Indice
1. Introduzione e premessa
2. Le modifiche al codice penale
3. Le critiche alla nuova norma
4. Conclusioni
1. Introduzione e premessa
Il quattro novembre del 2020 la Camera dei Deputati ha approvato a scrutinio segreto la cosiddetta Legge Zan, ovvero la legge finalizzata a contrastare le violenze e le discriminazioni di genere.
Si tratta di una norma importantissima che permette di colmare un vuoto giuridico che era stato creato con la c.d. Legge Mancino del 1993.
Quest’ultimo atto legislativo aveva introdotto nel nostro ordinamento gli articoli 604 bis e 604 ter del codice penale volti a punire la propaganda, l’istigazione a delinquere e gli atti di violenza compiuti per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
Tuttavia, apparve fin da subito evidente come la predetta Legge, a fronte della sua grande carica innovativa, avesse determinato anche l’insorgere di un importante vulnus normativo.
Difatti, essendo l’Italia uno stato di diritto, dobbiamo considerare tutto ciò non espressamente vietato, come consentito. Pertanto, fino ad oggi, ogni forma di propaganda ed istigazione all’odio omofobico o trasnsfobico, doveva essere considerata come lecita, o quantomeno non punibile con norme penali specifiche.
L’Unione Europea ha più volte sollecitato i Paesi membri a prevedere nei loro ordinamenti norme stringenti finalizzate ad evitare ogni forma di discriminazione nei confronti delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ (su tutte si veda la risoluzione del Parlamento europeo del 26 aprile 2007). Tale indicazione non è stata immediatamente recepita nella nostra nazione; nonostante i numerosi tentativi, infatti, non si è mai giunti ad una risoluzione in materia di discriminazione di genere.
2. Le modifiche al codice penale
Questo fino ad oggi; la Legge Zan, infatti, è ormai in dirittura d’arrivo e dopo l’approvazione alla Camera non resta che l’ultimo passaggio al Senato della Repubblica per ottenere l’approvazione definitiva, che appare scontata.
Entrando nel dettaglio della Legge in argomento, le modifiche che vengono introdotte al codice penale sono minimali a livello contenutistico, ma di grande impatto e valenza sociale.
Sostanzialmente, all’articolo 604 bis viene stabilita la pena della reclusione fino a sei mesi a chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi “oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”; tale ultimo inciso viene aggiunto anche alla lettera b) del primo comma e alla fine del primo periodo del secondo comma dell’art. 604 bis c.p.
Medesima aggiunta viene effettuata anche all’articolo 604 ter c.p. il quale costituisce la circostanza aggravante generica, prevedendo che le pene previste dall’art. 604 bis sono aumentate fino alla metà per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale, religioso “oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità.
La due norme, così strutturate, permettono di tutelare completamente ogni categoria a maggior rischio di subire violenze o minacce a causa del proprio essere, costituendo un baluardo della dignità umana e del principio di uguaglianza etnica, nazionale, razziale, religiosa e di genere, così come stabilito dalla nostra Costituzione.
La previsione di una disciplina a tutela delle discriminazioni di genere non può considerarsi di secondaria importanza; basti pensare che nel 2017, secondo l’OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), vi sono state 63 denunce dovute a violenze o minacce di natura omotransfobica. Il numero, tuttavia, è solo parziale; nel nostro Paese, difatti, molte persone nascondono, per timore di essere stigmatizzate, la propria tendenza sessuale, evitando di avanzare querele e/o esposti; si deve ritenere, quindi, che il numero di persone vittime, a vario titolo, di violenze di genere sia molto più alto e che vi sia una rilevante “cifra oscura” intorno al numero di crimini compiuti in questo ambito.
3. Le critiche alla nuova norma
Se da un lato, dunque, tale nuova normativa appare giusta e necessaria per un paese civile che ambisce a tutelare ogni forma di minoranza, d’altro lato non sono state poche le critiche mosse a tale Legge.
In particolare, secondo i detrattori del Ddl Zan, tra cui la Conferenza Episcopale Italiana (CEI), la modifica agli artt. 604 bis e 604 ter c.p. introdurrebbe un reato di opinione con il rischio di giungere ad una deriva liberticida che minerebbe il libero pensiero di ciascun cittadino.
Tuttavia, come appare evidente dalla lettura del testo della Legge di nuova introduzione, non viene esteso all’orientamento sessuale e all’identità di genere il reato di “propaganda di idee” come oggi previsto dall’art. 604 bis del codice penale per l’odio etnico e razziale.
La Legge, infatti, mira semplicemente a tutelare la dignità delle persone di diversi orientamenti sessuali.
Ulteriore critica sarebbe quella per cui una legge di questo tipo andrebbe a creare profonde differenze tra omosessuali ed eterosessuali, e che, dunque, per giungere all’uguaglianza bisognerebbe introdurre anche una norma a tutela delle persone di sesso diverso; il rischio, secondo tale frangia di oppositori, sarebbe quella di svalutare e non tutelare le persone eterosessuali.
Tale critica, tuttavia, oltre ad apparire labile e minoritaria, non considera un particolare di fondo, ovvero il fatto che, salvo casi davvero rari e di cui lo scrivente non è a conoscenza, nessuna persona eterosessuale è mai stata insultata, picchiata o minacciata per il suo orientamento sessuale; nessuna persona eterosessuale è stata mai vittima di bullismo tra le mura scolastiche o stigmatizzata per il suo orientamento. Tale basilare concetto deve essere il punto di partenza, che vale anche per tutte le altre minoranze che permette di capire quella che è la ratio di base dell’art. 602 bis c.p.
4. Conclusioni
Nonostante le sparute critiche mossa alla cosiddetta Legge Zan, risulta complicato non ritenerla una norma di civiltà e di importante rilevanza sociale.
Il vuoto normativo che si era creato nel paese e le continue violenze dettate da motivi di genere richiedevano un immediato e celere riscontro normativo.
Per far meglio capire quello che era il vulnus presente nella nostra nazione, basti pensare che all’interno di uno stadio, l’apposizione di striscioni dal contenuto profondamente razzista costituisce comportamento antigiuridico sanzionato ai sensi dell’art. 602 bis, l’apposizione dello stesso striscione ma con contenuti omotransfobici non costituisce, invece, illecito sanzionabile penalmente.
Tale assurda ed inconcepibile differenza è stata colmata grazie al Ddl Zan che in tempi brevi diventerà Legge dello Stato, rendendo l’Italia un paese in prima linea nella lotta alle discriminazioni di genere e alla tutela delle minoranze.
La libertà di esprimere proprie opinioni o pensieri deve necessariamente trovare una barriera laddove tale libertà costituisce una violazione dei diritti e delle libertà altrui. La possibilità di dire tutto quello che si vuole e si pensa non costituisce fondamento della nostra democrazia essendo, bensì, tipico dei sistemi anarchici e senza regole. Non possono, dunque, trovare alcun fondamento le critiche mosse a questa Legge in merito ad una potenziale deriva liberticida, non venendo in alcun modo minata la libertà di pensiero altrui, ma venendo semplicemente attribuita dignità ad una categoria sociale fino ad oggi non tutelata.