Il giusto processo, il modello “contradictoire” ed il teste: Costituzione e normative internazionali a confronto

Processo

1. Introduzione
1.1. Il recepimento della normativa internazionale
1.2. Il tramonto del modello inquisitorio: il modello “contradictoire”
2. L’art.6 comma 3 lett. d) CEDU e l’art. 14 lett. e) Patto internazionale sui diritti civili e politici
3. Costituzione e normative internazionali a confronto
3.1. Dichiaranti a carico: persone o testimoni?
3.2. La teoria della “nozione autonoma” della Corte di Strasburgo
3.3. Il contraddittorio differito
3.4. Accorgimenti lessicali
3.5. Un vulnus
3.6. Il principio di uguaglianza tra accusa e difesa
4. Conclusioni

1. Introduzione

1.1. Il recepimento della normativa internazionale

La disciplina costituzionale della prova testimoniale risiede nell’art. 111 Cost.1, modificato con la legge costituzionale del 23 novembre 1999 n.2, al fine di introdurre direttamente nella Carta Fondamentale le garanzie processuali già contenute nell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.2
L’inserzione dei primi nuovi cinque commi -c.d. “costituzionalizzazione dei principi del giusto processo”- si configura come una conseguenza necessaria ed inevitabile delle vicende che hanno caratterizzato l’evoluzione del processo penale italiano.

1.2. Il tramonto del modello inquisitorio: il modello “contradictoire”

Se il vigente codice di procedura penale, ispirandosi al modello accusatorio, sposava già prima della revisione costituzionale dell’art. 111 Cost. i principi del giusto processo, quello precedente si presentava come sostanzialmente inquisitorio.
Non è un caso che il divenire del sistema processuale di uno Stato rispecchi il divenire del suo regime politico.
Per un regime totalitario la difesa della società rappresenta un interesse preminente rispetto a quello dell’imputato (inquisitorio), al contrario, un regime garantista si preoccupa in primis di difendere l’accusato dal pericolo di una condanna ingiusta (accusatorio).
Nel nostro ordinamento giuridico, il riferimento al “giusto processo” nell’art. 111 Cost. riflette un’esigenza oggettiva di attuazione della Costituzione” 3 latu sensu.
Apertis verbis, alla nozione di equo processo ex art. 6 CEDU, può e deve riconoscersi lo slancio propulsivo atto a superare la storica e risalente dicotomia: modello accusatorio/modello inquisitorio, in favore di uno nuovo denominato “contradictoire”. Con tale termine non si tenta di trovare un compromesso fra i due sistemi della tradizione, ma di manifestare un’esigenza ulteriore, un progresso in riferimento ad entrambe.
Se pur, ab absurdo, non si voglia constatare quanto l’art. 111 Cost. si conformi all’art. 6 CEDU, non si può negare che l’ordinamento interno sia tenuto ad adattarsi, nella materia processual-penalistica di interesse, ai Trattati Internazionali.
Solo in via esemplificativa, la legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81 prevede all’art. 2 che il nuovo codice di procedura penale si adegui “alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale”.
Come pure l’art. 117 Cost. prescrive che “la potestà legislativa sia esercitata… nel rispetto… dei vincoli derivanti… dagli obblighi internazionali”; l’art. 11 Cost. che “consente… limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia… e favorisce le organizzazioni internazionali” impone il rispetto del diritto dell’Unione Europea. A seguito della ratifica del Trattato di Lisbona 4, “I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali…fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

2. L’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU e l’art. 14 lett. e) Patto internazionale sui diritti civili e politici

In ambito internazionale, sono dedicati alla trattazione della testimonianza: l’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU e l’art. 14 lett. e) Patto internazionale sui diritti civili e politici 5 (vanta un contenuto analogo a quello dell’art. 6 CEDU).
Nell’art. 6 CEDU si ravvede “un quadro sommario ma abbastanza completo dei caratteri ai quali deve ispirarsi un processo penale moderno”. 6
Il richiamo ai principi del giusto processo ha acquisito una natura costante quando si tratti di garanzie rivolte a chi sia coinvolto in un procedimento penale. 7
Stando all’autorevole Corte europea dei diritti dell’uomo 8, il concetto di procès équitable non concerne esclusivamente gli interessi della difesa ma vede la sua piena realizzazione nell’equilibrato bilanciamento tra interessi contrastanti. Pertanto “postula una ottimale ed equilibrata sintesi di valori che può essere espressa attraverso il richiamo alla ‘ragionevolezza’ delle soluzioni processuali”. E “non potrà mai dar fondamento a sviluppi normativi od ermeneutici unilaterali di tutela dell’accusato, così da provocare eccessive compressioni degli altri interessi apprezzabili”.9

