Gig economy e prospettive di tutela dei lavoratori

Articolo a cura dell’Avv. Zampieri Laura

Gig

1. Nuovi modelli di organizzazione (e nuove forme di sfruttamento) del lavoro

Con il termine gig economy si intende una delle nuove forme di organizzazione dell’economia digitale, traducibile come “economia dei lavoretti” caratterizzata da una situazione di forte eterogeneità dal punto di vista delle forme di lavoro attuate, dovuta principalmente alla circostanza che il fenomeno, di recente nascita e sviluppo, non ha ancora ricevuto una regolamentazione uniforme a livello nazionale oltre che sovranazionale.
Si tratta, in particolare, di un ambito socio-economico nel quale la figura del datore di lavoro, sempre più evanescente, costituisce spesso l’occasione favorevole per la nascita di nuovi fenomeni di sfruttamento del lavoro in quanto l’evoluzione tecnologica tende facilmente ad erodere l’efficacia delle protezioni sociali tradizionalmente riconosciute dal diritto del lavoro oltre a destrutturare il tipo legale del lavoro subordinato.
Nonostante infatti il diritto del lavoro abbia sempre cercato di dilatare i suoi confini individuando tecniche e modelli di regolamentazione del lavoro ispirati, a seconda delle circostanze storiche e dal contesto nazionale o comunitario di riferimento, sia da obiettivi di politica sociale, diretti alla creazione di una serie di diritti minimi inderogabili, sia da esigenze di flessibilità ed obiettivi di politica occupazionale, direttamente connessi alla regolamentazione ed al controllo del mercato del lavoro, la contrapposizione fra lavoro autonomo e subordinato rimane fondamentale al fine di dare accesso allo statuto protettivo del prestatore di lavoro.
L’avvento dell’economia digitale ha fatto nascere nuove opportunità sia per i produttori che per i consumatori. Tuttavia, la mancanza di una disciplina specifica volta a regolamentare il fenomeno dei c.d. gig workers si traduce inevitabilmente in una drastica riduzione dei diritti e delle tutele riconosciute in capo ai lavoratori che operano per il tramite delle piattaforme digitali i quali molto spesso si trovano a dover conquistare attraverso continue mobilitazioni e rivendicazioni degli standard di tutela già acquisiti da tempo per altre forme di lavoro quali ad esempio la regolamentazione dell’orario di lavoro, la tutela della salute e sicurezza, il diritto a una giusta retribuzione, al trattamento per la malattia, il diritto ad una copertura assicurativa e previdenziale nonché il diritto un controllo non invasivo dell’attività svolta durante i turni di lavoro.
Un tale modello di gestione del lavoro tramite piattaforme sta conducendo verso un lavoro sempre più parcellizzato e precario, affidato a lavoratori ritenuti freelance ma gestito dalle piattaforme con formule di gestione ed organizzazione del lavoro che molto spesso all’evidenza celano l’esistenza di rapporti di lavoro subordinato.
Tutto ciò in quanto l’evoluzione tecnologica ha da un lato eliminato la necessità del coordinamento spazio-temporale della prestazione, ma al contempo l’ha assoggetta a un controllo penetrante e continuo, anche se svolta in regime di autonomia.
Come ben sappiamo è sufficiente oggi possedere uno smartphone e una connessione internet per usufruire di molteplici servizi semplicemente recandosi nel negozio di applicazioni del proprio dispositivo e scaricando l’applicazione che si desidera tra le varie disponibili. Un ruolo fondamentale lo rivestono in questa fase gli algoritmi su cui si basa il funzionamento di tali applicazioni che, secondo previsioni statistiche, calcolano il fabbisogno necessario per soddisfare la domanda dell’utenza in una determinata area e fascia oraria.
Tuttavia, nell’ambito rapporti di lavoro della c.d. “economia dei lavoretti” che si sviluppano attraverso le piattaforme digitali, molto spesso queste ultime tendono ad operare anziché come meri intermediari come soggetti evanescenti dotati di veri e propri poteri datoriali che si occupano di gestire in modo del tutto asimmetrico la selezione tra quanti forniranno un bene od un servizio e quanti lo desiderano, con evidenti ripercussioni sotto il profilo della tutela del lavoro.

