Il diritto ad essere dimenticato

Articolo a cura della dott.ssa Anna Isabel Anania

Diritto ad essere dimenticato

Indice
1. Considerazioni introduttive sul diritto ad “essere lasciati in pace”
2. Il necessario dialogo tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca
3. Diritto all’oblio e fonti normative
4. Spunti di riflessione sulla tematica in oggetto

1. Considerazioni introduttive sul diritto ad “essere lasciati in pace”

Con l’avvento delle nuove tecnologie, dimenticare è diventata l’eccezione e ricordare la norma. Invero, l’inesauribile flusso di informazioni accessibili online – non aggiornate e definitivamente disperse – determina una sorta di “immortalità dei dati digitali” .
In questo senso, se da un lato, serbar memoria di un determinato evento può risultare alquanto avvenente, dall’altro, talvolta, potrebbe turbare e danneggiare la reputazione e l’onore di taluni soggetti che, piuttosto, desidererebbero essere dimenticati dalla collettività per condurre una vita serena e indisturbata.
Il diritto ad essere dimenticati, pertanto, consiste nel diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, per la ripubblicazione, a distanza di tempo, di una notizia relativa a fatti commessi in passato o a vicende nelle quali si è rimasti in qualche modo coinvolti [1].
In quest’ottica, si colloca un diritto di nuovo conio: il c.d. “diritto all’oblio”. Trattasi di creazione dottrinaria e giurisprudenziale a seguito della spiccata rilevanza assunta dallo stesso nei Tribunali italiani in sede di contenzioso civile e penale.

2. Il necessario dialogo tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca

Il diritto all’oblio, in particolare, risulta essere frutto dell’interpretazione evolutiva dell’art. 2 della Costituzione, che rappresenta una “clausola aperta”, cioè, consente di tutelare ogni forma di esplicazione della personalità dell’individuo, anche se si tratta di diritti non ancora normativamente tipizzati [2].
Inevitabilmente, l’utilizzo dei nuovi mezzi mediatici, la rapidità con cui vengono diffuse le notizie e la possibilità che queste rimangano in rete per un tempo indefinito ha accresciuto il problema, rendendo necessario tracciare un confine tra il diritto delle persone a conoscere vicende di interesse rilevante e il diritto ad essere dimenticati.
In questo senso, appare evidente la necessità di far dialogare il diritto all’oblio con il diritto di cronaca.
Quest’ultimo, in base alla definizione fornita dalla giurisprudenza [3], rappresenta un diritto pubblico soggettivo, che trova il proprio fondamento all’art. 21 della Costituzione, posto a presidio della libertà di manifestazione del pensiero e di quella di stampa.
La vexata questio, in particolare, è stata oggetto di una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la n. 19681 del 2019. Il caso giunto al vaglio della Suprema Corte, riguardava il ricorso di un soggetto che, dopo aver scontato una pena per omicidio ed essersi reinserito nella società civile, si era visto menzionare all’interno di un articolo su un giornale locale, che aveva ricordato il fatto di cronaca avvenuto circa trent’anni prima.
A tal proposito, le Sezioni Unite, nel precisare che il caso specifico riguardava il diritto all’oblio, hanno affermato che, quest’ultimo può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, in presenza di determinati presupposti. Essi, in particolare, coincidono con un interesse effettivo ed attuale alla diffusione della notizia o anche dell’immagine (ad esempio, in presenza di ragioni didattiche, di giustizia o, ancora, scopi scientifici, culturali etc.), un elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, una  preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia al fine di consentire all’interessato un diritto di replica prima della divulgazione al pubblico ed, infine, il ricorso a modalità non eccedenti lo scopo informativo e rispondenti ad un interesse oggettivo alla nuova diffusione.

Inoltre, la sentenza menzionata ha comportato una vera e propria “rivoluzione copernicana” all’interno del sistema giuridico italiano, in quanto ha identificato tre differenti declinazioni del diritto all’oblio.
In primis, lo stesso è inteso come pretesa a impedire la ripubblicazione di notizie decorso un significativo lasso di tempo dalla prima divulgazione legittimamente resa in passato.
In secundis, come pretesa alla corretta e aggiornata contestualizzazione dell’informazione pubblicata dall’editore del sito sorgente.
Ed, infine, come pretesa alla deindicizzazione dei dati personali visibili nell’elenco dei risultati di ricerca disponibili online, con specifico riferimento alle implicazioni “digitali” connesse all’avvento di internet.
Quindi, non vi è dubbio, in ogni caso, che l’intervento della giurisprudenza sia stato decisivo nell’elaborazione di ulteriori criteri che hanno affiancato quelli normativi, offrendo così una  serie di coordinate valevoli per tutta la casistica.

