To deal or not to deal: quando un contratto può dirsi concluso?

Articolo a cura di Lera Francesco

Contratto concluso

Premessa:
Quando un contratto può dirsi concluso?

La risposta a siffatto interrogativo potrebbe apparire prima facie banale: il nostro Codice Civile dispone espressamente, allart. 1326, comma 1, cod. civ, la regola generale per cui “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
Incontro tra proposta e accettazione, dunque. Pensando alle più comuni contrattazioni quotidiane, il meccanismo è intuitivo e non pone particolari problemi ermeneutici (ad esempio, l’acquisto di un giornale si perfeziona nel momento in cui l’edicolante acconsente alla richiesta in tal senso da parte dell’acquirente).
Quid iuris, tuttavia, nei casi in cui l’affare risulti particolarmente complesso, nella struttura e nel contenuto, sì da necessitare l’accordo delle parti su molteplici elementi? Si pensi alla compravendita di un bene immobile, o di partecipazioni societarie, in cui il fulcro dell’operazione consiste nel trasferimento della proprietà di detti beni a fronte della corresponsione di una certa somma di denaro, e in cui, tuttavia, l’accordo su tale “nucleo fondamentale” si accompagna a quello su una serie di altri elementi che gravitano attorno ad esso (ad esempio, le modalità di liberazione del bene da eventuali garanzie reali costituite a favore di terzi, i meccanismi di aggiustamento del prezzo, le modalità di corresponsione del prezzo medesimo).
In tali casi, l’interrogativo da cui si sono prese le mosse acquista pieno vigore: il contratto può dirsi concluso solo quando l’accordo sia intervenuto su tutti gli elementi propri del negozio? Oppure, è sufficiente il raggiungimento dell’intesa sul predetto “nucleo fondamentale”, salva la possibilità di integrare il contratto in un momento successivo?
Il tema è tutt’altro che irrilevante. Come è noto, il contratto costituisce una fonte delle obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., sì che la comprensione dei meccanismi che determinano l’insorgere dell’obbligazione stessa è di sicuro interesse per il contraente, che certamente vorrà evitare di ritrovarsi legato in un vincolo contrattuale senza aver maturato piena convinzione circa la convenienza dell’affare. Si pensi al caso del contratto di compravendita: se il contratto si perfezionasse a seguito del solo accordo sul bene oggetto di trasferimento e sul relativo prezzo, potrebbe frustrarsi la posizione del contraente per cui, in ipotesi, la modalità di versamento del prezzo fosse un elemento determinante del proprio consenso. La parte si ritroverebbe così legata in un vincolo contrattuale del quale non aveva valutato compiutamente l’opportunità, solo per aver manifestato il proprio consenso circa gli elementi essenziali del tipo negoziale (il bene da trasferirsi e l’ammontare del prezzo da corrispondersi).
D’altro lato, è intuitivo che non sarebbe ragionevole consentire ad un contraente di opporre all’altro l’assenza di accordo circa un qualsivoglia secondario elemento del negozio, al fine di sostenere il mancato perfezionamento del contratto (e di sottrarsi così all’adempimento delle relative obbligazioni). Ciò, anzi, contrasterebbe inevitabilmente con i canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., immanenti al nostro Ordinamento giuridico.
La risposta al nostro interrogativo deve allora essere indagata alla luce dei diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali che si sono formati sul tema, al fine di individuare una soluzione che possa portare risultati soddisfacenti quando applicati al caso concreto, e che fughi il rischio di eventuali condotte strumentali e contrarie ai predetti canoni di correttezza e buona fede.

I. La proposta contrattuale

Prima di tutto, però, occorre affrontare brevemente una questione preliminare, afferente alla proposta contrattuale e al suo contenuto. Se è vero, come si è visto, che l’accordo è normalmente raggiunto tramite accettazione di una proposta, bisogna allora in primo luogo interrogarsi su quale sia il contenuto di una valida proposta contrattuale, che sia suscettibile di essere accettata dall’altro contraente e dar luce al vincolo negoziale.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, concordemente con autorevole dottrina, ha costantemente affermato che la proposta deve innanzitutto essere completa, nel senso che deve includere tutti gli elementi essenziali del tipo contrattuale cui si riferisce (1). In secondo luogo, la Suprema Corte ha precisato che la proposta deve in ogni caso esprimere la volontà univoca del contraente di impegnarsi contrattualmente alle condizioni ivi indicate (2), sì che la proposta medesima “non deve essere accompagnata da riserve sul suo carattere attualmente impegnativo” (3).
Ove rispetti tali condizioni, dunque, la proposta contrattuale sarà idonea ad essere “puramente e semplicemente” accettata, così soddisfacendo la precondizione necessaria alla conclusione del contratto.

