Le polizze assicurative sulla vita a favore di terzi trovano la loro legittimazione nell’articolo 1920 del Codice civile, a norma del quale la designazione del terzo (sia essa nominativa o per determinazione generica) può essere effettuata nel contratto di assicurazione, in un atto scritto successivo comunicato all’assicuratore o all’interno del testamento.
Nella prassi è frequente imbattersi in polizze vita che designano gli eredi testamentari, in mancanza di quelli legittimi, quali beneficiari della polizza vita del de cuius. In tale ipotesi, ci si chiede se accadimenti che rientrano nella sfera successoria – quale la rinunzia all’eredità di uno dei chiamati – siano in grado di influenzare la designazione dei beneficiari della polizza vita o se, viceversa, debba comunque essere sancita la totale autonomia tra il diritto successorio e il diritto del terzo designato.
In tal caso, infatti, il terzo beneficiario è l”‘erede”, sia esso legittimo o testamentario, ma ci si chiede se si faccia riferimento al termine giuridico, analizzando quindi la volontà dell’interessato, o si intenda semplicemente identificare un soggetto che rientra nell’asse ereditario del de cuius, soffermandosi sulla mera elencazione dei delati.
Al fine di fornire una risposta al quesito supposto, occorre un breve incipit sulla distinzione tra due figure previste dal Codice civile, ovvero il chiamato all’eredità e l’erede.
Il chiamato all’eredità è colui che, al momento dell’apertura della successione riceve la delazione, ovvero rientra tra i soggetti successibili (per legge o testamento). Affinché il chiamato all’eredità diventi erede occorre un ulteriore passaggio, ovvero che manifesti la volontà di accettare l’eredità.
L’accettazione, che può essere espressa o tacita, è quindi il meccanismo attraverso il quale il chiamato all’eredità diviene erede a tutti gli effetti. L’acquisizione dello status di erede non è quindi automatico ma subordinato al compimento di determinati atti: nel caso di accettazione tacita, è sufficiente atteggiarsi come erede compiendo atti di natura dispositiva; nell’ipotesi di accettazione espressa sarà necessario esprimere la relativa volontà all’interno di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata. Il Codice civile riserva, in ogni caso, al chiamato la facoltà di rinunziare all’eredità, esprimendo cioè la volontà di non accettarla, da formalizzarsi dinanzi ad un pubblico ufficiale.
Fatta questa premessa, occorre traslare le nozioni giuridiche all’ipotesi presa in esame, analizzando in particolare la prassi consolidatasi in ambito assicurativo.
Al fine di procedere alla liquidazione del premio, le compagnie assicurative richiedono la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, un documento che deve riportare i nominativi di coloro che sono eredi. Si ritiene perciò che in tal elencazione non debbano essere inclusi i rinunzianti, né tantomeno i chiamati all’eredità.
Questa interpretazione collide tuttavia con la prassi assicurativa instauratasi, la quale fa proprio il principio enunciato dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo cui il diritto attribuito al terzo trova la sua giustificazione nel contratto assicurativo e, pertanto, non può soggiacere alle disposizioni normative in tema di successione, in quanto diritto autonomo ed estraneo al diritto successorio2.
Ne consegue che nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio – secondo il ragionamento appena riportato – dovrebbero essere indicati i nominativi di tutti coloro che sono chiamati all’eredità per testamento o per legge (a prescindere dalla rinuncia eventualmente già manifestata). Tale prassi troverebbe giustificazione nella volontà del de cuius di attribuire quella somma di danaro a soggetti precisi, volontà che si sarebbe quindi cristallizzata al momento della sottoscrizione della polizza, con la conseguenza che ogni evento successivo (come la rinunzia all’eredità, appunto) rientrerebbe nell’alveo del diritto successorio ma non inficerebbe sulla designazione dei soggetti beneficiari.
