personale è dunque un diritto fondamentale ma non si tratta, tuttavia, di un diritto insensibile a limitazioni; anzi, rispetto alla privacy[2] in senso stretto quale diritto individuale che tutela il singolo nella sua solitudine (diritto al rispetto della propria sfera personale), il diritto alla protezione dei dati personali, estendendo la tutela dell’individuo oltre la sfera della vita privata e in particolare nelle relazioni sociali, così da garantire l’autodeterminazione decisionale e il controllo sulla circolazione dei propri dati, si pone, ontologicamente, in conflitto con altri diritti, principi e libertà socialmente rilevanti altrettanto meritevoli di tutela. Su tutti, libertà d’espressione e informazione.
Riservatezza o informazione? Questo, a prima vista, quindi, sembrerebbe il dilemma davanti al quale si pone l’interprete e che, a parere dello scrivente, è da provare a risolversi non in termini di contrapposizione ma in chiave dialogica e inclusiva, cercando di individuare un equilibrato bilanciamento tra i diversi valori coinvolti. Questione che va inoltre considerata nel contesto specifico della società dell’informazione in cui, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, all’uso sempre più diffuso di internet e alla creazione di banche dati automatizzate disponibili in rete, è possibile accedere a un numero illimitato di dati, potenzialmente indicizzabili dai motori di ricerca.
Su tali premesse generali, alla luce della disciplina contenuta nel regolamento (UE) n. 679/2016 e nel d.lgs. n. 101/2018 ovvero dei recenti interventi giurisprudenziali, il presente contributo affronta il tema del trattamento dei dati personali nella riproduzione dei provvedimenti giudiziari, nel tentativo di valutare – anche attraverso la comparazione con alcune esperienze delle Corti superiori italiane in tal senso – se sia lecito e ammissibile consentire l’accesso e la conoscenza al contenuto delle decisioni assunte dall’autorità giudiziaria. Evidenziando fin da subito che essendo rimasti in vigore gli artt. 51 e 52 d.lgs. n. 196/2003, deve ritenersi che non vi sia stato un ampliamento dei casi in cui è prescritto l’oscuramento dei dati personali e che, al di fuori di queste ultime ipotesi, non siano mutate le modalità di riproduzione delle decisioni giudiziarie, la cui conoscibilità ha fondamento negli artt. 21 e 111, 6° comma, Cost.
Volge infine il lavoro, formulando possibili proposte – frutto di riflessioni personali – per un trattamento quanto più “sensibile” dei dati contenuti nei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, soggetti a pubblicità legale e diffusione informativa, tramite le quali provare a garantire il difficile ma necessario equo bilanciamento fra gli opposti interessi coinvolti, parimenti meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico: pubblicità del processo (di cui agli artt. 6 CEDU, 47 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e 101 Cost.) e «della tutela della riservatezza dei soggetti interessati»[3] (di cui al medesimo art. 6 CEDU nonché agli artt. 7 e 8 della Carta UE e 2 Cost.).
2. Riservatezza o informazione? La necessità di un equilibrato bilanciamento tra i diversi valori coinvolti
Quali diritti in gioco?
Da un lato, si pone il valore primario della tutela della riservatezza dei soggetti interessati (tutelato dall’art. 6 CEDU, dagli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’art. 2 Cost.).
Dall’altra parte vi sono due valori altrettanto rilevanti e di primario rilievo.
Il primo è costituito dalla pubblicità del processo (presidiato dall’art. 6 CEDU, dall’art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e dall’art. 101 Cost.) e dalla conoscenza degli esiti del giudizio. La piena conoscibilità del contenuto delle decisioni giudiziarie non coinvolge solo il diritto all’informazione nelle sue diverse componenti (art. 21 Cost.), ma costituisce uno dei cardini del sistema costituzionale su cui si basa l’esercizio delle funzioni giudiziarie poiché è attraverso la motivazione, elemento necessario di ogni provvedimento giurisdizionale (art. 111, 6° comma, Cost.), che è possibile verificare la corretta amministrazione della giustizia, che viene esercitata non solo nell’interesse delle parti processuali ma anche di tutti i cittadini. Un’anonimizzazione eccessiva può altresì inficiare la comprensibilità della singola decisione.
L’altro valore coinvolto è la libertà di informazione (art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 10 CEDU, art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, artt. 2 e 21 Cost.) che si compone di tre aspetti fondamentali: il primo, quello attivo, è la diffusione delle idee e delle notizie, il secondo, quello passivo, riguarda la ricezione delle informazioni e l’ultimo, quello dinamico, tratta della possibilità di ricercare le informazioni e dunque funge da connessione tra i precedenti due, ponendo le basi per la tutela della libertà di pensiero e per la libertà di opinione.
Si tratta di un reale conflitto tra valori contrapposti o è possibile giungere a un bilanciamento adeguato tra i diversi valori in gioco?
La dignità della persona umana è senza dubbio il valore dominante di tutte le carte dei diritti. Tra le sue espressioni vi figurano il diritto alla riservatezza e alla tutela della vita privata, nonché il diritto alla protezione dei dati personali che, a partire dai primi si è sviluppato.