II. La formazione progressiva del contratto

Sgomberato il campo d’indagine dalla questione preliminare brevemente esaminata, è possibile affrontare compiutamente il nostro interrogativo fondamentale: quando un contratto può dirsi concluso?
Come anticipato in premessa, il quesito è di non immediata soluzione nel caso di trattative complesse. Come osservato da alcuna dottrina, infatti, nonostante il citato art. 1326 cod. civ. canonizzi un accordo formatosi in via istantanea (4), spesso accade che la formazione del contratto sia invece progressiva, ossia si realizzi “attraverso un’interazione continua delle parti, fatta di discussioni e ipotesi, richieste e offerte, concessioni e rifiuti sui diversi punti del contratto in itinere: una serie più o meno lunga di passaggi che le parti percorrono insieme prima di arrivare alla conclusione del contratto. La formazione progressiva del contratto è caratterizzata dal determinarsi, man mano che la trattativa procede, di accordi su alcuni punti del contratto, mentre su altri punti l’accordo non c’è ancora” (5).
Se così è, il nostro interrogativo diviene più specifico: si tratta di comprendere, nell’ambito della formazione progressiva di un contratto e a fronte di una serie di accordi parziali e successivi, quando si raggiunga l’accordo “necessario e sufficiente” per poter ritenere il contratto finalmente concluso e vincolante.
In proposito, è ad ogni modo pacifico che, ove il suddetto accordo “necessario e sufficiente” non possa ritenersi raggiunto, il documento eventualmente predisposto dalle parti incorporante gli accordi raggiunti su alcuni degli elementi del contratto in via di formazione costituirà (non la formalizzazione di un contratto, ma) una mera c.d. “minuta” (o “puntuazione”), la quale non ha valore vincolante e può rilevare, al più, ai soli fini probatori di una eventuale responsabilità pre-contrattuale ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. (6).
Ciò precisato, come anticipato in premessa, la questione è annosa e non scevra da incertezze. In particolare, si registrano in proposito tre diversi orientamenti. Segnatamente:

(i) Secondo un primo (e più risalente) orientamento, il contratto dovrebbe ritenersi concluso allorquando sia intervenuto l’accordo sul contenuto minimo (ossia, sugli elementi essenziali)” dello stesso (7). Secondo i fautori di questo orientamento, gli elementi secondari non oggetto di accordo istantaneo potrebbero essere individuati attraverso criteri di integrazione extra-convenzionali, ovvero essere successivamente discussi tra le parti (8). Tuttavia, siffatta impostazione è stata criticata proprio perché, da un lato, “non sempre è possibile sopperire alle lacune regolamentari facendo riferimento a fonti esterne” (9) e, d’altro lato, la distinzione tra elementi essenziali e accessori del contratto (10) “può risultare, nel caso concreto, poco aderente alla realtà: un aspetto apparentemente secondario potrebbe, infatti, assumere una rilevanza primaria per quei contraenti” (11).
(ii) Secondo altro orientamento, che si colloca agli antipodi rispetto al primo, il contratto dovrebbe ritenersi concluso solamente in seguito al raggiungimento dell’accordo su tutti gli elementi del contratto medesimo, senza che dunque possa o debba operarsi alcuna distinzione tra elementi essenziali o principali ed elementi accessori o secondari (12). Le critiche mosse a questo orientamento sono state nel senso di considerarlo eccessivamente formalistico: “in alcuni casi, invero, potrebbe risultare esageratamente rigoroso richiedere, ai fini della conclusione del contratto, la sussistenza di tutti i suoi elementi (anche di quelli scarsamente rilevanti), ben potendo ricorrere l’eventualità che le parti abbiano inteso comunque vincolarsi, pur non avendo disciplinato tutte le circostanze del futuro rapporto, ma solo quelle che ritengono indispensabili” (13).
(iii) Infine, secondo un terzo orientamento (che vuole rappresentare il contemperamento tra i due estremi), “ai fini della conclusione del contratto, occorre che l’accordo sia totale, cioè che le parti abbiano raggiunto un’intesa su tutti i suoi elementi, ad eccezione del caso in cui le stesse abbiano espressamente manifestato la volontà di costituire il vincolo e, quindi, di impegnarsi, rimandando ad un momento successivo la definizione dei punti ancora controversi” (14). Un orientamento che dunque fa leva sulla necessità di accertare, caso per caso, l’effettiva volontà delle parti, e che appare oggi maggioritario, in quanto condiviso da autorevole dottrina (15) e da recente giurisprudenza di legittimità (16).