3. Costituzione e normative internazionali a confronto

3.1. Dichiaranti a carico: persone o testimoni?

Nel confrontare il testo normativo dell’art. 111 comma 3 Cost. con quello di riferimento della CEDU e del Patto, non si può non notare la discrepanza lessicale che li separa. A ben guardare, l’impiego di termini disuguali, non si risolve in una mera ed insignificante scelta stilistica, bensì, sottende una diversità concettuale.
La Costituzione, per riferirsi ai dichiaranti a carico, usa il termine “persone” discostandosi da quello scelto dai testi internazionali, ovvero, “testimoni”.
Secondo l’autorevole interpretazione della Corte di Cassazione, la parola “testimoni” nell’ordinamento italiano assume un connotato squisitamente tecnico, tale da non poter comprendere, ad esempio, quel dichiarante anch’egli imputato. 10
Viceversa, ad avviso della Corte EDU, il termine “testimone” (ex. art. 6 CEDU) possiede un significato autonomo ed indipendente, che prescinde dagli usi linguistici dei diversi Stati membri.

3.2. La teoria della “nozione autonoma” della Corte di Strasburgo

La Corte di Strasburgo chiama teoria della “nozione autonoma” l’attività mediante la quale, “effettua, qualora se ne presenti la necessità, ciò che in campo semantico sarebbe propriamente riconducibile al concetto di ridefinizione linguistica”. 11 Questa si realizza “quando, rimanendo nell’ambito degli usi preesistenti, si determina in modo univoco e preciso il significato di una espressione, che in modo univoco e preciso non era usata [nel nostro caso, soprattutto perché adoperata in sistemi giuridici diversificati]”. 12
È ricompreso, nell’ampia nozione di testimone, “oltre al testimone in senso stretto, chiunque offra un proprio contributo dichiarativo nella ricostruzione processuale del fatto, indipendentemente dallo ‘status’ processuale assegnato dalla legge nazionale”. 13
Se la disciplina internazionale prevedesse una definizione restrittiva di testimone, comporterebbe una restrizione ingiustificata, arbitraria ed iniqua del diritto al confronto. Ecco che, il fine dell’impiego di una nozione autonoma, è impedire agli Stati membri di adottare la propria qualificazione come mezzo per sottrarsi al rispetto delle garanzie convenzionali, confluendo in esisti totalmente incompatibili con la ratio della CEDU.

3.3. Il contraddittorio differito

I giudici europei esaminano la conformità a tale norma dell’ordinamento interno, non per giudicare se le dichiarazioni dei testimoni siano state legittimamente ammesse come prova, ma per verificare se il procedimento abbia in toto un carattere equo. Infatti, l’obiettivo della norma è espungere materiale probatorio formatosi unilateralmente e dunque “non passato al setaccio del contraddittorio”. 14
Tuttavia, la Corte EDU ammette che anche dichiarazioni rese in una fase precedente possono essere impiegate per la decisione finale, purché l’imputato abbia avuto l’opportunità di contestarle e di interrogarne l’autore, al momento della deposizione o più tardi. Ai fini dell’“equità complessiva del procedimento”, non rileva che l’imputato se ne sia concretamente avvalso, bensì è sufficiente che “sia stato messo in condizione di esercitare il proprio diritto al controesame”. 15
Secondo la giurisprudenza europea deve esserci un “contraddittorio almeno differito sulla fonte di prova”, ergo “può mancare la contestualità tra dichiarazione e diritto a confrontarsi con l’accusatore”. 16
Non è essenziale l’instaurazione di un contraddittorio per l’introduzione nel processo dell’elemento probatorio; benché la sentenza di condanna non si possa e non si debba basare solamente sulle dichiarazioni testimoniali mai vagliate in contraddittorio. Se così fosse, le garanzie della difesa sarebbero ridotte e incompatibili con quelle previste dall’art. 6 CEDU e dall’art. 14 del Patto.
Ad avvalorare quanto appena riportato vi è la sentenza della Corte EDU, Grande Camera, del 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania. L’organo giurisdizionale, riconoscendo che la testimonianza diretta sia la “prova regina” nel processo penale, ha dichiarato iniquo (per violazione dell’art. 6 CEDU) un procedimento in Germania in cui l’imputato era stato condannato sulla base delle dichiarazioni rilasciate durante le indagini dalle due persone offese. L’esame delle quali non era stato possibile in dibattimento.
La Corte di Strasburgo si è dimostrata attenta alla “decisività”, ai fini della condanna, delle dichiarazioni testimoniali non sottoposte a contraddittorio.

