L’autonoma impugnazione del bando di gara: i riflessi processuali sul ricorso a seguito dell’inoltro della domanda di partecipazione

Articolo a cura del Dott. Stifani Cesare

Bando di gara

Il caso è quello in cui l’operatore economico, dopo aver impugnato autonomamente una clausola del bando di gara, decide di presentare ugualmente istanza di partecipazione al relativo concorso, e ciò a scopo precauzionale, per scongiurare il rischio di veder respinto il ricorso per carenza di legittimazione. D’altronde, è pacifico nel nostro ordinamento il principio per cui gli atti amministrativi generali, quali i bandi di gara e le lettere di invito, devono impugnarsi, almeno tendenzialmente, unitamente agli atti che di essi fanno applicazione: soltanto quest’ultimi, infatti, renderebbero attuale e concreta la lesione, identificando in concreto il soggetto leso dal provvedimento.
Ebbene, tale circostanza, non infrequente nella prassi, porta a domandarsi se l’istanza successiva di partecipazione alla gara possa determinare delle ricadute processuali sul ricorso, e cioè sul giudizio instaurato a seguito dell’impugnazione del bando di gara.
La risposta a tale interrogativo si interseca con due questioni, tra di loro connesse, che molto hanno impegnato la dottrina e la giurisprudenza negli ultimi anni, inerenti da un lato alla possibilità di impugnare autonomamente il bando di gara, e dall’altro alla presentazione della domanda di partecipazione quale condizione di legittimità del ricorso.
Pertanto, la disamina dovrà necessariamente muovere da quanto statuito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2018 [1], che ha risolto alcuni contrasti interpretativi sorti, tra i Giudici amministrativi, sull’obbligo di impugnazione anticipata dei bandi di gara.
In particolare, secondo una tesi più moderna, in ossequio ai principi di affidamento e buona fede, incomberebbe su tutti i candidati un onere di adeguata disamina dei bandi di gara e di concorso, dal che conseguirebbe, quale corollario, la possibilità per l’operatore economico di impugnare immediatamente le clausole del bando.
Secondo l’impostazione tradizionale, invece, l’impugnazione implica necessariamente l’individuazione di un atto lesivo della sfera giuridica del destinatario: d’altronde, se è vero che il giudizio amministrativo si dirige verso il rapporto, questo muove pur sempre dall’atto. Conseguentemente, in relazione agli atti presupposti e, latu sensu, agli atti amministrativi generali, l’impugnazione sarà ammissibile soltanto laddove sussista una clausola che direttamente incida sulla sfera giuridica del destinatario. Diversamente, l’impugnazione dovrà essere recuperata in un secondo momento, ad esito del procedimento amministrativo, attraverso un meccanismo di doppia impugnazione, dove l’atto presupposto sarà impugnato unitamente al provvedimento finale ed immediatamente lesivo.
Cercando di dare concretezza a discorsi astratti, nel caso sottoposto all’esame dell’Adunanza plenaria citata si dibatteva in ordine all’opportunità di attendere l’esito del procedimento di gara per impugnare il criterio di selezione dell’offerta già indicato nel bando. Secondo l’impostazione più moderna, infatti, in tale contesto il meccanismo della doppia impugnazione avrebbe comportato un appesantimento inutile del processo, essendo il candidato in grado di apprezzare l’illegittimità del bando già dalla sua pubblicazione, senza bisogno di attendere l’esito del procedimento: se il criterio di selezione dell’offerta è indicato nel bando, perché aspettare il provvedimento finale per poterlo impugnare?
Dunque, l’Adunanza plenaria respinge l’opzione più moderna e conferma l’orientamento tradizionale, e ciò sulla base di due considerazioni di fondo.
Anzitutto, non possono essere impugnate immediatamente le clausole del bando che non siano escludenti: solo le clausole escludenti, cioè preclusive della partecipazione dell’operatore economico, in quanto immediatamente lesive della sua sfera giuridica, possono (o meglio: devono, a pena di decadenza) essere impugnate. Diversamente, l’impugnazione del bando dovrà essere recuperata in un secondo momento, gravando la successiva aggiudicazione, provvedimento finale della procedura di selezione. In secondo luogo, il bando di gara può essere impugnato soltanto dall’operatore economico che ha chiesto di parteciparvi, e quindi che abbia inoltrato domanda di partecipazione al concorso: il soggetto estraneo al concorso è un quisque de populo, e pertanto non risiede in una posizione differenziata che ne giustifichi l’impugnazione.
In definitiva, “il ricorrente, per essere legittimato a ricorrere, deve sempre avere un “interesse all’azione” (Meale, 2018), sicché, almeno sul piano delle regole generali, è soltanto colui che ha partecipato alla gara legittimato ad impugnarne l’esito, potendo riconoscersi soltanto in capo a quest’ultimo una posizione distinta: la legittimazione al ricorso, infatti, “deve essere sempre correlata ad una situazione differenziata e meritevole di tutela” [2], che consegue di certo per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione.
Conseguentemente, gli atti amministrativi generali, come i bandi di gara e di concorso o le lettere di invito, in quanto non immediatamente lesivi, devono essere normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, essendo soltanto quest’ultimi ad “identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione giuridica soggettiva dell’interessato” [3].
