Lavoro agile: il diritto alla disconnessione e la natura giuridica del “tempo di connessione”

Lavoro agile

1. Introduzione

Il crescente processo di digitalizzazione, accelerato dall’avvento della pandemia da Covid-19, ha comportato un considerevole incremento dell’utilizzo del lavoro agile1, figura contrattuale destinata a divenire ormai un “new normal”2 tra quelle utilizzate dalle imprese3. Tale modello di lavoro, infatti, risulta idoneo, almeno sulla carta, a produrre conseguenze favorevoli per entrambi gli attori in gioco: da un lato, consente ai lavoratori di meglio conciliare le esigenze di vita e lavoro; dall’altro, permette alle imprese di risparmiare risorse energetiche e costi legati all’attività e, dunque, di incrementare la loro competitività sul mercato4.
A tali indubbi vantaggi, si contrappongono però profili di delicatezza che la delocalizzazione della prestazione lavorativa al di fuori degli ambienti fisici dell’impresa comporta.
In ambito di lavoro agile, infatti, diversi studi, effettuati sia a livello nazionale5 che internazionale6, hanno registrato una sempre più considerevole dilatazione della giornata (e, conseguentemente, anche della settimana) lavorativa7: anche quando siano previste, da contratti collettivi o da accordi individuali, delle fasce orarie per lo svolgimento della prestazione lavorativa, i lavoratori si trovano sempre più frequentemente a prestare la propria attività per un numero di ore superiore rispetto a quelle normalmente svolte nella giornata lavorativa prestata in ufficio8. Ciò comporta un progressivo assottigliamento della linea di demarcazione, che deve invece necessariamente sussistere e imporsi tra vita privata e vita professionale del lavoratore, con conseguente sviluppo dell’ormai noto fenomeno della c.d. “time porosity”9.
Con riguardo a tale questione, tuttavia, l’impianto normativo previsto dal Legislatore – costituito dalla Legge del 22 maggio 2017, n. 81 – risulta al quanto lacunoso, anche a seguito della recente integrazione avvenuta con l’approvazione del Protocollo Nazionale sul lavoro agile sottoscritto il 7 dicembre scorso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del Ministro Orlando, e dalle sigle confederali maggiormente rappresentative su base nazionale10.
Tale deficit legislativo ha comportato, come era prevedibile, la nascita di numerose questioni legate all’equo bilanciamento tra tempo di connessione e diritto alla disconnessione che sempre più frequentemente risulta violato dalle imprese, a discapito dei lavoratori.

2. Il fenomeno dell'”overworking”

Ai sensi dell’art. 18, L. 81/2017, il lavoratore agile può collocare la propria prestazione lavorativa “entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”, senza nulla specificare in punto di orario “normale” giornaliero e/o settimanale. Anche il Protocollo del 7 dicembre 2021 stabilisce all’art. 3, co. 1, che “la giornata svolta in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per l’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati”.
Questa grande elasticità è al contempo il beneficio e la possibile controindicazione al lavoro agile. Se la contrattazione collettiva o individuale (a dire il vero, disincentivate dalla decretazione emergenziale degli ultimi due anni11) possono delimitare precise “fasce orarie” entro le quali collocare la prestazione del lavoratore, in loro assenza ed applicando alla lettera il dato normativo la giornata lavorativa potrebbe protrarsi, anche ogni giorno della settimana, per 12 ore e 50 minuti, (ossia le ore totale di una giornata diminuite dei tempi di riposo e pausa minimi previsti dal d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, pari ad 11 ore e 10 minuti ogni 24 ore)12. Essenziale è che ciò non sia imposto da pratiche lavorative, e tempistiche, dettate dal datore di lavoro, quali ad esempio: (i) carichi eccessivi di lavoro da svolgere entro scadenze troppo ristrette; (ii) programmazione di riunioni e/o eventi formativi al di fuori dell’orario di ufficio; (iii) invio di mail, sms e telefonate al lavoratore a qualsiasi orario13.
Tali fattori inducono, infatti, il lavoratore all’iper-connessione e al c.d. overworking, costringendolo a rimanere sempre a disposizione del datore di lavoro ed a prestare la propria attività lavorativa al di fuori dell’orario stabilito, con evidente violazione del diritto a lavorare dignitosamente previsto dall’art. 36, co. 3 Cost., e dei suoi corollari, quali il diritto al rispetto di vincoli di orario, il diritto al riposo e il diritto a percepire una retribuzione realmente compensativa dell’effettiva attività prestata14.
Per limitare tali pratiche è necessario, dunque, che sia garantito ad ogni lavoratore – e dunque anche a coloro che svolgono la loro attività in modalità agile – il diritto, in determinate fasce orarie, di disconnettersi dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche utilizzate per svolgere la prestazione lavorativa, ovvero impostare i propri devices in modalità off-line15, senza che ciò possa comportare ripercussioni negative da parte del datore di lavoro (quali decurtazioni retributive o irrogazioni di sanzioni disciplinari).
Nel caso in cui, per ragioni organizzative e/o di produzione legate alla tipologia di attività prestata dal lavoratore, quest’ultimo debba continuare a rimanere connesso oltre l’orario stabilito, è opportuno che tale “straordinaria” ed ulteriore connessione venga adeguatamente retribuita, nel rispetto del principio di cui all’art. 36, co. 1 Cost.