La tutela del trattamento dei dati di carattere personale è dunque un diritto fondamentale ma non si tratta, peraltro, di un diritto insuscettibile di limitazioni, potendo entrare in conflitto con altri diritti o principi altrettanto meritevoli di tutela. L’art. 52, par. 1, della Carta riconosce che possano essere apportate limitazioni all’esercizio di diritti come quelli sanciti dagli articoli 7 e 8 della medesima, purché siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità d’interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
In tal senso, la disciplina di riferimento contenuta nel regolamento (UE) 679/2016 (GDPR) del parlamento europeo e del consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nel sancire il carattere fondamentale della loro tutela prevede che per il buon funzionamento del mercato interno «la libera circolazione dei dati personali nell’Unione non può essere limitata né vietata per motivi attinenti alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali» (art. 1, par. 3). La nuova disciplina intende così garantire e bilanciare la protezione dei dati di carattere personale con la loro libera circolazione (art. 1 del regolamento (UE) 2016/679).
Il dilemma del rapporto tra riservatezza e tutela dei dati personali, da un lato e pubblicità del processo e libertà di informazione deve risolversi non in termini di contrapposizione ma in chiave dialogica e inclusiva, cercando di individuare il corretto equilibrio tra i valori in gioco. Al di là di noti fatti di cronaca o di vicende che attengono a personalità di rilievo per l’opinione pubblica, per cui può senz’altro giustificarsi il diritto a un’esaustiva informazione, l’interesse alla conoscibilità integrale delle decisioni riguarda potenzialmente ogni vicenda perché il cittadino può avere interesse a conoscere come si sia deciso in quel singolo caso, per sapere ad esempio se vi sia un rapporto tra il giudice e le parti o gli avvocati del processo, beninteso al di fuori delle ipotesi in cui a prevalere sia l’interesse superiore alla tutela delle persone coinvolte, come nei confronti di minori o delle vittime di alcuni crimini.
La questione dell’accesso alle decisioni giudiziarie va inoltre considerata nel contesto specifico della società dell’informazione in cui, grazie alla creazione di banche dati automatizzate disponibili in rete, con un semplice “click”, è possibile accedere a un numero illimitato di dati, potenzialmente indicizzabili dai motori di ricerca.
Il problema quindi non riguarda semplicemente e soltanto l’oscuramento di dati del singolo provvedimento giudiziario in una dimensione di circolazione della copia su supporto cartaceo o informatico ma la gestione di archivi automatizzati di decisioni, potenzialmente accessibili a chiunque (open access e open data), e l’ingente insieme di dati digitali che possono essere rapidamente processati da banche dati centralizzate (Big Data).
Si tratta allora di individuare un equilibrato bilanciamento tra i diversi valori coinvolti.
3. La riproduzione dei provvedimenti giudiziari in Italia: dal Codice della Privacy alla nuova disciplina
L’attuale disciplina della tutela dei dati personali è contenuta in un insieme di fonti europee (regolamento (UE) 679/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016,[4] relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati; direttiva (UE) 680/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, che regola i trattamenti di dati personali nei settori di prevenzione, contrasto e repressione dei crimini) e nazionali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali, Codice della Privacy, in gran parte abrogato e riscritto dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 per consentire l’armonizzazione con la normativa europea e d.lgs. 18 maggio 2018, n. 51 che, attuando la direttiva (UE) 680/2016, regolamenta il trattamento dei dati personali per finalità di prevenzione e repressione di reati, esecuzione di sanzioni penali, salvaguardia contro le minacce alla sicurezza pubblica e prevenzione delle stesse, da parte sia dell’autorità giudiziaria, sia delle forze di polizia).
Nel nostro ordinamento interno, al fine di consentire l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 679/2016 è stato adottato il d.lgs. 10 agosto 2018 n. 101, che non prevede più – come in una prima versione – l’abrogazione del codice in materia di protezione dei dati personali di cui al d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, ma la sua novellazione, allo scopo di armonizzarne il testo al nuovo assetto normativo, abrogando le disposizioni contrastanti con il regolamento, introducendone di nuove, integrando e modificando le disposizioni compatibili con la disciplina europea.
A fronte della completa riscrittura della disciplina sulla tutela dei dati personali è necessario chiedersi quale sia il regime attuale riguardante la riproduzione di provvedimenti giudiziari e la loro pubblicazione. Le decisioni giudiziarie contengono molti dati personali raccolti per scopi diversi dalla pubblicazione e sono soggette alla disciplina sulla protezione dei dati. La completa divulgazione dei dettagli delle ragioni per le quali si è giunti dinanzi a un’autorità giudiziaria potrebbe causare dei danni alle persone coinvolte.
Nell’ordinamento italiano, la tutela della riservatezza in ambito giudiziario non riguarda gli atti del processo, che devono essere sempre completi dei dati identificativi delle parti, ma la divulgazione delle decisioni una volta depositate in cancelleria.
L’oscuramento del provvedimento concerne dunque l’eventuale sua diffusione al di là dei diretti destinatari (parti o avvocati) o l’inserzione in reti e banche dati della copia (digitale o cartacea) del provvedimento medesimo, mentre l’originale (cartaceo o digitale che sia) deve sempre contenere le indicazioni complete delle generalità delle parti.
La disciplina relativa alla riproduzione dei provvedimenti giudiziari è stata fin qui contenuta negli artt. 51 e 52 del d.lgs. n. 196 del 2003.
In relazione alla diffusione dei provvedimenti giurisdizionali, l’art. 51, 2° comma, stabilisce che «le sentenze e le altre decisioni dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet», osservando le cautele previste dal medesimo capo III del codice, ovvero dal successivo art. 52, che contiene disposizioni relative ai dati identificativi degli interessati.
L’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003[5] prevede che l’omissione dei dati anagrafici possa essere disposta dall’autorità giudiziaria su richiesta dell’interessato, per motivi legittimi, con specifica annotazione (1° comma), ovvero anche d’ufficio, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati (2° comma). L’annotazione è volta a precludere l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento, in caso di loro riproduzione.