3.4. Accorgimenti lessicali

L’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU e l’art 14 lett. e) del Patto riconoscono all’imputato (salvo libertà di rinunciarvi, se non contrastante con nessun interesse pubblico fondamentale) il diritto d’interrogare o di far interrogare i testimoni a carico (confluito nell’art. 111 Cost.).
Tra il testo francese “Droit à interroger ou faire interroger” e quello inglese “right to examine or have examined” si scorge una discrepanza lessicale, nella formulazione normativa, riconducibile alla differenza tra “deposizione” ed “esame a domande e risposte”.
Ponendo nuovamente l’attenzione sugli accorgimenti lessicali: l’espressione verbale “interrogare” si riferisce ad una partecipazione attiva della difesa all’escussione del teste, al contrario la locuzione “far interrogare” allude alla possibilità che sia il giudice a procedere all’interrogatorio (riscontrato in molteplici sistemi dei Paesi europei). Quest’ultima tecnica d’esame del testimone era prevista nel nostro ordinamento dal Codice Rocco, ma oggi è riservata esclusivamente a particolari ed esigue tipologie di testi.
Ne consegue che: non è necessaria l’escussione del teste direttamente condotta dalla difesa.

3.5. Un vulnus

Se il testo convenzionale assicura il principio del contraddittorio (anche differito) per l’acquisizione della prova dichiarativa, non può dirsi lo stesso in merito ai principi di oralità, concentrazione e immediatezza.
Emerge, dunque, che sia sufficiente un confronto accusato-accusatore innanzi a un giudice in qualunque fase del procedimento (purché imparziale). 17
La corte di Strasburgo, nonostante descriva il metodo dialettico non tantum garanzia per la difesa, sed etiam funzionale all’esercizio della giurisdizione stessa incrina la sua ratio e quella dell’equo processo, predisponendo delle deroghe al principio di immutabilità del giudice dibattimentale. Non si può tralasciare un requisito essenziale (di un processo penale che pretenda di definirsi equo) rappresentato dal diritto dell’accusato di esaminare i testi avanti al giudice che emetterà la sentenza. 18
Il principio di immediatezza costituisce un’ineludibile garanzia, dal momento che, le osservazioni circa il contegno e la credibilità del testimone, possono avere delle apprezzabili conseguenze sia per l’accusato sia per la decisione del caso.
Per il giudice europeo, il mutamento della composizione della corte giudicante, che sia susseguente all’escussione di un testimone, dovrebbe condurre, sempre, al riesame dello stesso. Nondimeno, la ripetizione dell’audizione è limitata alle ipotesi di “an important witness” o “un temoin decisif” e può venir meno in presenza di circostanze particolari che giustifichino un’eccezione ai principi dell’oralità del dibattimento e della conoscenza diretta da parte del giudice immutabile.

3.6. Il principio di uguaglianza tra accusa e difesa

La seconda proposizione dell’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU e dell’art. 14 lett. e) del Patto sancisce che il diritto alla prova è riservato “in condizioni di parità con la difesa, anche a chi eserciti l’azione nel processo”. 19
Dal tenore letterale delle norme, si evince che, il diritto di interrogare o far interrogare, non è una prerogativa circoscritta e limitata ai testimoni dell’accusa, piuttosto deve trovare piena attuazione anche in sede d’esame dei testi a discarico.
La “conditio sine qua non” siano rispettati il principio di parità delle parti e il principio di uguaglianza tra accusa e difesa (già inclusi genericamente nella nozione di equo processo) in ordine alla citazione dei testimoni è che all’imputato sia attribuito un diritto di ammissione di ampiezza analoga a quello dell’accusa.
La locuzione verbale “nelle stesse condizioni” (ex. art. 6 comma 3 lett. d) ed ex. art. 14 lett. e)) esige il conseguimento della parità di condizioni non solo “formali fra accusa e difesa in subiecta materia, ma altresì l’effettiva attuazione di una parità sostanziale sul piano del processo20.
Il giudice si assume il dovere di non compiere disuguaglianze tra le parti, in particolare, per quanto concerne la prova testimoniale, non può rifiutarsi di esaminare i testi a discarico sugli stessi argomenti per i quali vengano ascoltati i testi a carico.

4. Conclusioni

In definitiva nella materia de qua, il legislatore limita il potere discrezionale del giudice e lo induce a conformarsi alle convenzioni internazionali (concernenti i diritti della persona e il processo penale) per ricavarne i criteri utili alla risoluzione di “casi esegeticamente incerti21.
Pertanto, è prezioso il confronto fra le fonti normative, non solo per l’individuazione di punti affini e divergenze, ma anche e soprattutto per comprendere l’iter logico ed evolutivo che si deve riconoscere alle garanzie processuali, ciò al fine di una loro sempre corretta applicazione.


