1. Premessa
La necessità di tutelare l’armonioso sviluppo psicofisico del minore, da un lato, e di prevenire l’interesse morboso verso i minori, dall’altro, ha indotto il legislatore a punire all’art. 600 ter c.p. il delitto di pornografia minorile.
Per “pornografia minorile” si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo di un minore di anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali (art. 600 ter c.p. comma sette).
La norma, tuttavia, pone una serie di questioni problematiche, specie in un’epoca in cui lo sviluppo delle nuove tecnologie rende più semplice la diffusione di materiale pedopornografico, nonché la realizzazione (e diffusione) anche ad opera dello stesso minore.
In altri termini, occorre chiedersi se il concetto di “utilizzazione del minore”, richiamato dalla norma in esame, implichi necessaria alterità tra chi realizza il materiale e il minore ritratto ovvero possa applicarsi anche all’ipotesi di materiale autoprodotto dal minore stesso.
2. Art. 600 ter c.p. Breve analisi
L’art. 600 ter c.p. prevede una pluralità di condotte, ordinate secondo un criterio gerarchico di gravità, al fine di approntare una tutela più ampia possibile per la particolare vulnerabilità del minore.
Il primo comma ha riguardo, infatti, alla fase di realizzazione del materiale pornografico mediante l’utilizzo del minore (art. 600 ter comma uno n. 1), nonché al reclutamento e all’induzione dello stesso (art. 600 ter comma uno n. 2).
Il comma secondo punisce chi fa commercio del materiale di cui al primo comma.
Il comma terzo reprime le condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione del materiale anche ai fini dell’adescamento o dello sfruttamento sessuale del minore.
Il comma quarto sanziona, infine, l’offerta e la cessione del materiale predetto, non solo a titolo oneroso ma anche a titolo gratuito.
La pena è aumentata qualora il materiale sia di ingente quantità (comma cinque).
Così formulata, la norma mira a punire qualsiasi condotta che sia potenzialmente idonea alla realizzazione o cessione di materiale pedopornografico.
L’interpretazione della norma, invero, ruota intorno al concetto di “utilizzazione” del minore.
Originariamente, infatti, il legislatore usava l’espressione “sfruttamento” dei minori. Tale locuzione sottendeva la necessità di una finalità di tipo economico. Al contrario, la formulazione attuale della norma, con l’espressione “utilizzazione” amplia l’area del penalmente rilevante, poiché prescinde dallo scopo di lucro e dà rilievo anche alla cessione a titolo gratuito oppure all’uso esclusivo.
L’elemento psicologico richiesto dalla norma è il dolo generico (“coscienza e volontà”).
Chiunque può essere soggetto attivo, poiché si tratta di reato comune.
Il problema si è posto nel caso di materiale autoprodotto dal minore. Ci si è chiesti se l’autoproduzione del materiale ad opera del minore escluda il reato ovvero se possa essere attribuito un valore scriminante al consenso prestato dal minore medesimo.
3. Il concetto di “utilizzazione del minore”, in particolare nel caso di materiale autoprodotto.
La giurisprudenza si è interrogata circa il significato della locuzione “utilizzazione” del minore. In particolare, occorre indagare se nel caso di autoproduzione di materiale pedopornografico si possa parlare di utilizzazione del minore (es. selfie a sfondo sessuale).
Bisogna, inoltre, distinguere a seconda che il materiale prodotto dal minore o con il consenso dello stesso sia ceduto a terzi o meno.
Ed invero, Cassazione Sez. III n. 34377/2017, con riferimento all’interpretazione del comma tre, afferma che ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 600 ter c.p. comma terzo è necessario che il produttore del materiale pornografico sia persona diversa dal minore raffigurato.
Secondo questa interpretazione, l’utilizzazione del minore presuppone alterità tra il soggetto che realizza il materiale e il minore raffigurato.
Di conseguenza, non può parlarsi di utilizzazione del minore nel caso di materiale autoprodotto, posto che difetterebbe il requisito di tipicità richiesto dalla norma in esame.