Nell’organizzazione dei fattori di produzione delle piattaforme digitali l’utilizzo dell’algoritmo si traduce sostanzialmente in un sistema di lavoro che utilizza rigidi standard di massimizzazione della performance al quale i lavoratori sono chiamati ad adeguarsi per lavorare e che impiega i medesimi canoni anche per gestire, controllare ed eventualmente sanzionare i lavoratori. Il rapporto fra il lavoratore e la piattaforma non è dunque assolutamente paritario, molto spesso sono queste ultime infatti a valutare ed accordare una eventuale collaborazione del c.d. platform worker sulla base di una stima della sua reputazione “digitale” assegnata in base ai riscontri e/o feedback degli utenti.
Peraltro, la gig economy costituisce un fenomeno fortemente eterogeneo per quanto riguarda non solo la struttura societaria utilizzata per le suddette piattaforme digitali, che vedono coinvolte le grandi società operanti sui mercati internazionali come le piccole start-up locali, ma anche i settori economici interessati e le modalità di erogazione delle prestazioni lavorative. In aggiunta, a seconda delle piattaforme digitali variano estremamente le tipologie contrattuali riconosciute in capo ai lavoratori impiegati, i compensi, i diritti e le tutele per i lavoratori del settore.
È pertanto evidente che l’automazione del lavoro prodotta dalle nuove tecnologie, un fenomeno che investe l’economia mondiale e travalica i confini nazionali coinvolgendo soprattutto i grandi colossi multinazionali, necessita dell’intervento di una disciplina che adattandosi alla nuova tipologia di lavoro svolto tramite le piattaforme sia idonea a tutelare i prestatori di lavoro garantendo loro adeguate condizioni in termini di diritti e garanzie.
Secondo un recente studio effettuato dalla Commissione europea, nell’ambito dell’Unione europea sono attive oltre 500 piattaforme digitali, da cui dipendono più di 28 milioni di lavoratori destinati ad aumentare in maniera esponenziale entro il 2025 per lo più appartenenti alle giovani generazioni, di cui una gran parte sono erroneamente qualificati come lavoratori autonomi e ciò anche a causa dell’assenza di un quandro regolativo del fenomeno che nessuno Stato membro ha finora affrontato nella sua interezza.

2. La proposta di Direttiva della Commissione europea a tutela dei c.d. platform workers

Per far fronte alle condizioni di precarietà vissute dai lavoratori delle piattaforme, nonché per regolare la capacità delle piattaforme stesse di esercitare le forme di controllo ed eterodirezione delle prestazioni dei lavoratori impiegati, il 9 dicembre 2021 la Commissione Europea ha proposto una serie di misure che hanno come obiettivo quello di migliorare le condizioni di lavoro di coloro che prestano la propria attività lavorativa attraverso le piattaforme digitali, sostenendo al contempo la crescita delle aziende della gig economy.
In particolare, tra gli interventi proposti viene sicuramente in rilievo la preparazione di una Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio volta ad introdurre un quadro normativo di riferimento per garantire il miglioramento della condizione giuridica, economica e sociale di coloro che nell’ambito dello spazio europeo prestino attività lavorativa attraverso piattaforme digitali, le quali non solo intermediano ma anche organizzano l’attività svolta da lavoratori subordinati o autonomi in favore di soggetti terzi.
La proposta di Direttiva presentata dalla Commissione Europea rappresenta l’esito di una doppia consultazione con le parti sociali in cui, da un lato, le organizzazioni sindacali hanno sostenuto  l’opportunità di adottare un intervento normativo europeo fondato sull’introduzione di una presunzione relativa di subordinazione con una definizione dei relativi criteri qualificatori ed un conseguente rovesciamento dell’onere della prova a carico delle piattaforme, manifestando invece contrarietà all’idea di un terzo status di inquadramento (ulteriore rispetto all’autonomia e la subordinazione) per chi lavora con le piattaforme e, dall’altro, le organizzazioni datoriali che, pur riconoscendo la necessità di affrontare questioni come le condizioni di lavoro, la qualificazione giuridica dei rapporti e la trasparenza e l’accesso alle informazioni, hanno espresso decisamente una preferenza per regolare l’intero fenomeno a livello nazionale.
Secondo la prospettiva prescelta dalla Commissione europea con la proposta di Direttiva presentata, l’intervento normativo europeo non può in ogni caso prescindere dalla corretta qualificazione della situazione giuridica in cui versi, concretamente, il singolo lavoratore operante mediante piattaforme digitali oltre che dalla regolamentazione della gestione algoritmica di tali piattaforme attraverso la promozione della trasparenza, dell’equità e della responsabilità nella gestione degli algoritmi alla base del funzionamento delle piattaforme digitali.

