Indice
1. Uno sguardo preliminare
2. La struttura del reato
3. Relazioni con altri reati
4. Profili processuali
5. Dubbi e prospettive
1. Uno sguardo preliminare
L’articolo 612 bis c.p. (atti persecutori o, più comunemente, “stalking” dal verbo inglese “to stalk” che significa “fare la posta alla preda”, “inseguire, pedinare”) è stato introdotto dal D.l. 23 febbraio 2009, n.11 e punisce chiunque “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”[1]. Tale figura criminosa, che costituisce una specificazione delle fattispecie di molestie o minacce, per come è strutturata, non pare poter violare il principio di determinatezza di cui all’art. 25 comma 2 Cost. solo perché il legislatore, nel definire le condotte e gli eventi, non ha adottato una tecnica analitica di enumerazione dei comportamenti sanzionati. È necessario, però, che attraverso l’interpretazione integrata, sistemica e teleologica, si riesca a individuare un significato chiaro, intelligibile e preciso dell’enunciato. Ma non basta. Ci sarebbe il rischio, infatti, di entrare in conflitto anche con il principio di uguaglianza, il quale dovrà ritenersi violato laddove “la fisiologica diversità delle interpretazioni giurisprudenziali nello stabilire la soglia della tipicità si trasformi in patologico arbitrio in mancanza di chiari parametri di riferimento e in presenza di elementi la cui interpretazione è troppo incerta”.[2]
Se si dovesse, poi, avallare l’interpretazione secondo cui quella scolpita nell’art. 612 bis sarebbe una fattispecie causale, gli eventi ivi previsti dovrebbero necessariamente rientrare nell’oggetto del dolo e ciò complicherebbe ancor più le cose, considerato che spesso nell’autore del reato mancherebbe del tutto la volontà di realizzare detti eventi. La volontà sarebbe diretta soltanto al compimento delle condotte che risultano moleste o minacciose e che sono finalizzate a instaurare un contatto con la vittima o ad avviare o ristabilire una relazione interrotta.
2. La struttura del reato
Si tratta di un reato comune che, in quanto tale, può essere commesso da chiunque, senza il possesso di una qualifica soggettiva (ad es. pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) da parte del soggetto attivo. Il concetto di reiterazione (con condotte reiterate) chiarisce che è necessario il compimento di più atti realizzati in momenti successivi (devono essere almeno due le condotte di minaccia o molestia)[3]. Queste ultime, però, devono anche essere idonee a cagionare uno dei tre eventi previsti alternativamente dalla norma. Nella valutazione di idoneità, condotta dal giudice in concreto, occorre dimostrare il nesso causale tra la condotta posta in essere dall’agente e i turbamenti derivati alla vita privata della vittima. Per quanto concerne il perdurante e grave stato di ansia e il fondato timore per l’incolumità, trattandosi di eventi afferenti alla sfera emotiva e psicologica, essi devono essere accertati mediante un’accurata osservazione di indici sintomatici comportamentali (desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell’agente) che denotino una destabilizzazione apprezzabile della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. Il riferimento alle abitudini di vita, invece, deve essere letto come un chiaro e verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare proprio a causa dell’interferenza dell’attività persecutoria nei suoi confronti.
Per quanto sopra detto, deve osservarsi che la fattispecie in esame costituisce un reato abituale di evento, per la cui sussistenza è sufficiente il dolo generico, il quale è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza sia dell’idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi previsti dalla norma che dell’abitualità del proprio agire.
3. Relazioni con altri reati
In tema di rapporti tra l’art. 612 bis c.p. e altre figure di reato, occorre rilevare come sia pacificamente ammesso il concorso con -a titolo esemplificativo- la diffamazione, la violenza privata, il danneggiamento, l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, le lesioni personali ecc., data la diversità dei beni giuridici tutelati dalle norme. Con particolare riferimento al rapporto che intercorre tra gli atti persecutori e i maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà con la quale esordisce l’art. 612 bis c.p. e che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando vengono integrati i suoi elementi tipici, si configura l’ipotesi aggravata prevista dal secondo comma della norma in esame quando i comportamenti sono posti in essere in un contesto di sopravvenuta cessazione del vincolo familiare e affettivo. Con la sentenza n. 24575/2012, la sezione VI della Corte di Cassazione ha precisato che, mentre il delitto di atti persecutori può ravvisarsi, in particolare, in caso di divorzio o relazione affettiva definitivamente cessata con la persona offesa, i maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. possono essere integrati in costanza di una separazione legale o di fatto[4].
