La ripetibilità dell’indebito assistenziale

Articolo a cura dell’Avv.ssa Ginevra Valguarnera

Indebito assistenziale

Definizione

Per indebito assistenziale si intende l’indebita percezione di prestazioni assistenziali, quali ad esempio la pensione di invalidità civile o il c.d. assegno sociale.
Accade di frequente che l’ente erogatore, una volta verificata la perdita dei requisiti reddituali da parte del soggetto beneficiario, proceda con il recupero delle somme indebitamente percepite, con contestuale sospensione – espressa o tacita – della prestazione assistenziale. Tale comportamento ha ingenerato un copioso contenzioso, culminato in numerose recenti pronunce della Suprema Corte.

Riferimenti normativi

In tema di indebito oggettivo, la regola generale è enunciata dall’art. 2033 c.c., comma primo, che dispone che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”. In materia assistenziale e pensionistica, tuttavia, tale articolo va letto unitamente all’art. 13, comma 2, l. n. 412/1991, a mente del quale “l’I.n.p.s. procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza”.
La disciplina, contenuta nella c.d. “finanziaria”, viene inserita come norma di interpretazione autentica dell’articolo 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, che in materia di indebito oggettivo assistenziale e pensionistico prevede che “nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato”.
È chiaro pertanto che il regime dell’indebito previdenziale ed assistenziale presenti tratti singolari e speciali rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c., che consente la restituzione senza limiti dell’indebito.
La ratio della differente disciplina risiede nell’esigenza di tutela dell’affidamento dei pensionati sul trattamento pensionistico indebitamente percepito in buona fede, in cui le prestazioni, pur indebite, sono solitamente destinate a soddisfare bisogni alimentari propri del pensionato e della famiglia.
Il legislatore ha dunque operato un bilanciamento tra due interessi: da un lato, onerando l’Inps di procedere annualmente alla verifica della sussistenza dei requisiti per ottenere la prestazione, riduce temporalmente la finestra temporale nella quale sarebbe consentita la ripetibilità; dall’altro, fa salva la ripetibilità nel caso di dolo dell’interessato, in modo che l’ente erogatore non si trovi nell’impossibilità di recuperare le somme indebitamente percepite per mezzo di omissioni o false dichiarazioni, venuta meno la necessità di tutela dell’affidamento del pensionato.
In sostanza, l’art. 13 c. 2 l. 412/1991 prevede per l’Inps un termine di decadenza entro il quale verificare la sussistenza dei requisiti per l’erogazione relativamente all’anno in corso. Pertanto, prima della scadenza annuale del termine per le verifiche, la ripetibilità sembrerebbe ammessa a prescindere dall’elemento soggettivo; decorso tale termine, invece, non appare più possibile recuperare quanto erogato, salvo comprovato dolo del soggetto interessato.
Vi è da sottolineare come il legislatore utilizzi il termine “verifica delle situazioni reddituali”, lasciando intendere la necessità di una condotta attiva da parte dell’INPS, che non si limiti al mero controllo dei dati forniti attraverso le comunicazioni dei redditi e le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti, che ben potrebbe essere automatizzato.
Analizzeremo più avanti come la giurisprudenza di legittimità, partendo da tale assunto, giunga a ritenere da solo non sufficiente neppure il dolo omissivo, nell’ipotesi in cui le informazioni reddituali fossero comunque conoscibili dall’ente erogatore.