3. Verso una protezione del lavoro che prescinda dalla subordinazione contrattuale

Con riguardo alla questione della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, la proposta di Direttiva intende garantire ai lavoratori delle piattaforme digitali il riconoscimento dell’inquadramento corrispondente alle loro effettive modalità di lavoro, e ciò attraverso l’individuazione di una serie di criteri che i singoli Stati membri saranno poi chiamati ad implementare, idonei ad accertare la natura del rapporto di lavoro.
In particolare, una delle novità introdotte dalla proposta di Direttiva riguarda l’introduzione di una presunzione legale di lavoro subordinato alle dipendenze delle piattaforme digitali in presenza di almeno due indici in relazione ad un elenco di cinque aventi ad oggetto: la sussistenza di una retribuzione predeterminata dalla piattaforma o comunque di un limite massimo; l’esistenza di una supervisione della piattaforma sul rendimento del lavoro; l’esistenza di un controllo della prestazione anche attraverso strumenti elettronici sul rispetto dei tempi di consegna, l’esecuzione e la qualità della prestazione resa; limitazioni alla libertà individuale di organizzare il proprio orario o di assentarsi dal lavoro, di accettare o rifiutare incarichi nonché la previsione di un divieto di avvalersi di sostituti; restrizioni alla possibilità di sviluppare una propria clientela o di eseguire lavori anche per conto di altre piattaforme.
Nel caso in cui si riscontrino nel caso concreto almeno due degli indici di subordinazione sopra ricordati, la Commissione propone l’introduzione di una presunzione semplice di lavoro subordinato, riconoscendo così al lavoratore delle piattaforme digitali i diritti e le tutele sociali proprie del lavoro subordinato indipendentemente dalla qualifica indicata nel contratto, con l’effetto di invertire l’onere della prova in qualunque procedimento giudiziario o amministrativo nazionale e mettendo così le piattaforme digitali nella condizione di dover dimostrare che, nonostante la sussistenza di due o più indici, non sussiste un rapporto di lavoro subordinato.

