1. Cripto-valute: minacce e utilità di una tecnologia in cerca di disciplina
L’incessante sviluppo tecnologico comporta la nascita di fenomeni del tutto nuovi, che sollevano numerosi interrogativi, anche in merito alla loro disciplina giuridica; fra di essi può essere annoverato il caso delle valute virtuali.
Esse costituiscono delle rappresentazioni digitali di valore, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo d’investimento, che possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente[1]; non vengono emesse da una banca centrale o da un’autorità pubblica, né risultano collegate ad una valuta avente corso legale[2].
Date le loro peculiarità le valute virtuali rappresentano al contempo un’occasione e una minaccia: da un lato possono rendere i sistemi operativi di pagamento più veloci e meno costosi, nonché ridurre la presenza di intermediari[3]; dall’altro le cripto-valute destano più di una preoccupazione in termini di repressione e prevenzione criminale[4], basti pensare al loro potenziale utilizzo per il riciclaggio di denaro o l’evasione fiscale, tant’è che le istituzioni europee e nazionali hanno più volte auspicato un intervento sistematico del legislatore[5]. L’introduzione di una disciplina ad hoc riguarda non solo il profilo penale, bensì ulteriori aspetti come la tutela del consumatore e la stabilità del settore finanziario.
È necessario, dunque, un quadro normativo articolato e complesso, basato su un rapporto bilanciato fra regolamentazione e innovazione tecnologica.
Il primo aspetto da definire è quale sia l’esatta qualificazione giuridica delle valute virtuali, questione ancora fortemente dibattuta; le cripto-monete, infatti, costituiscono un fenomeno in continua evoluzione, per sua natura “anarchica” di difficile inquadramento sistematico e ogni tentativo spesso viene superato nel momento stesso della loro formulazione[6].
2. I tentativi di qualificazione giuridica e i dubbi irrisolti
Le valute virtuali vengono comunemente considerate come un mezzo di scambio, eppure non possono essere poste in analogia ad una moneta avente corso legale, poiché difettano di una caratteristica tipica delle valute tradizionali: la volatilità intrinseca della cripto-monete ne impedisce la funzione di riserva di valore[7].
Secondo i primi tentativi di qualificazione la valuta virtuale può essere equiparata ad un bene giuridico immateriale, richiamando l’art. 810 c.c.
Tale soluzione ermeneutica, tuttavia, sembra trascurare un importante antecedente logico: l’esistenza di un bene presuppone l’idoneità dello stesso a divenire oggetto di diritto; tale tipizzazione ancora difetta nel caso dello cripto-monete.
Sotto diversa prospettiva, la valuta virtuale potrebbe essere equiparata ad mezzo di pagamento elettronico, tuttavia tale ipotesi risulta sconfessata sia dal dato normativo che funzionale.
La definizione di moneta elettronica contenuta nelle direttive europee, infatti, risulta incompatibile con le caratteristiche delle cripto-monete: la disciplina comunitaria presuppone che i fondi correlati ad un mezzo di pagamento elettronico siano espressi in euro, mentre nel caso delle valute virtuali il valore viene indicato secondo un’autonoma unità di misura[8].
Dal punto di vista funzionale, inoltre, equiparare le valute virtuali ai mezzi di pagamento elettronico significa considerare un solo aspetto di un fenomeno molto più complesso; il genus cripto-monete, infatti, ricomprende numerosissime tipologie, che si distinguono per caratteristiche e utilizzo[9]. A queste, inoltre, si aggiungeranno ulteriori species, delle quali è possibile prevedere solo in parte gli aspetti distintivi, frutto dell’inarrestabile sviluppo tecnologico.
Ne deriva che le valute virtuali rappresentano un fenomeno multiforme e in costante divenire.
Un esempio del “polimorfismo” delle valute virtuali e delle attività ad esse connesse si riscontra in materia fiscale[10]; l’esatta qualificazione, in termini tributari, delle cripto-monete e di come trattare le plusvalenze e le minusvalenze ad esse connesse è una questione fortemente dibattuta[11].
Sul punto è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha qualificato il cambio di valuta in bitcoins come prestazioni di servizio a titolo oneroso esenti IVA, perché riconducibili all’art. 135 par. 1 lett. e) della direttiva IVA[12].
La citata pronuncia è stata in seguito mutuata dall’Agenzia delle Entrare italiane, che a sua volta ha qualificato il cambio di bitcoins come prestazione di servizi a titolo oneroso[13].
L’inquadramento nei suddetti termini, tuttavia, risulta parziale in quanto relativo al sola operazione del cambio di valute tradizionali in bitcoins e viceversa, rimangono, invece, escluse le altre attività e le diverse tipologie di valute virtuali; inoltre, esso attiene il solo aspetto fiscale, mentre rimane dubbia la loro qualifica per altri profili.
