Articolo 3 – Legge sul divorzio

(L. 1 dicembre 1970, n. 898 - Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio)

Domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio

Articolo 3 - legge sul divorzio

1.Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi:

1) quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l’altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza:
a) all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale;
b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all’articolo 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione;
c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio;
d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all’art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio;
Nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare.
Per tutte le ipotesi previste nel n. 1) del presente articolo la domanda non è proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa;

2. nei casi in cui:

a) l’altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l’inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare;
b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970.
In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. (2)
L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta;
[Quando vi sia opposizione del coniuge convenuto il termine di cui sopra è elevato:
ad anni sette, nel caso di separazione pronunciata per colpa esclusiva dell’attore;
ad anni sei, nel caso di separazione consensuale omologata in data anteriore all’entrata in vigore della presente legge o di separazione di fatto;] (1)
c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del n. 1) del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi;
d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo;
e) l’altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all’estero nuovo matrimonio;
f) il matrimonio non è stato consumato;
g) è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge 14 aprile 1982, n. 164.

Articolo 3 - Legge sul divorzio

1.Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi:

1) quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l’altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza:
a) all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale;
b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all’articolo 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione;
c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio;
d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all’art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio;
Nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare.
Per tutte le ipotesi previste nel n. 1) del presente articolo la domanda non è proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa;

2. nei casi in cui:

a) l’altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l’inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare;
b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970.
In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. (2)
L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta;
[Quando vi sia opposizione del coniuge convenuto il termine di cui sopra è elevato:
ad anni sette, nel caso di separazione pronunciata per colpa esclusiva dell’attore;
ad anni sei, nel caso di separazione consensuale omologata in data anteriore all’entrata in vigore della presente legge o di separazione di fatto;] (1)
c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del n. 1) del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi;
d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo;
e) l’altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all’estero nuovo matrimonio;
f) il matrimonio non è stato consumato;
g) è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge 14 aprile 1982, n. 164.

Note

(1) Il presente capoverso è stato abrogato dall’ art. 6 L. 06.03.1987, n. 74.
(2) Il presente capoverso è stato così modificato, da ultimo, dall’art. 1, L. 06.05.2015, n. 55 con decorrenza dal 26.05.2015

Massime

Nel giudizio avente a oggetto la declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il termine dilatorio di dodici mesi della protrazione dello stato di separazione tra i coniugi dalla loro comparizione innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale, previsto dall’art. 3, comma 1, n.2, lett. b) della l. n. 898 del 1970, non è soggetto alla sospensione feriale dei termini di cui alla l. n. 742 del 1969, non avendo natura né di termine processuale, né di termine di decadenza sostanziale, ma connotandosi alla stregua di presupposto per la proponibilità della domanda.

Nel giudizio avente a oggetto la declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’art. 3 della legge n. 898 del 1970, nella parte in cui contempla la separazione dei coniugi come causa di divorzio, dà vita a una fattispecie complessa, che contempla sia l’autorizzazione dei coniugi a vivere separati che la determinazione del periodo temporale minimo della predetta separazione ai fini della proponibilità della domanda di divorzio, di talché quest’ultima non può trovare accoglimento tanto nell’ipotesi in cui non sia passata in giudicato la pronuncia sulla separazione personale quanto nell’ipotesi in cui il predetto termine dilatorio non sia integralmente decorso. Cassazione civile, Sez. VI-I, ordinanza n. 36176 del 23 novembre 2021 (Cass. civ. n. 36176/2021)

 

Qualora sia stata proposta istanza congiunta di divorzio, la revoca del consenso da parte di uno dei coniugi non comporta l’improcedibilità della domanda, dovendo il tribunale provvedere ugualmente all’accertamento dei presupposti per la pronuncia richiesta, per poi procedere, in caso di esito positivo della verifica, all’esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone la conformità a norme inderogabili ed agli interessi dei figli minori. Infatti, a differenza di quanto avviene nel procedimento di separazione consensuale, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell’ambito del quale l’accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale ex art. 3 della l. n. 898 del 1970, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, consentendo al tribunale di intervenire su tali accordi nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l’adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose. Cassazione civile, Sez. VI-I, ordinanza n. 19540 del 24 luglio 2018 (Cass. civ. n. 19540/2018)

