Questione sociale e giuridica dei limiti della conoscenza

Articolo a cura della Dott.ssa Mary Sequino

Questione sociale e giuridica dei limiti della conoscenza

Questione ridondante nel tempo è il trattamento sociale e giudico dei limiti alla conoscenza scientifica, che ritorna all’attenzione in virtù di peculiari riflessioni della giurisprudenza.
Il Ministero della Salute nel 2020 ha adottato una circolare intitolata ‘’ Gestione domiciliare dei pazienti affetti da Sars Covid-19’’1 al fine di fornire linee indicative. Il 26 aprile 2021 è stata poi aggiornata tale circolare e vi sono stati anche ulteriori aggiornamenti, che non attengono strettamente all’analisi.
In tali circolari sono state analizzate le terapie necessarie differenziando i pazienti affetti da Covid-19 con una infezione lieve e pazienti che hanno presentato una sintomatologia importante.
Per i casi da infezione lieve non è stata indicata alcuna terapia, tranne quelle di supporto. Il 26 aprile 2021, nell’aggiornamento, venivano indicati i trattamenti di pazienti con anticorpi monoclonali, venivano date indicazioni di farmaci da utilizzare e dei cortisonici nei soggetti sintomatici o asintomatici, ed è stato esplicitato il concetto di ‘’vigile attesa’’ intesa come costante vigilanza attiva.
Contro tali prescrizioni si è ricorso al Tar Lazio, il quale ha sottolineato il carattere vincolativo e la lesione delle prerogative dei medici, in particolare dell’autonomia e responsabilità di cura. Il Consiglio di Stato nella sent. 946/2022 ha invece riformulato la pronuncia dichiarando il ricorso inammissibile per difetto di interesse ad agire.
Questa presenta però due punti critici che si pongono sia sul piano giuridico che sul piano scientifico.
Per quanto di interesse sul piano giudico, attiene la valutazione dell’ammissibilità del ricorso di primo grado.
Tale ricorso ha avuto ad oggetto la disciplina esplicata nel 20172 dalle linee guida, a cui i sanitari sono tendenzialmente vincolati nell’ambito delle terapie mediche; e costituiscono scusante nell’ipotesi di danni causati nell’esecuzione di trattamenti sanitari che ad essi si sono rappresentati. La giurisprudenza amministrativa afferma che le linee guida impugnate nel ricorso contro il Tar Lazio sono diverse da quelle previste dalla legge del 2017, e non ne sostengono la natura vincolante.
Si presenta una statuizione che si fonda essenzialmente sul principio di interesse ad agire. Il ragionamento appare lineare se si tiene conto che la circolare non è vincolante; non ha efficacia lesiva sulla sfera di autonomia delle applicazioni di cure dei medici. Occorre precisare che il difetto del carattere vincolativo di tale documento non conduce necessariamente ad un difetto di interesse. Non c’è identità tra l’assenza di cogenza da parte di una prescrizione pubblica e l’assenza di lesione per la sfera giuridica dei destinatari. Appare venire ad evidenza, con tali prescrizioni, il cd.’’ soft law’’ – le cui prerogative riposano sul principio di effettività – parte dell’ordinamento statuale; considerazione che implica però irrilevanza totale delle linee guida.
Nemmeno si potrebbe dire che siano prive di efficacia. Lo stesso Consiglio di Stato nel momento in cui afferma che un medico sia libero di operare secondo le sue scelte, ma al contempo lo si obbliga – quando decide di discostarsene sotto la sua responsabilità – ad adottare un protocollo, si finisce comunque per circoscrivere la propria libertà.
Si può ben dire che questa limitazione deriva comunque dal rispetto delle regole del professionista perché è evidente che un medico non possa prescindere dalle indicazioni conseguenti all’esercizio della professione, ma è altrettanto ovvio che più si discosta e più accresce l’obbligo di motivare tale scelta.
Scelte libere espongono ad un maggior rischio la condotta medica.
Proprio per questo le linee guida del 2017 erano intervenute; per contrastare scelte terapeutiche suggerite dal caso concreto che avrebbero inficiato nella sfera giuridica del sanitario.
Occorre tener conto che in materia di vaccini, la Corte Costituzionale3 fissando l’obbligo di indennizzo in caso di conseguenze negative di scelte terapeutiche consigliate, ha naturalmente comportato su un “generale obbligo di affidamento alle prescrizioni raccomandate”.