Ulteriori ipotesi di divieto di diffusione dei dati identificativi sono individuate dall’art. 52, 5° comma, che si applica, anche in assenza di decreto dell’autorità che ha pronunciato la sentenza o adottato il provvedimento, sia nelle ipotesi previste dall’art. 734-bis c.p. relativamente alle persone offese da atti di violenza sessuale, sia ogniqualvolta è possibile desumere anche indirettamente l’identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone, e che si riferisce a tutti i dati, pure se relativi a terzi, dai quali è possibile risalire all’identità delle precisate persone.
Al di fuori delle ipotesi richiamate di anonimizzazione contenute nell’art. 52, il 7° comma del medesimo articolo, in chiusura, stabilisce che «è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali».
È duopo interrogarsi, quindi, su quale sia stata l’incidenza del nuovo regolamento su tali disposizioni?
Il d.lgs. n. 101 del 2018, adottato per consentire l’adeguamento della normativa interna al regolamento (UE) 679/2016, diversamente da quanto previsto nello schema presentato alle camere, mantiene in vigore l’art. 51 d.lgs. n. 196 del 2003, che costituisce la base giuridica per i servizi telematici e della pubblicazione on line delle sentenze e su cui si basano anche le norme del codice dell’amministrazione digitale sulla pubblicità delle decisioni su internet.
Riguardo all’art. 52, il d.lgs. n. 101 del 2018 sopprime le parole «per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica», modificando altresì i riferimenti normativi riguardanti la disciplina del collegio arbitrale per i lavori pubblici. [6]
La disciplina concernente la divulgazione dei provvedimenti giudiziari vede pertanto l’estensione dell’obbligo di omettere – su richiesta dell’interessato per motivi legittimi o d’ufficio, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati nei casi previsti dalla legge — le generalità e gli altri dati identificativi riportati sulla sentenza o provvedimento in ogni caso di loro riproduzione, in qualsiasi forma, da chiunque disposta.
Dal mantenimento dell’art. 51 cod. privacy si può ritenere che, al di là di quanto da ultimo richiamato, nella sostanza nulla sia cambiato rispetto alla disciplina antecedente con riferimento alla modalità di divulgazione delle decisioni dell’autorità giudiziaria.
Il decreto legislativo, invero, rafforza la base legale per la diffusione della giurisprudenza. Infatti, prima delle disposizioni relative ai settori specifici – tra cui i «trattamenti in ambito giudiziario» in cui sono ricompresi gli artt. 51 e 52 contenuti nel capo III, dedicato all’informatica giuridica – il d.lgs. n. 101 del 2018 inserisce l’art. 45-bis sulla «base giuridica», all’interno di un nuovo «titolo 0.I». La norma prevede che le disposizioni della parte II, «disposizioni relative a specifici settori», sono stabilite in attuazione dell’art. 6, par. 2, nonché dell’art. 23, par. 1, del regolamento. Si tratta della base legale per la liceità del trattamento e delle limitazioni, relative anche alla salvaguardia dell’indipendenza della magistratura e dei procedimenti giudiziari (art. 23, par. 1, lett. f GDPR).
Se gli artt. 51 e 52 costituiscono la base legale per la liceità del trattamento, ai sensi dell’art. 45-bis cod. privacy, vuol dire che, al di fuori dei casi in cui sia disposta l’anonimizzazione o debba procedersi all’oscuramento dei dati nei casi previsti dalla legge, la diffusione integrale delle decisioni giudiziarie di ogni ordine e grado è sempre consentita, anche attraverso la pubblicazione da parte dell’autorità giudiziaria su Internet e l’inserimento in banche dati, come «ItalgiureWeb» – il cui accesso è circoscritto a un numero definito di utenti (magistrati, pubblica amministrazione, avvocati, università, biblioteche, con accesso riservato o su abbonamento) e con livelli diversificati di contenuti in ragione della tipologia dell’utente – o l’archivio «SentenzeWeb», liberamente accessibile da Internet limitatamente alle decisioni degli ultimi cinque anni e non indicizzabile con gli ordinari motori di ricerca.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005, più volte modificato, di seguito anche “CAD”), a tal fine, prevede, all’articolo 56, una disciplina specifica riguardante i dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado, stabilendo, accanto a una regolamentazione delle questioni pendenti dinanzi al giudice amministrativo e contabile e alle relative decisioni, che i dati identificativi delle questioni pendenti, le sentenze e le altre decisioni depositate in cancelleria o segreteria dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono, comunque, rese accessibili ai sensi dell’art. 51 del codice in materia di protezione dei dati personali approvato con decreto legislativo n. 196 del 2003 (comma 2-bis).
Sulle banche dati di giurisprudenza, in particolare, va evidenziato che il centro elettronico di documentazione (Ced) della Corte di cassazione[7] svolge una funzione di interesse pubblico, riconosciuta dall’ordinamento, per diffondere la conoscenza della normativa, della giurisprudenza e della dottrina giuridica. Tali elementi consentono di richiamare l’interesse che è alla base della piena conoscenza delle decisioni giudiziarie.
3.1. Ipotesi e modalità di oscuramento dei dati personali contenuti nei provvedimenti adottati dagli organi giurisdizionali
L’anonimizzazione riguarda soltanto le persone fisiche e non gli enti o le persone giuridiche, cui la disciplina sulla tutela dei dati personali non si applica.