Ad avviso di chi scrive, l’accoglimento di tale orientamento porterebbe allo svilimento dello status di chiamato all’eredità . Il Legislatore ha inteso utilizzare termini diversi per identificare i soggetti interessati nelle fasi successive all’apertura della successione e la ragione va rinvenuta nei diversi effetti conseguenti alle differenti posizioni rivestite.
L’erede subentra nel patrimonio del de cuius, sia esso attivo o passivo, con conseguenze per la sua persona spesso anche non di poco conto; mentre il chiamato all’eredità non ha ancora la gestione del patrimonio del de cuius (salvo casi particolari previsti dalla legge) non essendo ancora maturata in lui la relativa volontà.
Liquidare il premio della polizza vita a favore di un soggetto che è semplicemente un chiamato all’eredità (perché ad esempio non ha ancora rinunciato ma viene inserito nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio e indicato come erede, seppur non abbia maturato la relativa volontà) ne pregiudicherebbe inevitabilmente la facoltà di rinuncia, poiché tale comportamento si configurerebbe come accettazione tacita; del pari, inserire il rinunciante nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio identificandolo come erede, aprirebbe profili penali legati alla veridicità delle informazioni rese.
Non è pertanto plausibile ritenere che le vicende successorie restino estranee al contratto di assicurazione e, conseguentemente al diritto del terzo beneficiario: sostenere l’estraneità dei due ambiti in una vicenda come quella analizzata pregiudicherebbe senza alcun dubbio la posizione dell’interessato.
La rinunzia all’eredità è certamente un atto che deve influire sulla designazione dei beneficiari della polizza, in quanto colui che ha manifestato la volontà di non accettare l’eredità non può in nessun caso ricadere nella categoria dei beneficiari (eredi) della polizza. A ciò si aggiunga che la liquidazione del premio della polizza vita a favore di un rinunciante pregiudicherebbe gli altri terzi beneficiari e le relative quote di spettanza.
Si ritiene utile precisare che il principio dell’autonomia ed estraneità del diritto del terzo beneficiario rispetto al diritto successorio, statuito dalla giurisprudenza maggioritaria, è stato espresso in una vicenda il cui quesito atteneva alla quota di premio spettante agli eredi-beneficiari (per quote uguali o secondo le disposizioni successorie?), perciò non si ritiene che lo stesso possa trovare applicazione in ogni ipotesi in cui la polizza vita designi gli eredi quali beneficiari.
In una vicenda come quella esaminata, non sembra perciò esservi altra via se non quella di effettuare un’analisi più approfondita sui beneficiari, verificando se gli stessi abbiano già manifestato la volontà di accettare l’eredità, liquidando così l’indennizzo solo a favore di chi rivesta lo status di erede legalmente inteso.
Preme evidenziare che tale posizione personale trova appoggio nella giurisprudenza minoritaria: da ultimo, la Suprema Corte, nella sentenza n. 19210/2015, discostandosi dall’orientamento maggioritario, ha chiarito che “l’interprete a fronte del lemma “eredi”, non deve individuare i beneficiari della liquidazione dell’indennizzo, sic et simpliciter, in coloro che all’apertura della successione ricevono la delazione ereditaria, bensì ha il compito di stabilire chi e in che misura acquista la qualità di erede“.
In ogni caso, il tema continua ad essere oggetto di dibattito giurisprudenziale , tant’è che la Suprema Corte, con l’ordinanza del 16 dicembre 2019 n. 33195, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite affinché risolvano il contrasto giurisprudenziale riportato.
Ad oggi non è ancora pervenuta la soluzione della Corte, ma si confida che l’interpretazione minoritaria sia quella condivisa in quanto sembra essere l’unica plausibile al fine di tutelare tout court i soggetti interessati.
1 Fonte https://www.ania.it/documents/35135/126701/LAssicurazione-ltaIiana-2019-2020.pdf/6e29e 2fd-cf94-9692-7d77-d48767332a22?version=1.0&t=1596196785589
2 tra le altre: Cass. 26606/2016; Cass. 25635/2018