Come scappo… a casa

Articolo a cura dell’Avv. Claudia Martina Venturino

Mantenimento figli maggiorenni

Premesse:

Ormai è luogo comune dire che “non ci sono più i giovani di una volta”.
Possiamo davvero considerare questa affermazione come una nuova realtà?
Una volta i figli erano pronti a “scappare di casa”, ovvero a lasciare il nido familiare appena consentito. L’emancipazione era prossima e sempre più ragazzi preferivano, già in giovane età, abbandonare la casa dei genitori per scoprire un mondo nuovo che, anche se pieno di responsabilità, garantiva una certa libertà sia fisica che emotiva.
Il contesto socio economico attuale, con le poche certezze lavorative e la difficoltà a realizzarsi, ha invece contribuito a creare una situazione sempre più precaria per i giovani che non riescono ad ottenere una retribuzione sufficientemente adeguata che possa consentire di vivere in maniera autonoma, senza un concreto aiuto economico da parte dei genitori.
Le statistiche indicano infatti che, mentre una volta già a 20 anni si cercava di costruire una propria famiglia e/o comunque si cercava un proprio autonomo alloggio, oggi, ancora attorno ai 30 – 40 anni, si continua a vivere coi propri genitori, o comunque vi si fa ritorno dopo una breve odissea fuori casa.
Tale situazione di vita ha certamente finito per incidere anche sul mantenimento dovuto dai genitori ai figli in sede di separazione e divorzio.
Invero, tenuto conto che la funzione dell’obbligo di mantenimento si concretizza in un generale dovere di cura, nonché di salvaguardia dello sviluppo della personalità del figlio, occorre evidenziare come tale diritto fondamentale di solidarietà debba essere garantito da entrambi i genitori ai figli proprio a partire dalle situazioni di disgregazione familiare, al di là del raggiungimento della maggiore età degli stessi qualora, per l’appunto, quest’ultimi non abbiano ancora raggiunto una totale indipendenza economica.
Tale assunto è il punto di partenza di una recente pronuncia giurisprudenziale con cui la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 3426/2022, ha avuto modo di pronunciarsi in luogo del mantenimento della prole maggiorenne non ancora economicamente autosufficiente, affermando come il mantenimento debba essere garantito ai figli da entrambi i genitori, anche al di là delle capacità economiche più sostanziose di un coniuge rispetto all’altro.

Il caso:

La vicenda trae origine da una decisione assunta dal Tribunale in un giudizio di separazione giudiziale (decisione successivamente confermata anche in sede di appello), in cui veniva posto unicamente a carico del padre l’obbligo al mantenimento ordinario e straordinario della figlia, ormai maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente, convivente con lo stesso.
Più nel dettaglio, la decisione escludeva qualsivoglia forma di partecipazione economica da parte della madre, in ragione delle maggiori disponibilità economiche sussistenti in capo all’altro coniuge.
Il padre ricorreva dunque al giudizio di terzo grado lamentando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 155 c.c. sostenendo, sia come la moglie non avesse dato prova del raggiungimento dell’autosufficienza economica della figlia, sia come in ogni caso anch’ella avrebbe dovuto essere onerata del mantenimento di quest’ultima.
Nello specifico, infatti, il provvedimento che ci si appresta ad analizzare evidenzia come l’art. 155 c.c. (che rimanda alle disposizioni di cui al capo II del titolo IX), nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito (ai sensi dell’art. 337 ter c.c.), stabilisca che i redditi dell’obbligato debbano essere tenuti in considerazione ai soli fini della quantificazione dell’entità della somministrazione dell’assegno di mantenimento e non (come avvenuto nel caso di specie) per la scelta esclusiva del coniuge tenuto a garantire il mantenimento della prole in maniera esclusiva.

