Nel giudizio di divorzio, e in caso di adozione di sentenza non definitiva sullo “status”, non trova applicazione l’art. 190 c.p.c., venendo in rilievo la disciplina speciale dell’art. 4 l. n. 898 del 1970 (come modificato dall’art. 8 l. n. 74 del 1987), che consente al giudice istruttore di rimettere la causa al collegio per la relativa decisione, quando la causa debba proseguire per la determinazione dell’assegno, così accelerando la procedura di accertamento dei presupposti per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, non solo quando la domanda non sia contestata, ma anche quando vi sia disaccordo delle parti sul punto, essendo tale disciplina finalizzata a scoraggiare quelle condotte processuali defatigatorie, volte a procrastinare la statuizione sulla modifica dello “status”. Cassazione civile, Sez. VI-I, sentenza n. 20323 del 26 luglio 2019 (Cass. civ. n. 20323/2019)
Sussiste la legittimazione attiva dell’interdetto infermo di mente, tramite il proprio rappresentante legale, a promuovere il giudizio di separazione personale, in applicazione analogica di quanto stabilito dal legislatore – con riferimento al divorzio – dall’art. 4, comma 5, d.lgs. 898/70, che espressamente disciplina la sola ipotesi in cui l’incapace abbia il ruolo di convenuto. Trattasi di opzione ermeneutica costituzionalmente orientata, volta ad evitare che l’interdetto sia privato in fatto di un diritto personalissimo di particolare rilievo, che la legge attribuisce ad entrambi i coniugi senza disparità di trattamento, nei casi previsti, ed il cui esercizio può rendersi necessario per assicurare l’adeguata protezione del soggetto incapace. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 14669 del 6 giugno 2018 (Cass. civ. n. 14669/2018)
Nel giudizio di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’ordinanza della corte di appello, pronunciata su reclamo avverso il provvedimento di diniego di misure provvisorie ed urgenti emesso dal presidente del tribunale, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., difettando il requisito della definitività in senso sostanziale e dell’idoneità al giudicato, dal momento che tale ordinanza, pur incidendo su posizioni di diritto soggettivo, non è idonea a statuire su di esse in modo definitivo, ma assume la stessa natura di provvedimento interinale, provvisorio e strumentale al giudizio di merito che caratterizza l’ordinanza presidenziale, sempre revocabile e modificabile dal giudice istruttore, ai sensi dell’art. 4, comma 8, della l. n. 898 del 1970. Cassazione civile, Sez. VI-I, ordinanza n. 11788 del 15 maggio 2018 (Cass. civ. n. 11788/2018)
Il giudizio di appello avverso la sentenza di primo grado in tema di separazione personale tra coniugi si svolge nelle forme del rito camerale, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 898 del 1970, come modificato dall’art. 8 della l. n. 74 del 1987, applicabile ai giudizi di separazione, secondo quanto disposto dall’art. 23, comma 1, di quest’ultima legge, sicché la corte d’appello, investita della cognizione del gravame, può decidere la controversia nella stessa udienza fissata dal presidente con decreto in calce al ricorso notificato alla controparte, non trovando applicazione, in materia, la disposizione di cui all’art. 352 c.p.c. Cassazione civile, Sez. I, semtenza n. 1867 del 1 febbraio 2016 (Cass. civ. n. 1867/2016)
Nel rito camerale previsto dall’art. 4, comma 12, della legge 1 dicembre 1970 n. 898, l’allegazione di documenti può eseguirsi anche oltre i termini fissati a tal fine, ma a condizione che sia rispettato il diritto dell’altra parte a interloquire sulla loro tardiva produzione. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 5876 del 13 aprile 2012 (Cass. civ. n. 5876/2012)
Nel procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, laddove il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda di assegno di divorzio, la pronuncia sulla decorrenza dell’assegno ben può essere adottata dalla Corte di merito, stante l’effetto devolutivo dell’appello. (La S.C. ha rigettato la tesi secondo cui, stante il riferimento al “tribunale” contenuto nell’art. 4 della legge n. 898 del 1970, solo il giudice di primo grado potrebbe pronunciarsi sulla decorrenza dell’assegno). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 5140 del 3 marzo 2011 (Cass. civ. n. 5140/2011)