Sulla scorta delle disposizioni sopra riportate, è possibile individuare tre diverse ipotesi nelle quali può o deve porsi il problema dell’oscuramento dei dati personali contenuti nei provvedimenti adottati dagli organi giurisdizionali:
- richiesta di oscuramento proveniente da una delle parti, ai sensi dei commi 1 e 2, dell’art. 52;
- oscuramento disposto dal giudice, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati, ai sensi del comma 2 del medesimo art. 52;
- oscuramento obbligatorio dei dati concernenti le ipotesi previste dall’art. 734-bis c.p. relativamente alle persone offese da atti di violenza sessuale, sia all’identità dei minori o delle parti di giudizi concernenti rapporti di famiglia e stato delle persone, a norma del comma 5 dell’art. 52.
Con particolare riferimento ai “motivi legittimi” in base a quali l’interessato può chiedere l’oscuramento, la richiesta deve essere avanzata con domanda depositata nella cancelleria, prima che sia definito il grado di giudizio. In questo caso, il vaglio è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice. Ciò consente un bilanciamento in concreto del diritto alla conoscenza rispetto alla riservatezza invocata dall’interessato, consentendo secondo una possibile lettura il rilievo di un “motivo comunque opportuno”.[8]
Anche l’oscuramento d’ufficio impone al giudice di dover valutare la sussistenza dei presupposti che inficiano i diritti e la dignità degli interessati.
Secondo parte della dottrina, il comma 2 opera come una norma in bianco, posta a presidio dei diritti e della dignità degli interessati, rinviando, tra le altre, alla disciplina generale in materia di tutela dei dati personali.[9]
Tra le diverse disposizioni possono essere richiamate l’art. 9 del Regolamento (UE) 679/2016, in relazione a quei dati che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché i dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona, nonché l’art. 10 GDPR, secondo cui il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza sulla base dell’articolo 6, paragrafo 1, deve avvenire soltanto sotto il controllo dell’autorità pubblica, letto in combinato con l’art. 2-octies, comma 3, lett. e) del Codice della Privacy.
In presenza della ricorrenza di questi dati, in ragione della rilevanza degli interessi coinvolti, l’ordinamento sembrerebbe vincolare il potere di oscuramento d’ufficio del giudice, escludendo ogni valutazione discrezionale circa la facoltà di provvedervi. Il trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e a reati o a connesse misure di sicurezza, in questi termini, sarebbe pertanto consentito per ragioni di giustizia, ma non anche a fini di informatica giuridica o di trasparenza ex art. 52 d.lgs. 196 del 2003 e art. 56 del CAD.
Riguardo alla tipologia dei provvedimenti l’anonimizzazione concerne non solo le sentenze, ma anche i provvedimenti resi nella forma dell’ordinanza o del decreto i quali, sebbene non chiudano il giudizio, assumono, comunque, una valenza esterna e un tasso di pubblicità (mediante la pubblicazione sul sito) per alcuni profili analogo a quello delle sentenze.
Sulle modalità con le quali si procede all’anonimizzazione, va precisato che l’oscuramento concerne non solo le generalità delle parti (nome, cognome, codice fiscale, luogo e data di nascita, domicilio, ecc.) ma tutti i <dati identificativi> dell’interessato, ovvero qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale, che permetta <l’identificazione diretta dell’interessato”> (art. 4, comma 1, lettera b, del codice). Si pensi ad esempio: PEC, numero di telefono, indirizzo abitativo, sede di lavoro, ecc.
4. L’esperienza dell’oscuramento dei dati nelle giurisdizioni italiane: Corte costituzionale, Corte di cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti
Dopo l’inquadramento della disciplina generale, saranno presentate alcune esperienze delle Corti superiori italiane, la Corte costituzionale, la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.
4.1. Corte costituzionale
La Corte costituzionale ha inaugurato da circa un ventennio[10] una giurisprudenza molto attenta alla tutela della privacy. Manca un’autoregolamentazione scritta al riguardo, come pure un espresso rinvio al GDPR all’interno delle norme integrative.
In loro assenza, il trattamento dei dati personali rimane regolato dalle prassi diffuse, che attestano una sufficiente duttilità della Corte.
Nello svolgimento della sua attività giurisdizionale, la Corte tutela la riservatezza siglando i nomi dei soggetti coinvolti. La siglatura, a differenza di quella praticata dalla magistratura ordinaria e amministrativa, non è però un’operazione realizzata ex post, cioè solo una volta che il provvedimento adottato circola per fini di studio e ricerca; è infatti la decisione stessa (sia sentenza che ordinanza) a “nascere” con l’omissione dei nomi delle parti.
Per una migliore comprensione delle prassi o delle linee di tendenza che la Corte segue in questo ambito, sono state quindi esaminate le pronunce emesse nel biennio 2019-2020, cercando di riassumerne i dati più rilevanti.
Ne è emersa, come si dirà subito infra, una prassi a volte ancora fluttuante, anche in base, non è da escludere, alla diversa sensibilità dei giudici redattori, a volte invece ben delineata.
Quanto al dato statistico[11], può evidenziarsi che nel 2019, la Corte ha adottato 291 provvedimenti giurisdizionali. Di questi, 171 provengono da giudizi in via incidentale (128 sentenze, 43 ordinanze); 95 da giudizi in via principale, 4 da giudizi per ammissibilità conflitto tra poteri, 1 emesso su conflitto tra poteri, 13 su conflitti tra enti, 7 (ordinanze) per correzione di errore materiale.