4. La trasparenza nella gestione algoritmica del rapporto di lavoro delle piattaforme

L’ulteriore linea di intervento prevista dalla proposta di Direttiva europea riguarda l’algoritmo alla base del funzionamento delle piattaforme digitali che, come già ricordato, nell’attività di organizzazione del lavoro molto spesso si pongono come dei veri e propri datori di lavoro che esercitano il proprio potere etero-direttivo. Le piattaforme di lavoro digitali utilizzano infatti tecnologie che consentono una gestione automatizzata del lavoro, sia sotto il profilo della selezione della domanda e dell’offerta di beni e/o servizi, sia con riguardo al monitoraggio ed alla valutazione della prestazione di chi offre beni /o servizi, tutti elementi che incidono in modo determinante sulla condizione del singolo lavoratore.
La proposta europea, pertanto, intende rispondere anche ad un’esigenza di maggiore trasparenza sul funzionamento degli algoritmi nell’esercizio delle funzioni datoriali, assicurando una maggiore chiarezza ed accessibilità dei criteri che regolano il funzionamento dei sistemi automatizzati, da parte del singolo lavoratore, delle rappresentanze sindacali e delle autorità pubbliche competenti.
L’obiettivo di garantire un effettivo miglioramento delle condizioni dei lavoratori che operano attraverso le piattaforme digitali è perseguito inoltre attraverso specifiche disposizioni sulla protezione dei dati personali del lavoratore, l’introduzione di obblighi di monitoraggio umano dei sistemi automatizzati al fine di consentire una valutazione dei rischi derivanti alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori nonché con il riconoscimento del diritto a contestare le decisioni automatizzate dinanzi ad un responsabile designato in dalla piattaforma digitale stessa.

5. La prospettiva nazionale

Nell’ambito dell’ordinamento italiano il tema del lavoro attraverso le piattaforme digitali non è stato ancora affrontato con interventi generali di disciplina sistematica quanto piuttosto attraverso interventi settoriali dedicati essenzialmente ai c.d. riders o ciclofattorini che, come del resto avvenuto nella gran parte dei Paesi europei, sono diventati la figura emblematica del conflitto sociale che si è venuto a creare attorno al tema del lavoro su piattaforma.
Con particolare riferimento alla normativa italiana attualmente vigente, con la L. n. 128/2019, di conversione del D.L. n. 101/2019 (D.L. tutela lavoro e crisi aziendali) il legislatore nazionale è intervenuto sul D.Lgs. 81/2015 introducendo il Capo V-bis contenente norme specifiche a tutela del lavoro svolto mediante piattaforme digitali e, in particolare, dei lavoratori “dotati di mezzi propri di locomozione, che ricevono istruzioni su cosa e dove consegnare attraverso piattaforme digitali” in relazione quali vengono attribuite tutele differenziate a seconda che l’attività svolta rientri o meno nella nozione generale di etero-organizzazione di cui al D.Lgs n. 81/2015 ovvero a quella disciplinata dall’art. 47-bis del medesimo decreto quanto ai ciclo-fattorini autonomi.

La normativa italiana non individua pertanto una soluzione con valenza generale per la tutela dei riders che operano attraverso le piattaforme digitali, ma introduce un meccanismo di qualificazione del rapporto di lavoro di tali lavoratori in funzione delle caratteristiche e delle modalità effettive di svolgimento del rapporto. In altre parole, la normativa riconosce tutele differenziate a seconda che l’attività sia riconducibile ad una prestazione le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente, alle quali si applica la c.d. presunzione di subordinazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 81/2015, dai casi in cui i riders svolgano una prestazione di carattere occasionale priva del carattere di continuità, la cui disciplina di riferimento è quella relativa al lavoro autonomo, ferma in ogni caso la possibilità che l’attività sia invece qualificabile quale prestazione di lavoro subordinato qualora il lavoratore sia comunque assoggettato al potere direttivo, disciplinare e organizzativo della piattaforma.
A tale proposito si ricorda infine che anche la Sezione lavoro della Cassazione si è pronunciata con la nota sentenza n. 1663/2020 del 24 gennaio 2020 sulla natura della prestazione lavorativa dei ciclo-fattorini che operano attraverso piattaforme digitali, affermando l’orientamento che sostiene l’applicazione della disciplina della subordinazione al lavoro etero-organizzato e precisando in particolare che “non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, […] di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia” e non perché simile qualificazione sia di per sè irrilevante, quanto piuttosto perché ciò che veramente è necessario è un sistema di protezione in grado, al contempo, di non farsi imbrigliare nella varietà tipologica del dato normativo e contrattuale e d resistere agli “esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell’art. 2094”. La giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito anche che “quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”.