Cenni di diritto:

Il quesito sottoposto alla Corte di Cassazione attiene dunque la necessità di verificare se la sussistenza dell’obbligo al mantenimento del figlio maggiorenne non ancora economicamente autosufficiente sussista nei confronti di entrambi i genitori, piuttosto che in capo al solo coniuge collocatario della prole.
Ciò premesso, occorre una breve disamina delle norme di diritto relative all’obbligo di mantenimento dei figli.
Nello specifico, la parità agli obblighi di contribuzione e, pertanto, di solidarietà economica è un principio che trova il suo fondamento proprio a partire dall’art. 30 Cost. che stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Sulla base di tale principio costituzionale, l’art. 147 c.c. specifica, per l’appunto, come gravi in capo ai coniugi “l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni secondo quanto previsto dall’articolo 315 bis c.c.” – norma quest’ultima che, a seguito della L. 219/2012 (cd. Riforma della filiazione) che ha sancito il principio di unicità dello status di figlio, delinea chiaramente il diritto al mantenimento/istruzione/educazione/assistenza per tutti i figli, sia che essi siano nati in costanza, che al di fuori, del matrimonio.
Partendo da tale assunto, è necessario evidenziare come l’obbligo di mantenimento (che deve dunque essere sempre garantito dai genitori ai propri figli, sia che essi siano legittimi che naturali), si sostanzi in sede di separazione e divorzio, specificamente, nel versamento di un assegno periodico, suscettibile di revisione, avente natura prettamente assistenziale.
Più nel dettaglio, tale assegno ricopre il mantenimento ordinario, intendendosi con tale termine tutte le spese destinate a soddisfare i bisogni e le normali esigenze di vita dei figli, ma i genitori solo altresì tenuti a versare anche il mantenimento straordinario, intendendosi con tale termine tutte le spese non rientranti nelle normali consuetudini di vita della prole e che, in quanto tali, non possono essere stabilite a priori, così come ricomprese, all’interno dell’assegno periodico di mantenimento ordinario. Tali spese, aventi carattere imprevedibile e straordinario, sono infatti solitamente anticipate dal genitore collocatario che ne richiede il relativo rimborso all’altro coniuge, a seconda degli accordi intrapresi e della ripartizione delle stesse (solitamente a carico del 50% ciascuno dei genitori).
Ciò premesso, occorre evidenziare in merito come, mentre il legislatore indica chiaramente che l’obbligo al mantenimento inizi a decorrere dalla nascita del figlio, ovvero per il solo fatto di averlo generato e “prescinde da qualsivoglia domanda in merito” (Cass. civ. n. 3079/2015), omette invece di indicarne il termine finale, anche se, sul punto, la giurisprudenza è ormai pacificamente concorde nel fare coincidere il suddetto termine con le concrete esigenze di vita del figlio che, almeno da un punto di vista economico, perdurano sino al raggiungimento di una totale indipendenza economica.
Nonostante ciò, la giurisprudenza ha però più volte censurato l’assunto che vedrebbe la corresponsione dell’assegno di mantenimento a prescindere da qualsivoglia valutazione delle condizioni peculiari in cui versa il figlio maggiorenne, ovvero per il solo fatto che non abbia ancora ottenuto la propria collocazione nel mondo del lavoro in base alle proprie aspirazioni di vita.
Invero, l’art. 337 – septies, primo comma, c.c., prevede, per l’appunto, che il Giudice valuti previamente le circostanze del caso, prima di disporre in favore dei figli maggiorenni, non indipendenti economicamente, il contributo di cui all’assegno di mantenimento.
Come affermato anche dalla Corte di Cassazione, infatti, “l’assegno è riconosciuto nel presupposto della mancata indipendenza economica del figlio, in base alla verifica di circostanze idonee a giustificare il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni – indipendentemente dal fatto che questi ultimi convivano con uno dei genitori -, secondo un’analisi effettuata dal Giudice del merito case by case” (Cass. civ. n. 12952/2016).
Ciò implica che l’accertamento che deve essere effettuato dal Giudice deve basarsi sul percorso formativo e lavorativo prescelto dalla prole, in rapporto all’età del beneficiario, oltre che sulla situazione del mercato del lavoro, al fine di evitare che l’assistenza economica a cui sono tenuti i genitori verso i figli si possa protrarre all’infinito traducendosi in forme “di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani” (Cass. civ. n. 12952/2016).
Ne deriva, pertanto, come l’obbligo dei genitori non possa protrarsi sine die, e che pertanto al di là di situazioni di minoranza fisica e psichica ampiamente tutelate dall’ordinamento, il mantenimento al figlio maggiorenne non è automatico solo a causa del mancato rinvenimento di un’occupazione in linea con il percorso di studi prescelto, o a causa del rifiuto di svolgere occupazioni non corrispondenti alle proprie aspettative di vita futura.
Tanto è vero che, l’obbligo di mantenimento al figlio maggiorenne può già di per sé escludersi nell’ipotesi in cui quest’ultimo si sia inserito in un diverso nucleo familiare ed abbia dunque interrotto il legame e la dipendenza con la famiglia d’origine (cfr. Cass. civ. n. 12477/2004).
In ogni caso, al di là di tali valutazioni specifiche sulla situazione concreta in cui versa il figlio maggiorenne, per quanto attiene la modalità di erogazione del suddetto mantenimento, esso può essere soddisfatto in due modi: o con mantenimento diretto, quando quest’ultimo conviva con uno o entrambi i genitori e questi provvedano direttamente alle sue necessità, ovvero con mantenimento indiretto, che si sostanzia tramite versamento di un assegno periodico da parte del genitore non collocatario che, per l’appunto, non vivendo con il figlio, può scegliere se effettuare direttamente il pagamento nei confronti del figlio maggiorenne (c.d. versamento diretto) oppure all’altro coniuge con cui quest’ultimo convive (c.d. versamento indiretto).
Ciò implica che, qualora vi sia un figlio maggiorenne che ancora viva nel contesto familiare con uno dei due genitori separati o divorziati, sulla base delle norme sino ad ora citate, tale obbligo di mantenimento (fondato su una valutazione preventiva dei criteri sopra riportati), deve considerarsi gravante su ciascuno dei due genitori che devono contribuire in misura proporzionale al proprio reddito.
Ne deriva, pertanto, che la valutazione in merito alla capacità economica dei genitori, viene attuata da parte del Giudice, unicamente per stabilire la misura in cui tale assegno deve essere versato.
Invero, nessuno dei coniugi può essere considerato esonerato dal mantenimento dei figli, neanche previo consenso dell’altro, in quanto trattasi di un diritto esclusivo ed indisponibile vantato dalla prole che, come tale, deve considerarsi totalmente irrinunciabile, anche ai sensi dell’art. 30 della Costituzione.
In conclusione, sulla base del contesto normativo analizzato, emerge con particolare chiarezza che il legislatore abbia provveduto a disciplinare il modo e il quantum con cui il genitore non convivente debba contribuire al mantenimento del figlio che non viva con lui (sia che sia minorenne che maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente), senza parimenti escludere l’onere al mantenimento, già sussistente, verso il genitore collocatario, che deve per l’appunto continuare a contribuire alle esigenze di vita del proprio figlio già maggiorenne, sino a quando quest’ultimo non entri a fare parte del mondo del lavoro in maniera stabile e duratura, ottenendo un reddito sufficientemente adeguato e tale da garantirgli una concreta ed effettiva stabilità economica.