3. Il diritto alla disconnessione

In punto di diritto alla disconnessione, la disciplina del lavoro agile pare alquanto manchevole, soprattutto relativamente al contenuto e alle modalità di garanzia dello stesso.
L’art. 19, co. 1, L. 81/2017 rubricato “Misure (…) volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, nel rinviare ad un accordo scritto tra le parti le modalità di ricorso al lavoro agile, stabilisce che lo stesso individui “altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”, rimettendo quindi alla libera autonomia delle parti il compito di stabilire le modalità di realizzazione della disconnessione e non inquadrando, neppure, la disconnessione in termini di diritto16.
Dall’analisi del dato normativo, emerge, inoltre, come il legislatore abbia omesso di prevedere una regolamentazione dell’istituto minima e inderogabile, finalizzata ad evitare abusi da parte del datore di lavoro della libertà contrattuale17, nonché di prevedere una sanzione applicabile nel caso in cui le parti omettano di stabilire nell’accordo le misure per realizzare il diritto in questione, conferendo alla previsione legislativa ulteriore “debolezza” e inidoneità a proteggere i beni giuridici in gioco18. Anche il recente Protocollo, sebbene sia evidente il tentativo delle parti firmatarie di specificare meglio la portata e i limiti del lavoro agile, non pare apportare in concreto un sostanziale miglioramento, lasciando l’istituto della disconnessione ancora sprovvisto di una disciplina in punto di regolamentazione e garanzie.
Lo stesso si limita, infatti, a stabilire che la prestazione possa essere articolata in fasce orarie: una di “disconnessione”, durante la quale “il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa”, ed una di “connessione”, durante la quale, invece, la stessa deve essere svolta19 e che deve rimanere tendenzialmente entro i confini dell’orario normale di lavoro20.
Tale distorsione contribuisce ad incrementare – anziché arginare – i fenomeni dell’iper-connessione e dell’overworking21.
La necessità di pervenire ad un quadro normativo di riferimento è stata, peraltro, recentemente espressa anche dal Parlamento europeo il quale, sottolineando come la digitalizzazione del lavoro implichi “l’intensificazione del lavoro e l’estensione dell’orario di lavoro, rendendo così meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata”, con conseguenti effetti sia sulla salute che sul benessere del lavoratore, ha chiesto alla Commissione europea di elaborare una normativa che riconosca la disconnessione, quale diritto fondamentale, e stabilisca gli standards da rispettare per il lavoro agile22. Sebbene, ad oggi, la Commissione non risulti ancora aver dato seguito alla proposta di direttiva avanzata dal Parlamento, si auspica un suo intervento in tempi brevi che costringa lo Stato ad integrare la disciplina del diritto di disconnessione garantendone l’effettività e la concreta applicazione.

4. La natura giuridica del tempo di connessione

Altra questione legata indissolubilmente al tema dell’iper-lavoro riguarda la qualificazione giuridica del tempo di connessione, da intendersi come quel tempo in cui il lavoratore è esposto alle continue sollecitazioni lavorative, rese possibili dai dispositivi tecnologici23.
Se da una parte, infatti, deve essere efficacemente garantito ai lavoratori il diritto alla disconnessione, dall’altra è altresì necessario che il tempo di connessione “extra-orario” venga adeguatamente retribuito e/o indennizzato da parte delle imprese.
Anche in questo senso, il legislatore non pare essere stato efficiente.
La disciplina dell’orario di lavoro prevista dal D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 risulta improntata ad una concezione binaria dei tempi24: i tempi legati all’attività lavorativa possono essere qualificati – in assenza di una categoria intermedia – o come orario di lavoro, ossia come tempo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro ed esercita la sua prestazione, o come periodo di riposo, da intendersi, invece, come “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro25. Tale impostazione duale rende però incerta la collocazione di tutti quei tempi c.d. “intermedi26 che non siano in senso stretto qualificabili né come orario di lavoro né come riposo e tra i quali rientra a tutti gli effetti il tempo di connessione.
A fornire un importante contributo in merito alla qualificazione di tali “tempi grigi27 è stata la Corte di Giustizia dell’Unione europea che, attraverso un’attività interpretativa della nozione di orario, ne ha gradualmente esteso i confini28. Secondo la Corte, infatti, deve essere considerato orario di lavoro quel tempo sottoposto a vincoli di attività tali da “incidere oggettivamente e in maniera molto significativa sulla facoltà”, del lavoratore, “di gestire liberamente il tempo in cui non è richiesta la sua attività professionale e di dedicare tale tempo ai propri interessi29; conseguentemente, l’orario di riposo deve intendersi quale tempo svincolato dalle interferenze della sfera lavorativa ed entro il quale il lavoratore è libero di “gestire il suo tempo e di dedicarsi ai propri interessi”, realizzando la sua personalità in una dimensione individuale e collettiva30.
Alla luce dell’interpretazione elaborata dalla Corte della nozione di orario di lavoro, la dottrina maggioritaria ritiene che il periodo di connessione vada qualificato come “tempo di non lavoro31, sull’assunto che la mera ricezione di messaggi o mail non impedirebbe al lavoratore di gestire liberamente il proprio tempo, né la sua libertà di movimento al di fuori dell’orario di lavoro. In queste circostanze, infatti, sarebbe rimessa alla libera scelta del lavoratore se trasformare o meno la semplice “connessione” in esercizio dell’attività lavorativa32.
Qualificare il tempo di connessione come tempo di non lavoro comporta, però, applicando la predetta impostazione binaria di cui al D.Lgs. 66/2003 (che non prevede una categoria intermedia di “tempo”), la riconduzione dello stesso al tempo di riposo con conseguente rischio di erosione del periodo minimo di riposo (11 ore e 10 minuti) e “una corrispettiva dilatazione del tempo dedicato alla sfera lavorativa, così ammettendo uno stato di «connessione permanente»33.
Tale circostanza deve tuttavia ritenersi inammissibile34 alla luce dei valori costituzionali vigenti quali il rispetto del riposo giornaliero e settimanale ex art. 36, co. 2 e 3 Cost. e il diritto alla salute ex art. 32 Cost., che, se lesi, comporterebbero la violazione dell’art. 2087 c.c. con conseguente responsabilità del datore di lavoro per lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore35.