1 “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.”
2 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (nome completo – o “Convention européenne des droits de l’Homme“-) è una Convenzione internazionale, redatta in lingua francese ed inglese, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa il 4 novembre 1950 a Roma. È entrata in vigore a livello internazionale nel 1953, mentre in Italia la ratifica è intervenuta nel 1955 con la legge n.848. La CEDU è stata successivamente integrata e modificata da 14 Protocolli aggiuntivi.
3 M. Chiavario, “Diritto processuale penale. Profilo istituzionale”, Torino 2005, p.11.
4 Trattato dell’Unione Europea, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009, è composto dal Trattato sull’Unione europea (TUE) e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) esso abolisce i cosiddetti “tre pilastri”, provvede al riparto di competenze tra Unione e Stati membri, rafforza il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, anche attraverso l’attribuzione alla Carta di Nizza del medesimo valore giuridico dei trattati.
5 La Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (meglio noto come Patto internazionale sui diritti civili e politici), è un trattato delle Nazioni Unite, adottato nel 1966, entrato in vigore il 23 marzo del 1976 e ratificato in Italia con legge n. 881 del 1977.
6 G.D. Pisapia, “Appunti di procedura penale”, I, Cisalpino-Goliardica, Milano, 1973, cit., p. 6.
7 A. Sacucci, “L’incidenza della Convenzione europea dei diritti umani sulle regole in materia di formazione e valutazione della prova, in Giusto processo e prove penali. Legge 1° marzo 2001, n. 63”, Milano, 2001, p. 292.
8 A tal riguardo, Divisione della Ricerca della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Guida all’art. 6, Diritto ad un equo processo (ambito penale) p.4: “[…] le sentenze della Corte sono funzionali non soltanto alla decisione del caso concreto al vaglio della Corte stessa, ma anche in via generale per chiarire, salvaguardare e sviluppare le norme sancite dalla Convenzione, così contribuendo all’osservanza da parte degli Stati degli impegni assunti.”
Corte europea dei diritti dell’uomo, sent. 3 novembre 2011, X e Y c. Croazia 5193/09.
(Pubblicata, per la prima volta, nel 2014, nelle due lingue ufficiali della Corte, inglese e francese. La traduzione è pubblicata previo accordo con il Consiglio d’Europa e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo).
9 E. Marzaduri, Associazione tra gli studiosi del processo penale, “Verso uno statuto del testimone nel processo penale: atti del Convegno Pisa-Lucca 28-30 Novembre 2003”, Milano, Giuffrè, 2005, cit. p.31.
10 L. Fadalti, “La testimonianza nel giudizio penale”, (Teoria e pratica del diritto. Sez. III, Diritto e procedura penale, 165) Milano, Giuffrè, 2008, p.4.
11 G. Ubertis, “L’autonomia linguistica della Corte di Strasburgo”, in Archivio penale, 2012, n. 1.
12 U. Scarpelli, “Contributo alla semantica del linguaggio normativo” (1959), Milano, 1985, p. 65-66.
13 R. Casiraghi, “La prova dichiarativa: testimonianza ed esame delle parti eventuali”, in Trattato di procedura penale, diretto da Giulio Ubertis e Giovanni Paolo Voena, Giuffrè, 2011, cit. p. 49.
14 S. Buzzelli, “Giusto processo”, in Digesto discipline penalistiche, II agg., UTET, 2004, cit., p.354.
15 C. Cesari, “Prova irripetibile e contradditorio nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, in riv.it.dir.proc.pen., 2003, p.1449.
16 P. Tonini, “Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua a Strasburgo ed estende l’ammissibilità dell’incidente probatorio, in Dir. pen. proc., 2008, p.885.
17 Corte EDU, sez. V, sent. 24 aprile 2008, Zhoglo c. Ucraina, § 39.
18 P. Renon, Mutamento del giudice penale e rinnovazione del dibattimento, 2008, p. 79, 84, 85.
19 G. Ubertis, “Principi di procedura penale europea. Le regole del giusto processo”, Raffaello Cortina Editore, 2009 cit., p. 71.
20 V. Grevi, “Spunti sull’art.6 § 3 lett. d) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in tema di citazione dei testimoni a discarico nella fase del giudizio)” in Indice pen.,1968, cit. p. 408.
21 M. Chiavario, “La riforma del processo penale, seconda edizione”, UTET, 1990, cit., p. 25.

