Elementi accidentali: atti negoziali e provvedimenti amministrativi

1. Introduzione

Nel diritto civile e nel diritto amministrativo gli elementi accidentali possono essere definiti quali clausole accessorie apposte ad un atto principale e aventi la funzione di arricchire l’atto cui sono collegate.
Costituiscono espressione della libertà negoziale nel rispetto dei limiti imposti dalla legge la quale si occupa altresì di individuare il regime di tutela di un eventuale correzione da eseguire.
Anche nel diritto penale è individuata questa categoria agli artt. 61 e 62 c.p., anche se è bene sottolinearne l’ontologica differenza, in quanto, in questo contesto, di tratta di elementi la cui presenza concorre a determinare il quantum di pena da irrogare.
Gli elementi accidentali tanto nel diritto civile quanto in quello amministrativo si oppongono quindi agli elementi essenziali; mentre i primi riguardano gli effetti, i secondi concernono la validità stessa dell’atto.
Nel diritto civile, il riferimento normativo è individuato ex art. 1325 c.c. che prevede tassativamente gli elementi che devono caratterizzare gli atti negoziali a pena di nullità ex art. 1418 c.c., con specifico riferimento alle nullità strutturali. Sono quindi elementi essenziali la forma (se prevista dalla legge a pena di nullità), la causa, l’oggetto e l’accordo tra le parti.
Queste quindi, nell’esercizio della loro autonomia negoziale possono discrezionalmente apporre ad un contratto già valido, clausole aggiuntive al fine di gestire l’esplicazione degli effetti.
Ci si chiede se tale approccio possa valere anche per la p.a. in sede di emanazione di un provvedimento amministrativo.

2. Condizione, termine e modus

Pacificamente, si considerano, nel diritto civile, elementi accidentali in senso stretto: la condizione e il termine.
Non c’è univocità, invece, nel considerare come tale il modus, posto che l’ambito di applicazione della disciplina di tale istituto è limitata agli atti a titolo gratuito e si rinviene con riferimento alla materia testamentaria e alle donazioni.
Secondo alcuni, poi, tra gli elementi accidentali dovrebbero essere annoverate anche la caparra penitenziale e la clausola penale.
Nel dettaglio: la presenza della condizione comporta che l’efficacia del contratto sia subordinata al verificarsi di un evento futuro e incerto ma che sia lecito, possibile.
Nel caso di apposizione di termine, il contratto comincerà a produrre gli effetti (termine iniziale) o cesserà di produrli (termine finale) nel momento in cui l’evento si verificherà.
A differenza della condizione, l’evento oggetto del termine deve essere caratterizzato da certezza rispetto al suo verificarsi, in più come la condizione deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile.
Il modus, si definisce invece come l’onere di fare, non fare, dare che incombe sul soggetto che sia beneficiario di una prestazione gratuita. Si discute, appunto, se questo possa essere considerato quale elemento accidentale in senso stretto in quanto non incide sugli effetti; piuttosto ha come conseguenza quella di far sorgere un’obbligazione accessoria e aggiuntiva a carico del beneficiario che però deve discostarsi da una logica di corrispettività.
Logicamente, in tutti e tre i casi non mancano le limitazioni imposte dalla legge volte a tutelare gli effetti derivanti dal contratto.
Un primo limite riguarda il rispetto delle caratteristiche che tali clausole devono presentare. Con riferimento alla condizione e al termine, è infatti, stabilito che questi debbano essere futuri (nel senso che l’evento non deve già essersi verificato al momento della stipulazione), possibile (sia sul piano naturalistico che sul piano giuridico) e devono essere leciti (non contrari al buon costume, ordine pubblico, buon costume e norme imperative).
In quest’ultimo caso, infatti la legge prevede che se la condizione illecita inerisce un negozio inter vivos, questa sarà nulla e tale nullità si estenderà all’intero contratto; se riguarda un negozio mortis causa, si considera come non apposta.
In caso di illegittimità del termine, se questo è iniziale rende nullo l’intero contratto; se è finale si considera come non apposto.
Ulteriore limite è rappresentato in materia di condizione dal disposto dell’art. 1355 c.c. rubricato “condizione meramente potestativa”. Anche in questo caso, la nullità testualmente prevista per la clausola inficia l’intero contratto, in quanto se si facesse dipendere l’efficacia dello stesso da un mero capriccio di una delle due parti si frusterebbe la serietà dell’accordo. Si assiste quindi ad un’ipotesi di nullità parziale che diventa totale.
Si discute se questo regime possa estendersi fino a ricomprendere anche le ipotesi di condizione risolutiva meramente potestativa.
Secondo alcuni la risposta dovrebbe essere affermativa, poiché si ritiene che la condizione risolutiva e quella potestativa abbiano la stessa ratio; altri invece ritengono di escludere tale possibilità posto che il 1355 c.c. pone una nullità testuale.
Ulteriore limite è rappresentato dall’ambito di applicazione degli stessi elementi accidentali, dei quali le parti non possono servirsi con riferimento agli atti cd. puri, come ad esempio il matrimonio, o con riferimento agli atti di rinuncia e accettazione dell’eredità.