5. Il ruolo della contrattazione collettiva

Per far fronte alle problematiche suesposte ed al fine di integrare la disciplina normativa, si ritiene opportuno un intervento della contrattazione collettiva – nazionale o aziendale – quale fonte privilegiata di regolamentazione dello svolgimento del lavoro agile in grado di introdurre concrete modalità di esercizio della disconnessione/connessione36.
Le parti sociali potrebbero, infatti, prevedere, ad esempio, procedure di connessione da remoto, una relazione tra trattamento economico e risultato (anziché puntare l’attenzione sul fattore tempo e sull’orario di lavoro) e counseling psicologici periodici, nonchè espressamente pattuire, in accordo con l’impresa, periodi di connessione obbligatori a soddisfazione dell’interesse datoriale e alle esigenze dell’attività produttiva. In questo caso, la disponibilità alla chiamata costituirebbe “oggetto di un obbligo accessorio/integrativo dell’esecuzione della prestazione lavorativa37 che sarebbe poi debitamente indennizzato al lavoratore per il sacrificio subito dallo stesso al proprio tempo libero e in ragione del corrispettivo soddisfacimento di cui si gioverebbe il datore di lavoro. La connessione, qualificata come obbligo, sarebbe del tutto assimilabile ai periodi di disponibilità e di reperibilità38 e quindi inquadrabile – al pari di essi – all’interno della categoria “orario di lavoro”, con conseguente computabilità della stessa nel calcolo della durata massima della giornata lavorativa che il lavoratore agile è tenuto a rispettare39.
In questa direzione si è certamente mosso il Protocollo del 7 dicembre 2021, il quale – demandando alle Parti sociali il compito di dare attuazione alle linee di indirizzo in esso definite nei diversi e specifici contesti produttivi – ha cercato di valorizzarne il ruolo nell’ambito della disciplina del lavoro agile40. Tuttavia, sebbene nel contesto europeo le parti sociali dimostrano di aver già da tempo intrapreso questa strada41, in Italia le stesse hanno svolto, almeno sino ad oggi, un ruolo meramente sussidiario se non addirittura nullo: si registra, infatti, come solo il 19% dei Contratti collettivi – nazionali42 o aziendali43 – trattino compiutamente il tema della disconnessione, lasciando sprovvisti di tutela la maggior parte dei lavoratori agili.

6. Conclusioni

Alla luce di quanto sin qui esposto, in mancanza di un intervento legislativo (preferibile), non rimane che auspicare una maggiore partecipazione da parte della contrattazione collettiva che, disciplinando compiutamente il tempo di connessione e le modalità di esercizio del diritto di disconnessione, costruisca un nuovo contesto lavorativo basato, più che sulla durata della prestazione lavorativa, sui risultati e la qualità della prestazione stessa44.
Infine, affinché il diritto alla disconnessione svolga efficacemente il ruolo per il quale è stato previsto, oggetto di cambiamento – oltre alle previsioni di legge e al ruolo delle parti sociali – deve essere la stessa mentalità dei lavoratori i quali non devono identificare la disconnessione come mero diritto, quanto piuttosto come una vera e propria necessità per la tutela della salute, propria e altrui, in una garanzia di produttività complessiva dell’impresa45.

lavoro agile

1. Introduzione

Il crescente processo di digitalizzazione, accelerato dall’avvento della pandemia da Covid-19, ha comportato un considerevole incremento dell’utilizzo del lavoro agile1, figura contrattuale destinata a divenire ormai un “new normal”2 tra quelle utilizzate dalle imprese3. Tale modello di lavoro, infatti, risulta idoneo, almeno sulla carta, a produrre conseguenze favorevoli per entrambi gli attori in gioco: da un lato, consente ai lavoratori di meglio conciliare le esigenze di vita e lavoro; dall’altro, permette alle imprese di risparmiare risorse energetiche e costi legati all’attività e, dunque, di incrementare la loro competitività sul mercato4.
A tali indubbi vantaggi, si contrappongono però profili di delicatezza che la delocalizzazione della prestazione lavorativa al di fuori degli ambienti fisici dell’impresa comporta.
In ambito di lavoro agile, infatti, diversi studi, effettuati sia a livello nazionale5 che internazionale6, hanno registrato una sempre più considerevole dilatazione della giornata (e, conseguentemente, anche della settimana) lavorativa7: anche quando siano previste, da contratti collettivi o da accordi individuali, delle fasce orarie per lo svolgimento della prestazione lavorativa, i lavoratori si trovano sempre più frequentemente a prestare la propria attività per un numero di ore superiore rispetto a quelle normalmente svolte nella giornata lavorativa prestata in ufficio8. Ciò comporta un progressivo assottigliamento della linea di demarcazione, che deve invece necessariamente sussistere e imporsi tra vita privata e vita professionale del lavoratore, con conseguente sviluppo dell’ormai noto fenomeno della c.d. “time porosity”9.
Con riguardo a tale questione, tuttavia, l’impianto normativo previsto dal Legislatore – costituito dalla Legge del 22 maggio 2017, n. 81 – risulta al quanto lacunoso, anche a seguito della recente integrazione avvenuta con l’approvazione del Protocollo Nazionale sul lavoro agile sottoscritto il 7 dicembre scorso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del Ministro Orlando, e dalle sigle confederali maggiormente rappresentative su base nazionale10.
Tale deficit legislativo ha comportato, come era prevedibile, la nascita di numerose questioni legate all’equo bilanciamento tra tempo di connessione e diritto alla disconnessione che sempre più frequentemente risulta violato dalle imprese, a discapito dei lavoratori.