La Corte costituzionale ha sostenuto che anche quando non vi sia un obbligo di vaccinazione e la vaccinazione sia soltanto raccomandata attraverso una campagna comunicativa considerevole, si svilupperebbe in una sorta di affidamento che induce ad optare per la vaccinazione anche se non obbligatoria. In questa materia, particolarmente, si è sottolineato come dalle raccomandazioni possa derivare un sentito obbligo giuridico – anche in assenza di un vero carattere vincolativo- in virtù della possibilità di un obbligo indennitario. Si ritiene ovvio un impatto sulle scelte dei medici di medicina generale che tendono a limitarsi nella scelta terapeutica.
Il problema quindi non sembra essere l’interesse ad agire ma la validità di queste linee guida; ed infatti la Corte entra nel merito della decisione.
Se c’è questa pre-supposizione di soft law, principio di legittimità ed anche ragioni di diritto allora non è sostenibile che vi sia un difetto ad agire.
Si chiede: la questione può essere elusa? Sembra di no, perché la decisione non si presenta come satisfattiva della pubblica opinione. C’è un giudizio di incertezza della stessa assolutezza.
Vi è un ulteriore punto critico, e di estremo interesse, sul piano epistemologico.
Una terapia deve fondarsi sulla evidenza scientifica, dice la pronuncia in questione4.
Perno della questione è il riferimento alle evidenze scientifiche. Tuttavia l’assenza di prove rispetto alla efficacia delle cure domiciliari, non significa assenza di beneficio. Il Consiglio di Stato sostiene che il giudizio di primo grado abbia espresso la non fondatezza di prove definitive sulla validità dei vaccini, ma ciò implica una conseguente prova sulla loro invalidità.
L’implicazione sarebbe fallace in base alla circostanza che qualora sia provato A, non implica che sia provato non A.
Il Consiglio di Stato ancora, dice di evitare farmaci che potrebbero essere dannosi e non suggerire farmaci di cui non vi siano evidenze scientifiche perpetrate.

La Evidence – based Medicine (EBM), ente di ricerca diffuso a livello internazionale, si fonda sul metodo induttivo sperimentale. La moderna epistemologia, che è il metodo cd. classico della fisica e delle scienze naturali, formula una ipotesi di soluzione del problema su base intuitiva, poi per deduzione si traggono le conseguenze di questa soluzione ipotizzata.
Se l’evento si produce si avrà una conferma provvisoria, ed occorreranno una serie di ulteriori conferme per stabilizzare la teoria. Gioca un ruolo determinante l’intuizione dell’operatore scientifico. Il Consiglio di Stato, in conclusione, fa un’affermazione a fondamento della sua tesi accostando intuizione e casualità, ossia cd. ‘’intuizioni casuali’’. L’intuizione è sempre casuale, ma la casualità non genera un ragionamento sempre sbagliato. Il problema è se ci sono o meno pubblicazioni scientifiche a sostegno. Il quesito che ridonda è se medicina moderna deve presupporre un consolidamento degli studi oppure possono affermarsi anche studi provvisori che siano di conforto ad un’ intuizione e possano essere sufficienti in momenti di incertezza scientifica dove non vi sono alternative valide? L’ordine giuridico deve affidarsi a valutazioni induttive o anche a conferme sperimentali provvisorie?
Il primo studio, ad oggetto un alternativo trattamento sanitario discostante rispetto a quello in vigore, è stato pubblicato il 25 maggio 2020 a nome di ‘Clinical and Medical Investigations’. Ripreso di recente, il 31 marzo 2022, conferma che le caratteristiche obiettive del virus non mutano dall’oggi al domani ed è possibile agire in maniera diversa, confermando l’attualità del protocollo proposto nel primo studio.
Tale che, anche se si ammettesse una motivazione diversa rispetto alla scelta del trattamento sanitario, non farebbe venir meno la validità di questo studio.
L’idea confermata dallo studio è su base intuitiva, e l’intuizione è uno strumento selettivo. Sul piano scientifico, si potrebbe mettere in dubbio, la validità delle linee guida ministeriali in virtù del fondamento che ha portato al disconoscimento di protocolli alternativi.
Se il disconoscimento è avvenuto per mancanza di sostegno scientifico, ma comunque si è introdotto il concetto di ‘vigile attesa’; si può dire che si sta consumando una risorsa terapeutica. Il motivo di tale affermazione è che la risorsa terapeutica è il tempo stesso e la tardività dell’intervento rileva peculiarmente.
La logica del protocollo alternativo è quello di un intervento precoce e questo principio è confermato oggi proprio sulla base dell’evidenza perché tanto gli anticorpi monoclonali quanto i nuovissimi antivirali devono essere assunti entro 5 giorni dai sintomi per sviluppare la loro efficacia. Il fattore tempo è decisivo.
Nella fase in cui è anche difficile ottenere una diagnosi tempestiva, si potrà immaginare una cura antinfiammatoria preventiva dove i danni sono minimi rispetto a quelli conseguenti alla evoluzione della malattia.
Il tema della opinabilità del diritto ritorna. La fallacia dell’iter giurisdizionale è la precauzione. La decisione dimostra di voler conferire autorevolezza più che alla decisione, al metodo. La fallacia ad ignorantiam viene adoperata per dire che non si hanno prove nè a favore nè contro, quindi in attuazione del principio di precauzione si opta per la vigile attesa. Potrebbe ben ritenersi che la lacuna sia rappresentata da una totale adesione al metodo classico, ossia induttivo sperimentale, e si dismette il ruolo dell’intuizione e le teorie che trovano conferma scientifica anche se provvisoria. È stato accantonato il ruolo dell’intuizione; quali premesse ritenute incomplete. Si coglie la connotazione umanistica nella circostanza che l’intelletto umano di fronte ad un problema nuovo debba necessariamente attendere anni per approntare dei sistemi sicuri.