processo

1. Introduzione
1.1. Il recepimento della normativa internazionale
1.2. Il tramonto del modello inquisitorio: il modello “contradictoire”
2. L’art.6 comma 3 lett. d) CEDU e l’art. 14 lett. e) Patto internazionale sui diritti civili e politici
3. Costituzione e normative internazionali a confronto
3.1. Dichiaranti a carico: persone o testimoni?
3.2. La teoria della “nozione autonoma” della Corte di Strasburgo
3.3. Il contraddittorio differito
3.4. Accorgimenti lessicali
3.5. Un vulnus
3.6. Il principio di uguaglianza tra accusa e difesa
4. Conclusioni

1. Introduzione

1.1. Il recepimento della normativa internazionale

La disciplina costituzionale della prova testimoniale risiede nell’art. 111 Cost.1, modificato con la legge costituzionale del 23 novembre 1999 n.2, al fine di introdurre direttamente nella Carta Fondamentale le garanzie processuali già contenute nell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.2
L’inserzione dei primi nuovi cinque commi -c.d. “costituzionalizzazione dei principi del giusto processo”- si configura come una conseguenza necessaria ed inevitabile delle vicende che hanno caratterizzato l’evoluzione del processo penale italiano.

1.2. Il tramonto del modello inquisitorio: il modello “contradictoire”

Se il vigente codice di procedura penale, ispirandosi al modello accusatorio, sposava già prima della revisione costituzionale dell’art. 111 Cost. i principi del giusto processo, quello precedente si presentava come sostanzialmente inquisitorio.
Non è un caso che il divenire del sistema processuale di uno Stato rispecchi il divenire del suo regime politico.
Per un regime totalitario la difesa della società rappresenta un interesse preminente rispetto a quello dell’imputato (inquisitorio), al contrario, un regime garantista si preoccupa in primis di difendere l’accusato dal pericolo di una condanna ingiusta (accusatorio).
Nel nostro ordinamento giuridico, il riferimento al “giusto processo” nell’art. 111 Cost. riflette un’esigenza oggettiva di attuazione della Costituzione” 3 latu sensu.
Apertis verbis, alla nozione di equo processo ex art. 6 CEDU, può e deve riconoscersi lo slancio propulsivo atto a superare la storica e risalente dicotomia: modello accusatorio/modello inquisitorio, in favore di uno nuovo denominato “contradictoire”. Con tale termine non si tenta di trovare un compromesso fra i due sistemi della tradizione, ma di manifestare un’esigenza ulteriore, un progresso in riferimento ad entrambe.
Se pur, ab absurdo, non si voglia constatare quanto l’art. 111 Cost. si conformi all’art. 6 CEDU, non si può negare che l’ordinamento interno sia tenuto ad adattarsi, nella materia processual-penalistica di interesse, ai Trattati Internazionali.
Solo in via esemplificativa, la legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81 prevede all’art. 2 che il nuovo codice di procedura penale si adegui “alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale”.
Come pure l’art. 117 Cost. prescrive che “la potestà legislativa sia esercitata… nel rispetto… dei vincoli derivanti… dagli obblighi internazionali”; l’art. 11 Cost. che “consente… limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia… e favorisce le organizzazioni internazionali” impone il rispetto del diritto dell’Unione Europea. A seguito della ratifica del Trattato di Lisbona 4, “I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali…fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

2. L’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU e l’art. 14 lett. e) Patto internazionale sui diritti civili e politici

In ambito internazionale, sono dedicati alla trattazione della testimonianza: l’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU e l’art. 14 lett. e) Patto internazionale sui diritti civili e politici 5 (vanta un contenuto analogo a quello dell’art. 6 CEDU).
Nell’art. 6 CEDU si ravvede “un quadro sommario ma abbastanza completo dei caratteri ai quali deve ispirarsi un processo penale moderno”. 6
Il richiamo ai principi del giusto processo ha acquisito una natura costante quando si tratti di garanzie rivolte a chi sia coinvolto in un procedimento penale. 7
Stando all’autorevole Corte europea dei diritti dell’uomo 8, il concetto di procès équitable non concerne esclusivamente gli interessi della difesa ma vede la sua piena realizzazione nell’equilibrato bilanciamento tra interessi contrastanti. Pertanto “postula una ottimale ed equilibrata sintesi di valori che può essere espressa attraverso il richiamo alla ‘ragionevolezza’ delle soluzioni processuali”. E “non potrà mai dar fondamento a sviluppi normativi od ermeneutici unilaterali di tutela dell’accusato, così da provocare eccessive compressioni degli altri interessi apprezzabili”.9