Detto ciò, deve ora evidenziarsi come l’Adunanza plenaria n. 4 del 2018, nel confermare l’impostazione tradizionale, enuclea tre fattispecie tassative in cui il bando deve essere impugnato immediatamente, a pena di decadenza, senza necessità di attendere il provvedimento conclusivo del procedimento, dove legittimato a ricorrere è anche colui che non ha proposto domanda di partecipazione. In particolare, è possibile derogare alla regola generale quando: i) si contesti in radice l’indizione della gara (es. la stazione appaltante indice una nuova gara e non fa scorrere la graduatoria); ii) all’opposto, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto; iii) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo la portata immediatamente escludente delle stesse.
Peraltro, con riferimento alla definizione di clausola immediatamente escludente, la giurisprudenza non si presenta particolarmente rigida, ricomprendendo al suo interno non soltanto quella immediatamente espulsiva, ma anche quella che impedisce di percepire le condizioni di gara imponendo oneri incomprensibili o sproporzionati per l’operatore. Su questa scia, poi, la giurisprudenza sovente parla di “clausole equivoche” per indicare quelle che si prestano ad una pluralità di interpretazioni, e quindi per consentirne l’impugnabilità insieme al provvedimento finale, secondo il meccanismo della doppia impugnazione, proprio perché di interpretazione incerta.
Dunque, l’Adunanza plenaria ammette la possibilità per l’operatore economico di impugnare autonomamente il bando di gara, e ciò nel caso in cui una clausola si presenti immediatamente escludente. Diversamente, infatti – evidenziano i giudici di Palazzo Spada -, mancherebbe quella posizione differenziata idonea ad individuare la legittimazione a ricorrere, nonché quell’ interesse che si palesa proprio attraverso la presentazione della domanda.
Da quanto emerso deriva che è ben possibile impugnare un bando di gara pur non partecipando al relativo procedimento di selezione in presenza di una clausola immediatamente escludente ovvero nel caso in cui si contesti in radice l’indizione della gara. In questi casi, di derivazione giurisprudenziale, è quindi possibile per l’operatore economico impugnare immediatamente l’atto presupposto pur non partecipando alla gara.
Peraltro, in proposito, una recente pronuncia del T.A.R. Campania n. 3916 del 2020 [4], dopo aver ribadito come la mancata partecipazione alla gara non rende inammissibile il ricorso nelle ipotesi in cui il bando contenga clausole immediatamente escludenti, afferma che “non può essere processualmente penalizzato il soggetto che, pur volendo partecipare alla gara, non può farlo per effetto di una previsione del bando che lo esclude in partenza”.
Ma quid iuris nel caso in cui l’operatore economico, dopo aver contestato, per ipotesi, l’indizione della gara, ciononostante vi parteci? Quali sono – se ci sono – delle ricadute processuali sul giudizio di impugnazione?
Sul punto, il Consiglio di Stato, con pronuncia n. 5705 del 2020 [5], afferma come la partecipazione alla procedura di selezione a seguito dell’impugnazione del bando non comporta l’improcedibilità del ricorso. In particolare, il Consiglio di Stato, dopo aver ricordato le fattispecie rientranti nel genus delle clausole immediatamente escludenti [6], afferma che, in tale ipotesi, “diventa irrilevante la circostanza che l’operatore economico abbia o meno presentato la domanda di partecipazione alla gara, essendo soltanto l’immediata lesione della posizione giuridica qualificata a legittimare l’impugnazione del bando”.
Ciò detto, i Giudici di Palazzo Spada sottolineano che l’aver partecipato alla gara, se non preclude la proposizione del ricorso, può essere la dimostrazione, in punto di fatto e non di diritto, che “non era materialmente preclusa la presentazione di una offerta seria”. Pertanto, “l’aver presentato la domanda di partecipazione alla gara non è – come ha affermato il Tar Milano – ex se preclusivo della proposizione del gravame, costituendo una sorta di acquiescenza alle regole che presiedono la procedura – ma è la prova, in punto di fatto, che era ben possibile presentare una offerta remunerativa”.
Sempre il Consiglio di Stato, con pronuncia n. 284 del 2021 [7], pur ribadendo la legittimità dell’impugnazione immediata del bando da parte dell’operatore economico che abbia poi partecipato alla gara, afferma come “siffatta partecipazione costituisce un indice molto serio della portata non immediatamente escludente degli atti di gara”. Pertanto, in questi casi, quando l’operatore economico partecipa alla gara presentando un’offerta ammessa e valutata dalla stazione appaltante, l’onere della prova della portata immediatamente escludente del bando è più gravoso: “esso è soddisfatto soltanto quando il ricorrente fornisca adeguata dimostrazione che, malgrado ciò, l’offerta non è economicamente utile né competitiva, vale a dire che, pur non precludendo il bando la partecipazione alla gara né l’eventuale aggiudicazione, le condizioni dell’affidamento resterebbero comunque lesive dell’interesse effettivo all’aggiudicazione, cioè al bene della vita messo in gara, perché non in grado di garantire un adeguato utile d’impresa”. In questo modo, l’operatore economico che abbia comunque formulato un’offerta, per provare la sussistenza di un proprio interesse concreto e attuale all’impugnazione immediata del bando, dovrà dimostrarne “la non remuneratività in concreto (…) essendo a suo carico, come detto, l’onere della prova dell’interesse ad agire”.
Da questa giurisprudenza, pertanto, emerge la possibilità per l’operatore economico che abbia eccezionalmente impugnato immediatamente il bando di gara di partecipare ugualmente alla procedura di selezione, e che tale circostanza avrà delle ricadute sul giudizio instaurato solo sul piano fattuale, in punto di onere probatorio.