4. Profili processuali
Il termine di sei mesi entro il quale la persona offesa dal delitto di atti persecutori può proporre querela, inizia a decorrere dalla consumazione del reato che coincide alternativamente con “l’evento di danno” consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante stato di ansia o di paura ovvero con “l’evento di pericolo” consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto. Quando la condotta è realizzata mediante minacce reiterate e gravi, la querela presentata è irrevocabile. Il delitto diviene perseguibile d’ufficio se ricorre l’ipotesi di connessione (con altro reato) prevista nell’ultimo comma dell’art. 612 bis c.p., la quale si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale ma anche materiale (ogni volta, cioè, che l’indagine sul reato perseguibile d’ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro o l’uno per occultare l’altro ecc.).
5. Dubbi e prospettive
A voler muovere qualche critica all’impostazione maggioritaria, si potrebbe osservare che ritenere lo stalking un reato di evento porterebbe a incentrare il giudizio di disvalore sul piano degli effetti della condotta sulla psiche della vittima, piuttosto che sull’idoneità causale della stessa condotta[5]. Potrebbe, allora, accadere che una condotta scarsamente significativa e non idonea, in base ad una valutazione ex ante, a provocare uno stato di ansia e di paura, assuma rilevanza penale anche quando l’evento si verifichi a causa della particolare fragilità psicologica della vittima; e che, al contrario, la punibilità si debba escludere, pur in presenza di condotte profondamente disturbanti, laddove l’evento non si verifichi per il forte carattere e la resistenza della vittima stessa. A onor del vero, una parte minoritaria ancorché autorevole della dottrina riconduce lo stalking nell’alveo dei reati di pericolo concreto. Vi è anche chi propone[6] una lettura differenziata dei tre eventi previsti dall’art. 612-bis c.p. Mentre il primo e il terzo sarebbero eventi di danno, che comportano una reale compromissione del bene giuridico tutelato (l’integrità psichica dell’individuo), il secondo, vale a dire il fondato timore, sarebbe un evento di pericolo concreto, che andrebbe valutato in relazione ad un bene giuridico differente, qual è, la propria o altrui incolumità. Ciò perché si ritiene che il timore, per essere fondato, non possa che essere il riflesso nella psiche della vittima di una situazione in cui si ravvisi un pericolo effettivo per la sua incolumità o per quella di un suo prossimo congiunto o di altra persona che abbia con essa una qualche relazione di tipo affettivo. Anche questa interessante opinione non trova accoglimento. L’impressione, tirando le somme, è che dall’art- 612 bis c.p. ci sia ancora tanto da imparare e che ciò che oggi appare come un’opinione più o meno cristallizzata su uno o più elementi della fattispecie, domani possa agevolmente mutare.
[1] Sul tema si veda, ex multis, A. GASPARRE, Il reato di stalking tra profili teorici e applicazioni giurisprudenziali, Key editore, 2019; G. CASSANO, Stalking, atti persecutori, cyberbullismo e tutela dell’oblio, Wolters Kluwer, 2017; G. BERRI, Stalking e ipotesi di confine, Giuffrè, Milano, 2012; P. COCO, La tutela della libertà individuale nel nuovo sistema “antistalking”, Jovene, Napoli, 2012.
A.M. MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Giappichelli, Torino, 2010; A. MICOLI, Il fenomeno dello stalking, Giuffrè, Milano, 2012.
[2] G. DE SIMONE, Il delitto di atti persecutori (la struttura oggettiva della fattispecie) in Archivio Penale n. 3/2013, p. 10.
[3] In tal senso si vedano Cass. pen., sez. V, 11 gennaio 2011, n. 7601; Cass. pen., sez. V, 2 marzo 2010, n. 25527, in Dir. pen. e proc., 2010, p. 1305, con commento di A. PECCIOLI, Il delitto di stalking: prime applicazioni nella giurisprudenza di legittimità, cit., ivi, p. 1308 ss.; Cass. pen., sez. V, 27 novembre 2012, n. 20993.
[4] Sul punto si veda, ad esempio, Cass. Pen., Sez. VI, 15/11/2019, n. 46476; C. MINNELLA, La Cassazione traccia la linea di confine tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di stalking, Diritto penale contemporaneo, 2012.
[5] Così A. CADOPPI, Efficace la misura dell’ammonimento del questore, 2009, p. 53.
[6] M. CAPUTO, Eventi e sentimenti nel delitto di atti persecutori, Jovene, 2011, p. 1396 s.