La decisione:

La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sul punto, ha dunque ritenuto fondato il motivo sopra individuato, ritenendo che al mantenimento del figlio maggiorenne, non ancora autonomo, dovessero provvedere entrambi i genitori.
La sentenza ribadisce quindi un principio assodato in giurisprudenza secondo il quale l’art. 337 ter c.c. nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze dei figli, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori.
Tale decisione è stata assunta, nonostante, come affermato testualmente anche dalla Suprema Corte
la quantificazione richiede la valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto” (Cass. civ.Sez. VI – 1, Ord., 3 febbraio 2022, n. 3426).
In altre parole, la Suprema Corte ha finito per affermare che, anche se la quantificazione dell’obbligo richiede la valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, e anche se da tale valutazione emerga che uno dei due abbia maggiori disponibilità economiche rispetto all’altro, questo dato può rilevare unicamente ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, e non certo per stabilire su quale dei due genitori gravi l’obbligo del mantenimento, che per l’appunto deve essere garantito in eguale misura da parte di entrambi.
In conclusione, la Corte di Cassazione con tale pronuncia, basandosi sul dettato costituzionale dell’art. 30 Cost.  che impone l’obbligo di mantenimento, di istruzione e di educazione dei figli in capo ad entrambi i genitori, ha dunque delineato la priorità funzionale tra i doveri e i diritti di entrambi i genitori nel mantenimento, nell’istruzione e nell’educazione dei figli, evidenziando, per l’appunto, come il mantenimento sia prima di tutto un dovere a cui entrambi i genitori devono continuare, insieme, ad adempiere.