In tema divorzio, la disposizione di cui all’art. 4, nono comma, della legge 1 dicembre 1970, n 898, nella formulazione introdotta dall’art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, secondo la quale, ai fini acceleratori della definizione del rapporto personale tra i coniugi, avverso la pronuncia sullo “status”, resa con sentenza non definitiva, è ammesso solo appello immediato, facendo eccezione alle regole generali del codice di rito e stante il tenore dell’art. 14 disp. prel. c.c., è insuscettibile di applicazione analogica; ne discende che è ammissibile la riserva facoltativa di ricorso avverso la sentenza non definitiva che quantifica ed attribuisce l’assegno divorzile. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 3488 del 12 febbraio 2009 (Cass. civ. n. 3488/2009)
In tema di determinazione dell’assegno divorzile, ove il giudice di merito non ne fissi la decorrenza dalla data della domanda, avvalendosi della facoltà sancita dall’art. 4, decimo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, esso spetta dalla data della sentenza che ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4424 del 21 febbraio 2008 (Cass. civ. n. 4424/2008)
Ove il giudice del divorzio, nell’emettere la sentenza che dispone la somministrazione del relativo assegno, abbia stabilito, in considerazione delle modeste condizioni economiche dell’onerato, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della deliberazione della sentenza di primo grado — così erroneamente scegliendo una data intermedia di decorrenza fra quella della domanda introduttiva e quella del passaggio in giudicato della pronuncia di scioglimento (o di cessazione degli effetti civili) del matrimonio —, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale l’avente diritto all’assegno di divorzio censuri tale statuizione relativa alla decorrenza dell’assegno senza tuttavia indicare le circostanze necessarie e sufficienti per fissare l’insorgenza del diritto alla percezione dell’assegno dalla domanda introduttiva del giudizio, e ciò trattandosi di censura finalizzata ad ottenere il rispetto meramente astratto della legge e non la tutela di un concreto interesse della parte ricorrente. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 23396 del 16 dicembre 2004 (Cass. civ. n. 23396/2004)
All’esito delle modifiche apportate, all’art. 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, dall’art. 8 della legge 6 marzo 1987 (applicabili anche in tema di separazione giudiziale dei coniugi, in virtù e nei limiti della disposizione di cui all’art. 23), alla natura fin dall’origine contenziosa dei procedimenti di separazione giudiziale e di scioglimento del matrimonio non si accompagna la caratterizzabilità dell’udienza presidenziale di comparizione dei coniugi in termini corrispondenti (nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione) a quelli dell’udienza prevista dall’art. 180 c.p.c.; con la conseguenza, fra l’altro, che, a tutti i fini che concernono i termini per la costituzione del coniuge convenuto e quelli di decadenza dello stesso per la formulazione delle domande riconvenzionali ivi compresa quella di riconoscimento dell’assegno divorzile — quale udienza di prima comparizione, rilevante ai sensi dell’art. 180 c.p.c. e degli artt. 166 e 167 c.p.c., deve intendersi esclusivamente quella innanzi al giudice istruttore nominato all’esito della fase presidenziale. Né — manifestamente — siffatta interpretazione del quadro normativo, determinatosi a seguito dell’abrogazione della previsione della notifica dell’ordinanza conclusiva della fase presidenziale, può dirsi contrastante con gli artt. 24 e 3 Cost., atteso che la necessità di eventuali ulteriori avvertimenti, durante lo svolgimento del giudizio, in relazione al verificarsi di determinate circostanze, non può valere ad individuare il contenuto del diritto di difesa costituzionalmente garantito, e che non è neppure ipotizzabile una disparità di trattamento rispetto ai convenuti nei giudizi di rito ordinario, considerata la specialità del procedimento di divorzio (e di separazione giudiziale) evidenziata proprio dalla peculiarità della fase introduttiva. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4903 del 10 marzo 2004 (Cass. civ. n. 4903/2004)
