Profili generali e novità legislative del reato di appropriazione indebita

Appropriazione indebita

L’appropriazione indebita è una fattispecie di reato punita dall’art. 646 del codice penale; nella sistemazione codicistica , essa trova collocazione nel Titolo XIII del libro II intitolato “Dei delitti contro il patrimonio” (artt. 624 – 648-quater c.p.), nel quale sono inseriti tutti quei delitti che offendono il patrimonio altrui, inteso, da dottrina e giurisprudenza più recenti, come il complesso dei rapporti giuridici, economicamente valutabili, che fanno capo ad una persona.

Il libro II del codice penale è suddiviso in tredici titoli raggruppati a seconda del bene giuridico (interesse tutelato dalla norma incriminatrice) leso (o messo in pericolo) dai comportamenti vietati; nel caso di specie, l’oggetto giuridico della norma è ormai, quasi pacificamente, costituito dalla inviolabilità del diritto di proprietà.

L’art. 646, I comma, c.p. punisce, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000:

  • chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo, il possesso.

Il secondo comma del medesimo articolo, prevede come aggravante speciale l’aver commesso il fatto “su cose possedute a titolo di deposito necessario”.

Presupposto di tale delitto è il preesistente possesso, da parte del soggetto attivo, della cosa altrui, possesso che, come sancito da numerose pronunce della Suprema Corte di Cassazione, implica non già un semplice rapporto materiale tra l’agente e la cosa, ma un potere di fatto autonomo sulla cosa stessa (inclusa la mera detenzione), purché esplicantesi al di fuori della diretta sfera di vigilanza e custodia del titolare.

La condotta punita consiste dunque nell’appropriazione, tradizionalmente intesa quale interversione del possesso, secondo lo schema tracciato dagli artt. 1141 e 1164 del codice civile; in altri termini, compie un’ appropriazione colui che, possedendo inizialmente per conto di altri comincia a disporre della res come se ne fosse proprietario (uti dominus) dando alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso, anche nel caso si tratti di una somma di denaro.

Pertanto, soggetto attivo del reato è chiunque si trovi nel possesso materiale del bene altrui; il soggetto passivo, non potrà che essere il proprietario del denaro o della cosa mobile altrui (oggetti materiali dell’azione).

L’elemento soggettivo del delitto de quo è il dolo specifico: consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi di una cosa mobile altrui, accompagnata dall’ ulteriore fine di procurare a sé a ad altri un ingiusto profitto (un qualsiasi vantaggio o utilità, avente carattere materiale o economico, purché ingiusto: Cass. Pen. 46629/2012)

Per quanto attiene al momento consumativo, alla luce di una recente pronuncia della Suprema Corte, il delitto di appropriazione indebita, reato istantaneo, si consuma con la prima condotta appropriativa, cioè nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (Cass., sez. II 37300/2019).

L’art 646 c.p. è stato recentemente oggetto di due significativi interventi legislativi.

  1. Il D.lgs. del 10 aprile 2018 n. 36 (entrato in vigore il 9 maggio 2018) ha abrogato il terzo comma del suddetto articolo che prevedeva la procedibilità d’ ufficio del delitto in esame in presenza di alcune circostanze aggravanti ed in particolare:
    a) le circostanze indicate nel numero 11 dell’art. 61 del codice penale (fatto commesso con abuso di autorità o di relazione domestiche o con abuso di relazioni d’ ufficio, di prestazione d’ opera, di coabitazione, o di ospitalità);
    b) la circostanza prevista dal secondo comma dell’art. 646 c.p. (fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario.

Tuttavia, il medesimo D.lgs., con l’ art. 11, ha introdotto l’art 649 bis c.p., intitolato “Casi di procedibilità d’ufficio”, secondo il quale nei casi in cui […] l’ appropriazione indebita sia aggravata dalla circostanza del fatto commesso su cose possedute a titolo  di deposito necessario o da una di quelle indicate nell’art. 61 c.p., comma I, n. 11, si procede d’ufficio “qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale” ovvero, “se la persona offesa è incapace per età o infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità”.

Pertanto, il reato ex art 646 c.p., nel panorama giuridico attuale, è procedibile a querela di parte anche nella forma aggravata prevista dal secondo comma e dall’art. 61 n. 11 sempreché non sussistano le ulteriori circostanze indicate dal neo art. 649 bis.

