I figli possono assumere il cognome della madre

Se ne parla da anni, e finalmente la Corte Costituzionale ha sollevato un dubbio di costituzionalità sull’articolo del codice civile che attribuisce ai figli, per legge, il cognome paterno. Se in Italia – attualmente – non è possibile attribuire al neonato il solo cognome materno, in un caso, che qui spiego, si possono attribuire entrambi.

Cognome madre

È del 14 gennaio scorso il comunicato con il quale la Corte Costituzionale informa di essere stata investita dal Tribunale di Bolzano della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 262, primo comma del codice civile, secondo cui: “Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre.”

Lo sviluppo della giurisprudenza

Prima di rispondere al quesito posto dal Tribunale di Bolzano, la Consulta ritiene di dover dare risposta ad un interrogativo più generale e di andare alla radice del problema, sollevando davanti a sé la questione di legittimità costituzionale della regola, prevista dal Codice civile, che assegnare al figlio solo il cognome del padre, sempre e non solo nel caso di figli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti.
Invero, non è la prima volta che la Corte Costituzionale si trova di fronte ad una questione simile.
Già quindici anni fa, nel 2006, sempre in tema cognome dei figli, con la sentenza n. 61/2006 la Corte ha stabilito che: “l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia di epoca romana, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.
La successiva pronuncia sul punto da parte della medesima Corte, ovvero la 286/2016, ha poi dichiarato l’incostituzionalità delle norme sulla disciplina del cognome, nella parte in cui non consentivano ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.
Pertanto, attualmente, i genitori, se d’accordo, possono trasmettere al figlio appena nato entrambi i cognomi, facendo seguire quello materno a quello paterno.
Prima della sentenza, era possibile attribuire il cognome materno esclusivamente ai nati al di fuori del matrimonio e solo se la madre era genitore che riconosceva per primo il figlio.
Con l’occasione, la Corte Costituzionale, sollecitava un intervento urgente del legislatore. Ma in cinque anni la legge non è stata modificata, nonostante diverse proposte in Parlamento, e così la Consulta ha deciso di affrontare nuovamente la questione. Il tutto partendo dal caso di una coppia di Bolzano, non sposata, che di comune accordo avrebbe voluto attribuire al figlio il cognome della madre, per il semplice motivo che in lingua tedesca “suona meglio”.

Le disposizioni normative sul cognome dei figli

L’ordinamento italiano non presenta norme che impongano l’attribuzione del cognome paterno. Si tratta infatti di una consuetudine tramandata da tempo e confermata dalla lettura socialmente orientata di alcune disposizioni legislative.
L’art. 6 del codice civile, che disciplina il diritto al nome, dispone che: “Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.”
A ben vedere, il testo non prevede quindi che il cognome debba essere quello paterno. Ne consegue che i figli potrebbero portare benissimo anche il cognome della madre.
Ma si è visto che così non è. Almeno fino ad oggi.
Secondo il regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile (art. 33, D.P.R. n. 396/2000) il figlio assume il cognome del padre.
Il codice civile, si è già detto, all’articolo 262, sul cognome del figlio nato fuori del matrimonio, dice che assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto, attribuendo la precedenza a quello del padre se il riconoscimento viene effettuato nello stesso istante da entrambi i genitori.
Socialmente il cognome è la parte del nome che indica quale sia la famiglia di appartenenza e dato che la maternità è sempre sicura (mater certa est), l’attribuzione del cognome paterno rappresenta il riconoscimento formale della paternità.
Secondo la legge, per i figli nati in costanza di matrimonio c’è la presunzione di paternità a favore del marito della madre. Il nato da coppia sposata porta quindi il cognome del padre.

Una prospettiva internazionale

Un’eventuale pronuncia di incostituzionalità avvicinerebbe l’Italia all’orientamento espresso della Corte Europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo.
Il nostro Paese ha sottoscritto il Trattato di Lisbona che, tra l’altro, vieta ogni discriminazione fondata sul sesso.
La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia ritenendo “discriminatoria verso le donne” e una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo l’inesistenza di una deroga all’automatica attribuzione del cognome paterno.
Anche l’articolo 16 della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite dispone che “gli Stati Parti prendono ogni misura appropriata per eliminare la discriminazione contro le donne in tutte le questioni relative al matrimonio e ai rapporti familiari e in particolare assicurano, sulla base della parità dell’uomo e della donna gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compreso il diritto alla scelta del cognome, di una professione e di un impiego”.
Si attende quindi con fermento un intervento del nostro legislatore e della Corte Costituzionale per allineare l’Italia alle prescrizioni internazionali e all’orientamento di una società non più patriarcale ma fondata sulla effettiva uguaglianza tra uomo e donna.
Il fatto che la Consulta abbia deciso di sollevare un dubbio di costituzionalità davanti significa che la pronuncia non avrà a che fare solo per il singolo caso, ma avrà validità generale e potrà avere valenza retroattiva.

cognome madre

È del 14 gennaio scorso il comunicato con il quale la Corte Costituzionale informa di essere stata investita dal Tribunale di Bolzano della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 262, primo comma del codice civile, secondo cui: “Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre.”