Questione sociale e giuridica dei limiti della conoscenza

Questione ridondante nel tempo è il trattamento sociale e giudico dei limiti alla conoscenza scientifica, che ritorna all’attenzione in virtù di peculiari riflessioni della giurisprudenza.
Il Ministero della Salute nel 2020 ha adottato una circolare intitolata ‘’ Gestione domiciliare dei pazienti affetti da Sars Covid-19’’1 al fine di fornire linee indicative. Il 26 aprile 2021 è stata poi aggiornata tale circolare e vi sono stati anche ulteriori aggiornamenti, che non attengono strettamente all’analisi.
In tali circolari sono state analizzate le terapie necessarie differenziando i pazienti affetti da Covid-19 con una infezione lieve e pazienti che hanno presentato una sintomatologia importante.
Per i casi da infezione lieve non è stata indicata alcuna terapia, tranne quelle di supporto. Il 26 aprile 2021, nell’aggiornamento, venivano indicati i trattamenti di pazienti con anticorpi monoclonali, venivano date indicazioni di farmaci da utilizzare e dei cortisonici nei soggetti sintomatici o asintomatici, ed è stato esplicitato il concetto di ‘’vigile attesa’’ intesa come costante vigilanza attiva.
Contro tali prescrizioni si è ricorso al Tar Lazio, il quale ha sottolineato il carattere vincolativo e la lesione delle prerogative dei medici, in particolare dell’autonomia e responsabilità di cura. Il Consiglio di Stato nella sent. 946/2022 ha invece riformulato la pronuncia dichiarando il ricorso inammissibile per difetto di interesse ad agire.
Questa presenta però due punti critici che si pongono sia sul piano giuridico che sul piano scientifico.
Per quanto di interesse sul piano giudico, attiene la valutazione dell’ammissibilità del ricorso di primo grado.
Tale ricorso ha avuto ad oggetto la disciplina esplicata nel 20172 dalle linee guida, a cui i sanitari sono tendenzialmente vincolati nell’ambito delle terapie mediche; e costituiscono scusante nell’ipotesi di danni causati nell’esecuzione di trattamenti sanitari che ad essi si sono rappresentati. La giurisprudenza amministrativa afferma che le linee guida impugnate nel ricorso contro il Tar Lazio sono diverse da quelle previste dalla legge del 2017, e non ne sostengono la natura vincolante.
Si presenta una statuizione che si fonda essenzialmente sul principio di interesse ad agire. Il ragionamento appare lineare se si tiene conto che la circolare non è vincolante; non ha efficacia lesiva sulla sfera di autonomia delle applicazioni di cure dei medici. Occorre precisare che il difetto del carattere vincolativo di tale documento non conduce necessariamente ad un difetto di interesse. Non c’è identità tra l’assenza di cogenza da parte di una prescrizione pubblica e l’assenza di lesione per la sfera giuridica dei destinatari. Appare venire ad evidenza, con tali prescrizioni, il cd.’’ soft law’’ – le cui prerogative riposano sul principio di effettività – parte dell’ordinamento statuale; considerazione che implica però irrilevanza totale delle linee guida.
Nemmeno si potrebbe dire che siano prive di efficacia. Lo stesso Consiglio di Stato nel momento in cui afferma che un medico sia libero di operare secondo le sue scelte, ma al contempo lo si obbliga – quando decide di discostarsene sotto la sua responsabilità – ad adottare un protocollo, si finisce comunque per circoscrivere la propria libertà.
Si può ben dire che questa limitazione deriva comunque dal rispetto delle regole del professionista perché è evidente che un medico non possa prescindere dalle indicazioni conseguenti all’esercizio della professione, ma è altrettanto ovvio che più si discosta e più accresce l’obbligo di motivare tale scelta.
Scelte libere espongono ad un maggior rischio la condotta medica.
Proprio per questo le linee guida del 2017 erano intervenute; per contrastare scelte terapeutiche suggerite dal caso concreto che avrebbero inficiato nella sfera giuridica del sanitario.
Occorre tener conto che in materia di vaccini, la Corte Costituzionale3 fissando l’obbligo di indennizzo in caso di conseguenze negative di scelte terapeutiche consigliate, ha naturalmente comportato su un “generale obbligo di affidamento alle prescrizioni raccomandate”.