  • La legge del 9 gennaio 2019 n. 3 ha modificato la pena edittale del reato di appropriazione indebita – oggi punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000 – aumentando notevolmente la pena rispetto alla precedente formulazione, in base alla quale la sanzione prevista era la “reclusione fino a tre anni e la multa fino a lire diecimila”.
appropriazione indebita

L’appropriazione indebita è una fattispecie di reato punita dall’art. 646 del codice penale; nella sistemazione codicistica , essa trova collocazione nel Titolo XIII del libro II intitolato “Dei delitti contro il patrimonio” (artt. 624 – 648-quater c.p.), nel quale sono inseriti tutti quei delitti che offendono il patrimonio altrui, inteso, da dottrina e giurisprudenza più recenti, come il complesso dei rapporti giuridici, economicamente valutabili, che fanno capo ad una persona.

Il libro II del codice penale è suddiviso in tredici titoli raggruppati a seconda del bene giuridico (interesse tutelato dalla norma incriminatrice) leso (o messo in pericolo) dai comportamenti vietati; nel caso di specie, l’oggetto giuridico della norma è ormai, quasi pacificamente, costituito dalla inviolabilità del diritto di proprietà.

L’art. 646, I comma, c.p. punisce, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000:

  • chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo, il possesso.

Il secondo comma del medesimo articolo, prevede come aggravante speciale l’aver commesso il fatto “su cose possedute a titolo di deposito necessario”.

Presupposto di tale delitto è il preesistente possesso, da parte del soggetto attivo, della cosa altrui, possesso che, come sancito da numerose pronunce della Suprema Corte di Cassazione, implica non già un semplice rapporto materiale tra l’agente e la cosa, ma un potere di fatto autonomo sulla cosa stessa (inclusa la mera detenzione), purché esplicantesi al di fuori della diretta sfera di vigilanza e custodia del titolare.

La condotta punita consiste dunque nell’appropriazione, tradizionalmente intesa quale interversione del possesso, secondo lo schema tracciato dagli artt. 1141 e 1164 del codice civile; in altri termini, compie un’ appropriazione colui che, possedendo inizialmente per conto di altri comincia a disporre della res come se ne fosse proprietario (uti dominus) dando alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso, anche nel caso si tratti di una somma di denaro.

Pertanto, soggetto attivo del reato è chiunque si trovi nel possesso materiale del bene altrui; il soggetto passivo, non potrà che essere il proprietario del denaro o della cosa mobile altrui (oggetti materiali dell’azione).

L’elemento soggettivo del delitto de quo è il dolo specifico: consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi di una cosa mobile altrui, accompagnata dall’ ulteriore fine di procurare a sé a ad altri un ingiusto profitto (un qualsiasi vantaggio o utilità, avente carattere materiale o economico, purché ingiusto: Cass. Pen. 46629/2012)

Per quanto attiene al momento consumativo, alla luce di una recente pronuncia della Suprema Corte, il delitto di appropriazione indebita, reato istantaneo, si consuma con la prima condotta appropriativa, cioè nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (Cass., sez. II 37300/2019).

L’art 646 c.p. è stato recentemente oggetto di due significativi interventi legislativi.

  1. Il D.lgs. del 10 aprile 2018 n. 36 (entrato in vigore il 9 maggio 2018) ha abrogato il terzo comma del suddetto articolo che prevedeva la procedibilità d’ ufficio del delitto in esame in presenza di alcune circostanze aggravanti ed in particolare:
    a) le circostanze indicate nel numero 11 dell’art. 61 del codice penale (fatto commesso con abuso di autorità o di relazione domestiche o con abuso di relazioni d’ ufficio, di prestazione d’ opera, di coabitazione, o di ospitalità);
    b) la circostanza prevista dal secondo comma dell’art. 646 c.p. (fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario.

Tuttavia, il medesimo D.lgs., con l’ art. 11, ha introdotto l’art 649 bis c.p., intitolato “Casi di procedibilità d’ufficio”, secondo il quale nei casi in cui […] l’ appropriazione indebita sia aggravata dalla circostanza del fatto commesso su cose possedute a titolo  di deposito necessario o da una di quelle indicate nell’art. 61 c.p., comma I, n. 11, si procede d’ufficio “qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale” ovvero, “se la persona offesa è incapace per età o infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità”.

Pertanto, il reato ex art 646 c.p., nel panorama giuridico attuale, è procedibile a querela di parte anche nella forma aggravata prevista dal secondo comma e dall’art. 61 n. 11 sempreché non sussistano le ulteriori circostanze indicate dal neo art. 649 bis.

  • La legge del 9 gennaio 2019 n. 3 ha modificato la pena edittale del reato di appropriazione indebita – oggi punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000 – aumentando notevolmente la pena rispetto alla precedente formulazione, in base alla quale la sanzione prevista era la “reclusione fino a tre anni e la multa fino a lire diecimila”.
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