Il diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio, in quanto avente ad oggetto più prestazioni periodiche, distinte ed autonome, si prescrive non a decorrere da un unico termine costituito dalla sentenza che ha pronunciato sul diritto stesso, ma dalle scadenze delle singole prestazioni imposte dalla pronuncia giudiziale, in relazione alle quali sorge di volta in volta l’interesse del creditore all’adempimento. Ne consegue che, dovendo tali prestazioni essere erogate alle scadenze fissate e sino al momento della diversa determinazione del giudice in sede di revisione, ovvero fino alla morte dell’ex coniuge onerato, non può profilarsi al momento del decesso una prescrizione del diritto all’ultimo assegno spettante, tale da estinguere il diritto alla sua percezione, e quindi da impedire il sorgere del diritto alla quota della pensione di reversibilità. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 336 del 14 gennaio 2004 (Cass. civ. n. 336/2004)
Il giudice del divorzio, nell’emettere la sentenza che dispone la somministrazione dell’assegno di divorzio, può disporre, ai sensi dell’art. 4, comma decimo, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, come novellato dall’art. 8 della L. 6 marzo 1987, n. 74, che l’assegno decorra dalla data di notifica della domanda introduttiva anziché dalla data del passaggio in giudicato della pronuncia di scioglimento (di cessazione degli effetti civili) del matrimonio, ma non può fissare la decorrenza dell’assegno da un momento diverso, intermedio tra le suddette due date, nemmeno in considerazione di esigenze equitative, atteso che il conferimento al giudice di un potere discrezionale così ampio ed incisivo non appare giustificato dalla formulazione della norma, né dai relativi lavori preparatori. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 6737 del 15 giugno 1995 (Cass. civ. n. 6737/1995)
Il principio enunciato nell’art. 4 n. 10 della L. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 8 della L. n. 74 del 1987 — secondo il quale il giudice del merito può far decorrere l’assegno di divorzio, ove ne ricorrano le condizioni, dal momento della domanda — ha una portata generale ed è quindi applicabile non solo nell’ipotesi espressamente prevista in cui si sia pronunciato il divorzio con sentenza non definitiva, ma anche in quella in cui con la stessa decisione si sia dichiarato lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio e si sia condannato un coniuge a corrispondere all’altro l’assegno di divorzio, senza peraltro che sia necessaria un’apposita domanda di parte in ordine alla decorrenza dell’assegno; ciò non costituisce deroga al principio secondo il quale l’assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, decorre dal passaggio in giudicato della relativa statuizione, bensì un temperamento a tale principio, col conferire al giudice il potere discrezionale, in relazione alle circostanze del caso concreto, di disporre la decorrenza di esso alla data della domanda, senza che a tal fine la pronuncia di sentenza non definitiva costituisca un necessario requisito per l’esercizio di detto potere. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 8288 del 11 ottobre 1994 (Cass. civ. n. 8288/1994)
Disporre la decorrenza dell’assegno di divorzio dal momento della domanda, ai sensi dell’art. 4, comma 10, della L. 1 dicembre 1970, n. 898 così come sostituito dall’art. 8 della L. 6 marzo 1987, n. 74, non costituisce un obbligo per il giudice, bensì soltanto una facoltà discrezionale, in ordine al cui mancato esercizio non si richiede una specifica motivazione, comportando la norma sopra menzionata deroga al principio generale secondo il quale, quando il diritto all’assegno dipende da un nuovo status rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, gli effetti di tale sentenza non possono prodursi se non dal momento in cui passa in giudicato, con la conseguenza che la mancata retroattività dell’assegno divorzile significa che il giudice ha implicitamente ritenuto opportuno conservare, per tutta la durata del giudizio di divorzio, il regime della separazione. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 6049 del 29 maggio 1993 (Cass. civ. n. 6049/1993)