Riflessioni finali:

Il quadro normativo delineato impone pertanto chiaramente un obbligo contributivo da parte di entrambi genitori nei confronti dei figli, seppur maggiorenni.
Invero, al di là delle mere situazioni in cui il giovane non voglia e/o non accetti determinati lavori perché non corrispondenti alle proprie aspirazioni, quest’ultimo è ampiamente tutelato dalla legge che impone ad entrambi i genitori di continuare a contribuire al suo sostegno economico.
Specificamente, le ultime pronunce giurisprudenziali impongono una valutazione preventiva della capacità lavorativa del figlio maggiorenne, al fine specifico di evitare una situazione di “parassitismo” nei confronti dei genitori.
Tale valutazione può, però, ritenersi sufficiente?
Partendo dall’assunto per cui l’obbligo di mantenimento potrebbe escludersi qualora il figlio maggiorenne si inserisca in un diverso nucleo familiare, interrompendo in tal modo il legame e la dipendenza con la famiglia d’origine, ciò non comporta l’implicito ragionamento per cui tali ragazzi invece che “scappare di casa” come succedeva una volta, possano, piuttosto, prediligere (sulla base del sistema attuale di mercato e, a volte, non avendo alcuna scelta a riguardo) di “scappare a casa”?
Non sarebbe infatti più semplice continuare ad avere un supporto economico da parte della famiglia d’origine (scelta talvolta obbligata), piuttosto che essere sommersi da bollette e/o spese che non si riescono a sostenere?
Se il mercato non aiuta i giovani ragazzi ad immettersi nel mondo del lavoro, come si può infatti ipotizzare che gli stessi riescano a non dipendere più dai propri genitori?
Tali ragionamenti, se correttamente condivisi, potrebbero dunque ben divenire uno spunto di riflessione per ampliare in un futuro (si spera non troppo lontano) i limiti attuali del mercato del lavoro, garantendo anche ai più giovani l’adeguato spazio lavorativo tanto agognato e meritato.

mantenimento figli maggiorenni

Premesse:

Ormai è luogo comune dire che “non ci sono più i giovani di una volta”.
Possiamo davvero considerare questa affermazione come una nuova realtà?
Una volta i figli erano pronti a “scappare di casa”, ovvero a lasciare il nido familiare appena consentito. L’emancipazione era prossima e sempre più ragazzi preferivano, già in giovane età, abbandonare la casa dei genitori per scoprire un mondo nuovo che, anche se pieno di responsabilità, garantiva una certa libertà sia fisica che emotiva.
Il contesto socio economico attuale, con le poche certezze lavorative e la difficoltà a realizzarsi, ha invece contribuito a creare una situazione sempre più precaria per i giovani che non riescono ad ottenere una retribuzione sufficientemente adeguata che possa consentire di vivere in maniera autonoma, senza un concreto aiuto economico da parte dei genitori.
Le statistiche indicano infatti che, mentre una volta già a 20 anni si cercava di costruire una propria famiglia e/o comunque si cercava un proprio autonomo alloggio, oggi, ancora attorno ai 30 – 40 anni, si continua a vivere coi propri genitori, o comunque vi si fa ritorno dopo una breve odissea fuori casa.
Tale situazione di vita ha certamente finito per incidere anche sul mantenimento dovuto dai genitori ai figli in sede di separazione e divorzio.
Invero, tenuto conto che la funzione dell’obbligo di mantenimento si concretizza in un generale dovere di cura, nonché di salvaguardia dello sviluppo della personalità del figlio, occorre evidenziare come tale diritto fondamentale di solidarietà debba essere garantito da entrambi i genitori ai figli proprio a partire dalle situazioni di disgregazione familiare, al di là del raggiungimento della maggiore età degli stessi qualora, per l’appunto, quest’ultimi non abbiano ancora raggiunto una totale indipendenza economica.
Tale assunto è il punto di partenza di una recente pronuncia giurisprudenziale con cui la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 3426/2022, ha avuto modo di pronunciarsi in luogo del mantenimento della prole maggiorenne non ancora economicamente autosufficiente, affermando come il mantenimento debba essere garantito ai figli da entrambi i genitori, anche al di là delle capacità economiche più sostanziose di un coniuge rispetto all’altro.