La Corte costituzionale ha sostenuto che anche quando non vi sia un obbligo di vaccinazione e la vaccinazione sia soltanto raccomandata attraverso una campagna comunicativa considerevole, si svilupperebbe in una sorta di affidamento che induce ad optare per la vaccinazione anche se non obbligatoria. In questa materia, particolarmente, si è sottolineato come dalle raccomandazioni possa derivare un sentito obbligo giuridico – anche in assenza di un vero carattere vincolativo- in virtù della possibilità di un obbligo indennitario. Si ritiene ovvio un impatto sulle scelte dei medici di medicina generale che tendono a limitarsi nella scelta terapeutica.
Il problema quindi non sembra essere l’interesse ad agire ma la validità di queste linee guida; ed infatti la Corte entra nel merito della decisione.
Se c’è questa pre-supposizione di soft law, principio di legittimità ed anche ragioni di diritto allora non è sostenibile che vi sia un difetto ad agire.
Si chiede: la questione può essere elusa? Sembra di no, perché la decisione non si presenta come satisfattiva della pubblica opinione. C’è un giudizio di incertezza della stessa assolutezza.
Vi è un ulteriore punto critico, e di estremo interesse, sul piano epistemologico.
Una terapia deve fondarsi sulla evidenza scientifica, dice la pronuncia in questione4.
Perno della questione è il riferimento alle evidenze scientifiche. Tuttavia l’assenza di prove rispetto alla efficacia delle cure domiciliari, non significa assenza di beneficio. Il Consiglio di Stato sostiene che il giudizio di primo grado abbia espresso la non fondatezza di prove definitive sulla validità dei vaccini, ma ciò implica una conseguente prova sulla loro invalidità.
L’implicazione sarebbe fallace in base alla circostanza che qualora sia provato A, non implica che sia provato non A.
Il Consiglio di Stato ancora, dice di evitare farmaci che potrebbero essere dannosi e non suggerire farmaci di cui non vi siano evidenze scientifiche perpetrate.