gig

1. Nuovi modelli di organizzazione (e nuove forme di sfruttamento) del lavoro

Con il termine gig economy si intende una delle nuove forme di organizzazione dell’economia digitale, traducibile come “economia dei lavoretti” caratterizzata da una situazione di forte eterogeneità dal punto di vista delle forme di lavoro attuate, dovuta principalmente alla circostanza che il fenomeno, di recente nascita e sviluppo, non ha ancora ricevuto una regolamentazione uniforme a livello nazionale oltre che sovranazionale.
Si tratta, in particolare, di un ambito socio-economico nel quale la figura del datore di lavoro, sempre più evanescente, costituisce spesso l’occasione favorevole per la nascita di nuovi fenomeni di sfruttamento del lavoro in quanto l’evoluzione tecnologica tende facilmente ad erodere l’efficacia delle protezioni sociali tradizionalmente riconosciute dal diritto del lavoro oltre a destrutturare il tipo legale del lavoro subordinato.
Nonostante infatti il diritto del lavoro abbia sempre cercato di dilatare i suoi confini individuando tecniche e modelli di regolamentazione del lavoro ispirati, a seconda delle circostanze storiche e dal contesto nazionale o comunitario di riferimento, sia da obiettivi di politica sociale, diretti alla creazione di una serie di diritti minimi inderogabili, sia da esigenze di flessibilità ed obiettivi di politica occupazionale, direttamente connessi alla regolamentazione ed al controllo del mercato del lavoro, la contrapposizione fra lavoro autonomo e subordinato rimane fondamentale al fine di dare accesso allo statuto protettivo del prestatore di lavoro.
L’avvento dell’economia digitale ha fatto nascere nuove opportunità sia per i produttori che per i consumatori. Tuttavia, la mancanza di una disciplina specifica volta a regolamentare il fenomeno dei c.d. gig workers si traduce inevitabilmente in una drastica riduzione dei diritti e delle tutele riconosciute in capo ai lavoratori che operano per il tramite delle piattaforme digitali i quali molto spesso si trovano a dover conquistare attraverso continue mobilitazioni e rivendicazioni degli standard di tutela già acquisiti da tempo per altre forme di lavoro quali ad esempio la regolamentazione dell’orario di lavoro, la tutela della salute e sicurezza, il diritto a una giusta retribuzione, al trattamento per la malattia, il diritto ad una copertura assicurativa e previdenziale nonché il diritto un controllo non invasivo dell’attività svolta durante i turni di lavoro.
Un tale modello di gestione del lavoro tramite piattaforme sta conducendo verso un lavoro sempre più parcellizzato e precario, affidato a lavoratori ritenuti freelance ma gestito dalle piattaforme con formule di gestione ed organizzazione del lavoro che molto spesso all’evidenza celano l’esistenza di rapporti di lavoro subordinato.
Tutto ciò in quanto l’evoluzione tecnologica ha da un lato eliminato la necessità del coordinamento spazio-temporale della prestazione, ma al contempo l’ha assoggetta a un controllo penetrante e continuo, anche se svolta in regime di autonomia.
Come ben sappiamo è sufficiente oggi possedere uno smartphone e una connessione internet per usufruire di molteplici servizi semplicemente recandosi nel negozio di applicazioni del proprio dispositivo e scaricando l’applicazione che si desidera tra le varie disponibili. Un ruolo fondamentale lo rivestono in questa fase gli algoritmi su cui si basa il funzionamento di tali applicazioni che, secondo previsioni statistiche, calcolano il fabbisogno necessario per soddisfare la domanda dell’utenza in una determinata area e fascia oraria.
Tuttavia, nell’ambito rapporti di lavoro della c.d. “economia dei lavoretti” che si sviluppano attraverso le piattaforme digitali, molto spesso queste ultime tendono ad operare anziché come meri intermediari come soggetti evanescenti dotati di veri e propri poteri datoriali che si occupano di gestire in modo del tutto asimmetrico la selezione tra quanti forniranno un bene od un servizio e quanti lo desiderano, con evidenti ripercussioni sotto il profilo della tutela del lavoro.