III. Considerazioni conclusive

All’esito della rassegna effettuata, pare a chi scrive che l’orientamento più condivisibile sia quello da ultimo richiamato, e ciò non solo perché condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recenti, ma, ancor prima, per la correttezza dell’impostazione di indagine seguita dai fautori dell’orientamento medesimo.
Questo, infatti, differisce dai primi due in ciò, che i precedenti fanno dipendere la conclusione del contratto dall’elemento contenutistico (i.e. dal raggiungimento dell’accordo sui soli elementi essenziali, ovvero su tutti gli elementi del contratto), mentre l’orientamento da ultimo considerato conferisce rilievo determinante, per contro, all’animus contrahendi delle parti. Il criterio fondamentale per valutare la perfezione del contratto è quindi individuato nella effettiva volontà dei paciscenti – i quali, dunque, ben potrebbero manifestare la volontà di ritenere concluso un contratto non definito in tutti i suoi elementi – la quale dovrà essere indagata e accertata caso per caso.
L’impostazione di indagine così adottata consente di abolire un criterio meramente formale (l’elemento contenutistico), che porta con sé il rischio di un risultato insoddisfacente nel caso concreto, e di rimettere la risposta al nostro interrogativo direttamente a coloro che il contratto hanno (forse) stipulato: le parti. L’indagine sulla volontà dalle stesse effettivamente manifestata permette infatti di effettuare una valutazione aderente al caso concreto e, al contempo, pienamente rispondente a diritto, poiché, per ricostruire la volontà manifestata dai paciscenti, sarà doveroso attenersi ai criteri ermeneutici previsti dal nostro Ordinamento agli artt. 1362 e ss. cod. civ. (17).
D’altronde, la primaria rilevanza dell’effettiva volontà dei contraenti era già emersa quando si è brevemente discusso (cfr. par. I) il contenuto necessario della proposta contrattuale (dalla quale, si è visto, deve emergere univocamente la volontà del proponente di impegnarsi contrattualmente alle condizioni indicate nella proposta medesima).
In conclusione, la risposta più corretta al nostro interrogativo (quando un contratto può dirsi concluso?) pare essere: quando le parti hanno voluto concluderlo. Lungi dal costituire tautologia (come pur potrebbe apparire), infatti, tale risposta soddisfa quella che è “la vera ratio decidendi” risolutiva del nostro interrogativo, ossia il “rispetto della volontà comune delle parti” (18), da ricostruirsi alla luce dei canoni ermeneutici previsti dal nostro Ordinamento.

contratto concluso

Premessa:
Quando un contratto può dirsi concluso?