Il caso:

La vicenda trae origine da una decisione assunta dal Tribunale in un giudizio di separazione giudiziale (decisione successivamente confermata anche in sede di appello), in cui veniva posto unicamente a carico del padre l’obbligo al mantenimento ordinario e straordinario della figlia, ormai maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente, convivente con lo stesso.
Più nel dettaglio, la decisione escludeva qualsivoglia forma di partecipazione economica da parte della madre, in ragione delle maggiori disponibilità economiche sussistenti in capo all’altro coniuge.
Il padre ricorreva dunque al giudizio di terzo grado lamentando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 155 c.c. sostenendo, sia come la moglie non avesse dato prova del raggiungimento dell’autosufficienza economica della figlia, sia come in ogni caso anch’ella avrebbe dovuto essere onerata del mantenimento di quest’ultima.
Nello specifico, infatti, il provvedimento che ci si appresta ad analizzare evidenzia come l’art. 155 c.c. (che rimanda alle disposizioni di cui al capo II del titolo IX), nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito (ai sensi dell’art. 337 ter c.c.), stabilisca che i redditi dell’obbligato debbano essere tenuti in considerazione ai soli fini della quantificazione dell’entità della somministrazione dell’assegno di mantenimento e non (come avvenuto nel caso di specie) per la scelta esclusiva del coniuge tenuto a garantire il mantenimento della prole in maniera esclusiva.

Cenni di diritto:

Il quesito sottoposto alla Corte di Cassazione attiene dunque la necessità di verificare se la sussistenza dell’obbligo al mantenimento del figlio maggiorenne non ancora economicamente autosufficiente sussista nei confronti di entrambi i genitori, piuttosto che in capo al solo coniuge collocatario della prole.
Ciò premesso, occorre una breve disamina delle norme di diritto relative all’obbligo di mantenimento dei figli.
Nello specifico, la parità agli obblighi di contribuzione e, pertanto, di solidarietà economica è un principio che trova il suo fondamento proprio a partire dall’art. 30 Cost. che stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Sulla base di tale principio costituzionale, l’art. 147 c.c. specifica, per l’appunto, come gravi in capo ai coniugi “l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni secondo quanto previsto dall’articolo 315 bis c.c.” – norma quest’ultima che, a seguito della L. 219/2012 (cd. Riforma della filiazione) che ha sancito il principio di unicità dello status di figlio, delinea chiaramente il diritto al mantenimento/istruzione/educazione/assistenza per tutti i figli, sia che essi siano nati in costanza, che al di fuori, del matrimonio.
Partendo da tale assunto, è necessario evidenziare come l’obbligo di mantenimento (che deve dunque essere sempre garantito dai genitori ai propri figli, sia che essi siano legittimi che naturali), si sostanzi in sede di separazione e divorzio, specificamente, nel versamento di un assegno periodico, suscettibile di revisione, avente natura prettamente assistenziale.
Più nel dettaglio, tale assegno ricopre il mantenimento ordinario, intendendosi con tale termine tutte le spese destinate a soddisfare i bisogni e le normali esigenze di vita dei figli, ma i genitori solo altresì tenuti a versare anche il mantenimento straordinario, intendendosi con tale termine tutte le spese non rientranti nelle normali consuetudini di vita della prole e che, in quanto tali, non possono essere stabilite a priori, così come ricomprese, all’interno dell’assegno periodico di mantenimento ordinario. Tali spese, aventi carattere imprevedibile e straordinario, sono infatti solitamente anticipate dal genitore collocatario che ne richiede il relativo rimborso all’altro coniuge, a seconda degli accordi intrapresi e della ripartizione delle stesse (solitamente a carico del 50% ciascuno dei genitori).
Ciò premesso, occorre evidenziare in merito come, mentre il legislatore indica chiaramente che l’obbligo al mantenimento inizi a decorrere dalla nascita del figlio, ovvero per il solo fatto di averlo generato e “prescinde da qualsivoglia domanda in merito” (Cass. civ. n. 3079/2015), omette invece di indicarne il termine finale, anche se, sul punto, la giurisprudenza è ormai pacificamente concorde nel fare coincidere il suddetto termine con le concrete esigenze di vita del figlio che, almeno da un punto di vista economico, perdurano sino al raggiungimento di una totale indipendenza economica.
Nonostante ciò, la giurisprudenza ha però più volte censurato l’assunto che vedrebbe la corresponsione dell’assegno di mantenimento a prescindere da qualsivoglia valutazione delle condizioni peculiari in cui versa il figlio maggiorenne, ovvero per il solo fatto che non abbia ancora ottenuto la propria collocazione nel mondo del lavoro in base alle proprie aspirazioni di vita.
Invero, l’art. 337 – septies, primo comma, c.c., prevede, per l’appunto, che il Giudice valuti previamente le circostanze del caso, prima di disporre in favore dei figli maggiorenni, non indipendenti economicamente, il contributo di cui all’assegno di mantenimento.
Come affermato anche dalla Corte di Cassazione, infatti, “l’assegno è riconosciuto nel presupposto della mancata indipendenza economica del figlio, in base alla verifica di circostanze idonee a giustificare il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni – indipendentemente dal fatto che questi ultimi convivano con uno dei genitori -, secondo un’analisi effettuata dal Giudice del merito case by case” (Cass. civ. n. 12952/2016).
Ciò implica che l’accertamento che deve essere effettuato dal Giudice deve basarsi sul percorso formativo e lavorativo prescelto dalla prole, in rapporto all’età del beneficiario, oltre che sulla situazione del mercato del lavoro, al fine di evitare che l’assistenza economica a cui sono tenuti i genitori verso i figli si possa protrarre all’infinito traducendosi in forme “di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani” (Cass. civ. n. 12952/2016).
Ne deriva, pertanto, come l’obbligo dei genitori non possa protrarsi sine die, e che pertanto al di là di situazioni di minoranza fisica e psichica ampiamente tutelate dall’ordinamento, il mantenimento al figlio maggiorenne non è automatico solo a causa del mancato rinvenimento di un’occupazione in linea con il percorso di studi prescelto, o a causa del rifiuto di svolgere occupazioni non corrispondenti alle proprie aspettative di vita futura.
Tanto è vero che, l’obbligo di mantenimento al figlio maggiorenne può già di per sé escludersi nell’ipotesi in cui quest’ultimo si sia inserito in un diverso nucleo familiare ed abbia dunque interrotto il legame e la dipendenza con la famiglia d’origine (cfr. Cass. civ. n. 12477/2004).
In ogni caso, al di là di tali valutazioni specifiche sulla situazione concreta in cui versa il figlio maggiorenne, per quanto attiene la modalità di erogazione del suddetto mantenimento, esso può essere soddisfatto in due modi: o con mantenimento diretto, quando quest’ultimo conviva con uno o entrambi i genitori e questi provvedano direttamente alle sue necessità, ovvero con mantenimento indiretto, che si sostanzia tramite versamento di un assegno periodico da parte del genitore non collocatario che, per l’appunto, non vivendo con il figlio, può scegliere se effettuare direttamente il pagamento nei confronti del figlio maggiorenne (c.d. versamento diretto) oppure all’altro coniuge con cui quest’ultimo convive (c.d. versamento indiretto).
Ciò implica che, qualora vi sia un figlio maggiorenne che ancora viva nel contesto familiare con uno dei due genitori separati o divorziati, sulla base delle norme sino ad ora citate, tale obbligo di mantenimento (fondato su una valutazione preventiva dei criteri sopra riportati), deve considerarsi gravante su ciascuno dei due genitori che devono contribuire in misura proporzionale al proprio reddito.
Ne deriva, pertanto, che la valutazione in merito alla capacità economica dei genitori, viene attuata da parte del Giudice, unicamente per stabilire la misura in cui tale assegno deve essere versato.
Invero, nessuno dei coniugi può essere considerato esonerato dal mantenimento dei figli, neanche previo consenso dell’altro, in quanto trattasi di un diritto esclusivo ed indisponibile vantato dalla prole che, come tale, deve considerarsi totalmente irrinunciabile, anche ai sensi dell’art. 30 della Costituzione.
In conclusione, sulla base del contesto normativo analizzato, emerge con particolare chiarezza che il legislatore abbia provveduto a disciplinare il modo e il quantum con cui il genitore non convivente debba contribuire al mantenimento del figlio che non viva con lui (sia che sia minorenne che maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente), senza parimenti escludere l’onere al mantenimento, già sussistente, verso il genitore collocatario, che deve per l’appunto continuare a contribuire alle esigenze di vita del proprio figlio già maggiorenne, sino a quando quest’ultimo non entri a fare parte del mondo del lavoro in maniera stabile e duratura, ottenendo un reddito sufficientemente adeguato e tale da garantirgli una concreta ed effettiva stabilità economica.