bando di gara

Il caso è quello in cui l’operatore economico, dopo aver impugnato autonomamente una clausola del bando di gara, decide di presentare ugualmente istanza di partecipazione al relativo concorso, e ciò a scopo precauzionale, per scongiurare il rischio di veder respinto il ricorso per carenza di legittimazione. D’altronde, è pacifico nel nostro ordinamento il principio per cui gli atti amministrativi generali, quali i bandi di gara e le lettere di invito, devono impugnarsi, almeno tendenzialmente, unitamente agli atti che di essi fanno applicazione: soltanto quest’ultimi, infatti, renderebbero attuale e concreta la lesione, identificando in concreto il soggetto leso dal provvedimento.
Ebbene, tale circostanza, non infrequente nella prassi, porta a domandarsi se l’istanza successiva di partecipazione alla gara possa determinare delle ricadute processuali sul ricorso, e cioè sul giudizio instaurato a seguito dell’impugnazione del bando di gara.
La risposta a tale interrogativo si interseca con due questioni, tra di loro connesse, che molto hanno impegnato la dottrina e la giurisprudenza negli ultimi anni, inerenti da un lato alla possibilità di impugnare autonomamente il bando di gara, e dall’altro alla presentazione della domanda di partecipazione quale condizione di legittimità del ricorso.
Pertanto, la disamina dovrà necessariamente muovere da quanto statuito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2018 [1], che ha risolto alcuni contrasti interpretativi sorti, tra i Giudici amministrativi, sull’obbligo di impugnazione anticipata dei bandi di gara.
In particolare, secondo una tesi più moderna, in ossequio ai principi di affidamento e buona fede, incomberebbe su tutti i candidati un onere di adeguata disamina dei bandi di gara e di concorso, dal che conseguirebbe, quale corollario, la possibilità per l’operatore economico di impugnare immediatamente le clausole del bando.
Secondo l’impostazione tradizionale, invece, l’impugnazione implica necessariamente l’individuazione di un atto lesivo della sfera giuridica del destinatario: d’altronde, se è vero che il giudizio amministrativo si dirige verso il rapporto, questo muove pur sempre dall’atto. Conseguentemente, in relazione agli atti presupposti e, latu sensu, agli atti amministrativi generali, l’impugnazione sarà ammissibile soltanto laddove sussista una clausola che direttamente incida sulla sfera giuridica del destinatario. Diversamente, l’impugnazione dovrà essere recuperata in un secondo momento, ad esito del procedimento amministrativo, attraverso un meccanismo di doppia impugnazione, dove l’atto presupposto sarà impugnato unitamente al provvedimento finale ed immediatamente lesivo.
Cercando di dare concretezza a discorsi astratti, nel caso sottoposto all’esame dell’Adunanza plenaria citata si dibatteva in ordine all’opportunità di attendere l’esito del procedimento di gara per impugnare il criterio di selezione dell’offerta già indicato nel bando. Secondo l’impostazione più moderna, infatti, in tale contesto il meccanismo della doppia impugnazione avrebbe comportato un appesantimento inutile del processo, essendo il candidato in grado di apprezzare l’illegittimità del bando già dalla sua pubblicazione, senza bisogno di attendere l’esito del procedimento: se il criterio di selezione dell’offerta è indicato nel bando, perché aspettare il provvedimento finale per poterlo impugnare?
Dunque, l’Adunanza plenaria respinge l’opzione più moderna e conferma l’orientamento tradizionale, e ciò sulla base di due considerazioni di fondo.
Anzitutto, non possono essere impugnate immediatamente le clausole del bando che non siano escludenti: solo le clausole escludenti, cioè preclusive della partecipazione dell’operatore economico, in quanto immediatamente lesive della sua sfera giuridica, possono (o meglio: devono, a pena di decadenza) essere impugnate. Diversamente, l’impugnazione del bando dovrà essere recuperata in un secondo momento, gravando la successiva aggiudicazione, provvedimento finale della procedura di selezione. In secondo luogo, il bando di gara può essere impugnato soltanto dall’operatore economico che ha chiesto di parteciparvi, e quindi che abbia inoltrato domanda di partecipazione al concorso: il soggetto estraneo al concorso è un quisque de populo, e pertanto non risiede in una posizione differenziata che ne giustifichi l’impugnazione.