La risposta a siffatto interrogativo potrebbe apparire prima facie banale: il nostro Codice Civile dispone espressamente, allart. 1326, comma 1, cod. civ, la regola generale per cui “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
Incontro tra proposta e accettazione, dunque. Pensando alle più comuni contrattazioni quotidiane, il meccanismo è intuitivo e non pone particolari problemi ermeneutici (ad esempio, l’acquisto di un giornale si perfeziona nel momento in cui l’edicolante acconsente alla richiesta in tal senso da parte dell’acquirente).
Quid iuris, tuttavia, nei casi in cui l’affare risulti particolarmente complesso, nella struttura e nel contenuto, sì da necessitare l’accordo delle parti su molteplici elementi? Si pensi alla compravendita di un bene immobile, o di partecipazioni societarie, in cui il fulcro dell’operazione consiste nel trasferimento della proprietà di detti beni a fronte della corresponsione di una certa somma di denaro, e in cui, tuttavia, l’accordo su tale “nucleo fondamentale” si accompagna a quello su una serie di altri elementi che gravitano attorno ad esso (ad esempio, le modalità di liberazione del bene da eventuali garanzie reali costituite a favore di terzi, i meccanismi di aggiustamento del prezzo, le modalità di corresponsione del prezzo medesimo).
In tali casi, l’interrogativo da cui si sono prese le mosse acquista pieno vigore: il contratto può dirsi concluso solo quando l’accordo sia intervenuto su tutti gli elementi propri del negozio? Oppure, è sufficiente il raggiungimento dell’intesa sul predetto “nucleo fondamentale”, salva la possibilità di integrare il contratto in un momento successivo?
Il tema è tutt’altro che irrilevante. Come è noto, il contratto costituisce una fonte delle obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., sì che la comprensione dei meccanismi che determinano l’insorgere dell’obbligazione stessa è di sicuro interesse per il contraente, che certamente vorrà evitare di ritrovarsi legato in un vincolo contrattuale senza aver maturato piena convinzione circa la convenienza dell’affare. Si pensi al caso del contratto di compravendita: se il contratto si perfezionasse a seguito del solo accordo sul bene oggetto di trasferimento e sul relativo prezzo, potrebbe frustrarsi la posizione del contraente per cui, in ipotesi, la modalità di versamento del prezzo fosse un elemento determinante del proprio consenso. La parte si ritroverebbe così legata in un vincolo contrattuale del quale non aveva valutato compiutamente l’opportunità, solo per aver manifestato il proprio consenso circa gli elementi essenziali del tipo negoziale (il bene da trasferirsi e l’ammontare del prezzo da corrispondersi).
D’altro lato, è intuitivo che non sarebbe ragionevole consentire ad un contraente di opporre all’altro l’assenza di accordo circa un qualsivoglia secondario elemento del negozio, al fine di sostenere il mancato perfezionamento del contratto (e di sottrarsi così all’adempimento delle relative obbligazioni). Ciò, anzi, contrasterebbe inevitabilmente con i canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., immanenti al nostro Ordinamento giuridico.
La risposta al nostro interrogativo deve allora essere indagata alla luce dei diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali che si sono formati sul tema, al fine di individuare una soluzione che possa portare risultati soddisfacenti quando applicati al caso concreto, e che fughi il rischio di eventuali condotte strumentali e contrarie ai predetti canoni di correttezza e buona fede.

I. La proposta contrattuale

Prima di tutto, però, occorre affrontare brevemente una questione preliminare, afferente alla proposta contrattuale e al suo contenuto. Se è vero, come si è visto, che l’accordo è normalmente raggiunto tramite accettazione di una proposta, bisogna allora in primo luogo interrogarsi su quale sia il contenuto di una valida proposta contrattuale, che sia suscettibile di essere accettata dall’altro contraente e dar luce al vincolo negoziale.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, concordemente con autorevole dottrina, ha costantemente affermato che la proposta deve innanzitutto essere completa, nel senso che deve includere tutti gli elementi essenziali del tipo contrattuale cui si riferisce (1). In secondo luogo, la Suprema Corte ha precisato che la proposta deve in ogni caso esprimere la volontà univoca del contraente di impegnarsi contrattualmente alle condizioni ivi indicate (2), sì che la proposta medesima “non deve essere accompagnata da riserve sul suo carattere attualmente impegnativo” (3).
Ove rispetti tali condizioni, dunque, la proposta contrattuale sarà idonea ad essere “puramente e semplicemente” accettata, così soddisfacendo la precondizione necessaria alla conclusione del contratto.

II. La formazione progressiva del contratto

Sgomberato il campo d’indagine dalla questione preliminare brevemente esaminata, è possibile affrontare compiutamente il nostro interrogativo fondamentale: quando un contratto può dirsi concluso?
Come anticipato in premessa, il quesito è di non immediata soluzione nel caso di trattative complesse. Come osservato da alcuna dottrina, infatti, nonostante il citato art. 1326 cod. civ. canonizzi un accordo formatosi in via istantanea (4), spesso accade che la formazione del contratto sia invece progressiva, ossia si realizzi “attraverso un’interazione continua delle parti, fatta di discussioni e ipotesi, richieste e offerte, concessioni e rifiuti sui diversi punti del contratto in itinere: una serie più o meno lunga di passaggi che le parti percorrono insieme prima di arrivare alla conclusione del contratto. La formazione progressiva del contratto è caratterizzata dal determinarsi, man mano che la trattativa procede, di accordi su alcuni punti del contratto, mentre su altri punti l’accordo non c’è ancora” (5).
Se così è, il nostro interrogativo diviene più specifico: si tratta di comprendere, nell’ambito della formazione progressiva di un contratto e a fronte di una serie di accordi parziali e successivi, quando si raggiunga l’accordo “necessario e sufficiente” per poter ritenere il contratto finalmente concluso e vincolante.
In proposito, è ad ogni modo pacifico che, ove il suddetto accordo “necessario e sufficiente” non possa ritenersi raggiunto, il documento eventualmente predisposto dalle parti incorporante gli accordi raggiunti su alcuni degli elementi del contratto in via di formazione costituirà (non la formalizzazione di un contratto, ma) una mera c.d. “minuta” (o “puntuazione”), la quale non ha valore vincolante e può rilevare, al più, ai soli fini probatori di una eventuale responsabilità pre-contrattuale ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. (6).
Ciò precisato, come anticipato in premessa, la questione è annosa e non scevra da incertezze. In particolare, si registrano in proposito tre diversi orientamenti. Segnatamente:

(i) Secondo un primo (e più risalente) orientamento, il contratto dovrebbe ritenersi concluso allorquando sia intervenuto l’accordo sul contenuto minimo (ossia, sugli elementi essenziali)” dello stesso (7). Secondo i fautori di questo orientamento, gli elementi secondari non oggetto di accordo istantaneo potrebbero essere individuati attraverso criteri di integrazione extra-convenzionali, ovvero essere successivamente discussi tra le parti (8). Tuttavia, siffatta impostazione è stata criticata proprio perché, da un lato, “non sempre è possibile sopperire alle lacune regolamentari facendo riferimento a fonti esterne” (9) e, d’altro lato, la distinzione tra elementi essenziali e accessori del contratto (10) “può risultare, nel caso concreto, poco aderente alla realtà: un aspetto apparentemente secondario potrebbe, infatti, assumere una rilevanza primaria per quei contraenti” (11).
(ii) Secondo altro orientamento, che si colloca agli antipodi rispetto al primo, il contratto dovrebbe ritenersi concluso solamente in seguito al raggiungimento dell’accordo su tutti gli elementi del contratto medesimo, senza che dunque possa o debba operarsi alcuna distinzione tra elementi essenziali o principali ed elementi accessori o secondari (12). Le critiche mosse a questo orientamento sono state nel senso di considerarlo eccessivamente formalistico: “in alcuni casi, invero, potrebbe risultare esageratamente rigoroso richiedere, ai fini della conclusione del contratto, la sussistenza di tutti i suoi elementi (anche di quelli scarsamente rilevanti), ben potendo ricorrere l’eventualità che le parti abbiano inteso comunque vincolarsi, pur non avendo disciplinato tutte le circostanze del futuro rapporto, ma solo quelle che ritengono indispensabili” (13).
(iii) Infine, secondo un terzo orientamento (che vuole rappresentare il contemperamento tra i due estremi), “ai fini della conclusione del contratto, occorre che l’accordo sia totale, cioè che le parti abbiano raggiunto un’intesa su tutti i suoi elementi, ad eccezione del caso in cui le stesse abbiano espressamente manifestato la volontà di costituire il vincolo e, quindi, di impegnarsi, rimandando ad un momento successivo la definizione dei punti ancora controversi” (14). Un orientamento che dunque fa leva sulla necessità di accertare, caso per caso, l’effettiva volontà delle parti, e che appare oggi maggioritario, in quanto condiviso da autorevole dottrina (15) e da recente giurisprudenza di legittimità (16).

III. Considerazioni conclusive

All’esito della rassegna effettuata, pare a chi scrive che l’orientamento più condivisibile sia quello da ultimo richiamato, e ciò non solo perché condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recenti, ma, ancor prima, per la correttezza dell’impostazione di indagine seguita dai fautori dell’orientamento medesimo.
Questo, infatti, differisce dai primi due in ciò, che i precedenti fanno dipendere la conclusione del contratto dall’elemento contenutistico (i.e. dal raggiungimento dell’accordo sui soli elementi essenziali, ovvero su tutti gli elementi del contratto), mentre l’orientamento da ultimo considerato conferisce rilievo determinante, per contro, all’animus contrahendi delle parti. Il criterio fondamentale per valutare la perfezione del contratto è quindi individuato nella effettiva volontà dei paciscenti – i quali, dunque, ben potrebbero manifestare la volontà di ritenere concluso un contratto non definito in tutti i suoi elementi – la quale dovrà essere indagata e accertata caso per caso.
L’impostazione di indagine così adottata consente di abolire un criterio meramente formale (l’elemento contenutistico), che porta con sé il rischio di un risultato insoddisfacente nel caso concreto, e di rimettere la risposta al nostro interrogativo direttamente a coloro che il contratto hanno (forse) stipulato: le parti. L’indagine sulla volontà dalle stesse effettivamente manifestata permette infatti di effettuare una valutazione aderente al caso concreto e, al contempo, pienamente rispondente a diritto, poiché, per ricostruire la volontà manifestata dai paciscenti, sarà doveroso attenersi ai criteri ermeneutici previsti dal nostro Ordinamento agli artt. 1362 e ss. cod. civ. (17).
D’altronde, la primaria rilevanza dell’effettiva volontà dei contraenti era già emersa quando si è brevemente discusso (cfr. par. I) il contenuto necessario della proposta contrattuale (dalla quale, si è visto, deve emergere univocamente la volontà del proponente di impegnarsi contrattualmente alle condizioni indicate nella proposta medesima).
In conclusione, la risposta più corretta al nostro interrogativo (quando un contratto può dirsi concluso?) pare essere: quando le parti hanno voluto concluderlo. Lungi dal costituire tautologia (come pur potrebbe apparire), infatti, tale risposta soddisfa quella che è “la vera ratio decidendi” risolutiva del nostro interrogativo, ossia il “rispetto della volontà comune delle parti” (18), da ricostruirsi alla luce dei canoni ermeneutici previsti dal nostro Ordinamento.