Lo sviluppo della giurisprudenza

Prima di rispondere al quesito posto dal Tribunale di Bolzano, la Consulta ritiene di dover dare risposta ad un interrogativo più generale e di andare alla radice del problema, sollevando davanti a sé la questione di legittimità costituzionale della regola, prevista dal Codice civile, che assegnare al figlio solo il cognome del padre, sempre e non solo nel caso di figli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti.
Invero, non è la prima volta che la Corte Costituzionale si trova di fronte ad una questione simile.
Già quindici anni fa, nel 2006, sempre in tema cognome dei figli, con la sentenza n. 61/2006 la Corte ha stabilito che: “l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia di epoca romana, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.
La successiva pronuncia sul punto da parte della medesima Corte, ovvero la 286/2016, ha poi dichiarato l’incostituzionalità delle norme sulla disciplina del cognome, nella parte in cui non consentivano ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.
Pertanto, attualmente, i genitori, se d’accordo, possono trasmettere al figlio appena nato entrambi i cognomi, facendo seguire quello materno a quello paterno.
Prima della sentenza, era possibile attribuire il cognome materno esclusivamente ai nati al di fuori del matrimonio e solo se la madre era genitore che riconosceva per primo il figlio.
Con l’occasione, la Corte Costituzionale, sollecitava un intervento urgente del legislatore. Ma in cinque anni la legge non è stata modificata, nonostante diverse proposte in Parlamento, e così la Consulta ha deciso di affrontare nuovamente la questione. Il tutto partendo dal caso di una coppia di Bolzano, non sposata, che di comune accordo avrebbe voluto attribuire al figlio il cognome della madre, per il semplice motivo che in lingua tedesca “suona meglio”.

Le disposizioni normative sul cognome dei figli

L’ordinamento italiano non presenta norme che impongano l’attribuzione del cognome paterno. Si tratta infatti di una consuetudine tramandata da tempo e confermata dalla lettura socialmente orientata di alcune disposizioni legislative.
L’art. 6 del codice civile, che disciplina il diritto al nome, dispone che: “Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.”
A ben vedere, il testo non prevede quindi che il cognome debba essere quello paterno. Ne consegue che i figli potrebbero portare benissimo anche il cognome della madre.
Ma si è visto che così non è. Almeno fino ad oggi.
Secondo il regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile (art. 33, D.P.R. n. 396/2000) il figlio assume il cognome del padre.
Il codice civile, si è già detto, all’articolo 262, sul cognome del figlio nato fuori del matrimonio, dice che assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto, attribuendo la precedenza a quello del padre se il riconoscimento viene effettuato nello stesso istante da entrambi i genitori.
Socialmente il cognome è la parte del nome che indica quale sia la famiglia di appartenenza e dato che la maternità è sempre sicura (mater certa est), l’attribuzione del cognome paterno rappresenta il riconoscimento formale della paternità.
Secondo la legge, per i figli nati in costanza di matrimonio c’è la presunzione di paternità a favore del marito della madre. Il nato da coppia sposata porta quindi il cognome del padre.

Una prospettiva internazionale

Un’eventuale pronuncia di incostituzionalità avvicinerebbe l’Italia all’orientamento espresso della Corte Europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo.
Il nostro Paese ha sottoscritto il Trattato di Lisbona che, tra l’altro, vieta ogni discriminazione fondata sul sesso.
La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia ritenendo “discriminatoria verso le donne” e una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo l’inesistenza di una deroga all’automatica attribuzione del cognome paterno.
Anche l’articolo 16 della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite dispone che “gli Stati Parti prendono ogni misura appropriata per eliminare la discriminazione contro le donne in tutte le questioni relative al matrimonio e ai rapporti familiari e in particolare assicurano, sulla base della parità dell’uomo e della donna gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compreso il diritto alla scelta del cognome, di una professione e di un impiego”.
Si attende quindi con fermento un intervento del nostro legislatore e della Corte Costituzionale per allineare l’Italia alle prescrizioni internazionali e all’orientamento di una società non più patriarcale ma fondata sulla effettiva uguaglianza tra uomo e donna.
Il fatto che la Consulta abbia deciso di sollevare un dubbio di costituzionalità davanti significa che la pronuncia non avrà a che fare solo per il singolo caso, ma avrà validità generale e potrà avere valenza retroattiva.