3. Applicabilità ai provvedimenti amministrativi

Nel diritto amministrativo anche si riconosce la facoltà di apporre elementi accidentali ai provvedimenti amministrativi, sebbene tale possibilità risponda ad una logica differente rispetto a quella che caratterizza la disciplina civilistica fin qui esaminata.
Questo perché il rapporto che sussiste tra p.a. e privato nell’ambito del processo finalizzato all’emanazione del provvedimento amministrativo presuppone una netta differenza tra i poteri e posizioni che la legge riconosce ad entrambi i soggetti.
Dunque, un primo limite alla possibilità di apporre elementi accidentali è proprio rappresentato dal fatto che questi non possono esser tali da ledere o inficiare il contenuto tipico del provvedimento amministrativo.
In base al disposto dell’art. 1 L. n. 241/1990, infatti, l’attività amministrativa deve essere sempre sorretta da una legge che espressamente la autorizzi, attribuendole un potere o vincolato o discrezionale. Da qui consegue un ulteriore limite rappresentato dalla circostanza che gli elementi accidentali non potranno essere apposti agli atti vincolati in quanto, in questi casi, la p.a. non ha margine di scelta, dovendosi limitare a dare attuazione pedissequamente, al contenuto della legge di riferimento.
Riguardo all’attività discrezionale, al contrario, si ammette pacificamente la possibilità per la p.a. di apporre elementi accidentali, posto che la discrezionalità dell’agire amministrativo investe l’an, il quid, il quomodo e il quando.
Sono considerati elementi accidentali al pari del diritto civile: la condizione (frequente soprattutto negli atti di controllo, subordinando a questo l’efficacia del provvedimento): il termine (anche se spesso è la stessa legge a prevederlo come nel caso di provvedimenti in tema di espropriazione); l’onere (quale imposizione di una prestazione a carico del privati in caso di autorizzazioni concessioni e licenze); la riserva (quando la p.a., appunto si riserva di emanare atti futuri rispetto all’oggetto del provvedimento emanato).