A tale indirizzo si è obiettato che il concetto di utilizzazione deve essere inteso in senso più ampio, come indicativo di qualsiasi condotta che implichi una strumentalizzazione del minore.
In particolare, Cassazione n. 51815/2018 ha indicato una serie di elementi dai quali è possibile ricavare la condizione di “utilizzazione” del minore, quali, ad esempio:
1. Abusività della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore;
2. Modalità con le quali il materiale viene prodotto (ad esempio violenza, minaccia, inganno);
3. Fine commerciale;
4. Età del minore coinvolto (inferiore a quella prevista per il consenso all’atto sessuale).
Ancora, Cassazione Sez. III n. 225272020 precisa che il concetto di utilizzazione del minore “presuppone la ricorrenza di un differenziale di potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato, tale da generare una strumentalizzazione della sfera sessuale di quest’ultimo”.
In altre parole, per questo secondo orientamento giurisprudenziale, per utilizzazione del minore si intendono tutte quelle condotte volte alla strumentalizzazione del minore, ossia alla degradazione dello stesso da soggetto (di diritto) ad oggetto (di manipolazione).
Pertanto, risponde di pornografia minorile anche colui che, pur non avendo realizzato in prima persona il materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito prima inesistente ovvero rafforzando l’intenzione già esistente ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione dello stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo (Cassazione sez. III n. 26862/2019).
Quindi, qualora il materiale sia stato autoprodotto dal minore ma su richiesta di altro soggetto e venga poi ceduto, quest’ultimo risponderà comunque del reato di cui all’art. 600 ter comma uno c.p.
Più complessa è la questione nel caso di materiale pedopornografico prodotto con il consenso del minore nell’ambito di una relazione paritaria (con un maggiorenne o un minorenne).
La giurisprudenza più recente distingue a seconda che il materiale pornografico sia stato realizzato con il consenso del minore e poi ceduto dalle ipotesi in cui sia destinato a rimanere nella sfera esclusiva dei partecipi all’atto sessuale.
In particolare, le Sezioni unite n. 4616/2021 prevedono la non punibilità della c.d. pornografia domestica, in linea con le direttive della Convenzione di Lanzarote del 2012, la quale riconosce agli Stati la possibilità di prevedere una ipotesi di non punibilità, a determinate condizioni.
Invero, il presupposto necessario della pornografia domestica, come delineato dalle Sezioni Unite, è che il materiale pornografico realizzato coinvolgendo il minore sia destinato a rimanere nella sfera esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto.
Di conseguenza, esso non può mai essere posto in circolazione.
Se tale ultima condizione di avvera, il minore, ancorché non utilizzato nella fase iniziale (produzione del materiale), deve essere ritenuto strumentalizzato nella fase successiva (cessione o diffusione delle immagini).
Dunque il materiale realizzato, se posto in circolazione, è comunque prodotto attraverso l’utilizzazione del minore, poiché l’assenza di strumentalizzazione iniziale viene compensata da una strumentalizzazione successiva.
A nulla rileva che la richiesta di divulgazione del materiale provenga dal minore oppure sia autorizzata dallo stesso. “Quest’ultimo, infatti, non può mai prestare validamente consenso alla circolazione del materiale pornografico realizzato, in quanto soggetto che presuntivamente non ha ancora raggiunto quel livello di maturità tale da consentirgli una valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute negative sulla mercificazione del suo corpo attraverso la divulgazione delle immagini erotiche” (Sezioni unite n. 4616/2021).
In alteri termini, la diffusione verso terzi di materiale pornografico realizzato con un minore di anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600 ter c.p. comma tre e quattro ed il minore non può acconsentire alla divulgazione, poiché il suo consenso è presunto dall’ordinamento come irrilevante (rectius: immaturo).
Viceversa, sussiste l’ipotesi di non punibilità della c.d. “pornografia domestica” qualora il minore acconsente alla ripresa dell’atto sessuale (con persona maggiorenne o minorenne) purché tale ripresa resti nella disponibilità esclusiva dei partecipi all’atto sessuale e non sia ceduta a terzi.