Nel 2020 (fino al 21 novembre), risultano depositati 243 provvedimenti, di cui 140 emessi su giudizi in via incidentale (103 sentenze e 37 ordinanze), 78 in via principale, 15 su giudizi di ammissibilità conflitti tra poteri, 1 ordinanza su giudizio ammissibilità referendum, 5 su giudizio di attribuzione tra enti, 4 ordinanze di correzione di errore materiale.
Data la natura dei giudizi che si svolgono innanzi la Corte, la tematica della riservatezza e il conseguente profilo dell’oscuramento dei dati personali, può interessare in realtà solo le pronunce rese in sede di giudizi in via incidentale, nonché quelle adottate in sede di conflitto tra poteri e di ammissibilità del conflitto.
Sono questi infatti i giudizi in cui sono o possono essere presenti persone fisiche (sia come parti del giudizio, che come terzi interessati) per le quali potrebbero ravvisarsi esigenze di tutela di riservatezza. Può già evidenziarsi che, per quanto riguarda le persone giuridiche, la tendenza è invero a non oscurarne le generalità, salvo il caso in cui nella denominazione siano presenti elementi tali da rendere identificabile la persona fisica titolare.
Fatte queste premesse, si rileva che nel 2019, le pronunce oscurate hanno rappresentato quasi il 52% dei provvedimenti adottati, mentre nel 2020, il 58%.
Sulla base della classificazione seguita in SIGICO, sono state individuate 5 aree tematiche o materie in cui ricondurre le pronunce esaminate: penale e procedura penale, civile e procedura civile, amministrativo, lavoro e previdenza sociale, tributario.
1) “Penale e procedura penale”.
È evidente come in questo ambito l’esigenza di riservatezza sia particolarmente avvertita e conseguentemente tutelata. Nei giudizi pervenuti alla Corte, riguardanti detta materia (reati e pene, processo penale, ordinamento penitenziario o procedimenti di sorveglianza), sono invero coinvolti soggetti, imputati, condannati o detenuti, per i quali l’anonimizzazione è obbligatoria prima ancora che opportuna. La totalità delle pronunce (41 nel 2019 e 50 nel 2020) è stata infatti oscurata, sia nelle epigrafi del provvedimento, che nel testo stesso. Va però segnalato che a volte, pur essendo riportate nell’epigrafe le iniziali della parte, nel “Ritenuto in fatto” manca un riferimento specifico alla persona, che viene genericamente indicata come “imputato”, “condannato”, “detenuto”, “ricorrente”, in tal modo garantendo la privacy dell’interessato senza bisogno di riportarne le generalità debitamente siglate.
2) “Civile e procedura civile”.
Le pronunce esaminate evidenziano come ci sia un’uniforme tendenza ad oscurare le generalità delle parti allorquando siano coinvolti minori o dati afferenti allo status delle persone o a particolari situazioni di salute.
Accanto a detti casi, in cui è evidente la necessità dell’oscuramento, si registrano tuttavia provvedimenti con nomi siglati in cui l’esigenza di tutela della privacy non emerge così nitidamente. Ci si riferisce a quelle pronunce emesse in materia di risarcimento danni derivanti da circolazione stradale o indennizzo per equa durata del processo, ovvero in sede di esecuzione mobiliare, o in materia di spese processuali. In molti di questi casi, è lo stesso atto di promovimento a non contenere i dati omessi, mentre la Corte ha invece scelto di oscurare in ogni caso.
3) “Amministrativo”.
In questa materia, si rileva una sensibilità particolare nelle questioni riguardanti il pubblico impiego, con specifico riguardo al conferimento di incarichi dirigenziali e alle sanzioni amministrative. Ma non sono mancate tuttavia eccezioni, per cui, diversamente da quanto accade per le pronunce dell’area “penale”, qui non può dirsi ancora formato un orientamento consolidato.
Invero, si registrano provvedimenti che, pur riguardando sanzioni, come quelle sportive, o cause di ineleggibilità o incompatibilità, non sono stati tuttavia anonimizzati.
Accanto a questi casi, vi sono invece provvedimenti che pur vertenti su questioni di edilizia o di riorganizzazione di enti, dove l’esigenza di privacy non è chiaramente evincibile e il cui atto di promovimento non è stato previamente oscurato, presentano invece i nomi delle parti siglate.
Uno sguardo particolare meritano infine le ordinanze emesse sui giudizi per l’ammissibilità dei conflitti tra poteri nell’anno corrente. Mentre negli anni precedenti, allorché il conflitto era promosso da parlamentari coinvolti in fattispecie penali, si era registrata una tendenza a indicare esplicitamente i nomi dei parlamentari, anteponendo alla riservatezza il diritto di cronaca e di informazione, nelle quattro pronunce del 2020 tale orientamento sembra oscillare: due ordinanze riportano le iniziali del parlamentare (n. 69 e n. 148), mentre le altre due non sono oscurate (n. 82 e 129). Con riguardo alla presenza di minori interessati, cfr. ad esempio sent. n. 135 del 2019 dove il giudizio a quo riguardava l’adottabilità di un minore, n. 237 del 2019 sul riconoscimento del figlio nato all’estero da parte di genitori dello stesso sesso o sent. n. 230 del 2020 o sent. n. 127 del 2020; con riguardo alle particolari situazioni di salute, sent. 55 del 2019 sull’indennizzo per vaccinazioni raccomandate; o con riguardo allo status, sent. n.114 e 144 del 2019 allorchè l’interessato è affiancato da un amministratore di sostegno.