Deve essere dichiarata improponibile per difetto dei requisiti di cui all’art.3 n.2 lett.b) della legge 1 dicembre 1970, n.898, la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel caso in cui le parti, all’udienza presidenziale di un precedente analogo giudizio, abbiano dichiarato di aver ripristinato la convivenza spirituale e materiale, propria delle vita coniugale, in quanto tale dichiarazione, ai sensi dell’art.157 cod.civ., è sufficiente a fare cessare gli effetti della precedente separazione personale. Cassazione civile, Sez. VI-I, ordinanza n. 334 del 12 gennaio 2012 (Cass. civ. n. 334/2012)

Nei giudizi di divorzio, l’art. 3, secondo comma, lett. b), della legge 1 dicembre 1970 espressamente stabilisce che l’eccezione di sopravvenuta riconciliazione deve essere proposta ad istanza di parte; pertanto, il giudice non può rilevarla d’ufficio, non investendo profili d’ordine pubblico, ma aspetti strettamente attinenti ai rapporti tra i coniugi, in ordine ai quali è onere della parte convenuta eccepire e conseguentemente provare l’avvenuta riconciliazione. (Nella fattispecie la ricorrente, contumace in primo grado, aveva per la prima volta proposto l’eccezione di riconciliazione in fase di appello con conseguente e confermata declaratoria d’inammissibilità da parte del giudice di secondo grado). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 23510 del 19 novembre 2010 (Cass. civ. n. 23510/2010)

Nella disciplina della cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con il rito religioso, lo stato di separazione dei coniugi concreta un requisito dell’azione, necessario secondo la previsione dell’art. 3, n. 2, lett. b) della legge n. 898 del 1970, la cui interruzione deve essere eccepita dalla parte convenuta. (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza del merito che aveva negato l’effetto interruttivo della separazione alla riunione dei coniugi ritenendo non provata l’eccezione della convenuta). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 22346 del 26 novembre 2004 (Cass. civ. n. 22346/2004)

Nella disciplina della cessazione degli effetti civili del matrimonio, il pregresso stato di separazione tra i coniugi (concretante un vero e proprio requisito dell’azione, ex art. 3, n. 2 della L. n. 898 del 1970) può legittimamente dirsi interrotto nel caso in cui si sia concretamente e durevolmente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali sì da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non anche quando il riavvicinamento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneità ed occasionalità (principio affermato dalla S.C. con riferimento ad una vicenda di riavvicinamento coniugale concretatosi nel semplice ripristino della convivenza per un limitato periodo di tempo in conseguenza dello stato di detenzione domiciliare del marito). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 1227 del 4 febbraio 2000 (Cass. civ. n. 1227/2000)

Per promuovere il giudizio di divorzio è sufficiente — ai sensi dell’articolo 3, n. 2, lett. b), della L. n. 898 del 1970 — che sia divenuta definitiva la pronuncia di separazione, essendo irrilevante che la sentenza stessa sia stata impugnata nel solo capo relativo ai provvedimenti consequenziali (nella specie, era stato impugnato il solo capo concernente l’assegnazione della casa coniugale). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 416 del 15 gennaio 2000 (Cass. civ. n. 416/2000)

Le disposizioni della L. n. 898 del 1970 sui casi di scioglimento del matrimonio spiegano i propri effetti anche in relazione ai matrimoni precedentemente celebrati, anche se concordatari, in qualunque tempo contratti, in applicazione del principio della immediata operatività dello ius superveniens sui rapporti non esauriti, senza che ciò importi l’efficacia retroattiva di tale normativa, essendo questa destinata soltanto a regolare gli effetti del rapporto matrimoniale in corso senza incidere sul fatto generatore di esso. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4462 del 5 maggio 1999 (Cass. civ. n. 4462/1999)