3. Diritto all’oblio e fonti normative

Orbene, sul versante normativo, i  criteri utili per la risoluzione del  conflitto tra diritto all’oblio   e diritto di cronaca sono individuabili non solo nelle disposizioni costituzionali già richiamate, ma anche nelle fonti di matrice sovranazionale ed in quelle derivanti dalla  legislazione ordinaria.
Il riferimento, nello specifico, è all’art. 8 CEDU, che sancisce il diritto di ogni persona “al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”, riaffermato dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Ancora, l’art. 8 della stessa Carta prevede il diritto di ciascun individuo “alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”, stabilendo che tali dati debbano essere trattati secondo un principio di lealtà.
Nella stessa direzione depone l’art. 16 TFUE nell’affermare il diritto di ogni persona alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardino.
Infine, il quadro è stato completato con il Regolamento 2016/679/UE (c.d. GDPR), recepito a livello nazionale con il d.lgs. n. 101/2018, avente ad oggetto la protezione, il trattamento e la libera circolazione dei dati personali. Tale Regolamento, nel suo art. 17, fa un preciso riferimento al diritto alla “cancellazione”. In questo senso, sembrerebbe essersi positivizzato il diritto all’oblio, tuttavia, la norma sovranazionale non è precisa né esaustiva, in quanto non definisce i tratti specifici di tale figura, né tanto meno disciplina un generale diritto all’oblio, così ridimensionando la portata innovativa della norma.

Tuttavia, sicuramente, il Regolamento de quo, nel dettare una serie di regole utili a rafforzare la tutela dei soggetti in relazione al trattamento dei dati personali, ha arricchito la disciplina delineata dal d.lgs. n. 196/2003 (c.d. codice della privacy).
La normativa di riferimento risulta, poi, completata dalla c.d. legge sulla stampa (legge n. 47/1948), dal richiamato “codice della privacy” ed, infine, dalle disposizioni riguardanti la c.d. diffamazione [4].

4. Spunti di riflessione sulla tematica in oggetto

Dall’analisi effettuata si comprende, dunque, la necessità di evitare la riesumazione di vicende oramai trascorse ed obsolete che non destano più interesse collettivo per evitare di pregiudicare soggetti che chiedono solo di “essere lasciati in pace”.
Inoltre, emerge chiaramente la ragione per cui il diritto all’oblio si trova in un rapporto di connessione dialettica con il diritto di cronaca; i due, infatti, sembrano limitarsi reciprocamente in base ad un continuo bilanciamento di valori che l’interprete è chiamato ad effettuare.
Nella pratica, ogniqualvolta un soggetto si vedrà leso del suo diritto all’oblio dovrà azionarsi per chiedere la rimozione di tutti quei riferimenti e dei c.d. “link” che rinviano ad un contenuto online ritenuto lesivo.
Tale meccanismo, che permette di rimuovere ogni tipo di collegamento nocivo dai motori di ricerca, è definito, in informatica, “deindicizzazione” [5]. È con questa tecnica, pertanto, che si permette l’attuazione del diritto all’oblio.
In definitiva, risulta interessante evidenziare che la figura del diritto all’oblio, seppur valorizzata da diverse norme, non sembra ricevere una vera e propria consacrazione sul piano normativo e, pertanto, continuerà ad alimentare un sempre più problematico e incerto contenzioso giudiziario, in mancanza di stabili parametri normativi volti a ricostruire con precisione il suo concreto ambito di applicazione. Di talché, peculiare importanza assumerebbero le coordinate ermeneutiche dettate dalle Sezioni Unite del 2019.


[1] Così, Cass. Sez. I civile, Ordinanza 19/05/2020, n. 9147

[2] “La teoria monista” tende a sposarsi con un interpretazione dell’art. 2 come norma a fattispecie aperta, mentre “la teoria pluralista” sembra avvicinarsi ad una lettura chiusa

[3] Tra le tante pronunce sul punto, cfr. Cass., Sez. V 31 maggio 1990 n.7843, Sez. V, 6 luglio 1992, n. 7632; Cass., Sez. V, 6 febbraio 1998, n. 1473, e Cass., Sez. V, 4 febbraio 2005, n. 4009.

[4] L’art. 595, comma 1, c.p., riconosce la fattispecie di reato della diffamazione e punisce, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032, “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente [art. 594 c.p. – ingiuria], comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”.