4. Rapporto tra gli artt. 600 ter e 600 quater c.p. Principio di sussidiarietà.
Ciò posto, occorre soffermarsi sul rapporto tra 600 ter e 600 quater c.p.
Quest’ultimo disciplina la detenzione di materiale pornografico ed è norma sussidiaria rispetto all’art. 600 ter c.p., vista la clausola di sussidiarietà espressa di cui al comma uno (“chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter c.p., consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito”).
Di conseguenza, non è configurabile il concorso tra il delitto di detenzione di materiale pornografico ed il reato di pornografia minorile, dovendo applicarsi, in forza della clausola di riserva di cui all’art. 600 quater comma uno c.p., la più grave fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p.
In altre parole, la detenzione successiva alla commissione del delitto di pornografia minorile è considerata post factum non punibile per espressa previsione normativa.
Di recente, inoltre, la giurisprudenza ha precisato che il reato di detenzione di materiale pornografico e quello di pornografia minorile non integrano due distinti illeciti ma due diverse modalità di realizzazione del medesimo reato, con la conseguenza che non possono concorrere tra loro qualora riguardino il medesimo materiale mentre può sussistere concorso se il materiale oggetto della produzione e quello oggetto di detenzione siano diversi (Cassazione sez. III n. 2252/2021).
Inoltre, come per il reato di pornografia minorile, è prevista una aggravante qualora il materiale sia di ingente quantità (art. 600 quater comma due c.p.).
5. Il consenso del minore nella detenzione ex art. 600 quater c.p.
Occorre, infine, soffermarsi sulla rilevanza o meno del consenso del minore ai fini della configurabilità del delitto di detenzione di materiale pornografico.
Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che il reato di detenzione di materiale pornografico è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore (Cassazione sez. III n. 36198/2021).
Quindi, nel caso di materiale autoprodotto dal minore e poi ceduto, il ricevente risponderà ex art. 600 quater c.p., qualora il fatto non rientri nella più grave ipotesi di cui all’art. 600 ter c.p., poiché, in tal caso, è irrilevante il consenso del minore.
6. Considerazioni critiche conclusive
In conclusione, si osserva che la complessa disciplina in materia di pornografia minorile pone diverse questioni problematiche.
In primo luogo, non pacifica in giurisprudenza è la ricostruzione del concetto di “utilizzazione del minore”, presente tanto nell’art. 600 ter c.p. quanto nell’art. 600 quater c.p. Infatti, sul punto esistono orientamenti giurisprudenziali contrastanti, in quanto talvolta la locuzione viene interpretata nel senso di necessaria alterità tra soggetto che produce il materiale e minore ritratto, con conseguente esclusione di responsabilità penale in caso di autoproduzione del materiale ad opera del minore; altre volte, invece, l’espressione viene interpretata in senso più ampio, come generica strumentalizzazione del minore, configurabile anche nel caso di autoproduzione del materiale e conseguente cessione.
Il rischio è quello di creare una disparità di trattamento, punendo in modo diverso situazioni simili, con pregiudizio per il principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione) e di legalità (art. 25 Costituzione; art. 1 c.p.), inteso non solo come chiarezza e precisione della norma penale (c.d. corollario della determinatezza) ma anche come prevedibilità delle conseguenze del proprio comportamento.
In secondo luogo, di difficile delineazione risulta la (ir)rilevanza del consenso del minore, posto che l’ordinamento, da un lato, considera sempre come viziato e, conseguentemente irrilevante, il consenso del minore in caso di cessione di materiale pedopornografico, anche se autoprodotto; dall’altro, dà rilievo allo stesso qualora il materiale prodotto non sia finalizzato alla cessione ma risulti destinato all’uso esclusivo dei partecipi all’atto sessuale.
Pertanto, è auspicabile un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite onde risolvere le questioni interpretative maggiormente problematiche.