2. Il fenomeno dell'”overworking”

Ai sensi dell’art. 18, L. 81/2017, il lavoratore agile può collocare la propria prestazione lavorativa “entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”, senza nulla specificare in punto di orario “normale” giornaliero e/o settimanale. Anche il Protocollo del 7 dicembre 2021 stabilisce all’art. 3, co. 1, che “la giornata svolta in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per l’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati”.
Questa grande elasticità è al contempo il beneficio e la possibile controindicazione al lavoro agile. Se la contrattazione collettiva o individuale (a dire il vero, disincentivate dalla decretazione emergenziale degli ultimi due anni11) possono delimitare precise “fasce orarie” entro le quali collocare la prestazione del lavoratore, in loro assenza ed applicando alla lettera il dato normativo la giornata lavorativa potrebbe protrarsi, anche ogni giorno della settimana, per 12 ore e 50 minuti, (ossia le ore totale di una giornata diminuite dei tempi di riposo e pausa minimi previsti dal d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, pari ad 11 ore e 10 minuti ogni 24 ore)12. Essenziale è che ciò non sia imposto da pratiche lavorative, e tempistiche, dettate dal datore di lavoro, quali ad esempio: (i) carichi eccessivi di lavoro da svolgere entro scadenze troppo ristrette; (ii) programmazione di riunioni e/o eventi formativi al di fuori dell’orario di ufficio; (iii) invio di mail, sms e telefonate al lavoratore a qualsiasi orario13.
Tali fattori inducono, infatti, il lavoratore all’iper-connessione e al c.d. overworking, costringendolo a rimanere sempre a disposizione del datore di lavoro ed a prestare la propria attività lavorativa al di fuori dell’orario stabilito, con evidente violazione del diritto a lavorare dignitosamente previsto dall’art. 36, co. 3 Cost., e dei suoi corollari, quali il diritto al rispetto di vincoli di orario, il diritto al riposo e il diritto a percepire una retribuzione realmente compensativa dell’effettiva attività prestata14.
Per limitare tali pratiche è necessario, dunque, che sia garantito ad ogni lavoratore – e dunque anche a coloro che svolgono la loro attività in modalità agile – il diritto, in determinate fasce orarie, di disconnettersi dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche utilizzate per svolgere la prestazione lavorativa, ovvero impostare i propri devices in modalità off-line15, senza che ciò possa comportare ripercussioni negative da parte del datore di lavoro (quali decurtazioni retributive o irrogazioni di sanzioni disciplinari).
Nel caso in cui, per ragioni organizzative e/o di produzione legate alla tipologia di attività prestata dal lavoratore, quest’ultimo debba continuare a rimanere connesso oltre l’orario stabilito, è opportuno che tale “straordinaria” ed ulteriore connessione venga adeguatamente retribuita, nel rispetto del principio di cui all’art. 36, co. 1 Cost.

3. Il diritto alla disconnessione

In punto di diritto alla disconnessione, la disciplina del lavoro agile pare alquanto manchevole, soprattutto relativamente al contenuto e alle modalità di garanzia dello stesso.
L’art. 19, co. 1, L. 81/2017 rubricato “Misure (…) volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, nel rinviare ad un accordo scritto tra le parti le modalità di ricorso al lavoro agile, stabilisce che lo stesso individui “altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”, rimettendo quindi alla libera autonomia delle parti il compito di stabilire le modalità di realizzazione della disconnessione e non inquadrando, neppure, la disconnessione in termini di diritto16.
Dall’analisi del dato normativo, emerge, inoltre, come il legislatore abbia omesso di prevedere una regolamentazione dell’istituto minima e inderogabile, finalizzata ad evitare abusi da parte del datore di lavoro della libertà contrattuale17, nonché di prevedere una sanzione applicabile nel caso in cui le parti omettano di stabilire nell’accordo le misure per realizzare il diritto in questione, conferendo alla previsione legislativa ulteriore “debolezza” e inidoneità a proteggere i beni giuridici in gioco18. Anche il recente Protocollo, sebbene sia evidente il tentativo delle parti firmatarie di specificare meglio la portata e i limiti del lavoro agile, non pare apportare in concreto un sostanziale miglioramento, lasciando l’istituto della disconnessione ancora sprovvisto di una disciplina in punto di regolamentazione e garanzie.
Lo stesso si limita, infatti, a stabilire che la prestazione possa essere articolata in fasce orarie: una di “disconnessione”, durante la quale “il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa”, ed una di “connessione”, durante la quale, invece, la stessa deve essere svolta19 e che deve rimanere tendenzialmente entro i confini dell’orario normale di lavoro20.
Tale distorsione contribuisce ad incrementare – anziché arginare – i fenomeni dell’iper-connessione e dell’overworking21.
La necessità di pervenire ad un quadro normativo di riferimento è stata, peraltro, recentemente espressa anche dal Parlamento europeo il quale, sottolineando come la digitalizzazione del lavoro implichi “l’intensificazione del lavoro e l’estensione dell’orario di lavoro, rendendo così meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata”, con conseguenti effetti sia sulla salute che sul benessere del lavoratore, ha chiesto alla Commissione europea di elaborare una normativa che riconosca la disconnessione, quale diritto fondamentale, e stabilisca gli standards da rispettare per il lavoro agile22. Sebbene, ad oggi, la Commissione non risulti ancora aver dato seguito alla proposta di direttiva avanzata dal Parlamento, si auspica un suo intervento in tempi brevi che costringa lo Stato ad integrare la disciplina del diritto di disconnessione garantendone l’effettività e la concreta applicazione.

4. La natura giuridica del tempo di connessione

Altra questione legata indissolubilmente al tema dell’iper-lavoro riguarda la qualificazione giuridica del tempo di connessione, da intendersi come quel tempo in cui il lavoratore è esposto alle continue sollecitazioni lavorative, rese possibili dai dispositivi tecnologici23.
Se da una parte, infatti, deve essere efficacemente garantito ai lavoratori il diritto alla disconnessione, dall’altra è altresì necessario che il tempo di connessione “extra-orario” venga adeguatamente retribuito e/o indennizzato da parte delle imprese.
Anche in questo senso, il legislatore non pare essere stato efficiente.
La disciplina dell’orario di lavoro prevista dal D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 risulta improntata ad una concezione binaria dei tempi24: i tempi legati all’attività lavorativa possono essere qualificati – in assenza di una categoria intermedia – o come orario di lavoro, ossia come tempo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro ed esercita la sua prestazione, o come periodo di riposo, da intendersi, invece, come “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro25. Tale impostazione duale rende però incerta la collocazione di tutti quei tempi c.d. “intermedi26 che non siano in senso stretto qualificabili né come orario di lavoro né come riposo e tra i quali rientra a tutti gli effetti il tempo di connessione.
A fornire un importante contributo in merito alla qualificazione di tali “tempi grigi27 è stata la Corte di Giustizia dell’Unione europea che, attraverso un’attività interpretativa della nozione di orario, ne ha gradualmente esteso i confini28. Secondo la Corte, infatti, deve essere considerato orario di lavoro quel tempo sottoposto a vincoli di attività tali da “incidere oggettivamente e in maniera molto significativa sulla facoltà”, del lavoratore, “di gestire liberamente il tempo in cui non è richiesta la sua attività professionale e di dedicare tale tempo ai propri interessi29; conseguentemente, l’orario di riposo deve intendersi quale tempo svincolato dalle interferenze della sfera lavorativa ed entro il quale il lavoratore è libero di “gestire il suo tempo e di dedicarsi ai propri interessi”, realizzando la sua personalità in una dimensione individuale e collettiva30.
Alla luce dell’interpretazione elaborata dalla Corte della nozione di orario di lavoro, la dottrina maggioritaria ritiene che il periodo di connessione vada qualificato come “tempo di non lavoro31, sull’assunto che la mera ricezione di messaggi o mail non impedirebbe al lavoratore di gestire liberamente il proprio tempo, né la sua libertà di movimento al di fuori dell’orario di lavoro. In queste circostanze, infatti, sarebbe rimessa alla libera scelta del lavoratore se trasformare o meno la semplice “connessione” in esercizio dell’attività lavorativa32.
Qualificare il tempo di connessione come tempo di non lavoro comporta, però, applicando la predetta impostazione binaria di cui al D.Lgs. 66/2003 (che non prevede una categoria intermedia di “tempo”), la riconduzione dello stesso al tempo di riposo con conseguente rischio di erosione del periodo minimo di riposo (11 ore e 10 minuti) e “una corrispettiva dilatazione del tempo dedicato alla sfera lavorativa, così ammettendo uno stato di «connessione permanente»33.
Tale circostanza deve tuttavia ritenersi inammissibile34 alla luce dei valori costituzionali vigenti quali il rispetto del riposo giornaliero e settimanale ex art. 36, co. 2 e 3 Cost. e il diritto alla salute ex art. 32 Cost., che, se lesi, comporterebbero la violazione dell’art. 2087 c.c. con conseguente responsabilità del datore di lavoro per lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore35.