In definitiva, “il ricorrente, per essere legittimato a ricorrere, deve sempre avere un “interesse all’azione” (Meale, 2018), sicché, almeno sul piano delle regole generali, è soltanto colui che ha partecipato alla gara legittimato ad impugnarne l’esito, potendo riconoscersi soltanto in capo a quest’ultimo una posizione distinta: la legittimazione al ricorso, infatti, “deve essere sempre correlata ad una situazione differenziata e meritevole di tutela” [2], che consegue di certo per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione.
Conseguentemente, gli atti amministrativi generali, come i bandi di gara e di concorso o le lettere di invito, in quanto non immediatamente lesivi, devono essere normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, essendo soltanto quest’ultimi ad “identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione giuridica soggettiva dell’interessato” [3].
Detto ciò, deve ora evidenziarsi come l’Adunanza plenaria n. 4 del 2018, nel confermare l’impostazione tradizionale, enuclea tre fattispecie tassative in cui il bando deve essere impugnato immediatamente, a pena di decadenza, senza necessità di attendere il provvedimento conclusivo del procedimento, dove legittimato a ricorrere è anche colui che non ha proposto domanda di partecipazione. In particolare, è possibile derogare alla regola generale quando: i) si contesti in radice l’indizione della gara (es. la stazione appaltante indice una nuova gara e non fa scorrere la graduatoria); ii) all’opposto, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto; iii) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo la portata immediatamente escludente delle stesse.
Peraltro, con riferimento alla definizione di clausola immediatamente escludente, la giurisprudenza non si presenta particolarmente rigida, ricomprendendo al suo interno non soltanto quella immediatamente espulsiva, ma anche quella che impedisce di percepire le condizioni di gara imponendo oneri incomprensibili o sproporzionati per l’operatore. Su questa scia, poi, la giurisprudenza sovente parla di “clausole equivoche” per indicare quelle che si prestano ad una pluralità di interpretazioni, e quindi per consentirne l’impugnabilità insieme al provvedimento finale, secondo il meccanismo della doppia impugnazione, proprio perché di interpretazione incerta.
Dunque, l’Adunanza plenaria ammette la possibilità per l’operatore economico di impugnare autonomamente il bando di gara, e ciò nel caso in cui una clausola si presenti immediatamente escludente. Diversamente, infatti – evidenziano i giudici di Palazzo Spada -, mancherebbe quella posizione differenziata idonea ad individuare la legittimazione a ricorrere, nonché quell’ interesse che si palesa proprio attraverso la presentazione della domanda.
Da quanto emerso deriva che è ben possibile impugnare un bando di gara pur non partecipando al relativo procedimento di selezione in presenza di una clausola immediatamente escludente ovvero nel caso in cui si contesti in radice l’indizione della gara. In questi casi, di derivazione giurisprudenziale, è quindi possibile per l’operatore economico impugnare immediatamente l’atto presupposto pur non partecipando alla gara.
Peraltro, in proposito, una recente pronuncia del T.A.R. Campania n. 3916 del 2020 [4], dopo aver ribadito come la mancata partecipazione alla gara non rende inammissibile il ricorso nelle ipotesi in cui il bando contenga clausole immediatamente escludenti, afferma che “non può essere processualmente penalizzato il soggetto che, pur volendo partecipare alla gara, non può farlo per effetto di una previsione del bando che lo esclude in partenza”.
Ma quid iuris nel caso in cui l’operatore economico, dopo aver contestato, per ipotesi, l’indizione della gara, ciononostante vi parteci? Quali sono – se ci sono – delle ricadute processuali sul giudizio di impugnazione?
