La responsabilità da reato delle persone giuridiche D. LGS. 231/2001

Con l’introduzione della responsabilità da reato degli enti per mezzo del D. Lgs. n. 231 del 2001, viene superata la tradizionale concezione secondo cui solo la persona fisica può commettere dei reati, concezione tipica dell’Europa continentale assunta nel brocardo societas delinquere non potest.

Reati persone giuridiche

È stato così introdotto uno specifico ed innovativo sistema punitivo per gli enti collettivi, dotato di apposite regole quanto alla struttura dell’illecito, all’apparato sanzionatorio, alla responsabilità patrimoniale, alle vicende modificative dell’ente, al procedimento di cognizione e a quello di esecuzione, il tutto finalizzato ad integrare un efficace strumento per fronteggiare la c.d. criminalità d’impresa.

Indice

1. Natura giuridica
2. I soggetti
3. I criteri di attribuzione della responsabilità
4. Le sanzioni

1. Natura giuridica

L’introduzione della responsabilità da reato degli enti ha posto il problema della sua natura giuridica. Nonostante la legge faccia espressamente riferimento ad una “responsabilità amministrativa”, gran parte della dottrina ritiene che la sua natura sia sostanzialmente penale.
A sostengo della natura penale, può dirsi che: (1) il presupposto applicativo della responsabilità dell’ente è la commissione di un reato, (2) all’ente sono applicabili le garanzie proprie del diritto penale, tra le quali il principio di legalità e di irretroattività della legge sfavorevole (art. 2), nonché il principio di retroattività della lex mitior (art. 3); (3) trattasi di un modello di responsabilità per fatto proprio e colpevole, (4) competente a conoscere dell’illecito dell’ente è il giudice penale.
Le argomentazioni non sono sufficienti. I principi di legalità ed irretroattività della norma sfavorevole sono principi che regolano anche gli illeciti amministrativi commessi da persone fisiche (art. 1 L. 689/81); anche nel caso di illeciti amministrativi si richiede una responsabilità colpevole (artt. 2 e 3 L. 689/81); il giudice penale è competente a conoscere del reato e dell’illecito amministrativo della persona fisica, se tra i due illeciti vi è connessione obiettiva.
La principale critica alla natura penale della responsabilità dell’ente si fonda però sull’art. 6, il quale prevede che nel caso di reato commesso da soggetti in posizione apicale “l’ente non risponde se prova” di aver adottato efficaci modelli di organizzazione, disponendo dunque un onere della prova a carico dell’ente stesso, in contrasto con la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 c. 2 Cost.: se la responsabilità dell’ente avesse natura penale, la disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto il rischio della mancata prova ricadrebbe sull’ente e non sulla pubblica accusa.
L’orientamento oggi maggioritario in giurisprudenza riconduce la responsabilità dell’ente entro un tertium genus: una responsabilità amministrativa regolata da principi propri del diritto penale, nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia.

2. I soggetti

Ai sensi dell’art. 1, il D. Lgs. n. 231 del 2001 si applica “agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”; con espressa esclusione dello “Stato, enti pubblici territoriali, altri enti pubblici non economici nonché enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”.

3. I criteri di attribuzione della responsabilità

L’illecito dell’ente si configura come una fattispecie complessa, la cui esistenza richiede l’accertamento dei seguenti presupposti.
Commissione da parte di una persona fisica di un reato, consumato o tentato, il cui titolo sia espressamente e tassativamente previsto dalla legge come idoneo a fondare la responsabilità dell’ente (artt. 25 ss., il c.d. reato presupposto). Con la precisazione che non è necessaria l’esatta individuazione della persona fisica, essendo la responsabilità dell’ente autonoma rispetto a quella della persona fisica (art. 8).
Tra la persona fisica autrice del reato e l’ente deve sussistere un rapporto qualificato, che può consistere tanto (1) in una posizione apicale del soggetto nell’ente (art. 5 lett. a)), quanto (2) in un rapporto di sottoposizione del soggetto alla persona in posizione apicale (art. 5 lett. b)).
Il reato deve essere stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Il rapporto di immedesimazione organica tra agente ed ente non sussiste se l’autore del reato ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Essendo una responsabilità per fatto proprio, è necessario che possa esprimersi un rimprovero di colpevolezza dell’ente: trattasi della c.d. colpa in organizzazione, basata sull’assenza di un assetto organizzativo in concreto capace, secondo un giudizio ex ante, di prevenire il reato.

4. Le sanzioni

Le sanzioni comminate a carico dell’ente, disciplinate dall’art. 9, sono:

  • sanzione pecuniaria (art. 10): viene applicata sempre ed è commisurata seconda il sistema delle c.d. quote, il cui numero viene determinato dal giudice, in base alla gravità del fatto, al grado di responsabilità dell’ente e all’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto (art. 12); 
  • sanzioni interdittive (temporanee o definitive, art. 9 c. 2), nello specifico: interdizione dall’esercizio dell’attività; sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi. Le sanzioni interdittive potranno essere comminate qualora (1) l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato sia stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato sia stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative, oppure (2) in caso di reiterazione degli illeciti. Ai sensi dell’art. 17 non si applicano le sanzioni interdittive all’ente (ma solo le sanzioni pecuniarie) laddove prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (1) l’ente abbia risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso; (2) l’ente abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; (3) l’ente abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca;
  • la confisca (art. 19: confisca obbligatoria del prezzo o del profitto del reato (comma 1) e confisca per equivalente (comma 2) al valore del prezzo o al profitto del reato, nel caso di impossibilità di provvedere alla confisca ex comma 1;
  • la pubblicazione della sentenza disposta discrezionalmente dal giudice quando nei confronti dell’ente viene applicata una sanzione interdittiva (art. 16).
reati persone giuridiche

È stato così introdotto uno specifico ed innovativo sistema punitivo per gli enti collettivi, dotato di apposite regole quanto alla struttura dell’illecito, all’apparato sanzionatorio, alla responsabilità patrimoniale, alle vicende modificative dell’ente, al procedimento di cognizione e a quello di esecuzione, il tutto finalizzato ad integrare un efficace strumento per fronteggiare la c.d. criminalità d’impresa.