5. Il ruolo della contrattazione collettiva

Per far fronte alle problematiche suesposte ed al fine di integrare la disciplina normativa, si ritiene opportuno un intervento della contrattazione collettiva – nazionale o aziendale – quale fonte privilegiata di regolamentazione dello svolgimento del lavoro agile in grado di introdurre concrete modalità di esercizio della disconnessione/connessione36.
Le parti sociali potrebbero, infatti, prevedere, ad esempio, procedure di connessione da remoto, una relazione tra trattamento economico e risultato (anziché puntare l’attenzione sul fattore tempo e sull’orario di lavoro) e counseling psicologici periodici, nonchè espressamente pattuire, in accordo con l’impresa, periodi di connessione obbligatori a soddisfazione dell’interesse datoriale e alle esigenze dell’attività produttiva. In questo caso, la disponibilità alla chiamata costituirebbe “oggetto di un obbligo accessorio/integrativo dell’esecuzione della prestazione lavorativa37 che sarebbe poi debitamente indennizzato al lavoratore per il sacrificio subito dallo stesso al proprio tempo libero e in ragione del corrispettivo soddisfacimento di cui si gioverebbe il datore di lavoro. La connessione, qualificata come obbligo, sarebbe del tutto assimilabile ai periodi di disponibilità e di reperibilità38 e quindi inquadrabile – al pari di essi – all’interno della categoria “orario di lavoro”, con conseguente computabilità della stessa nel calcolo della durata massima della giornata lavorativa che il lavoratore agile è tenuto a rispettare39.
In questa direzione si è certamente mosso il Protocollo del 7 dicembre 2021, il quale – demandando alle Parti sociali il compito di dare attuazione alle linee di indirizzo in esso definite nei diversi e specifici contesti produttivi – ha cercato di valorizzarne il ruolo nell’ambito della disciplina del lavoro agile40. Tuttavia, sebbene nel contesto europeo le parti sociali dimostrano di aver già da tempo intrapreso questa strada41, in Italia le stesse hanno svolto, almeno sino ad oggi, un ruolo meramente sussidiario se non addirittura nullo: si registra, infatti, come solo il 19% dei Contratti collettivi – nazionali42 o aziendali43 – trattino compiutamente il tema della disconnessione, lasciando sprovvisti di tutela la maggior parte dei lavoratori agili.

6. Conclusioni

Alla luce di quanto sin qui esposto, in mancanza di un intervento legislativo (preferibile), non rimane che auspicare una maggiore partecipazione da parte della contrattazione collettiva che, disciplinando compiutamente il tempo di connessione e le modalità di esercizio del diritto di disconnessione, costruisca un nuovo contesto lavorativo basato, più che sulla durata della prestazione lavorativa, sui risultati e la qualità della prestazione stessa44.
Infine, affinché il diritto alla disconnessione svolga efficacemente il ruolo per il quale è stato previsto, oggetto di cambiamento – oltre alle previsioni di legge e al ruolo delle parti sociali – deve essere la stessa mentalità dei lavoratori i quali non devono identificare la disconnessione come mero diritto, quanto piuttosto come una vera e propria necessità per la tutela della salute, propria e altrui, in una garanzia di produttività complessiva dell’impresa45.