La decisione:

La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sul punto, ha dunque ritenuto fondato il motivo sopra individuato, ritenendo che al mantenimento del figlio maggiorenne, non ancora autonomo, dovessero provvedere entrambi i genitori.
La sentenza ribadisce quindi un principio assodato in giurisprudenza secondo il quale l’art. 337 ter c.c. nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze dei figli, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori.
Tale decisione è stata assunta, nonostante, come affermato testualmente anche dalla Suprema Corte
la quantificazione richiede la valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto” (Cass. civ.Sez. VI – 1, Ord., 3 febbraio 2022, n. 3426).
In altre parole, la Suprema Corte ha finito per affermare che, anche se la quantificazione dell’obbligo richiede la valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, e anche se da tale valutazione emerga che uno dei due abbia maggiori disponibilità economiche rispetto all’altro, questo dato può rilevare unicamente ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, e non certo per stabilire su quale dei due genitori gravi l’obbligo del mantenimento, che per l’appunto deve essere garantito in eguale misura da parte di entrambi.
In conclusione, la Corte di Cassazione con tale pronuncia, basandosi sul dettato costituzionale dell’art. 30 Cost.  che impone l’obbligo di mantenimento, di istruzione e di educazione dei figli in capo ad entrambi i genitori, ha dunque delineato la priorità funzionale tra i doveri e i diritti di entrambi i genitori nel mantenimento, nell’istruzione e nell’educazione dei figli, evidenziando, per l’appunto, come il mantenimento sia prima di tutto un dovere a cui entrambi i genitori devono continuare, insieme, ad adempiere.

Riflessioni finali:

Il quadro normativo delineato impone pertanto chiaramente un obbligo contributivo da parte di entrambi genitori nei confronti dei figli, seppur maggiorenni.
Invero, al di là delle mere situazioni in cui il giovane non voglia e/o non accetti determinati lavori perché non corrispondenti alle proprie aspirazioni, quest’ultimo è ampiamente tutelato dalla legge che impone ad entrambi i genitori di continuare a contribuire al suo sostegno economico.
Specificamente, le ultime pronunce giurisprudenziali impongono una valutazione preventiva della capacità lavorativa del figlio maggiorenne, al fine specifico di evitare una situazione di “parassitismo” nei confronti dei genitori.
Tale valutazione può, però, ritenersi sufficiente?
Partendo dall’assunto per cui l’obbligo di mantenimento potrebbe escludersi qualora il figlio maggiorenne si inserisca in un diverso nucleo familiare, interrompendo in tal modo il legame e la dipendenza con la famiglia d’origine, ciò non comporta l’implicito ragionamento per cui tali ragazzi invece che “scappare di casa” come succedeva una volta, possano, piuttosto, prediligere (sulla base del sistema attuale di mercato e, a volte, non avendo alcuna scelta a riguardo) di “scappare a casa”?
Non sarebbe infatti più semplice continuare ad avere un supporto economico da parte della famiglia d’origine (scelta talvolta obbligata), piuttosto che essere sommersi da bollette e/o spese che non si riescono a sostenere?
Se il mercato non aiuta i giovani ragazzi ad immettersi nel mondo del lavoro, come si può infatti ipotizzare che gli stessi riescano a non dipendere più dai propri genitori?
Tali ragionamenti, se correttamente condivisi, potrebbero dunque ben divenire uno spunto di riflessione per ampliare in un futuro (si spera non troppo lontano) i limiti attuali del mercato del lavoro, garantendo anche ai più giovani l’adeguato spazio lavorativo tanto agognato e meritato.