[5] La deindicizzazione è possibile grazie  ad  alcuni  comandi  che  i  gestori  della  testata  dovranno  inserire  nel  loro  sito.  Il file /robots.txt fornisce istruzioni ai vari robots del web, come ad esempio quello di Google che permette l’indicizzazione di un sito. È possibile dare istruzioni al robot (Google) affinché ignori una determinata pagina e quindi non provveda alla sua indicizzazione o, nel caso fosse già indicizzata, avviare una graduale de-indicizzazione.

diritto ad essere dimenticato

Indice
1. Considerazioni introduttive sul diritto ad “essere lasciati in pace”
2. Il necessario dialogo tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca
3. Diritto all’oblio e fonti normative
4. Spunti di riflessione sulla tematica in oggetto

1. Considerazioni introduttive sul diritto ad “essere lasciati in pace”

Con l’avvento delle nuove tecnologie, dimenticare è diventata l’eccezione e ricordare la norma. Invero, l’inesauribile flusso di informazioni accessibili online – non aggiornate e definitivamente disperse – determina una sorta di “immortalità dei dati digitali” .
In questo senso, se da un lato, serbar memoria di un determinato evento può risultare alquanto avvenente, dall’altro, talvolta, potrebbe turbare e danneggiare la reputazione e l’onore di taluni soggetti che, piuttosto, desidererebbero essere dimenticati dalla collettività per condurre una vita serena e indisturbata.
Il diritto ad essere dimenticati, pertanto, consiste nel diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, per la ripubblicazione, a distanza di tempo, di una notizia relativa a fatti commessi in passato o a vicende nelle quali si è rimasti in qualche modo coinvolti [1].
In quest’ottica, si colloca un diritto di nuovo conio: il c.d. “diritto all’oblio”. Trattasi di creazione dottrinaria e giurisprudenziale a seguito della spiccata rilevanza assunta dallo stesso nei Tribunali italiani in sede di contenzioso civile e penale.

2. Il necessario dialogo tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca

Il diritto all’oblio, in particolare, risulta essere frutto dell’interpretazione evolutiva dell’art. 2 della Costituzione, che rappresenta una “clausola aperta”, cioè, consente di tutelare ogni forma di esplicazione della personalità dell’individuo, anche se si tratta di diritti non ancora normativamente tipizzati [2].
Inevitabilmente, l’utilizzo dei nuovi mezzi mediatici, la rapidità con cui vengono diffuse le notizie e la possibilità che queste rimangano in rete per un tempo indefinito ha accresciuto il problema, rendendo necessario tracciare un confine tra il diritto delle persone a conoscere vicende di interesse rilevante e il diritto ad essere dimenticati.
In questo senso, appare evidente la necessità di far dialogare il diritto all’oblio con il diritto di cronaca.
Quest’ultimo, in base alla definizione fornita dalla giurisprudenza [3], rappresenta un diritto pubblico soggettivo, che trova il proprio fondamento all’art. 21 della Costituzione, posto a presidio della libertà di manifestazione del pensiero e di quella di stampa.
La vexata questio, in particolare, è stata oggetto di una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la n. 19681 del 2019. Il caso giunto al vaglio della Suprema Corte, riguardava il ricorso di un soggetto che, dopo aver scontato una pena per omicidio ed essersi reinserito nella società civile, si era visto menzionare all’interno di un articolo su un giornale locale, che aveva ricordato il fatto di cronaca avvenuto circa trent’anni prima.
A tal proposito, le Sezioni Unite, nel precisare che il caso specifico riguardava il diritto all’oblio, hanno affermato che, quest’ultimo può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, in presenza di determinati presupposti. Essi, in particolare, coincidono con un interesse effettivo ed attuale alla diffusione della notizia o anche dell’immagine (ad esempio, in presenza di ragioni didattiche, di giustizia o, ancora, scopi scientifici, culturali etc.), un elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, una  preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia al fine di consentire all’interessato un diritto di replica prima della divulgazione al pubblico ed, infine, il ricorso a modalità non eccedenti lo scopo informativo e rispondenti ad un interesse oggettivo alla nuova diffusione.

Inoltre, la sentenza menzionata ha comportato una vera e propria “rivoluzione copernicana” all’interno del sistema giuridico italiano, in quanto ha identificato tre differenti declinazioni del diritto all’oblio.
In primis, lo stesso è inteso come pretesa a impedire la ripubblicazione di notizie decorso un significativo lasso di tempo dalla prima divulgazione legittimamente resa in passato.
In secundis, come pretesa alla corretta e aggiornata contestualizzazione dell’informazione pubblicata dall’editore del sito sorgente.
Ed, infine, come pretesa alla deindicizzazione dei dati personali visibili nell’elenco dei risultati di ricerca disponibili online, con specifico riferimento alle implicazioni “digitali” connesse all’avvento di internet.
Quindi, non vi è dubbio, in ogni caso, che l’intervento della giurisprudenza sia stato decisivo nell’elaborazione di ulteriori criteri che hanno affiancato quelli normativi, offrendo così una  serie di coordinate valevoli per tutta la casistica.