Note

1 Come rilevato dall’Indagine INAPP Plus riportati in F. BERGAMENTE, T. CANAL, E. MANDRONE, R. ZUCARO, Il lavoro da remoto: le modalità attuative gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori, Inapp Policy Brief, 2022, n. 26, p. 3.
2 Cit. M.T. CARINCI e A. INGRAO, Il lavoro agile: criticità emergenti e proposte per una riforma, in LLI, 2021, Vol. 7, n. 2, 14. Si veda altresì il D.p.c.m. 22 marzo 2020 e il D.p.c.m. 8 ottobre 2021 dove il lavoro agile viene definito come “una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione” di lavoro.
3 Si veda un recente report dell’Associazione italiana per la direzione del personale (Aidp) che ha coinvolto 850 tra direttori del personale e aziende e dal quale è emerso che per il 90% delle aziende italiane il lavoro agile è una modalità di lavoro definitiva, che continueranno ad applicare anche successivamente al 30 giugno 2022.
4 Cfr. art. 18, L. 22 maggio 2017, n. 81 sul lavoro agile, il quale prevede come finalità espresse di tale modalità di lavoro quelle di “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.
5 M.T. CARINCI e A. INGRAO., op. cit., con riguardo ai lavoratori agili impiegati in imprese del settore ICT ubicate nella provincia di Milano.
6 Si veda un’interessante analisi effettuata da alcuni ricercatori della Harvard Business School, E. De Filippis et al., Collaborating During Coronavirus: the impact of Covid-19 on the Nature of Work, nber working paper series, Working Paper, luglio 2020, n. 27612, ha dimostrato che il lavoro prestato a distanza allunga considerevolmente l’orario di lavoro. L’indagine ha riguardato sedici aree metropolitane in Nord America, Europa e Medio Oriente e il risultato è stato ricavato analizzando direttamente i sistemi di comunicazione digitale dei dipendenti. Dall’analisi effettuata è emerso che i lavoratori agili lavorano in media 48,5 minuti in più al giorno (+8,2% sul monte ore), rispetto ai colleghi che lavorano nei locali aziendali.
7 Secondo Eurofound, Telework and ICT-based mobile work: Flexible working in the digital age, cit., i lavoratori agili hanno più del doppio delle probabilità di lavorare oltre le 48 ore settimanali massime previste e di riposare meno delle 11 ore previste fra un giorno lavorativo e l’altro rispetto alle persone che lavorano nella sede del datore di lavoro. Inoltre, risulta, altresì. più elevatala probabilità che tali lavoratori soffrano di stress legato al lavoro, di disturbi del sonno, emicranie, affaticamento degli occhi, stanchezza, ansia e disturbi muscolo-scheletrici. Cfr. Eurofound, COVID-19 unleashed the potential for telework – How are workers coping? blog post, 9 June 2020; EU-OSHA, Teleworking during the COVID-19 pandemic: risks and prevention strategies. Sul punto cfr. anche M. PERUZZI, Sicurezza e agilità: quale tutela per lo smart worker?, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2017, n. 1, p. 26; A. ROTA, Tutela della salute e sicurezza dei lavoratori digitali. Persona e pervasività delle tecnologie, in P. TULLINI (a cura di), Web e lavoro. Profili evolutivi e di tutela, Giappichelli, 2017, p. 172.
8 nell’ultimo Report ISTAT, Situazioni e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19, pubblicato il 14 dicembre 2020, in istat.it, è emerso che il 40% di coloro che hanno lavorato da casa durante la pandemia ha dichiarato di essere stato contattato al di fuori dell’orario di lavoro non solo da superiori, ma anche da colleghi e quasi un terzo di essere soggetto a richieste di tempestivo riscontro.
9 E. GENIN, Proposal for a Theorethical Framework for the Analysis of Time Porosity, IJCLLIR, 2016, vol. 32, n. 3, 280 ss. Nello stesso senso, A. FENOGLIO, Il diritto alla disconnessione del lavoratore agile, in G. ZILIO GRANDI e M. BIASI, Commentario Breve allo Statuto del lavoro autonomo e de lavoro agile, CEDAM, 2018, 547 e ss.
10 In particolare, il Protocollo è stato sottoscritto da sigle confederali avente larga capacità rappresentativa su base nazionale, quali CGIL, CISL, UIL, UGL, CONFSAL, CISAL, USB, CONFINDUSTRIA, CONFAPI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI, CONFARTIGIANATO, CNA, CASARTIGIANI, ALLEANZA, COOPERATIVE, CONFAGRICOLTURA, COLDIRETTI, CIA, COPAGRI, ABI, ANIA, CONFPROFESSIONI, CONFSERVIZI, FEDERDISTRIBUZIONI, CONFIMI E CONFETRA.
11 Al fine di garantire la continuità lavorativa delle imprese, durante il periodo epidemiologico e fino al prossimo 30 giugno, il Governo ha previsto la possibilità di proseguire l’attività lavorativa in modalità agile, semplificando gli adempimenti richiesti per l’attivazione dell’istituto e rendendo meramente facoltativa la stipula dell’accordo scritto tra lavoratore e datore, così legittimando un’attivazione unilaterale del contratto di lavoro agile.
12 Cfr. art. 7, d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66. V. sul punto, E. DAGNINO, Il diritto alla disconnessione nella legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata, DRI, 2017, IV, 1024 ss.; R. DI MEO, Il diritto alla disconnessione nella prospettiva italiana e comparata, LLI, 2017, 3, 2, 18 ss.; V. FERRANTE, Il lavoro a distanza e il diritto “alla disconnessione”, in A. OCCHINO (a cura di), Il lavoro e i suoi luoghi, Vita e Pensiero, 2018, 125 ss.; C. SPINELLI, Tecnologie digitali e lavoro agile, Cacucci, 2018; R. ZUCARO, Il diritto alla disconnessione tra interesse collettivo e individuale. Possibili profili di tutela, LLI, 2019, 5, 2, 215 ss.
13 M.T. CARINCI e A. INGRAO, op. cit., 25.
14 M.T CARINCI e A. INGRAO, op. cit., 25; V. LECCESE, L’orario di lavoro. Tutela costituzionale della persona, durata della prestazione e rapporto tra le fonti, Cacucci, 2001; C. CESTER, Lavoro e tempo libero nell’esperienza giuridica, in L’orario di lavoro, QDLRI, 1995, 9 ss.; M. FERRARESI, Disponibilità e reperibilità del lavoratore: il tertium genus dell’orario di lavoro, RIDL, 2008, I, 93 ss.