3. Costituzione e normative internazionali a confronto

3.1. Dichiaranti a carico: persone o testimoni?

Nel confrontare il testo normativo dell’art. 111 comma 3 Cost. con quello di riferimento della CEDU e del Patto, non si può non notare la discrepanza lessicale che li separa. A ben guardare, l’impiego di termini disuguali, non si risolve in una mera ed insignificante scelta stilistica, bensì, sottende una diversità concettuale.
La Costituzione, per riferirsi ai dichiaranti a carico, usa il termine “persone” discostandosi da quello scelto dai testi internazionali, ovvero, “testimoni”.
Secondo l’autorevole interpretazione della Corte di Cassazione, la parola “testimoni” nell’ordinamento italiano assume un connotato squisitamente tecnico, tale da non poter comprendere, ad esempio, quel dichiarante anch’egli imputato. 10
Viceversa, ad avviso della Corte EDU, il termine “testimone” (ex. art. 6 CEDU) possiede un significato autonomo ed indipendente, che prescinde dagli usi linguistici dei diversi Stati membri.

3.2. La teoria della “nozione autonoma” della Corte di Strasburgo

La Corte di Strasburgo chiama teoria della “nozione autonoma” l’attività mediante la quale, “effettua, qualora se ne presenti la necessità, ciò che in campo semantico sarebbe propriamente riconducibile al concetto di ridefinizione linguistica”. 11 Questa si realizza “quando, rimanendo nell’ambito degli usi preesistenti, si determina in modo univoco e preciso il significato di una espressione, che in modo univoco e preciso non era usata [nel nostro caso, soprattutto perché adoperata in sistemi giuridici diversificati]”. 12
È ricompreso, nell’ampia nozione di testimone, “oltre al testimone in senso stretto, chiunque offra un proprio contributo dichiarativo nella ricostruzione processuale del fatto, indipendentemente dallo ‘status’ processuale assegnato dalla legge nazionale”. 13
Se la disciplina internazionale prevedesse una definizione restrittiva di testimone, comporterebbe una restrizione ingiustificata, arbitraria ed iniqua del diritto al confronto. Ecco che, il fine dell’impiego di una nozione autonoma, è impedire agli Stati membri di adottare la propria qualificazione come mezzo per sottrarsi al rispetto delle garanzie convenzionali, confluendo in esisti totalmente incompatibili con la ratio della CEDU.

3.3. Il contraddittorio differito

I giudici europei esaminano la conformità a tale norma dell’ordinamento interno, non per giudicare se le dichiarazioni dei testimoni siano state legittimamente ammesse come prova, ma per verificare se il procedimento abbia in toto un carattere equo. Infatti, l’obiettivo della norma è espungere materiale probatorio formatosi unilateralmente e dunque “non passato al setaccio del contraddittorio”. 14
Tuttavia, la Corte EDU ammette che anche dichiarazioni rese in una fase precedente possono essere impiegate per la decisione finale, purché l’imputato abbia avuto l’opportunità di contestarle e di interrogarne l’autore, al momento della deposizione o più tardi. Ai fini dell’“equità complessiva del procedimento”, non rileva che l’imputato se ne sia concretamente avvalso, bensì è sufficiente che “sia stato messo in condizione di esercitare il proprio diritto al controesame”. 15
Secondo la giurisprudenza europea deve esserci un “contraddittorio almeno differito sulla fonte di prova”, ergo “può mancare la contestualità tra dichiarazione e diritto a confrontarsi con l’accusatore”. 16
Non è essenziale l’instaurazione di un contraddittorio per l’introduzione nel processo dell’elemento probatorio; benché la sentenza di condanna non si possa e non si debba basare solamente sulle dichiarazioni testimoniali mai vagliate in contraddittorio. Se così fosse, le garanzie della difesa sarebbero ridotte e incompatibili con quelle previste dall’art. 6 CEDU e dall’art. 14 del Patto.
Ad avvalorare quanto appena riportato vi è la sentenza della Corte EDU, Grande Camera, del 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania. L’organo giurisdizionale, riconoscendo che la testimonianza diretta sia la “prova regina” nel processo penale, ha dichiarato iniquo (per violazione dell’art. 6 CEDU) un procedimento in Germania in cui l’imputato era stato condannato sulla base delle dichiarazioni rilasciate durante le indagini dalle due persone offese. L’esame delle quali non era stato possibile in dibattimento.
La Corte di Strasburgo si è dimostrata attenta alla “decisività”, ai fini della condanna, delle dichiarazioni testimoniali non sottoposte a contraddittorio.