Nell’organizzazione dei fattori di produzione delle piattaforme digitali l’utilizzo dell’algoritmo si traduce sostanzialmente in un sistema di lavoro che utilizza rigidi standard di massimizzazione della performance al quale i lavoratori sono chiamati ad adeguarsi per lavorare e che impiega i medesimi canoni anche per gestire, controllare ed eventualmente sanzionare i lavoratori. Il rapporto fra il lavoratore e la piattaforma non è dunque assolutamente paritario, molto spesso sono queste ultime infatti a valutare ed accordare una eventuale collaborazione del c.d. platform worker sulla base di una stima della sua reputazione “digitale” assegnata in base ai riscontri e/o feedback degli utenti.
Peraltro, la gig economy costituisce un fenomeno fortemente eterogeneo per quanto riguarda non solo la struttura societaria utilizzata per le suddette piattaforme digitali, che vedono coinvolte le grandi società operanti sui mercati internazionali come le piccole start-up locali, ma anche i settori economici interessati e le modalità di erogazione delle prestazioni lavorative. In aggiunta, a seconda delle piattaforme digitali variano estremamente le tipologie contrattuali riconosciute in capo ai lavoratori impiegati, i compensi, i diritti e le tutele per i lavoratori del settore.
È pertanto evidente che l’automazione del lavoro prodotta dalle nuove tecnologie, un fenomeno che investe l’economia mondiale e travalica i confini nazionali coinvolgendo soprattutto i grandi colossi multinazionali, necessita dell’intervento di una disciplina che adattandosi alla nuova tipologia di lavoro svolto tramite le piattaforme sia idonea a tutelare i prestatori di lavoro garantendo loro adeguate condizioni in termini di diritti e garanzie.
Secondo un recente studio effettuato dalla Commissione europea, nell’ambito dell’Unione europea sono attive oltre 500 piattaforme digitali, da cui dipendono più di 28 milioni di lavoratori destinati ad aumentare in maniera esponenziale entro il 2025 per lo più appartenenti alle giovani generazioni, di cui una gran parte sono erroneamente qualificati come lavoratori autonomi e ciò anche a causa dell’assenza di un quandro regolativo del fenomeno che nessuno Stato membro ha finora affrontato nella sua interezza.

2. La proposta di Direttiva della Commissione europea a tutela dei c.d. platform workers

Per far fronte alle condizioni di precarietà vissute dai lavoratori delle piattaforme, nonché per regolare la capacità delle piattaforme stesse di esercitare le forme di controllo ed eterodirezione delle prestazioni dei lavoratori impiegati, il 9 dicembre 2021 la Commissione Europea ha proposto una serie di misure che hanno come obiettivo quello di migliorare le condizioni di lavoro di coloro che prestano la propria attività lavorativa attraverso le piattaforme digitali, sostenendo al contempo la crescita delle aziende della gig economy.
In particolare, tra gli interventi proposti viene sicuramente in rilievo la preparazione di una Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio volta ad introdurre un quadro normativo di riferimento per garantire il miglioramento della condizione giuridica, economica e sociale di coloro che nell’ambito dello spazio europeo prestino attività lavorativa attraverso piattaforme digitali, le quali non solo intermediano ma anche organizzano l’attività svolta da lavoratori subordinati o autonomi in favore di soggetti terzi.
La proposta di Direttiva presentata dalla Commissione Europea rappresenta l’esito di una doppia consultazione con le parti sociali in cui, da un lato, le organizzazioni sindacali hanno sostenuto  l’opportunità di adottare un intervento normativo europeo fondato sull’introduzione di una presunzione relativa di subordinazione con una definizione dei relativi criteri qualificatori ed un conseguente rovesciamento dell’onere della prova a carico delle piattaforme, manifestando invece contrarietà all’idea di un terzo status di inquadramento (ulteriore rispetto all’autonomia e la subordinazione) per chi lavora con le piattaforme e, dall’altro, le organizzazioni datoriali che, pur riconoscendo la necessità di affrontare questioni come le condizioni di lavoro, la qualificazione giuridica dei rapporti e la trasparenza e l’accesso alle informazioni, hanno espresso decisamente una preferenza per regolare l’intero fenomeno a livello nazionale.
Secondo la prospettiva prescelta dalla Commissione europea con la proposta di Direttiva presentata, l’intervento normativo europeo non può in ogni caso prescindere dalla corretta qualificazione della situazione giuridica in cui versi, concretamente, il singolo lavoratore operante mediante piattaforme digitali oltre che dalla regolamentazione della gestione algoritmica di tali piattaforme attraverso la promozione della trasparenza, dell’equità e della responsabilità nella gestione degli algoritmi alla base del funzionamento delle piattaforme digitali.