Elemento soggettivo

Ai fini della ripetizione dell’indebito assistenziale – al di fuori del limite temporale previsto dal citato art. 13 – è dunque indispensabile che venga provato il dolo dell’accipiens.
Anche la Cassazione si è pronunciata statuendo che “nella specifica fattispecie dell’indebito per mancanza del requisito reddituale va rilevato che ai fini della ripetizione (Cass. 31372/2019 e Cass. 28771/18 cit.) richiedono che sia necessario il “dolo comprovato dell’accipiens” atto a far venir meno l’affidamento dell’accipiens” (Cass. 25 giugno 2020, n. 12608). Nella medesima ordinanza, la Corte ha evidenziato che “che nessun obbligo di restituzione si può configurare nell’ipotesi in cui l’accipiens ha già dichiarato i propri redditi alla PA ed essi fossero perciò conoscibili dall’INPS al quale già l’art. 42 d.l. 269/2003 conv. in legge 326/2003 consentiva di accedere alla conoscenza dei redditi dichiarati onerandolo del controllo telematico dei requisiti reddituali”. (Cass. 25 giugno 2020, n. 12608).
La Corte sembrerebbe dunque prescindere da qualsiasi accertamento in ordine all’elemento soggettivo tutte le volte in cui l’INPS non abbia diligentemente provveduto ad acquisire i dati reddituali anche da diverse amministrazioni.
Tale rilievo è di rilevantissima applicazione pratica, in quanto accade frequentemente che il pensionato comunichi in buona fede delle variazioni reddituali ad una diversa amministrazione, per esempio all’Agenzia delle Entrate nel caso di registrazione di contratto di locazione.
La Suprema Corte si è spinta persino a ritenere il requisito del dolo omissivo da solo non sufficiente, nel caso in cui l’Istituto con la dovuta diligenza avrebbe potuto accedere ai dati reddituali, ancorché il percipiente sia in malafede.
In questo senso, tra gli altri, Cass. n. 11498 del 1996; Cass. n. 8731/2019 e Cass. n. 12608/2020, che in tema di indebito assistenziale ha statuito che “allorché le situazioni ostative all’erogazione siano note all’ente previdenziale ovvero siano da esso conoscibili facendo uso della diligenza richiestagli dalla sua qualità di soggetto erogatore della prestazione, il comportamento omissivo del percipiente, ancorché in malafede, non è determinante della indebita erogazione e non può dunque costituire ragione di addebito della stessa”.
In conclusione, la regola generale in tema di indebito assistenziale è l’irripetibilità, che può essere superata solo nel caso in cui il beneficiario abbia agito con dolo e comunque non abbia provveduto a comunicare i propri dati reddituali ad una qualsiasi pubblica amministrazione. La “verifica della situazione reddituale” di cui all’art. 13 c. 2 l. 412/1991 non si riferisce, quindi, soltanto ai mero controllo quantitativo-numerico dei dati forniti annualmente dal soggetto beneficiario, bensì richiede da parte dell’INPS una condotta attiva di verifica dei dati in possesso anche di diverse pubbliche amministrazioni, in quanto conoscibili.
Sono tuttavia da segnalare alcune pronunce, con le quali la Suprema Corte ha ritenuto che in materia di omessa comunicazione, sia da escludere radicalmente l’affidamento del soggetto beneficiario.
La Corte ha infatti statuito che “in tema di indebito assistenziale, la violazione, ad opera del titolare della prestazione, dell’obbligo di comunicazione all’INPS della situazione reddituale rilevante ai fini del diritto alla percezione della predetta prestazione, esclude la sussistenza di un affidamento idoneo a giustificare l’irripetibilità dell’indebito” (Cass. Sez. Lav. Ordinanza 16 aprile 2019, n. 106429).
Si sottolinea che questo orientamento si riferisce ad ipotesi in cui il soggetto beneficiario non abbia effettuato alcun tipo di comunicazione, a nessuna pubblica amministrazione, rendendo l’INPS nella impossibilità di conoscere la situazione reddituale.
Pertanto, da una lettura organica degli orientamenti analizzati, assume ancora più importanza il requisito della “conoscibilità” dei redditi del soggetto beneficiario: la comunicazione delle variazioni reddituali ad una qualsivoglia amministrazione, purché venga effettuata, sembrerebbe sufficiente ad escludere in radice la ripetibilità.

Conclusioni

In conclusione, nel caso di azione volta al recupero delle somme indebitamente erogate o di difesa nell’accertamento nel merito della spettanza di una prestazione assistenziale revocata – si intende, al di fuori del limite temporale sancito dal citato art. 13 – al fine di ripetere le somme l’ente erogatore deve dedurre e provare la malafede del beneficiario.
Il secondo requisito è che i dati reddituali del percipiente non siano stati in alcun modo conoscibili da parte dell’INPS: la comunicazione a qualsiasi amministrazione farebbe comunque venir meno la possibilità di ripetizione.
Si conferma pertanto l’eccentricità dell’indebito assistenziale rispetto alla disciplina civilistica sancita dall’art. 2033 c.c., che esclude la ripetibilità nelle ipotesi di non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta e di una situazione idonea a generare affidamento.

indebito assistenziale

Definizione

Per indebito assistenziale si intende l’indebita percezione di prestazioni assistenziali, quali ad esempio la pensione di invalidità civile o il c.d. assegno sociale.
Accade di frequente che l’ente erogatore, una volta verificata la perdita dei requisiti reddituali da parte del soggetto beneficiario, proceda con il recupero delle somme indebitamente percepite, con contestuale sospensione – espressa o tacita – della prestazione assistenziale. Tale comportamento ha ingenerato un copioso contenzioso, culminato in numerose recenti pronunce della Suprema Corte.