Ai sensi dell’art. 3, n. 2, lett. f) della L. n. 898 del 1970, la non consumazione del matrimonio non incide, di per sé, sull’esistenza e sulla validità giuridica del matrimonio, come atto e come rapporto, ma è causa di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario. Da ciò consegue che essa non tocca — di per sé — la validità e idoneità del matrimonio a produrre effetti sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, né incide sull’applicazione della normativa relativa all’assegno di divorzio. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 9442 del 21 settembre 1998 (Cass. civ. n. 9442/1998)

La dichiarazione di divorzio non consegue automaticamente alla constatazione della presenza di una delle cause previste dall’art. 3 della L. 898 del 1970 (oggi dagli artt. 1 e 7 della L. n. 74 del 1987), ma presuppone, in ogni caso, attesi i riflessi pubblicistici riconosciuti dall’ordinamento all’istituto familiare, l’accertamento, da parte del giudice, della esistenza (dell’essenziale condizione) della concreta impossibilità di mantenere o ricostituire il consorzio familiare per effetto della definitività della rottura dell’unione spirituale e materiale tra i coniugi (accertamento di ampiezza ed approfondimento diversi, secondo le circostanze emergenti dagli atti e le deduzioni svolte in concerto dalle parti). L’asserito venir meno dello stato di separazione, opposto da uno dei coniugi in presenza di una richiesta di divorzio avanzata dall’altro coniuge, ha, pertanto, come suo indefettibile presupposto, l’avvenuta riconciliazione (ossia la ricostituzione del nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali), e va accertato attribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti posti in essere dai coniugi — valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ricostruzione del rapporto matrimoniale — piuttosto che con riferimento al mero elemento psicologico, tanto più difficile da provare in quanto appartenente alla sfera intima dei sentimenti e della spiritualità soggettiva. (Nella specie, il giudice di merito aveva ritenuto la inesistenza di una insanabile frattura del vincolo coniugale per il solo fatto che il marito, pur vivendo in un’altra città e con un’altra donna, tornasse in famiglia nei soli fine settimana, provvedendo, in tali occasioni, con la moglie, al menage domestico ed all’educazione dei figli: la S.C., nell’affermare il principio di diritto di cui in massima, ha cassato la sentenza impugnata). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 6031 del 17 giugno 1998 (Cass. civ. n. 6031/1998)

In tema di divorzio, la condanna all’ergastolo o alla reclusione superiore a quindici anni, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale o sociale, legittima di per sé l’altro coniuge a proporre ricorso per lo scioglimento del matrimonio, ai sensi dell’art. 3, comma primo, n. 1, lett. a), della L. 1 dicembre 1970, n. 898, mentre restano prive di effetto le modifiche della pena su cui si è formato il giudicato, che possano intervenire come conseguenza di provvedimenti di clemenza di qualsiasi natura, atteso che la ragione della norma è costituita dal disvalore morale e sociale riversato sul coniuge da quel tipo di condanna, che rende il vincolo matrimoniale, presumibilmente, non tollerabile.

Ai fini della proponibilità della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nel caso di cui all’art. 3, comma primo, n. 1, lett. a) della L. 1 dicembre 1970, n. 898 (condanna dell’altro coniuge, con sentenza passata in giudicato, all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale), l’accertamento della sussistenza dei motivi di particolare valore morale e sociale è rimesso al giudice penale e non spetta, quindi, al giudice del divorzio, il quale non può riconsiderare la condotta dell’imputato condannato con sentenza passata in giudicato. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 8457 del 25 settembre 1996 (Cass. civ. n. 8457/1996)

Quando nel giudizio diretto ad ottenere la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio l’attore faccia valere, quale presupposto per ottenere il divorzio, una sentenza di separazione personale emessa da un giudice straniero, la domanda che così si propone non mira a costituire nel nostro ordinamento la situazione giuridica che la sentenza straniera ha determinato, ma ad esercitare un diritto che in detta situazione trova il suo presupposto, con la conseguenza che si è al di fuori dell’ambito della delibazione della sentenza straniera, in via principale o incidentale, disciplinata dagli artt. 796 e seguenti c.p.c. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 11297 del 13 dicembre 1994 (Cass. civ. n. 11297/1994)