La Evidence – based Medicine (EBM), ente di ricerca diffuso a livello internazionale, si fonda sul metodo induttivo sperimentale. La moderna epistemologia, che è il metodo cd. classico della fisica e delle scienze naturali, formula una ipotesi di soluzione del problema su base intuitiva, poi per deduzione si traggono le conseguenze di questa soluzione ipotizzata.
Se l’evento si produce si avrà una conferma provvisoria, ed occorreranno una serie di ulteriori conferme per stabilizzare la teoria. Gioca un ruolo determinante l’intuizione dell’operatore scientifico. Il Consiglio di Stato, in conclusione, fa un’affermazione a fondamento della sua tesi accostando intuizione e casualità, ossia cd. ‘’intuizioni casuali’’. L’intuizione è sempre casuale, ma la casualità non genera un ragionamento sempre sbagliato. Il problema è se ci sono o meno pubblicazioni scientifiche a sostegno. Il quesito che ridonda è se medicina moderna deve presupporre un consolidamento degli studi oppure possono affermarsi anche studi provvisori che siano di conforto ad un’ intuizione e possano essere sufficienti in momenti di incertezza scientifica dove non vi sono alternative valide? L’ordine giuridico deve affidarsi a valutazioni induttive o anche a conferme sperimentali provvisorie?
Il primo studio, ad oggetto un alternativo trattamento sanitario discostante rispetto a quello in vigore, è stato pubblicato il 25 maggio 2020 a nome di ‘Clinical and Medical Investigations’. Ripreso di recente, il 31 marzo 2022, conferma che le caratteristiche obiettive del virus non mutano dall’oggi al domani ed è possibile agire in maniera diversa, confermando l’attualità del protocollo proposto nel primo studio.
Tale che, anche se si ammettesse una motivazione diversa rispetto alla scelta del trattamento sanitario, non farebbe venir meno la validità di questo studio.
L’idea confermata dallo studio è su base intuitiva, e l’intuizione è uno strumento selettivo. Sul piano scientifico, si potrebbe mettere in dubbio, la validità delle linee guida ministeriali in virtù del fondamento che ha portato al disconoscimento di protocolli alternativi.
Se il disconoscimento è avvenuto per mancanza di sostegno scientifico, ma comunque si è introdotto il concetto di ‘vigile attesa’; si può dire che si sta consumando una risorsa terapeutica. Il motivo di tale affermazione è che la risorsa terapeutica è il tempo stesso e la tardività dell’intervento rileva peculiarmente.
La logica del protocollo alternativo è quello di un intervento precoce e questo principio è confermato oggi proprio sulla base dell’evidenza perché tanto gli anticorpi monoclonali quanto i nuovissimi antivirali devono essere assunti entro 5 giorni dai sintomi per sviluppare la loro efficacia. Il fattore tempo è decisivo.
Nella fase in cui è anche difficile ottenere una diagnosi tempestiva, si potrà immaginare una cura antinfiammatoria preventiva dove i danni sono minimi rispetto a quelli conseguenti alla evoluzione della malattia.
Il tema della opinabilità del diritto ritorna. La fallacia dell’iter giurisdizionale è la precauzione. La decisione dimostra di voler conferire autorevolezza più che alla decisione, al metodo. La fallacia ad ignorantiam viene adoperata per dire che non si hanno prove nè a favore nè contro, quindi in attuazione del principio di precauzione si opta per la vigile attesa. Potrebbe ben ritenersi che la lacuna sia rappresentata da una totale adesione al metodo classico, ossia induttivo sperimentale, e si dismette il ruolo dell’intuizione e le teorie che trovano conferma scientifica anche se provvisoria. È stato accantonato il ruolo dell’intuizione; quali premesse ritenute incomplete. Si coglie la connotazione umanistica nella circostanza che l’intelletto umano di fronte ad un problema nuovo debba necessariamente attendere anni per approntare dei sistemi sicuri.

Note

1. Ministero della Salute; Circolare del 10 febbraio 2020, in salute.gov.it
2. Legge 8 marzo2017, n.24, in salute.gov.it
3. Corte Costituzionale, sentenza n. 27 del 26.02.1998, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge 210/1992 nella parte in cui si prevedeva un obbligo vaccinale in violazione delle prescrizioni in materia di salute ex Art. 32 Cost., nel momento in cui si obbligava a sopportare il cittadino delle conseguenze negative.
4. Cons. St. 946/2022