Indice

1. Natura giuridica
2. I soggetti
3. I criteri di attribuzione della responsabilità
4. Le sanzioni

1. Natura giuridica

L’introduzione della responsabilità da reato degli enti ha posto il problema della sua natura giuridica. Nonostante la legge faccia espressamente riferimento ad una “responsabilità amministrativa”, gran parte della dottrina ritiene che la sua natura sia sostanzialmente penale.
A sostengo della natura penale, può dirsi che: (1) il presupposto applicativo della responsabilità dell’ente è la commissione di un reato, (2) all’ente sono applicabili le garanzie proprie del diritto penale, tra le quali il principio di legalità e di irretroattività della legge sfavorevole (art. 2), nonché il principio di retroattività della lex mitior (art. 3); (3) trattasi di un modello di responsabilità per fatto proprio e colpevole, (4) competente a conoscere dell’illecito dell’ente è il giudice penale.
Le argomentazioni non sono sufficienti. I principi di legalità ed irretroattività della norma sfavorevole sono principi che regolano anche gli illeciti amministrativi commessi da persone fisiche (art. 1 L. 689/81); anche nel caso di illeciti amministrativi si richiede una responsabilità colpevole (artt. 2 e 3 L. 689/81); il giudice penale è competente a conoscere del reato e dell’illecito amministrativo della persona fisica, se tra i due illeciti vi è connessione obiettiva.
La principale critica alla natura penale della responsabilità dell’ente si fonda però sull’art. 6, il quale prevede che nel caso di reato commesso da soggetti in posizione apicale “l’ente non risponde se prova” di aver adottato efficaci modelli di organizzazione, disponendo dunque un onere della prova a carico dell’ente stesso, in contrasto con la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 c. 2 Cost.: se la responsabilità dell’ente avesse natura penale, la disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto il rischio della mancata prova ricadrebbe sull’ente e non sulla pubblica accusa.
L’orientamento oggi maggioritario in giurisprudenza riconduce la responsabilità dell’ente entro un tertium genus: una responsabilità amministrativa regolata da principi propri del diritto penale, nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia.

2. I soggetti

Ai sensi dell’art. 1, il D. Lgs. n. 231 del 2001 si applica “agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”; con espressa esclusione dello “Stato, enti pubblici territoriali, altri enti pubblici non economici nonché enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”.

3. I criteri di attribuzione della responsabilità

L’illecito dell’ente si configura come una fattispecie complessa, la cui esistenza richiede l’accertamento dei seguenti presupposti.
Commissione da parte di una persona fisica di un reato, consumato o tentato, il cui titolo sia espressamente e tassativamente previsto dalla legge come idoneo a fondare la responsabilità dell’ente (artt. 25 ss., il c.d. reato presupposto). Con la precisazione che non è necessaria l’esatta individuazione della persona fisica, essendo la responsabilità dell’ente autonoma rispetto a quella della persona fisica (art. 8).
Tra la persona fisica autrice del reato e l’ente deve sussistere un rapporto qualificato, che può consistere tanto (1) in una posizione apicale del soggetto nell’ente (art. 5 lett. a)), quanto (2) in un rapporto di sottoposizione del soggetto alla persona in posizione apicale (art. 5 lett. b)).
Il reato deve essere stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Il rapporto di immedesimazione organica tra agente ed ente non sussiste se l’autore del reato ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Essendo una responsabilità per fatto proprio, è necessario che possa esprimersi un rimprovero di colpevolezza dell’ente: trattasi della c.d. colpa in organizzazione, basata sull’assenza di un assetto organizzativo in concreto capace, secondo un giudizio ex ante, di prevenire il reato.

4. Le sanzioni

Le sanzioni comminate a carico dell’ente, disciplinate dall’art. 9, sono:

  • sanzione pecuniaria (art. 10): viene applicata sempre ed è commisurata seconda il sistema delle c.d. quote, il cui numero viene determinato dal giudice, in base alla gravità del fatto, al grado di responsabilità dell’ente e all’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto (art. 12); 
  • sanzioni interdittive (temporanee o definitive, art. 9 c. 2), nello specifico: interdizione dall’esercizio dell’attività; sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi. Le sanzioni interdittive potranno essere comminate qualora (1) l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato sia stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato sia stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative, oppure (2) in caso di reiterazione degli illeciti. Ai sensi dell’art. 17 non si applicano le sanzioni interdittive all’ente (ma solo le sanzioni pecuniarie) laddove prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (1) l’ente abbia risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso; (2) l’ente abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; (3) l’ente abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca;
  • la confisca (art. 19: confisca obbligatoria del prezzo o del profitto del reato (comma 1) e confisca per equivalente (comma 2) al valore del prezzo o al profitto del reato, nel caso di impossibilità di provvedere alla confisca ex comma 1;
  • la pubblicazione della sentenza disposta discrezionalmente dal giudice quando nei confronti dell’ente viene applicata una sanzione interdittiva (art. 16).