Da segnalare inoltre la particolarità di quest’ultima pronuncia (n. 129), dove il nome del parlamentare che ha sollevato il conflitto è riportato, come detto, per esteso, mentre è indicato con le sole iniziali il nome del terzo interessato. In questo caso, si è scelto di accordare prevalenza alla privacy del terzo, pur comparendo il suo nome per intero nel ricorso iniziale.
4) “Lavoro e previdenza sociale”.
In questo campo, mentre nel 2019 c’è stata un’apparente apertura verso la pubblicità e quindi l’integralità dei provvedimenti, nel 2020, si assiste ad una diffusa pratica di anonimizzazione, vertendo la maggioranza delle questioni sul riconoscimento di benefici previdenziali in favore di stranieri o figli minori, o di pensioni di inabilità. Come segnalato nelle aree precedenti, anche per questo campo, la Corte ha spesso scelto la via del maggior garantismo, rispetto a quella della pubblicità, pur a fronte di atti di promovimento non contenenti dati oscurati.
5) “Tributario”.
Anche in questa area non si registra un orientamento univoco: accanto a pronunce oscurate, ne sono presenti altre con i nomi per esteso. Può altresì osservarsi per le poche pronunce oscurate (una nel 2019, sei nel 2020) che, in poco più della metà dei casi, l’atto di promovimento non era a sua volta oscurato. Per quanto riguarda la fase successiva della pubblicazione sul sito Internet istituzionale, si sono registrati casi in cui l’oscuramento è stato effettuato solo sull’oggetto della pronuncia riportato nel motore di ricerca, e non già nella pronuncia stessa che invece è integrale (es. ord. n. 39 del 2019).
Merita infine evidenziare che le undici ordinanze per correzione di errore materiale, adottate nel biennio in questione, non hanno mai riguardato ipotesi di successive anonimizzazione dei provvedimenti. È questo infatti un intervento che, al momento, viene effettuato dalla Cancelleria, allorché, come invero già successo, dopo la pubblicazione della pronuncia in Gazzetta Ufficiale e sul sito Internet della Corte stessa, la parte interessata abbia rivolto apposita istanza di oscuramento dei propri dati ivi contenuti. In tali casi, d’intesa col Presidente della Corte, la Cancelleria provvede a comunicare un’apposita rettifica alla Gazzetta Ufficiale, contenente il testo della pronuncia debitamente anonimizzato, al fine di una sua pubblicazione.
4.2. Corte di cassazione
I due principali archivi di giurisprudenza della Corte di cassazione[12], gestiti dalla Centro elettronico di documentazione (Ced), sono «ItalgiureWeb» – il cui accesso è circoscritto a un numero definito di utenti (magistrati, pubblica amministrazione, avvocati, università, biblioteche, con accesso riservato o su abbonamento) e con livelli diversificati di contenuti in ragione della tipologia dell’utente – e l’archivio «SentenzeWeb», liberamente accessibile da Internet limitatamente alle decisioni degli ultimi cinque anni e non indicizzabile con gli ordinari motori di ricerca.
Il Ced svolge una funzione di interesse pubblico, riconosciuta dall’ordinamento, per diffondere la conoscenza della normativa, della giurisprudenza e della dottrina giuridica.
Alla protezione dei dati personali nella riproduzione dei provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica è dedicato un Decreto del Primo Presidente della Corte di cassazione n. 178 del 2016.
La finalità del decreto è di assicurare la più ampia informazione in ordine alle decisioni della Corte di cassazione nel rispetto del diritto alla protezione dei dati personali, in conformità con le Linee guida adottate dal Garante per la protezione dei dati personali relativamente alla riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica nel rispetto dell’art. 52 del Codice in materia di protezione dei dati personali (sulla base di decreto dell’Autorità che ha pronunciato la sentenza o adottato il provvedimento, emesso su istanza di parte o di ufficio, nei casi in cui ricorrano, rispettivamente, “motivi legittimi” addotti da chiunque sia interessato, o ragioni di “tutela dei diritti o della dignità degli interessati” ravvisati direttamente dal giudice; anche in assenza di decreto dell’Autorità che ha pronunciato la sentenza o adottato il provvedimento, sia nelle ipotesi previste dall’art. 734-bis cod. pen. relativamente alle persone offese da atti di violenza sessuale, sia ogniqualvolta è possibile desumere anche indirettamente l’identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone).
Già le Cancellerie centrali (civile e penale) provvedono a segnalare quei procedimenti in cui sia stata presentata richiesta di oscuramento o rientrino nelle ipotesi di oscuramento obbligatorio, attraverso un’apposita stampigliatura sul fascicolo.
A questo primo filtro, deve seguire poi il controllo dei magistrati addetti all’esame preliminare dei ricorsi i quali dovranno verificare se i procedimenti per i quali sia obbligatoria l’anonimizzazione o per i quali possano comunque sussistere i presupposti per l’oscuramento, siano stati debitamente segnalati, altrimenti provvedono essi stessi a far inserire la relativa annotazione.
Nei casi di oscuramento obbligatorio o di accoglimento dell’apposita istanza, i singoli Collegi provvederanno ad annotare sui ruoli di udienza che prima di procedere alla diffusione in Internet (Italgiureweb, Servizio Novità e Sentenze Web del sito della Corte di cassazione) del provvedimento, si dovrà procedere al relativo oscuramento, operazione che spetta poi all’Ufficio C.E.D.
Analoga segnalazione dovrà poi provenire dall’Ufficio del Massimario ai fini della massimazione o inserimento nel sito “Servizio Novità”.
In ogni caso, spetta poi all’estensore indicare alla Cancelleria i dati da oscurare sottolineando con una linea continua le parole o i dati non ostensibili.