Note

1 Cfr. Cass., 5 agosto 1987, n. 6741, la quale ha chiarito che, “allorché una parte rivolge all’altra un’offerta precisa e particolareggiata di conclusione di un determinato rapporto contrattuale, completa di tutti gli elementi essenziali, deve ravvisarsi una vera e propria proposta contrattuale e non una semplice dichiarazione generica di disponibilità, cosicché l’altra parte può esprimere la sua accettazione con il semplice consenso, senza bisogno di ulteriori trattative”. In senso conforme, inter alia, Cass., 24 maggio 2001, n. 7094; Cass., 19 aprile 2006, n. 9039; Cass., 20 settembre 2012, n. 15856. In dottrina, cfr. Bianca, Il contratto, in Diritto civile, III, Milano, 2000, pag. 215, secondo cui “la proposta è completa quando contiene la determinazione degli elementi essenziali del contratto o quando ne rimette la determinazione a criteri legali o convenzionali. Essa è incompleta quando la loro determinazione richiede un ulteriore accordo delle parti”.
2 Cfr. Cass., 5 dicembre 1982, n.6922: “una dichiarazione si può qualificare come proposta contrattuale solo quando sia suscettibile di accettazione pura e semplice, già contenendo tutte le condizioni del contratto, mentre non spetta tale qualificazione ove la volontà non è univoca ma perplessa e non manifesta una decisione ma una disponibilità ed un auspicio”.
3 Cass., 7 luglio 2009, n. 15964. A tal riguardo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno peraltro precisato che la previsione di eventuali condizioni non costituisce di per sé una “riserva” idonea ad escludere l’esistenza di una vera e propria proposta contrattuale. Cfr., in particolare, Cass. SS.UU., 15 gennaio 1983, n. 319: “la ricorrenza di una proposta contrattuale, come tale idonea a determinare la conclusione del contratto a seguito della accettazione dell’altra parte, non resta esclusa dal fatto che la proposta medesima contenga delle condizioni, ove queste non incidano sull’attuale volontà negoziale del proponente, ne’ si traducano in riserve per una valutazione successiva dell’opportunità di vincolarsi, ma comportino solo la precisazione dell’ambito e del contenuto del contratto proposto”.
4 Cfr. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica, Zatti, 2011, Giuffrè, pag. 133, il quale evidenzia che la formazione del contratto secondo lo schema dell’art. 1326 cod. civ. postula il “convergere di atti puntuali, isolati, ciascuno esaurito nella sfera del suo autore. A rivolge una proposta a B, che senza discutere l’accetta così com’è”.
5 Roppo, Ibidem.
6 Sul tema cfr., per tutti, Galgano, Trattato di diritto civile, II, Cedam, 2010, pagg. 183 e ss.
7 Così, Guerinoni, Incompletezza e completamento del contratto, Milano, 2007, pag. 77, che riporta la tesi enucleata da Carnelutti, Formazione progressiva del contratto, in Rivista di diritto commerciale, 1916, II, pag. 317 e ss., per cui “il contratto si perfeziona per il semplice consenso sugli elementi essenziali; una volta intervenuto l’accordo delle parti su tali elementi, la riserva sui punti accessori non impedisce o sospende la formazione del contratto; al massimo, può far dipendere la formazione dall’avverarsi di una condizione (sospensiva), consistente nel raggiungimento dell’ulteriore accordo sulla clausola accessoria. Tale volontà non può ritenersi, comunque, implicita nella riserva di accordo futuro, ma dev’essere manifestata chiaramente dalle parti”. In giurisprudenza, in senso conforme, cfr. Cass. SS.UU., 27 novembre 1963 n. 3044; Cass., 24 luglio 1951, n. 2097; Cass., 19 maggio 1961, n. 1195; Cass., 18 febbraio 1967, n. 408; Cass., 28 marzo 1980, n. 2051.
8 In questo senso, Navarretta-Ortesano, Dei contratti in generale, sub art. 1326 cod. civ., in Commentario del codice civile (artt. 321-1349), diretto da Gabrielli, Milanofiori Assago, 2011, pag. 258.
9 Cillepi, Valore giuridico della minuta di contratto, in Giustizia Civile, 2012, pag. 2945, secondo cui “vi sono, infatti, degli aspetti che devono necessariamente essere disciplinati dalle parti e che non possono essere arbitrariamente decisi dall’ordinamento”.