15 Si segnala come sulla questione sia intervenuto anche il Garante Privacy, il quale in occasione di un’audizione alla Commissione lavoro del Senato del 13 maggio 2020 sulle ricadute occupazionali dell’epidemia da Covid-19, ha posto l’accento sulla necessità di assicurare il diritto alla disconnessione “in modo più netto di quanto già previsto”, in quanto in assenza di esso “si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.
16 Benché nel disegno di legge n. 2229/16 tale fosse stata la definizione adottata dall’Onorevole Sacconi. Cfr. A. ROTA, Tutela della salute e sicurezza dei lavoratori digitali. Persona e pervasività delle tecnologie, in P. TULLINI (a cura di), Web e lavoro. Profili evolutivi e di tutela, Torino, 2017, 172. A elevare la disconnessione a diritto soggettivo del prestatore di lavoro è intervenuto, poi, l’art. 2 comma 1-ter, Decreto Legge 13 marzo 2021, n. 30, convertito con modificazioni dalla Legge 6 maggio 2021, n. 61.
17 Sulla necessità di una legislazione maggiormente dettagliata, si veda C. SPINELLI, Tecnologie digitali e lavoro agile, Cacucci, 2018, 114; MAGAGNOLI, Diritto alla disconnessione e tempi di lavoro, in LLI, 2021, Vol. 7, n. 2, 91; R. PERRONE, Il «diritto alla disconnessione» quale strumento di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, Federalismi,it, 2017, 24, 9.
18 S. MAGAGNOLI, op. cit., 91.
19 Cfr. art. 3, co. 2 del Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile nel settore privato del 7 dicembre 2021.
20 Cfr. art. 4, co. 4 del Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile nel settore privato del 7 dicembre 2021.
21 A. FENOGLIO, Il tempo di lavoro nella new automation age: un quadro in trasformazione, in RIDL, 2018, 4, I, 625.
22 Si veda la Risoluzione approvata dal Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 recante “Raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione” nella quale il legislatore comunitario ha evidenziato che l’“utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha comportato la nascita di una cultura del «sempre connesso», «sempre online» o «costantemente in guardia» che può andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell’orario di lavoro e l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, la salute fisica e mentale, la sicurezza sul lavoro e il benessere, nonché della parità tra uomini e donne […]; che la transizione digitale dovrebbe essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e valori fondamentali dell’Unione e avere un impatto positivo sui lavoratori e le condizioni di lavoro” .
23 S. MAGAGNOLI, op. cit., 97.
24 S. MAGAGNOLI, op. cit., 97 ss; V. P. ICHINO e L. VALENTE, L’orario di lavoro e i riposi. Artt. 2107-2109, Giuffrè, 2012; V. LECCESE, L’orario di lavoro. Tutela costituzionale della persona, durata della prestazione e rapporto tra le fonti, Cacucci, 2001; V. LECCESE, L’orario di lavoro. La normativa italiana di attuazione delle direttive comunitarie. D.Lgs. n. 66/2003, come modificato dal D.Lgs. n. 213/2004, Ipsoa, 2004; G. RICCI, Tempi di lavoro e tempi sociali. Profili di regolazione giuridica nel diritto interno e dell’UE, Giuffrè, 2005.
25 Cfr. Art. 1, d.lgs. 66/2003.
26 S. MAGAGNOLI, op. cit., 98. Ci si riferisce, a titolo esemplificativo: al tempo di percorrenza dall’abitazione al luogo di lavoro, ai tempi di disponibilità e di reperibilità e ai tempi dedicati alle attività preparatorie quali la vestizione e la dismissione degli abiti da lavoro (c.d. tempo-tuta).
27 S. MAGAGNOLI, op. cit., 98.
28 Cfr. C. giust. 3 ottobre 2000, Sindicato de Médicos de Asistencia Pública (Simap) c. Conselleria de Sanidad y Consumo de la Generalidad Valenciana, causa C-303/98; C. giust. 9 settembre 2003, Landeshauptstadt Kiel c. Norbert Jaeger, causa C-151/02; C. GIUST. 1° dicembre 2005, Abdelkader Dellas e altri c. Premier ministre e Ministre des Affaires sociales, du Travail et de la Solidarité, causa C-14/04; C. giust. 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras (CC.OO.) c. Tyco Integrated Security SL e Tyco Integrated Fire & Security Corporation Servicios SA, causa C-266/14; C. giust. 4 marzo 2011, Nicuşor Grigore c. Regia Naţională a Pădurilor Romsilva – Direcţia Silvică Bucureşti, causa C-258/10; C. giust. 21 febbraio 2018, Ville de Nivelles c. Rudy Matzak, causa C-518/15; C. giust. 9 marzo 2021, R. J. c. Stadt Offenbach am Main, causa C-580/19; C. giust. 9 marzo 2021, D. J. c. Radiotelevizija Slovenija, causa C-344/19; C. giust. 17 marzo 2021, Academia de Studii Economice din Bucuresti c. Oraganismul Intermediar Pentru Programul Operational Capital Uman – Ministerul Educatiei Nationale, causa C-585/19; C. giust. 17 luglio 2021, B. K. c. Republika Slovenija (ministrstvo za obrambo), causa C-742/19.
29 C. giust. 9 marzo 2021, R. J. c. Stadt Offenbach am Main, causa C-580/19, par. 38. Sull’evoluzione giurisprudenziale della Corte si consenta il rinvio a S. MAGAGNOLI, op. cit., 97 ss.
30 S. MAGAGNOLI, op. cit., 101; L. MITRUS, Potential implications of the Matzak judgment (quality of rest time, right to disconnect), ELLJ, 2019, 10, 4, 386 ss.
31 V. FERRANTE, Il lavoro a distanza e il diritto “alla disconnessione”, in A. OCCHINO (a cura di), Il lavoro e i suoi luoghi, Vita e Pensiero, 2018, 129 e M. Russo, Tempestiva comunicazione dei turni, disconnessione e armonizzazione: quando il benessere dei lavoratori passa attraverso l’orario di lavoro, RGL, 2020, III, 548. In senso contrario M. LAI, Innovazione tecnologica e riposo minimo, in DRI, 2020, III, 672; R. ZUCARO, op. cit., 221.
32 Nel momento in cui il lavoratore scelga di dare seguito alle sollecitazioni promosse dal datore di lavoro, tale risposta costituirà una prestazione di lavoro a tutti gli effetti e come tale dovrà essere remunerata e computata nel calcolo della durata massima dell’orario giornaliero di lavoro.
33 S. MAGAGNOLI, op. cit., 102.
34 S. MAGAGNOLI, op. cit., 103; V. FERRANTE, op cit., 129; A. ROMEO, Il diritto alla disconnessione del lavoratore tra invadenze tecnologiche e nuove modalità della prestazione, in RGL, 2019, IV, 685 ss.