Riferimenti normativi

In tema di indebito oggettivo, la regola generale è enunciata dall’art. 2033 c.c., comma primo, che dispone che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”. In materia assistenziale e pensionistica, tuttavia, tale articolo va letto unitamente all’art. 13, comma 2, l. n. 412/1991, a mente del quale “l’I.n.p.s. procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza”.
La disciplina, contenuta nella c.d. “finanziaria”, viene inserita come norma di interpretazione autentica dell’articolo 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, che in materia di indebito oggettivo assistenziale e pensionistico prevede che “nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato”.
È chiaro pertanto che il regime dell’indebito previdenziale ed assistenziale presenti tratti singolari e speciali rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c., che consente la restituzione senza limiti dell’indebito.
La ratio della differente disciplina risiede nell’esigenza di tutela dell’affidamento dei pensionati sul trattamento pensionistico indebitamente percepito in buona fede, in cui le prestazioni, pur indebite, sono solitamente destinate a soddisfare bisogni alimentari propri del pensionato e della famiglia.
Il legislatore ha dunque operato un bilanciamento tra due interessi: da un lato, onerando l’Inps di procedere annualmente alla verifica della sussistenza dei requisiti per ottenere la prestazione, riduce temporalmente la finestra temporale nella quale sarebbe consentita la ripetibilità; dall’altro, fa salva la ripetibilità nel caso di dolo dell’interessato, in modo che l’ente erogatore non si trovi nell’impossibilità di recuperare le somme indebitamente percepite per mezzo di omissioni o false dichiarazioni, venuta meno la necessità di tutela dell’affidamento del pensionato.
In sostanza, l’art. 13 c. 2 l. 412/1991 prevede per l’Inps un termine di decadenza entro il quale verificare la sussistenza dei requisiti per l’erogazione relativamente all’anno in corso. Pertanto, prima della scadenza annuale del termine per le verifiche, la ripetibilità sembrerebbe ammessa a prescindere dall’elemento soggettivo; decorso tale termine, invece, non appare più possibile recuperare quanto erogato, salvo comprovato dolo del soggetto interessato.
Vi è da sottolineare come il legislatore utilizzi il termine “verifica delle situazioni reddituali”, lasciando intendere la necessità di una condotta attiva da parte dell’INPS, che non si limiti al mero controllo dei dati forniti attraverso le comunicazioni dei redditi e le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti, che ben potrebbe essere automatizzato.
Analizzeremo più avanti come la giurisprudenza di legittimità, partendo da tale assunto, giunga a ritenere da solo non sufficiente neppure il dolo omissivo, nell’ipotesi in cui le informazioni reddituali fossero comunque conoscibili dall’ente erogatore.