10 La quale non va operata in ottica oggettiva (in relazione al tipo contrattuale), bensì soggettiva, guardando al “grado di importanza” che un certo elemento negoziale riveste per le parti ai fini della conclusione del contratto. In questo senso, Scialoja, Sull’art. 37 del cod. di comm., in Rivista di diritto commerciale, 1909, I, pag. 479, il quale ha osservato che “gli elementi essenziali del negozio sono soltanto quelli senza i quali un negozio non può esistere in generale o non appartiene a quella determinata categoria giuridica; mentre per la formazione di un singolo contratto in concreto può avere per le parti valore decisivo uno degli elementi accidentali e l’ammissione o l’esclusione di uno degli elementi naturali”.
11 Cillepi, Op. cit., pag. 2945. In senso conforme, Messineo, Il contratto in generale, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XXI, I, Milano, 1973, pag. 343, secondo cui “tale concezione presenta il vantaggio di semplificare, per l’interprete, la soluzione delle controversie; ma essa sacrifica, anzi rischia di tradire, la volontà dei contraenti, tutte le volte che il punto pur secondario sia (soggettivamente considerato) d’importanza decisiva per le parti”.
12 Precisa Cillepi, Ibidem, che ciò “comporta che, anche qualora l’accordo sia stato raggiunto su tutti gli elementi essenziali del contratto, ma siano ancora in discussione altri aspetti secondari, come le modalità di pagamento, o magari solamente esecutivi, come il luogo o il tempo dell’adempimento, la fattispecie contrattuale non può dirsi perfezionata ed è necessaria la prosecuzione delle trattative”. In dottrina, in tal senso è l’opinione di Ferri G.B., Considerazioni sul problema della formazione del contratto, in Rivista di diritto commerciale, 1969, pag. 187, secondo il quale “il contratto non sorge se non quando la regola dei privati si sia formata completamente; fino a quando cioè le parti non siano d’accordo su tutti quanti i punti, su tutta quanta la materia trattata e che essi intendono regolare”. In giurisprudenza, cfr. Cass., 15 marzo 1982 n. 1691, secondo la quale “l’accordo su alcuni punti essenziali del contratto non esaurisce la fase delle trattative, perché, al fine di porre in essere un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa sugli elementi, sia principali che secondari, dell’accordo”. In senso conforme, anche Cass., 4 maggio 1968 n. 702; Cass., 7 ottobre 1981 n. 5261; Cass., 4 maggio 1994, n. 4274.
13 Cillepi, Op. cit., pag. 2945. Conforme l’opinione di Scognamiglio R., Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Libro quarto delle obbligazioni (Art. 1321- 1352), Bologna-Roma, 1970, pag. 84, secondo il quale se, “alla stregua di una corretta valutazione del materiale formativo, risulta che le parti hanno inteso impegnarsi, seppure non hanno previsto tutto, non si deve solo per questo, ed obbedendo ad un formalismo eccessivo in contrasto con le esigenze di tutela della buona fede, negare l’esistenza del contratto”. Conforme anche l’opinione di Navarretta-Ortesano, Op. cit., pag. 258.
14 Le parole sono di Cillepi, Op. cit., pag. 2946, che condivide detto orientamento e precisa: “occorre, pertanto, distinguere due diverse ipotesi: quella in cui i contraenti abbiano ritenuto esaurite le trattative e concluso il contratto, decidendo di non regolare in quel momento i punti mancanti; e quella in cui essi si siano riservati di proseguire la discussione, al fine di decidere in merito agli aspetti controversi: solo nel primo caso potrà affermarsi che un contratto sia effettivamente nato”.