35 Cfr. Cass. ord. 15 luglio 2019, n. 18884, in DeJure: “la mancata fruizione del riposo settimanale è fonte di danno non patrimoniale”. Sul punto, si veda anche Cass. 4 ottobre 2017, n. 23178, in RGL, 2018, n. 2, II, 162 con nota di M. Russo, I limiti all’obbligo di diligenza del prestatore di lavoro, App. Torino 12 aprile 2017, n. 281, in RGL, 2018, n. 1, II, 45, con nota di M. Russo, Mancato preavviso nella comunicazione dei turni di lavoro e danno esistenziale.
36 S. MAGAGNOLI, op. cit., 103; Sulla rilevanza della contrattazione collettiva come strumento più adatto per garantire e regolamentare il diritto alla disconnessione, si veda anche M. Tiraboschi, Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, in Working Paper “Massimo D’Antona” – IT, 2017, n. 335, 34; M.T. CARINCI e A. INGRAO, op. cit., 54 ss.; C. TIMELLINI, Il diritto alla disconnessione nella normativa italiana sul lavoro agile e nella legislazione emergenziale, in Lavoro Diritti Europa, 2021, 4, 12 ss. In tal senso si è espressa anche la Commissione europea, evidenziando l’importanza del coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e delle associazioni imprenditoriali per un equilibrato adattamento ai cambiamenti tecnologici, in particolar modo supportando il c.d. diritto alla disconnessione. Cfr. European Commission, Employment and Social Developments in Europe. Annual Review 2018, 2018, p. 155.
37 C. ALESSI, Disponibilità, attesa e contratto di lavoro, in WP D’Antona It. n. 123/2011, 4.
38 Secondo la più recente giurisprudenza comunitaria C. giust. 21 febbraio 2018, Ville de Nivelles c. Rudy Matzak, causa C-518/15.
39 M. LAI, op. cit., 679; G. CALVELLINI e M. TUFO, Lavoro e vita privata nel lavoro digitale: il tempo come elemento distintivo, in Labor, 2018, IV, 411.
40 Cfr. art. 1, co. 1 del Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile nel settore privato del 7 dicembre 2021. Sul punto si veda anche il Decreto del Ministero del Lavoro, costitutivo del Gruppo di Studio “Lavoro agile”, incaricato di redigere la bozza del Protocollo, dove il Ministro del Lavoro Orlando ha dato espressamente compito a detto Gruppo di “esaminare le possibili azioni condivise da mettere in pratica con le parti sociali per verificare la possibilità di definire, in via negoziale, una cornice di regole del lavoro agile post-pandemico, e di individuare, cioè, linee di indirizzo che possano rappresentare un efficace quadro di riferimento per la contrattazione collettiva […]”.
41 Per citare qualche esempio: Volkswagen dispone l’interruzione del funzionamento dei server nell’invio di mail ai dipendenti dalle 6 del pomeriggio alle 7 del mattino successivo; la Daimler prevede l’autodistruzione delle e-mail in arrivo nella casella di posta elettronica dei dipendenti oltre l’orario di servizio; la BMW, invece, conteggia il tempo che i dipendenti impiegano nel rispondere alle mail fuori dall’orario di lavoro contrattualmente stabilito e lo converte in un “bonus” da applicare all’orario di servizio da svolgere in seguito.
42 Tra i contratti collettivi nazionali che hanno preso in considerazione la questione in maniera ampia e omnicomprensiva, vi sono: il CCNL del comparto Istruzione del 19 aprile 2018, in ambito di pubblico impiego, e il CCNL rivolto al personale dipendente delle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, sottoscritto il 19 dicembre 2019, nell’ambito del lavoro privato.
43 Si veda il recentissimo accordo aziendale del Gruppo Nestlè sottoscritto il 18 marzo 2022 con il quale viene garantito al lavoratore il diritto alla disconnessione, tramite disattivazione dei propri dispositivi, al termine del proprio orario di lavoro, durante le pause fisiologiche e per il pranzo. Nell’accordo viene altresì previsto il dovere di non fissare riunioni prima delle ore 9:00 e dopo le ore 18:00 e di garantire almeno 45 minuti di pausa pranzo tra le ore 12:30 e le ore 14:00. Tra gli altri accordi aziendali, si vedano quelli firmati da UniCredit e Findomestic che prevedono la possibilità per il lavoratore di non rispondere a e-mail o telefonate al di fuori del normale orario di lavoro; quello di Acea che prevede tale possibilità in fasce orarie predeterminate (dalle 20 alle 8) o di Cattolica Assicurazione che prevede la disconnessione nei giorni di sabato e festivi, o ancora quello di Campari che ha predisposto sistemi di alert relativi al superamento dell’orario di lavoro nonché messaggi di warning una volta raggiunto il limite di orario di lavoro. Merita una menzione, infine, l’Università degli Studi dell’Insubria, che con decreto del Direttore generale 7 aprile 2017, n. 289, ha riconosciuto al personale tecnico e amministrativo il diritto a non rispondere a telefonate lavorative e a e-mail dalle ore 20:00 alle 7:00 e nei fine settimana e ha, altresì, istituito il Giorno dell’indipendenza dalle e-mail, cioè una giornata (a cadenza trimestrale) in cui non devono essere inviate mail al personale tecnico-amministrativo e nel corso della quale devono essere favorite le riunioni brevi al posto di messaggi di posta elettronica; cfr. anche per riferimenti A. FENOGLIO, op. cit., 553. Per le esperienze applicative della disconnessione nelle pubbliche amministrazioni, cfr. R. ZUCARO, op. cit., 225 ss.
44 TIMELLINI C., op. cit., 13; F. VILLA, Il ruolo delle risorse umane nella nuova legge sul lavoro agile, in Bollettino Adapt, 17 luglio 2017, 27.
45 Cfr. Welfare Index PMI. Rapporto 2019, p. 44 – che ha analizzato il livello di welfare in un significativo campione delle circa 652.000 piccole e medie imprese italiane – la maggiore attenzione al wellness dei lavoratori, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei tempi di lavoro e di riposo, favorisce la produttività aziendale. Sul punto cfr. C. TIMELLINI, op.cit. 12 e ss.

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