3.4. Accorgimenti lessicali

L’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU e l’art 14 lett. e) del Patto riconoscono all’imputato (salvo libertà di rinunciarvi, se non contrastante con nessun interesse pubblico fondamentale) il diritto d’interrogare o di far interrogare i testimoni a carico (confluito nell’art. 111 Cost.).
Tra il testo francese “Droit à interroger ou faire interroger” e quello inglese “right to examine or have examined” si scorge una discrepanza lessicale, nella formulazione normativa, riconducibile alla differenza tra “deposizione” ed “esame a domande e risposte”.
Ponendo nuovamente l’attenzione sugli accorgimenti lessicali: l’espressione verbale “interrogare” si riferisce ad una partecipazione attiva della difesa all’escussione del teste, al contrario la locuzione “far interrogare” allude alla possibilità che sia il giudice a procedere all’interrogatorio (riscontrato in molteplici sistemi dei Paesi europei). Quest’ultima tecnica d’esame del testimone era prevista nel nostro ordinamento dal Codice Rocco, ma oggi è riservata esclusivamente a particolari ed esigue tipologie di testi.
Ne consegue che: non è necessaria l’escussione del teste direttamente condotta dalla difesa.

3.5. Un vulnus

Se il testo convenzionale assicura il principio del contraddittorio (anche differito) per l’acquisizione della prova dichiarativa, non può dirsi lo stesso in merito ai principi di oralità, concentrazione e immediatezza.
Emerge, dunque, che sia sufficiente un confronto accusato-accusatore innanzi a un giudice in qualunque fase del procedimento (purché imparziale). 17
La corte di Strasburgo, nonostante descriva il metodo dialettico non tantum garanzia per la difesa, sed etiam funzionale all’esercizio della giurisdizione stessa incrina la sua ratio e quella dell’equo processo, predisponendo delle deroghe al principio di immutabilità del giudice dibattimentale. Non si può tralasciare un requisito essenziale (di un processo penale che pretenda di definirsi equo) rappresentato dal diritto dell’accusato di esaminare i testi avanti al giudice che emetterà la sentenza. 18
Il principio di immediatezza costituisce un’ineludibile garanzia, dal momento che, le osservazioni circa il contegno e la credibilità del testimone, possono avere delle apprezzabili conseguenze sia per l’accusato sia per la decisione del caso.
Per il giudice europeo, il mutamento della composizione della corte giudicante, che sia susseguente all’escussione di un testimone, dovrebbe condurre, sempre, al riesame dello stesso. Nondimeno, la ripetizione dell’audizione è limitata alle ipotesi di “an important witness” o “un temoin decisif” e può venir meno in presenza di circostanze particolari che giustifichino un’eccezione ai principi dell’oralità del dibattimento e della conoscenza diretta da parte del giudice immutabile.

3.6. Il principio di uguaglianza tra accusa e difesa

La seconda proposizione dell’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU e dell’art. 14 lett. e) del Patto sancisce che il diritto alla prova è riservato “in condizioni di parità con la difesa, anche a chi eserciti l’azione nel processo”. 19
Dal tenore letterale delle norme, si evince che, il diritto di interrogare o far interrogare, non è una prerogativa circoscritta e limitata ai testimoni dell’accusa, piuttosto deve trovare piena attuazione anche in sede d’esame dei testi a discarico.
La “conditio sine qua non” siano rispettati il principio di parità delle parti e il principio di uguaglianza tra accusa e difesa (già inclusi genericamente nella nozione di equo processo) in ordine alla citazione dei testimoni è che all’imputato sia attribuito un diritto di ammissione di ampiezza analoga a quello dell’accusa.
La locuzione verbale “nelle stesse condizioni” (ex. art. 6 comma 3 lett. d) ed ex. art. 14 lett. e)) esige il conseguimento della parità di condizioni non solo “formali fra accusa e difesa in subiecta materia, ma altresì l’effettiva attuazione di una parità sostanziale sul piano del processo20.
Il giudice si assume il dovere di non compiere disuguaglianze tra le parti, in particolare, per quanto concerne la prova testimoniale, non può rifiutarsi di esaminare i testi a discarico sugli stessi argomenti per i quali vengano ascoltati i testi a carico.

4. Conclusioni

In definitiva nella materia de qua, il legislatore limita il potere discrezionale del giudice e lo induce a conformarsi alle convenzioni internazionali (concernenti i diritti della persona e il processo penale) per ricavarne i criteri utili alla risoluzione di “casi esegeticamente incerti21.
Pertanto, è prezioso il confronto fra le fonti normative, non solo per l’individuazione di punti affini e divergenze, ma anche e soprattutto per comprendere l’iter logico ed evolutivo che si deve riconoscere alle garanzie processuali, ciò al fine di una loro sempre corretta applicazione.