In materia di tutela del consumatore, ad esempio, rileva una recente pronuncia del Tribunale di Verona chiamato a pronunciarsi su una caso di crowdfunding, avente ad oggetto un conferimento di valuta fiat in bitcoins[14].
Secondo il giudice, la compravendita di valute virtuali costituisce un’operazione ad alto rischio, che può essere equiparata agli strumenti finanziari; da ciò deriva l’applicabilità del Codice del consumo nella parte relativa alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori.
Gli esempi trattati dimostrano che ad oggi le valute virtuali non hanno ancora trovato un’univoca sistemazione giuridica, bensì solo plurime definizioni, spesso basate su un approccio casistico. Ciò consente di considerare il fenomeno nelle sue diverse forme, tuttavia rischia di generare incertezze e frammentazione, poiché affida alla pronuncia del singolo caso la definizione giuridica di cripto-moneta.
3. Conclusioni: verso un nuovo schema
Gli sforzi vani di qualificare giuridicamente le valute virtuali dimostrano la necessità di un cambio di rotta. Un fenomeno polimorfo e continua evoluzione infatti, lungi dall’essere inquadrato in un’unica definizione secondo le categorie tradizionali, richiede un approccio funzionale e pluralistico[15]. È compito del legislatore rinvenire le diverse attività che possono essere svolte con le cripto-valute e ricondurle ad una definizione astratta; inoltre deve essere introdotta una clausola generale, che consenta di considerare anche i futuri utilizzi nuovi e diversi da quelli già previsti. La chiave, dunque, sembra essere quella di creare uno schema definitorio aperto e plurimo.
[1] PIZZOLANTE, La lotta alle frodi finanziarie nel diritto penale europeo, tra protezione degli interessi economici dell’Unione europea e nuove sfide poste da bitcoin e criptovalute, Cacucci Editore, pag. 171.
[2] EBA opinion on virtual currencies, EBA/Op/2014/08, 4 luglio 2014.
[3] PIZZOLANTE, La lotta alle frodi finanziarie nel diritto penale europeo, tra protezione degli interessi economici dell’Unione europea e nuove sfide poste da bitcoin e criptovalute, Cacucci Editore, pag. 184.
[4] ACCINI, Profili di rilevanza penale delle “criptovalute” (nella riforma della disciplina antiriciclaggio), Archivio penale, n.1/18, pag. 8.
[5] A titolo esemplificativo si rammenta l’intervento dell’Autorità bancaria europea, EBA, OP/2014/08,04 july 14, al quale ha fatto seguito una comunicazione sostanzialmente analoga della Banca d’Italia, Comunicazione del 30/1/15 sulle valute virtuali; è intervenuto sul punto anche il Parlamento europeo, European Parliament resolution of 26 May 2016 on virtual currencies.
[6] CANTOBELLI, Il regime fiscale delle criptovalute, Altalex, articolo del 9/11/2018, pag. 1.
[7] PIZZOLANTE, La lotta alle frodi finanziarie nel diritto penale europeo, tra protezione degli interessi economici dell’Unione europea e nuove sfide poste da bitcoin e criptovalute, Cacucci Editore, 2019, pag. 173.
[8] PIZZOLANTE, La lotta alle frodi finanziarie nel diritto penale europeo, tra protezione degli interessi economici dell’Unione europea e nuove sfide poste da bitcoin e criptovalute, Cacucci Editore, 2019, pag 251.
[9] Per una ricostruzione esemplificativa PIZZOLANTE, La lotta alle frodi finanziarie nel diritto penale europeo, tra protezione degli interessi economici dell’Unione europea e nuove sfide poste da bitcoin e criptovalute, Cacucci Editore, 2019, pagg. 179-181.
[10] GIORGI, Cripto-attività, tra polimorfismo e dubbi qualificatori in materia fiscale, rivista di diritto tributario, 7 ottobre 2018.
[11] PIZZOLANTE, La lotta alle frodi finanziarie nel diritto penale europeo, tra protezione degli interessi economici dell’Unione europea e nuove sfide poste da bitcoin e criptovalute, Cacucci Editore, 2019, pag. 238; CANTOBELLI, Il regime fiscale delle criptovalute, Altalex, articolo del 9/11/2018.
[12] Corte di Giustizia UE, 25 luglio 2018, n.7556.
[13] Agenzia delle Entrare, risoluzione 72/E del 2 settembre 2016.
[14] Tribunale di Verona, 24 gennaio 2017, n.195 in PIZZOLANTE, La lotta alle frodi finanziarie nel diritto penale europeo, tra protezione degli interessi economici dell’Unione europea e nuove sfide poste da bitcoin e criptovalute, Cacucci Editore, pagg. 256-257.
[15] PIZZOLANTE, La lotta alle frodi finanziarie nel diritto penale europeo, tra protezione degli interessi economici dell’Unione europea e nuove sfide poste da bitcoin e criptovalute, Cacucci Editore, 2019, pag 259.