3. Verso una protezione del lavoro che prescinda dalla subordinazione contrattuale

Con riguardo alla questione della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, la proposta di Direttiva intende garantire ai lavoratori delle piattaforme digitali il riconoscimento dell’inquadramento corrispondente alle loro effettive modalità di lavoro, e ciò attraverso l’individuazione di una serie di criteri che i singoli Stati membri saranno poi chiamati ad implementare, idonei ad accertare la natura del rapporto di lavoro.
In particolare, una delle novità introdotte dalla proposta di Direttiva riguarda l’introduzione di una presunzione legale di lavoro subordinato alle dipendenze delle piattaforme digitali in presenza di almeno due indici in relazione ad un elenco di cinque aventi ad oggetto: la sussistenza di una retribuzione predeterminata dalla piattaforma o comunque di un limite massimo; l’esistenza di una supervisione della piattaforma sul rendimento del lavoro; l’esistenza di un controllo della prestazione anche attraverso strumenti elettronici sul rispetto dei tempi di consegna, l’esecuzione e la qualità della prestazione resa; limitazioni alla libertà individuale di organizzare il proprio orario o di assentarsi dal lavoro, di accettare o rifiutare incarichi nonché la previsione di un divieto di avvalersi di sostituti; restrizioni alla possibilità di sviluppare una propria clientela o di eseguire lavori anche per conto di altre piattaforme.
Nel caso in cui si riscontrino nel caso concreto almeno due degli indici di subordinazione sopra ricordati, la Commissione propone l’introduzione di una presunzione semplice di lavoro subordinato, riconoscendo così al lavoratore delle piattaforme digitali i diritti e le tutele sociali proprie del lavoro subordinato indipendentemente dalla qualifica indicata nel contratto, con l’effetto di invertire l’onere della prova in qualunque procedimento giudiziario o amministrativo nazionale e mettendo così le piattaforme digitali nella condizione di dover dimostrare che, nonostante la sussistenza di due o più indici, non sussiste un rapporto di lavoro subordinato.