1 “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.”
2 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (nome completo – o “Convention européenne des droits de l’Homme“-) è una Convenzione internazionale, redatta in lingua francese ed inglese, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa il 4 novembre 1950 a Roma. È entrata in vigore a livello internazionale nel 1953, mentre in Italia la ratifica è intervenuta nel 1955 con la legge n.848. La CEDU è stata successivamente integrata e modificata da 14 Protocolli aggiuntivi.
3 M. Chiavario, “Diritto processuale penale. Profilo istituzionale”, Torino 2005, p.11.
4 Trattato dell’Unione Europea, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009, è composto dal Trattato sull’Unione europea (TUE) e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) esso abolisce i cosiddetti “tre pilastri”, provvede al riparto di competenze tra Unione e Stati membri, rafforza il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, anche attraverso l’attribuzione alla Carta di Nizza del medesimo valore giuridico dei trattati.
5 La Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (meglio noto come Patto internazionale sui diritti civili e politici), è un trattato delle Nazioni Unite, adottato nel 1966, entrato in vigore il 23 marzo del 1976 e ratificato in Italia con legge n. 881 del 1977.
6 G.D. Pisapia, “Appunti di procedura penale”, I, Cisalpino-Goliardica, Milano, 1973, cit., p. 6.
7 A. Sacucci, “L’incidenza della Convenzione europea dei diritti umani sulle regole in materia di formazione e valutazione della prova, in Giusto processo e prove penali. Legge 1° marzo 2001, n. 63”, Milano, 2001, p. 292.
8 A tal riguardo, Divisione della Ricerca della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Guida all’art. 6, Diritto ad un equo processo (ambito penale) p.4: “[…] le sentenze della Corte sono funzionali non soltanto alla decisione del caso concreto al vaglio della Corte stessa, ma anche in via generale per chiarire, salvaguardare e sviluppare le norme sancite dalla Convenzione, così contribuendo all’osservanza da parte degli Stati degli impegni assunti.”
Corte europea dei diritti dell’uomo, sent. 3 novembre 2011, X e Y c. Croazia 5193/09.
(Pubblicata, per la prima volta, nel 2014, nelle due lingue ufficiali della Corte, inglese e francese. La traduzione è pubblicata previo accordo con il Consiglio d’Europa e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo).
9 E. Marzaduri, Associazione tra gli studiosi del processo penale, “Verso uno statuto del testimone nel processo penale: atti del Convegno Pisa-Lucca 28-30 Novembre 2003”, Milano, Giuffrè, 2005, cit. p.31.
10 L. Fadalti, “La testimonianza nel giudizio penale”, (Teoria e pratica del diritto. Sez. III, Diritto e procedura penale, 165) Milano, Giuffrè, 2008, p.4.
11 G. Ubertis, “L’autonomia linguistica della Corte di Strasburgo”, in Archivio penale, 2012, n. 1.
12 U. Scarpelli, “Contributo alla semantica del linguaggio normativo” (1959), Milano, 1985, p. 65-66.
13 R. Casiraghi, “La prova dichiarativa: testimonianza ed esame delle parti eventuali”, in Trattato di procedura penale, diretto da Giulio Ubertis e Giovanni Paolo Voena, Giuffrè, 2011, cit. p. 49.
14 S. Buzzelli, “Giusto processo”, in Digesto discipline penalistiche, II agg., UTET, 2004, cit., p.354.
15 C. Cesari, “Prova irripetibile e contradditorio nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, in riv.it.dir.proc.pen., 2003, p.1449.
16 P. Tonini, “Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua a Strasburgo ed estende l’ammissibilità dell’incidente probatorio, in Dir. pen. proc., 2008, p.885.
17 Corte EDU, sez. V, sent. 24 aprile 2008, Zhoglo c. Ucraina, § 39.
18 P. Renon, Mutamento del giudice penale e rinnovazione del dibattimento, 2008, p. 79, 84, 85.
19 G. Ubertis, “Principi di procedura penale europea. Le regole del giusto processo”, Raffaello Cortina Editore, 2009 cit., p. 71.
20 V. Grevi, “Spunti sull’art.6 § 3 lett. d) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in tema di citazione dei testimoni a discarico nella fase del giudizio)” in Indice pen.,1968, cit. p. 408.
21 M. Chiavario, “La riforma del processo penale, seconda edizione”, UTET, 1990, cit., p. 25.