15 Cfr. Roppo, Op. cit., pag. 134, secondo cui “può essere sufficiente l’accordo su alcuni soltanto dei punti discussi mentre su altri permane il disaccordo, purché le parti manifestino la comune volontà di considerare concluso il contratto, nonostante la parzialità dell’accordo. Per es., trovato l’accordo sulla cosa da compravendere e sul prezzo da pagare, ma non sul luogo di consegna, le parti possono convenire che ritengono comunque conclusa la vendita. Occorre però che ciò corrisponda alla chiara volontà comune delle parti: se le parti si limitassero a registrare con soddisfazione di avere raggiunto l’accordo su tutti i punti più importanti, e rinviassero a un seguito di trattativa l’accordo su qualche punto minore ancora controverso, il contratto non sarebbe concluso. Né sarebbe concluso, se la volontà di considerarlo tale fosse di una parte ma non anche dell’altra. È chiaro che l’esito del giudizio, in base a questi criteri, è influenzato dalle caratteristiche della fattispecie concreta: se dopo la fase della trattativa le parti cominciano qualche attività esecutiva, questo è un forte elemento per ritenere che il contratto a quel punto sia concluso”. In senso conforme, si vedano Navarretta-Ortesano, Op. cit., pag. 258; Guerinoni, Op. cit., pag. 84; Giagnotti, Contratti a formazione progressiva: le modifiche alla proposta, intervenute con l’accettazione, nota a Cass. 21 luglio 2017, n. 18010, in Diritto & Giustizia, 2017, pagg. 125 e ss.
16 Cfr. Cass., 7 gennaio 1993, n. 77, secondo cui “nei contratti a formazione progressiva, nei quali l’accordo delle parti su tutte le clausole si raggiunge gradatamente, il momento perfezionativo del negozio è, di regola, quello dell’accordo finale su tutti gli elementi, principali e accessori, salvo che le parti abbiano inteso vincolarsi negli accordi raggiunti sui singoli punti riservando la disciplina degli elementi secondari”. Nei medesimi termini, Cass., 17 ottobre 1992 n. 11429; Cass., 24 ottobre 2003, n. 16016; Cass., 18 gennaio 2005, n. 910; Cass., 20 giugno 2006, n. 14267; Cass., 2 febbraio 2009,  n.  2561; Cass.,  4  febbraio  2009  n.  2720;  Cass., 11  maggio  2010,  n.  11371;  Cass., 19 settembre 2011, n. 19106; Cass., 29 novembre 2018, n. 20851.
17 La considerazione è di Cillepi, Op. cit., pag. 2946, il quale precisa: “di conseguenza, occorrerà far riferimento, in primis, al testo dello stesso documento, che si presenta come un primo specchio della serietà del suo contenuto: sotto tale profilo, ad esempio, potrà assumere rilevanza il tenore delle parole riportate, l’uso di un linguaggio sintetico o approssimativo, le modalità di sottoscrizione. In secondo luogo, bisognerà aver riguardo al comportamento complessivo tenuto dai contraenti: e così, contegni contestuali alla redazione del documento, quali il versamento di una caparra, ovvero contegni successivi a tale momento, di natura esecutiva, come la consegna della res nei contratti reali, costituiranno forti indizi a favore del perfezionamento del contratto”.
18 Guerinoni, Op. cit., pag. 82.

Bibliografia

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Carnelutti, Formazione progressiva del contratto, in Rivista di diritto commerciale, 1916. Cillepi, Valore giuridico della minuta di contratto, in Giustizia Civile, 2012.
Ferri G.B., Considerazioni sul problema della formazione del contratto, in Rivista di diritto commerciale, 1969.
Galgano, Trattato di diritto civile, II, Cedam, 2010.
Giagnotti, Contratti a formazione progressiva: le modifiche alla proposta, intervenute con l’accettazione, nota a Cass. 21 luglio 2017, n. 18010, in Diritto & Giustizia, 2017.
Guerinoni, Incompletezza e completamento del contratto, Milano, 2007.
Messineo, Il contratto in generale, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XXI, I, Milano, 1973.
Navarretta-Ortesano, Dei contratti in generale, sub art. 1326 cod. civ., in Commentario del codice civile (artt. 321-1349), diretto da Gabrielli, Milanofiori Assago, 2011.
Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica, Zatti, Giuffrè, 2011. Scialoja, Sull’art. 37 del cod. di comm., in Rivista di diritto commerciale, 1909.
Scognamiglio R., Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Libro quarto delle obbligazioni (Art. 1321-1352), Bologna-Roma, 1970.