Sul punto, il Consiglio di Stato, con pronuncia n. 5705 del 2020 [5], afferma come la partecipazione alla procedura di selezione a seguito dell’impugnazione del bando non comporta l’improcedibilità del ricorso. In particolare, il Consiglio di Stato, dopo aver ricordato le fattispecie rientranti nel genus delle clausole immediatamente escludenti [6], afferma che, in tale ipotesi, “diventa irrilevante la circostanza che l’operatore economico abbia o meno presentato la domanda di partecipazione alla gara, essendo soltanto l’immediata lesione della posizione giuridica qualificata a legittimare l’impugnazione del bando”.
Ciò detto, i Giudici di Palazzo Spada sottolineano che l’aver partecipato alla gara, se non preclude la proposizione del ricorso, può essere la dimostrazione, in punto di fatto e non di diritto, che “non era materialmente preclusa la presentazione di una offerta seria”. Pertanto, “l’aver presentato la domanda di partecipazione alla gara non è – come ha affermato il Tar Milano – ex se preclusivo della proposizione del gravame, costituendo una sorta di acquiescenza alle regole che presiedono la procedura – ma è la prova, in punto di fatto, che era ben possibile presentare una offerta remunerativa”.
Sempre il Consiglio di Stato, con pronuncia n. 284 del 2021 [7], pur ribadendo la legittimità dell’impugnazione immediata del bando da parte dell’operatore economico che abbia poi partecipato alla gara, afferma come “siffatta partecipazione costituisce un indice molto serio della portata non immediatamente escludente degli atti di gara”. Pertanto, in questi casi, quando l’operatore economico partecipa alla gara presentando un’offerta ammessa e valutata dalla stazione appaltante, l’onere della prova della portata immediatamente escludente del bando è più gravoso: “esso è soddisfatto soltanto quando il ricorrente fornisca adeguata dimostrazione che, malgrado ciò, l’offerta non è economicamente utile né competitiva, vale a dire che, pur non precludendo il bando la partecipazione alla gara né l’eventuale aggiudicazione, le condizioni dell’affidamento resterebbero comunque lesive dell’interesse effettivo all’aggiudicazione, cioè al bene della vita messo in gara, perché non in grado di garantire un adeguato utile d’impresa”. In questo modo, l’operatore economico che abbia comunque formulato un’offerta, per provare la sussistenza di un proprio interesse concreto e attuale all’impugnazione immediata del bando, dovrà dimostrarne “la non remuneratività in concreto (…) essendo a suo carico, come detto, l’onere della prova dell’interesse ad agire”.
Da questa giurisprudenza, pertanto, emerge la possibilità per l’operatore economico che abbia eccezionalmente impugnato immediatamente il bando di gara di partecipare ugualmente alla procedura di selezione, e che tale circostanza avrà delle ricadute sul giudizio instaurato solo sul piano fattuale, in punto di onere probatorio.

Note

[1] Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 26 aprile 2018, n. 4.

[2] Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9.

[3] Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1.

[4] T.A.R. Campania, 21 settembre 2020, n. 3916.

[5] Consiglio di Stato, Sez. III, 28 settembre 2020, n. 5705.

[6] “(…) Alla luce di tali principi possono farsi rientrare nel genus delle clausole immediatamente escludenti le fattispecie di: a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (Cons. St., sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671); b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. St., A.P., n. 3 del 2001); c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (Cons. St., sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980); d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (Cons. St., sez. V, 21 novembre 2011, n. 6135; id., sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293); e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. St., sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222); f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” pt.); g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (Cons. St., sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421)”.

[7] Consiglio di Stato, Sez. V, 8 gennaio 2021, sentenza n. 284.

Bibliografia

Meale, A., 2018. La legittimazione all’impugnazione della lex specialis – Il commento. Urbanistica e appalti.