3. Diritto all’oblio e fonti normative

Orbene, sul versante normativo, i  criteri utili per la risoluzione del  conflitto tra diritto all’oblio   e diritto di cronaca sono individuabili non solo nelle disposizioni costituzionali già richiamate, ma anche nelle fonti di matrice sovranazionale ed in quelle derivanti dalla  legislazione ordinaria.
Il riferimento, nello specifico, è all’art. 8 CEDU, che sancisce il diritto di ogni persona “al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”, riaffermato dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Ancora, l’art. 8 della stessa Carta prevede il diritto di ciascun individuo “alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”, stabilendo che tali dati debbano essere trattati secondo un principio di lealtà.
Nella stessa direzione depone l’art. 16 TFUE nell’affermare il diritto di ogni persona alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardino.
Infine, il quadro è stato completato con il Regolamento 2016/679/UE (c.d. GDPR), recepito a livello nazionale con il d.lgs. n. 101/2018, avente ad oggetto la protezione, il trattamento e la libera circolazione dei dati personali. Tale Regolamento, nel suo art. 17, fa un preciso riferimento al diritto alla “cancellazione”. In questo senso, sembrerebbe essersi positivizzato il diritto all’oblio, tuttavia, la norma sovranazionale non è precisa né esaustiva, in quanto non definisce i tratti specifici di tale figura, né tanto meno disciplina un generale diritto all’oblio, così ridimensionando la portata innovativa della norma.

Tuttavia, sicuramente, il Regolamento de quo, nel dettare una serie di regole utili a rafforzare la tutela dei soggetti in relazione al trattamento dei dati personali, ha arricchito la disciplina delineata dal d.lgs. n. 196/2003 (c.d. codice della privacy).
La normativa di riferimento risulta, poi, completata dalla c.d. legge sulla stampa (legge n. 47/1948), dal richiamato “codice della privacy” ed, infine, dalle disposizioni riguardanti la c.d. diffamazione [4].

4. Spunti di riflessione sulla tematica in oggetto

Dall’analisi effettuata si comprende, dunque, la necessità di evitare la riesumazione di vicende oramai trascorse ed obsolete che non destano più interesse collettivo per evitare di pregiudicare soggetti che chiedono solo di “essere lasciati in pace”.
Inoltre, emerge chiaramente la ragione per cui il diritto all’oblio si trova in un rapporto di connessione dialettica con il diritto di cronaca; i due, infatti, sembrano limitarsi reciprocamente in base ad un continuo bilanciamento di valori che l’interprete è chiamato ad effettuare.
Nella pratica, ogniqualvolta un soggetto si vedrà leso del suo diritto all’oblio dovrà azionarsi per chiedere la rimozione di tutti quei riferimenti e dei c.d. “link” che rinviano ad un contenuto online ritenuto lesivo.
Tale meccanismo, che permette di rimuovere ogni tipo di collegamento nocivo dai motori di ricerca, è definito, in informatica, “deindicizzazione” [5]. È con questa tecnica, pertanto, che si permette l’attuazione del diritto all’oblio.
In definitiva, risulta interessante evidenziare che la figura del diritto all’oblio, seppur valorizzata da diverse norme, non sembra ricevere una vera e propria consacrazione sul piano normativo e, pertanto, continuerà ad alimentare un sempre più problematico e incerto contenzioso giudiziario, in mancanza di stabili parametri normativi volti a ricostruire con precisione il suo concreto ambito di applicazione. Di talché, peculiare importanza assumerebbero le coordinate ermeneutiche dettate dalle Sezioni Unite del 2019.


[1] Così, Cass. Sez. I civile, Ordinanza 19/05/2020, n. 9147

[2] “La teoria monista” tende a sposarsi con un interpretazione dell’art. 2 come norma a fattispecie aperta, mentre “la teoria pluralista” sembra avvicinarsi ad una lettura chiusa

[3] Tra le tante pronunce sul punto, cfr. Cass., Sez. V 31 maggio 1990 n.7843, Sez. V, 6 luglio 1992, n. 7632; Cass., Sez. V, 6 febbraio 1998, n. 1473, e Cass., Sez. V, 4 febbraio 2005, n. 4009.

[4] L’art. 595, comma 1, c.p., riconosce la fattispecie di reato della diffamazione e punisce, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032, “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente [art. 594 c.p. – ingiuria], comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”.

[5] La deindicizzazione è possibile grazie  ad  alcuni  comandi  che  i  gestori  della  testata  dovranno  inserire  nel  loro  sito.  Il file /robots.txt fornisce istruzioni ai vari robots del web, come ad esempio quello di Google che permette l’indicizzazione di un sito. È possibile dare istruzioni al robot (Google) affinché ignori una determinata pagina e quindi non provveda alla sua indicizzazione o, nel caso fosse già indicizzata, avviare una graduale de-indicizzazione.

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