4.3. Consiglio di Stato
Con riferimento al Consiglio di Stato, quale uno degli organi ausiliari previsti dalla Costituzione italiana (art. 100 Cost.), assieme al Cnel e alla Corte dei conti, tra le cui competenze rientrano sia attività di carattere consultivo che giurisdizionale, in ottemperanza alle previsioni del GDPR, in particolare gli artt. 30 e 37, è stato adottato il registro delle attività di trattamento[13] (cfr. decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 153 del 22 ottobre 201862) ed individuato il responsabile della protezione dei dati personali.
Il Registro raccoglie[14] ed elenca schematicamente i trattamenti dei dati personali eseguiti dal plesso della giustizia amministrativa, indicandone la tipologia (come, per quanto qui di interesse, la gestione dell’attività giurisdizionale e consultiva e delle attività ad essa connesse, con riferimento, ad esempio, alle spese di giustizia) e le finalità, e contiene le seguenti informazioni: finalità del trattamento;categorie di interessati e dei dati trattati; categorie dei destinatari; ove possibile, i termini previsti per la cancellazione dei dati; ove possibile, una descrizione generale delle misure di sicurezza tecniche ed organizzative applicate.
Tutti i provvedimenti del Consiglio di Stato (come pure quelli dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Giustizia per la Regione Siciliana) sono pubblicati sul sito Internet istituzionale, rendendoli liberamente e gratuitamente accessibili al pubblico, in ottemperanza a quanto previsto non solo dal più volte citato art. 51 del d.lgs. 196 del 2003, ma, con particolare riferimento alle decisioni del giudice amministrativo, anche dall’art. 56, comma 2, del Codice Amministrazione digitale, secondo cui “Le sentenze e le altre decisioni del giudice amministrativo e contabile, rese pubbliche mediante deposito in segreteria, sono contestualmente inserite nel sistema informativo interno e sul sito istituzionale, osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali”.
In questo quadro, la questione dell’oscuramento degli estremi identificativi delle parti processuali che siano persone fisiche o dei terzi interessati dal giudizio acquista un rilievo particolare e l’esigenza di minimizzare i rischi di violazione della privacy in sede di pubblicazione dei provvedimenti e di indebita diffusione dei dati è particolarmente avvertita e perseguita.
Pertanto, nelle ipotesi più volte viste dell’art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003, il Collegio o il Presidente in sede monocratica, dispone l’oscuramento o su istanza di parte, valutando la legittimità dei motivi, oppure d’ufficio, quando lo ritenga funzionale alla tutela dei diritti e alla dignità degli interessati, o ancora nelle ipotesi di oscuramento obbligatorio.
L’anonimizzazione in sede di redazione del provvedimento viene ordinata dal relatore mediante apposizione dell’apposita annotazione sul provvedimento stesso che preclude l’indicazione dei dati identificativi in sede di pubblicazione.
Il provvedimento quindi è integro ma l’apposizione della formula (che varia in base alle diverse opzioni di cui all’art. 52) comporta un obbligo per le segreterie di procedere al correlativo oscuramento in fase di pubblicazione sul sito Internet o in caso di rilascio copie.
La clausola apposta ha efficacia non solo ai fini della diffusione del provvedimento attraverso la pubblicazione sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, ma vale anche nei confronti dei terzi, nel senso che comporta il divieto di diffusione del dato “sensibile” da parte di chiunque.
È chiaro che l’esigenza di anonimizzazione viene in rilievo non solo nella pubblicazione dei provvedimenti giudiziari, ma anche per altri atti funzionali al processo stesso, come i ruoli di udienza, anche essi pubblicati sul sito della G.A. (in tal caso, con l’indicazione delle sole iniziali del prenome e del cognome e di ogni altro dato idoneo a rivelare l’identità delle parti), o come la notifica per pubblici proclami, soprattutto quando quest’ultima avviene tramite pubblicazione sui siti Internet delle Amministrazioni.
Le tipologie di controversie spettanti al giudice amministrativo per le quali, per la specifica materia trattata, ricorre l’esigenza di privacy sono diverse e si verificano nella maggioranza dei casi.
Merita di evidenziare che, come pure segnalato in un parere dell’Ufficio studi della Giustizia amministrativa dell’8 marzo 2017 (all. 4), nel caso in cui il giudice non abbia disposto d’ufficio l’anonimizzazione pur in presenza di un’ipotesi di oscuramento obbligatorio, ovvero nell’ipotesi in cui la richiesta di oscuramento facoltativo ritualmente presentata nel corso del giudizio non sia stata esaminata dal Collegio, un possibile rimedio a tutela degli interessati si è rivelato essere il procedimento di correzione di errore materiale.
4.4. Corte dei conti
La Corte dei conti svolge funzioni di controllo (art. 100 Cost.) e funzioni giurisdizionali nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge (art. 103 Cost.).
Accanto a queste, svolge anche funzioni consultive (pareri al Governo ed ai Ministri in ordine ad atti normativi e provvedimenti; pareri in materia di contabilità pubblica a richiesta di regioni, comuni ed enti locali).
L’art. 103 della Costituzione attribuisce alla Corte la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica, pensioni civili, militari e di guerra. La Corte è competente a giudicare agenti contabili, amministratori e funzionari pubblici sulle materie che riguardano la gestione del pubblicodenaro.
Il Segretario generale della Corte dei conti ha adottato una nota riguardante l’anonimizzazione delle sentenze in banca dati esposta su Internet.