4. Regime di invalidità

Come per il diritto civile, anche nel diritto amministrativo gli elementi accidentali si contrappongono a quelli essenziali.
In questo caso però non esiste un articolo equivalente al 1355 c.c., dunque gli elementi essenziali sono annoverati alla luce della teoria circa la natura giuridica del provvedimento, che si accoglie.
In ogni caso, sono comunemente considerati elementi essenziali i soggetti, l’oggetto, il contenuto e, ex art. 3 L. n. 241/1990, la motivazione (salvo deroghe previste dalla legge).
Alla luce di ciò, si pone quindi il problema di comprendere se il regime di nullità, totale o parziale, previsto quale regime di tutela del diritto civile, possa essere applicato anche nel caso di diritto amministrativo per atti riguardanti elementi accidentali di un provvedimento.
Ancora una volta, è necessario tenere a mente le peculiarità che caratterizzano il diritto amministrativo.
La L. n. 241/1990 all’art. 21 septies individua, infatti, quelle che tassativamente devono essere considerate ipotesi di nullità del provvedimento.
Questo, a differenza dagli atti negoziali, è caratterizzato da esecutorietà; concetto diverso da quello di efficacia. Il primo si pone quale qualità sostanziale e intrinseca del provvedimento come astratta idoneità a produrre effetti; l’efficacia riguarda in concreto la realizzazione degli effetti stessi. È quindi rispetto all’efficacia che si pone il problema degli elementi accidentali.
Alla luce di ciò, potrebbe quindi essere lecito dubitare circa la possibilità di applicare il regime della nullità ad un provvedimento.
Questo anche perché l’attività della p.a. deve essere sempre sorretta dai principi di economicità ed efficienza e dunque sarebbe controproducente dichiarare la nullità dell’intero provvedimento se il vizio riguarda un elemento ulteriore e accessorio; la dichiarazione di nullità avrebbe come conseguenza quella di considerare l’atto inesistente e ricominciare nuovamente il procedimento.
Potrebbe apparire corretta l’argomentazione di chi sostiene, al contrario, che il provvedimento potrebbe essere annullabile per eccesso di potere ex art. 21 octies co. 1 L. n. 241/1990, anche alla luce del fatto che l’eccesso di potere è considerato il vizio tipico dell’attività discrezionale.
Quindi, in questi casi, se la p.a. nell’esercizio dell’attività discrezionale avesse approvato un elemento accidentale tale da contrastare con il contenuto tipico del provvedimento, questo potrebbe essere annullato per eccesso di potere co giurisdizione da radicare innanzi al g.a. ex art. 7 c.p.a.
Ulteriore soluzione avanzata è quella che fa leva sul disposto dell’art. 21 octies co. 2 L. n. 241/1990 con riferimento ai vizi non invalidanti del provvedimento.
Dal combinato disposto delle due alinea di cui è composto il co. 2 si potrebbero annoverare anche i vizi afferenti agli elementi accidentali, in attuazione del principio “vitiatur sed non vitiat”, alla luce anche dei recenti orientamenti giurisprudenziali.
In questo modo, quindi, il provvedimento sarebbe fatto salvo configurando l’illegittimità della sola clausola accessoria, potendo la p.a. emanare nuovamente il provvedimento emendato dal vizio.
Tale ipotesi potrebbe trovare fondamento anche con riferimento alla ratio sottesa al d.l. n. 76/2020, che ha operato un’importante modifica alla L. n. 241/1990 elevando istituti (come ad esempio art. 21 decies) a principi generali; istituti caratterizzati proprio dalla spiccata esigenza di rispettare i principi di efficacia e velocizzare l’attività amministrativa valorizzando, anche in questo ambito, il principio civilistico “utile per inutile non vitiatur”.

1. Introduzione

Nel diritto civile e nel diritto amministrativo gli elementi accidentali possono essere definiti quali clausole accessorie apposte ad un atto principale e aventi la funzione di arricchire l’atto cui sono collegate.
Costituiscono espressione della libertà negoziale nel rispetto dei limiti imposti dalla legge la quale si occupa altresì di individuare il regime di tutela di un eventuale correzione da eseguire.
Anche nel diritto penale è individuata questa categoria agli artt. 61 e 62 c.p., anche se è bene sottolinearne l’ontologica differenza, in quanto, in questo contesto, di tratta di elementi la cui presenza concorre a determinare il quantum di pena da irrogare.
Gli elementi accidentali tanto nel diritto civile quanto in quello amministrativo si oppongono quindi agli elementi essenziali; mentre i primi riguardano gli effetti, i secondi concernono la validità stessa dell’atto.
Nel diritto civile, il riferimento normativo è individuato ex art. 1325 c.c. che prevede tassativamente gli elementi che devono caratterizzare gli atti negoziali a pena di nullità ex art. 1418 c.c., con specifico riferimento alle nullità strutturali. Sono quindi elementi essenziali la forma (se prevista dalla legge a pena di nullità), la causa, l’oggetto e l’accordo tra le parti.
Queste quindi, nell’esercizio della loro autonomia negoziale possono discrezionalmente apporre ad un contratto già valido, clausole aggiuntive al fine di gestire l’esplicazione degli effetti.
Ci si chiede se tale approccio possa valere anche per la p.a. in sede di emanazione di un provvedimento amministrativo.