Elemento soggettivo

Ai fini della ripetizione dell’indebito assistenziale – al di fuori del limite temporale previsto dal citato art. 13 – è dunque indispensabile che venga provato il dolo dell’accipiens.
Anche la Cassazione si è pronunciata statuendo che “nella specifica fattispecie dell’indebito per mancanza del requisito reddituale va rilevato che ai fini della ripetizione (Cass. 31372/2019 e Cass. 28771/18 cit.) richiedono che sia necessario il “dolo comprovato dell’accipiens” atto a far venir meno l’affidamento dell’accipiens” (Cass. 25 giugno 2020, n. 12608). Nella medesima ordinanza, la Corte ha evidenziato che “che nessun obbligo di restituzione si può configurare nell’ipotesi in cui l’accipiens ha già dichiarato i propri redditi alla PA ed essi fossero perciò conoscibili dall’INPS al quale già l’art. 42 d.l. 269/2003 conv. in legge 326/2003 consentiva di accedere alla conoscenza dei redditi dichiarati onerandolo del controllo telematico dei requisiti reddituali”. (Cass. 25 giugno 2020, n. 12608).
La Corte sembrerebbe dunque prescindere da qualsiasi accertamento in ordine all’elemento soggettivo tutte le volte in cui l’INPS non abbia diligentemente provveduto ad acquisire i dati reddituali anche da diverse amministrazioni.
Tale rilievo è di rilevantissima applicazione pratica, in quanto accade frequentemente che il pensionato comunichi in buona fede delle variazioni reddituali ad una diversa amministrazione, per esempio all’Agenzia delle Entrate nel caso di registrazione di contratto di locazione.
La Suprema Corte si è spinta persino a ritenere il requisito del dolo omissivo da solo non sufficiente, nel caso in cui l’Istituto con la dovuta diligenza avrebbe potuto accedere ai dati reddituali, ancorché il percipiente sia in malafede.
In questo senso, tra gli altri, Cass. n. 11498 del 1996; Cass. n. 8731/2019 e Cass. n. 12608/2020, che in tema di indebito assistenziale ha statuito che “allorché le situazioni ostative all’erogazione siano note all’ente previdenziale ovvero siano da esso conoscibili facendo uso della diligenza richiestagli dalla sua qualità di soggetto erogatore della prestazione, il comportamento omissivo del percipiente, ancorché in malafede, non è determinante della indebita erogazione e non può dunque costituire ragione di addebito della stessa”.
In conclusione, la regola generale in tema di indebito assistenziale è l’irripetibilità, che può essere superata solo nel caso in cui il beneficiario abbia agito con dolo e comunque non abbia provveduto a comunicare i propri dati reddituali ad una qualsiasi pubblica amministrazione. La “verifica della situazione reddituale” di cui all’art. 13 c. 2 l. 412/1991 non si riferisce, quindi, soltanto ai mero controllo quantitativo-numerico dei dati forniti annualmente dal soggetto beneficiario, bensì richiede da parte dell’INPS una condotta attiva di verifica dei dati in possesso anche di diverse pubbliche amministrazioni, in quanto conoscibili.
Sono tuttavia da segnalare alcune pronunce, con le quali la Suprema Corte ha ritenuto che in materia di omessa comunicazione, sia da escludere radicalmente l’affidamento del soggetto beneficiario.
La Corte ha infatti statuito che “in tema di indebito assistenziale, la violazione, ad opera del titolare della prestazione, dell’obbligo di comunicazione all’INPS della situazione reddituale rilevante ai fini del diritto alla percezione della predetta prestazione, esclude la sussistenza di un affidamento idoneo a giustificare l’irripetibilità dell’indebito” (Cass. Sez. Lav. Ordinanza 16 aprile 2019, n. 106429).
Si sottolinea che questo orientamento si riferisce ad ipotesi in cui il soggetto beneficiario non abbia effettuato alcun tipo di comunicazione, a nessuna pubblica amministrazione, rendendo l’INPS nella impossibilità di conoscere la situazione reddituale.
Pertanto, da una lettura organica degli orientamenti analizzati, assume ancora più importanza il requisito della “conoscibilità” dei redditi del soggetto beneficiario: la comunicazione delle variazioni reddituali ad una qualsivoglia amministrazione, purché venga effettuata, sembrerebbe sufficiente ad escludere in radice la ripetibilità.

Conclusioni

In conclusione, nel caso di azione volta al recupero delle somme indebitamente erogate o di difesa nell’accertamento nel merito della spettanza di una prestazione assistenziale revocata – si intende, al di fuori del limite temporale sancito dal citato art. 13 – al fine di ripetere le somme l’ente erogatore deve dedurre e provare la malafede del beneficiario.
Il secondo requisito è che i dati reddituali del percipiente non siano stati in alcun modo conoscibili da parte dell’INPS: la comunicazione a qualsiasi amministrazione farebbe comunque venir meno la possibilità di ripetizione.
Si conferma pertanto l’eccentricità dell’indebito assistenziale rispetto alla disciplina civilistica sancita dall’art. 2033 c.c., che esclude la ripetibilità nelle ipotesi di non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta e di una situazione idonea a generare affidamento.