4. La trasparenza nella gestione algoritmica del rapporto di lavoro delle piattaforme

L’ulteriore linea di intervento prevista dalla proposta di Direttiva europea riguarda l’algoritmo alla base del funzionamento delle piattaforme digitali che, come già ricordato, nell’attività di organizzazione del lavoro molto spesso si pongono come dei veri e propri datori di lavoro che esercitano il proprio potere etero-direttivo. Le piattaforme di lavoro digitali utilizzano infatti tecnologie che consentono una gestione automatizzata del lavoro, sia sotto il profilo della selezione della domanda e dell’offerta di beni e/o servizi, sia con riguardo al monitoraggio ed alla valutazione della prestazione di chi offre beni /o servizi, tutti elementi che incidono in modo determinante sulla condizione del singolo lavoratore.
La proposta europea, pertanto, intende rispondere anche ad un’esigenza di maggiore trasparenza sul funzionamento degli algoritmi nell’esercizio delle funzioni datoriali, assicurando una maggiore chiarezza ed accessibilità dei criteri che regolano il funzionamento dei sistemi automatizzati, da parte del singolo lavoratore, delle rappresentanze sindacali e delle autorità pubbliche competenti.
L’obiettivo di garantire un effettivo miglioramento delle condizioni dei lavoratori che operano attraverso le piattaforme digitali è perseguito inoltre attraverso specifiche disposizioni sulla protezione dei dati personali del lavoratore, l’introduzione di obblighi di monitoraggio umano dei sistemi automatizzati al fine di consentire una valutazione dei rischi derivanti alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori nonché con il riconoscimento del diritto a contestare le decisioni automatizzate dinanzi ad un responsabile designato in dalla piattaforma digitale stessa.

5. La prospettiva nazionale

Nell’ambito dell’ordinamento italiano il tema del lavoro attraverso le piattaforme digitali non è stato ancora affrontato con interventi generali di disciplina sistematica quanto piuttosto attraverso interventi settoriali dedicati essenzialmente ai c.d. riders o ciclofattorini che, come del resto avvenuto nella gran parte dei Paesi europei, sono diventati la figura emblematica del conflitto sociale che si è venuto a creare attorno al tema del lavoro su piattaforma.
Con particolare riferimento alla normativa italiana attualmente vigente, con la L. n. 128/2019, di conversione del D.L. n. 101/2019 (D.L. tutela lavoro e crisi aziendali) il legislatore nazionale è intervenuto sul D.Lgs. 81/2015 introducendo il Capo V-bis contenente norme specifiche a tutela del lavoro svolto mediante piattaforme digitali e, in particolare, dei lavoratori “dotati di mezzi propri di locomozione, che ricevono istruzioni su cosa e dove consegnare attraverso piattaforme digitali” in relazione quali vengono attribuite tutele differenziate a seconda che l’attività svolta rientri o meno nella nozione generale di etero-organizzazione di cui al D.Lgs n. 81/2015 ovvero a quella disciplinata dall’art. 47-bis del medesimo decreto quanto ai ciclo-fattorini autonomi.

La normativa italiana non individua pertanto una soluzione con valenza generale per la tutela dei riders che operano attraverso le piattaforme digitali, ma introduce un meccanismo di qualificazione del rapporto di lavoro di tali lavoratori in funzione delle caratteristiche e delle modalità effettive di svolgimento del rapporto. In altre parole, la normativa riconosce tutele differenziate a seconda che l’attività sia riconducibile ad una prestazione le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente, alle quali si applica la c.d. presunzione di subordinazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 81/2015, dai casi in cui i riders svolgano una prestazione di carattere occasionale priva del carattere di continuità, la cui disciplina di riferimento è quella relativa al lavoro autonomo, ferma in ogni caso la possibilità che l’attività sia invece qualificabile quale prestazione di lavoro subordinato qualora il lavoratore sia comunque assoggettato al potere direttivo, disciplinare e organizzativo della piattaforma.
A tale proposito si ricorda infine che anche la Sezione lavoro della Cassazione si è pronunciata con la nota sentenza n. 1663/2020 del 24 gennaio 2020 sulla natura della prestazione lavorativa dei ciclo-fattorini che operano attraverso piattaforme digitali, affermando l’orientamento che sostiene l’applicazione della disciplina della subordinazione al lavoro etero-organizzato e precisando in particolare che “non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, […] di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia” e non perché simile qualificazione sia di per sè irrilevante, quanto piuttosto perché ciò che veramente è necessario è un sistema di protezione in grado, al contempo, di non farsi imbrigliare nella varietà tipologica del dato normativo e contrattuale e d resistere agli “esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell’art. 2094”. La giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito anche che “quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”.