2. Condizione, termine e modus

Pacificamente, si considerano, nel diritto civile, elementi accidentali in senso stretto: la condizione e il termine.
Non c’è univocità, invece, nel considerare come tale il modus, posto che l’ambito di applicazione della disciplina di tale istituto è limitata agli atti a titolo gratuito e si rinviene con riferimento alla materia testamentaria e alle donazioni.
Secondo alcuni, poi, tra gli elementi accidentali dovrebbero essere annoverate anche la caparra penitenziale e la clausola penale.
Nel dettaglio: la presenza della condizione comporta che l’efficacia del contratto sia subordinata al verificarsi di un evento futuro e incerto ma che sia lecito, possibile.
Nel caso di apposizione di termine, il contratto comincerà a produrre gli effetti (termine iniziale) o cesserà di produrli (termine finale) nel momento in cui l’evento si verificherà.
A differenza della condizione, l’evento oggetto del termine deve essere caratterizzato da certezza rispetto al suo verificarsi, in più come la condizione deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile.
Il modus, si definisce invece come l’onere di fare, non fare, dare che incombe sul soggetto che sia beneficiario di una prestazione gratuita. Si discute, appunto, se questo possa essere considerato quale elemento accidentale in senso stretto in quanto non incide sugli effetti; piuttosto ha come conseguenza quella di far sorgere un’obbligazione accessoria e aggiuntiva a carico del beneficiario che però deve discostarsi da una logica di corrispettività.
Logicamente, in tutti e tre i casi non mancano le limitazioni imposte dalla legge volte a tutelare gli effetti derivanti dal contratto.
Un primo limite riguarda il rispetto delle caratteristiche che tali clausole devono presentare. Con riferimento alla condizione e al termine, è infatti, stabilito che questi debbano essere futuri (nel senso che l’evento non deve già essersi verificato al momento della stipulazione), possibile (sia sul piano naturalistico che sul piano giuridico) e devono essere leciti (non contrari al buon costume, ordine pubblico, buon costume e norme imperative).
In quest’ultimo caso, infatti la legge prevede che se la condizione illecita inerisce un negozio inter vivos, questa sarà nulla e tale nullità si estenderà all’intero contratto; se riguarda un negozio mortis causa, si considera come non apposta.
In caso di illegittimità del termine, se questo è iniziale rende nullo l’intero contratto; se è finale si considera come non apposto.
Ulteriore limite è rappresentato in materia di condizione dal disposto dell’art. 1355 c.c. rubricato “condizione meramente potestativa”. Anche in questo caso, la nullità testualmente prevista per la clausola inficia l’intero contratto, in quanto se si facesse dipendere l’efficacia dello stesso da un mero capriccio di una delle due parti si frusterebbe la serietà dell’accordo. Si assiste quindi ad un’ipotesi di nullità parziale che diventa totale.
Si discute se questo regime possa estendersi fino a ricomprendere anche le ipotesi di condizione risolutiva meramente potestativa.
Secondo alcuni la risposta dovrebbe essere affermativa, poiché si ritiene che la condizione risolutiva e quella potestativa abbiano la stessa ratio; altri invece ritengono di escludere tale possibilità posto che il 1355 c.c. pone una nullità testuale.
Ulteriore limite è rappresentato dall’ambito di applicazione degli stessi elementi accidentali, dei quali le parti non possono servirsi con riferimento agli atti cd. puri, come ad esempio il matrimonio, o con riferimento agli atti di rinuncia e accettazione dell’eredità.

3. Applicabilità ai provvedimenti amministrativi

Nel diritto amministrativo anche si riconosce la facoltà di apporre elementi accidentali ai provvedimenti amministrativi, sebbene tale possibilità risponda ad una logica differente rispetto a quella che caratterizza la disciplina civilistica fin qui esaminata.
Questo perché il rapporto che sussiste tra p.a. e privato nell’ambito del processo finalizzato all’emanazione del provvedimento amministrativo presuppone una netta differenza tra i poteri e posizioni che la legge riconosce ad entrambi i soggetti.
Dunque, un primo limite alla possibilità di apporre elementi accidentali è proprio rappresentato dal fatto che questi non possono esser tali da ledere o inficiare il contenuto tipico del provvedimento amministrativo.
In base al disposto dell’art. 1 L. n. 241/1990, infatti, l’attività amministrativa deve essere sempre sorretta da una legge che espressamente la autorizzi, attribuendole un potere o vincolato o discrezionale. Da qui consegue un ulteriore limite rappresentato dalla circostanza che gli elementi accidentali non potranno essere apposti agli atti vincolati in quanto, in questi casi, la p.a. non ha margine di scelta, dovendosi limitare a dare attuazione pedissequamente, al contenuto della legge di riferimento.
Riguardo all’attività discrezionale, al contrario, si ammette pacificamente la possibilità per la p.a. di apporre elementi accidentali, posto che la discrezionalità dell’agire amministrativo investe l’an, il quid, il quomodo e il quando.
Sono considerati elementi accidentali al pari del diritto civile: la condizione (frequente soprattutto negli atti di controllo, subordinando a questo l’efficacia del provvedimento): il termine (anche se spesso è la stessa legge a prevederlo come nel caso di provvedimenti in tema di espropriazione); l’onere (quale imposizione di una prestazione a carico del privati in caso di autorizzazioni concessioni e licenze); la riserva (quando la p.a., appunto si riserva di emanare atti futuri rispetto all’oggetto del provvedimento emanato).