Riguardo alla materia pensionistica, la nota prevede, quale cautela di carattere generale, stante la natura delle controversie stesse, l’omissione da tutte le sentenze pubblicate su internet le generalità delle parti persone fisiche (nome, cognome, codice fiscale, luogo e data di nascita, domicilio, ecc.). Ciò viene effettuato nell’epigrafe e nel corpo del provvedimento, anche avallandosi della procedura automatizzata predisposta dalla Corte; l’operatore che effettua l’anonimizzazione avrà cura di verificare sul provvedimento il buon esito della procedura stessa e, ove essa non abbia restituito il risultato atteso, interverrà manualmente per omettere le generalità rimaste nel testo.
Particolare attenzione la nota riserva alle seguenti fattispecie: a) qualora il giudice abbia disposto ex art. 52, comma 2, del codice in materia di protezione dei dati personali l’oscuramento dei dati identificativi nei confronti di uno o più interessati (parti o terzi); b) anche in mancanza di provvedimento del giudice, qualora la sentenza contenga <le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l’identità di minori oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone>; lo stesso è a dirsi nei riguardi delle persone offese dai reati sessuali di cui all’art. 609-bis codice penale (art. 52, comma 5, del codice in materia di protezione dei personali); c) in ogni caso, qualora la sentenza contenga <dati idonei a rivelare lo stato di salute> (art. 22, comma 8, del codice in materia di protezione dei dati personali) di una persona, sia essa parte o terza.
Per le sentenze in materia di contabilità, stante l’interesse della collettività a conoscere le fattispecie di danno erariale e stante il diritto dei diretti interessati di richiedere per motivi legittimi ed eventualmente ottenere l’omissione dei propri dati identificativi ex art. 52 la nota non prevede la necessità di oscurare le generalità delle parti in tutte le sentenze pubblicate su Internet.
5. Considerazioni conclusive: l’approccio tecnologico, tramite l’intelligenza artificiale come una possibile via per la pseudo-anonimizzazione
In base a quanto esposto, è certo che la pubblicità dei procedimenti giudiziari e il diritto di informazione sono beni difficilmente comprimibili, per cui occorrono ragioni forti e la salvaguardia di diritti prevalenti per restringele.
È, allora, opportuno interrogarsi – pur nella consapevolezza delle rapidissime evoluzioni cui il diritto delle nuove tecnologie ci ha abituati – quale possa essere il possibile punto d’incontro tra innovazione e tutela dei diritti fondamentali, tra i quali rientra il diritto alla riservatezza, in tutte le sue espressioni, incluso il diritto alla privacy.
Volendo provare a prospettare possibili soluzioni in tal senso, la riduzione dell’impatto dei dati personali all’interno delle singole pronunce, anche al fine di semplificare gli interventi di oscuramento, facilitando la pubblicazione online delle decisioni, potrebbe essere assicurata attraverso l’adozione di tecniche redazionali che escludano la necessità di riportare più di quanto strettamente necessario i nomi delle parti all’interno della motivazione.
Un esempio è il limitare il riferimento specifico alla persona, che viene genericamente indicata come “imputato”, “condannato”, “detenuto”, “ricorrente”, in tal modo garantendo la privacy dell’interessato senza bisogno di riportarne le generalità debitamente siglate.
In generale, tali soluzione dovrebbero avere tre fasi:
- una fase di apprendimento (training) del sistema che permetterà all’applicativo di imparare, tramite l’analisi di migliaia di sentenze in entrambe le versioni (pseudo- anonimizzate e non), cosa e come pseudo-anonimizzare, creando delle categorie e alimentando dei dizionari;
- una fase di test, dove il sistema metterà in pratica su nuove sentenze l’apprendimento della fase precedente;
- una fase di esercizio dove: o il sistema proporrà automaticamente all’utente le sentenze da pseudo- anonimizzare; o l’utente alimenterà le categorie e il dizionario in base alle nuove necessità che dovrebbero crearsi.
È da segnalare che progetti di questo tipo sono in fase di sperimentazione sia da parte della Corte di Cassazione sia dal Consiglio di Stato.
Il CED Della Corte di Cassazione è parte attiva di un progetto di ricerca con il ministero della giustizia e l’Università della Campania che ha l’obiettivo di realizzare un software basato su tecniche di machine learning a supporto dell’attività di anonimizzazione dei dati relativi alle sentenze civili e penali.
I lavori sono partiti dopo l’estate 2019 e nelle prime riunioni sono state individuate ed affinate le categorie (parti, indirizzi, terze parti, testimoni, codici fiscali ed altri identificativi), che possono essere potenzialmente oggetto di anomizzazione/pseudonimizzazione e che, quindi, si intende ricercare nei testi.
Lo scopo allo stato è realizzare un proof of concept dell’applicazione di tali tecniche a casi esemplificativi della problematica, un sistema duttile che consenta per ora l’individuazione di tali categorie lasciando poi ad un successivo passaggio la decisione, prettamente giuridica ed a seconda del contesto, di procedere o meno all’anonimizzazione ed in quali forme.
Il software, attraverso una fase di addestramento iniziale, sarà in grado di riconoscere le parti della sentenza oggetto di anonimizzazione e potrà evidenziarle opportunamente utilizzando un sistema di annotazioni e tag. L’operatore visionerà la singola sentenza in cui sono stati messi in evidenza i dati da anonimizzare, e potrà decidere se accogliere o rigettare la proposta di anonimizzazione mostrata dal software. La lavorazione del documento verrà infine completata da un’attività di validazione da parte dell’operatore.