4. Regime di invalidità

Come per il diritto civile, anche nel diritto amministrativo gli elementi accidentali si contrappongono a quelli essenziali.
In questo caso però non esiste un articolo equivalente al 1355 c.c., dunque gli elementi essenziali sono annoverati alla luce della teoria circa la natura giuridica del provvedimento, che si accoglie.
In ogni caso, sono comunemente considerati elementi essenziali i soggetti, l’oggetto, il contenuto e, ex art. 3 L. n. 241/1990, la motivazione (salvo deroghe previste dalla legge).
Alla luce di ciò, si pone quindi il problema di comprendere se il regime di nullità, totale o parziale, previsto quale regime di tutela del diritto civile, possa essere applicato anche nel caso di diritto amministrativo per atti riguardanti elementi accidentali di un provvedimento.
Ancora una volta, è necessario tenere a mente le peculiarità che caratterizzano il diritto amministrativo.
La L. n. 241/1990 all’art. 21 septies individua, infatti, quelle che tassativamente devono essere considerate ipotesi di nullità del provvedimento.
Questo, a differenza dagli atti negoziali, è caratterizzato da esecutorietà; concetto diverso da quello di efficacia. Il primo si pone quale qualità sostanziale e intrinseca del provvedimento come astratta idoneità a produrre effetti; l’efficacia riguarda in concreto la realizzazione degli effetti stessi. È quindi rispetto all’efficacia che si pone il problema degli elementi accidentali.
Alla luce di ciò, potrebbe quindi essere lecito dubitare circa la possibilità di applicare il regime della nullità ad un provvedimento.
Questo anche perché l’attività della p.a. deve essere sempre sorretta dai principi di economicità ed efficienza e dunque sarebbe controproducente dichiarare la nullità dell’intero provvedimento se il vizio riguarda un elemento ulteriore e accessorio; la dichiarazione di nullità avrebbe come conseguenza quella di considerare l’atto inesistente e ricominciare nuovamente il procedimento.
Potrebbe apparire corretta l’argomentazione di chi sostiene, al contrario, che il provvedimento potrebbe essere annullabile per eccesso di potere ex art. 21 octies co. 1 L. n. 241/1990, anche alla luce del fatto che l’eccesso di potere è considerato il vizio tipico dell’attività discrezionale.
Quindi, in questi casi, se la p.a. nell’esercizio dell’attività discrezionale avesse approvato un elemento accidentale tale da contrastare con il contenuto tipico del provvedimento, questo potrebbe essere annullato per eccesso di potere co giurisdizione da radicare innanzi al g.a. ex art. 7 c.p.a.
Ulteriore soluzione avanzata è quella che fa leva sul disposto dell’art. 21 octies co. 2 L. n. 241/1990 con riferimento ai vizi non invalidanti del provvedimento.
Dal combinato disposto delle due alinea di cui è composto il co. 2 si potrebbero annoverare anche i vizi afferenti agli elementi accidentali, in attuazione del principio “vitiatur sed non vitiat”, alla luce anche dei recenti orientamenti giurisprudenziali.
In questo modo, quindi, il provvedimento sarebbe fatto salvo configurando l’illegittimità della sola clausola accessoria, potendo la p.a. emanare nuovamente il provvedimento emendato dal vizio.
Tale ipotesi potrebbe trovare fondamento anche con riferimento alla ratio sottesa al d.l. n. 76/2020, che ha operato un’importante modifica alla L. n. 241/1990 elevando istituti (come ad esempio art. 21 decies) a principi generali; istituti caratterizzati proprio dalla spiccata esigenza di rispettare i principi di efficacia e velocizzare l’attività amministrativa valorizzando, anche in questo ambito, il principio civilistico “utile per inutile non vitiatur”.

Bibliografia

Monografie:
– M. Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, Quinta edizione 2021, Giappichelli editore;
– R. Garofoli, Compendio di diritto amministrativo, parte generale – parte speciale, VII edizione 2019/2020, Nel diritto editore;
– M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, V edizione, Il mulino.