L’autorità giudiziaria investita della richiesta della pronuncia di divorzio fondata sulla presenza di una delle fattispecie previste alternativamente dall’art. 3, n. 2, lett. b) della L. n. 898 del 1970 (separazione di fatto e separazione giudiziale), non può pronunciare il divorzio d’ufficio accertando che esisteva una delle altre fattispecie legali (nella specie, a norma dell’art. 3, lett. e), L. 898 del 1970 per il solo fatto che ad altri effetti era stata prodotta in giudizio la sentenza di divorzio straniera). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 9126 del 10 dicembre 1987 (Cass. civ. n. 9126/1987)

La reversibilità della disgregazione della comunione spirituale e materiale dei coniugi, nonostante l’infruttuoso tentativo di conciliazione, che può portare il giudice del divorzio a negare la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, pur in presenza di una delle situazioni previste dall’art. 3 della L. 1 dicembre 1970, n. 898 (nella specie, stato di separazione legale protrattosi per il termine previsto), sussiste ove ricorrano concreti elementi idonei ad evidenziare, in termini di probabilità e non di mera possibilità, una ragionevole prevedibilità di ricostruzione di detta comunione a breve scadenza.

Al fine dei presupposti per la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, mentre lo stato di separazione di fatto può considerarsi interrotto dalla ripresa della mera convivenza materiale, ovvero dal solo ripristino dell’intesa spirituale dei coniugi, l’interruzione della separazione legale può ravvisarsi solo nel caso di ricostruzione del consorzio familiare in tutti i suoi rapporti materiali e spirituali. Al fine indicato, pertanto, una temporanea ripresa della coabitazione, fra coniugi legalmente separati, può considerarsi interruttiva dello stato di separazione solo se evidenzi un’inequivoca intenzione di dare nuova vita alla società coniugale. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 1562 del 5 aprile 1978 (Cass. civ. n. 1562/1978)

Alla stregua della testuale formulazione degli artt. 1 e 2 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, nonché della ratio della stessa, il divorzio non viene pronunziato sulla base della mera constatazione della ricorrenza di una delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 3 della legge, occorrendo che il giudice accerti anche l’essenziale condizione della concreta impossibilità di mantenere o ricostituire il consorzio coniugale. Tale impossibilità può essere desunta dal giudice anche presuntivamente, oltre che dal fallimento del tentativo di conciliazione, dalla lunga durata della separazione di fatto e da altre circostanze, sempre che siffatto accertamento sia sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. Il potere inquisitorio che la legge (ultimo comma dell’art. 4 della L. 1 dicembre 1970, n. 898) riconosce al giudice istruttore in tema di divorzio può e deve essere concretamente esercitato sempreché le parti si siano comportate in modo da ingenerare il sospetto di una collusione pregiudizievole alla corretta applicazione della legge, oppure abbiano dedotto in primo ed in secondo grado elementi di fatto verso i quali possa essere utilmente indirizzata l’indagine d’ufficio.

Quando il periodo di separazione di fatto, riconosciuto dalla legge al limitato fine giuridico di valido presupposto per la pronunzia di divorzio, risulti già completato prima del passaggio in giudicato del provvedimento giudiziale che sancisce lo stato di separazione legale, questo provvedimento non può eliminare quel presupposto giuridico che era già divenuto utilmente operante, abilitando il soggetto interessato a proporre la domanda di scioglimento del matrimonio. Pertanto, nell’ipotesi considerata, il termine previsto dall’art. 3, n. 2 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, per la proposizione della domanda di divorzio, decorre dalla data di effettiva cessazione della convivenza e non dalla data di comparizione delle parti dinanzi al giudice. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 3079 del 3 settembre 1976 (Cass. civ. n. 3079/1976)

La valutazione del giudice del merito in ordine alla possibilità di ricostituire il consorzio familiare, al fine di escludere la pronuncia di divorzio, è bensì incensurabile in sede di legittimità per quanto attiene agli accertamenti di fatto, ma è censurabile per quanto attiene alla rispondenza dei criteri seguiti alla concezione del matrimonio, non già contrattualistica ma comunitaria, di cui agli artt. 29 e 30 Cost., che comportano una convivenza caratterizzata da una certa organizzazione domestica, dal reciproco aiuto, dai rapporti sessuali (almeno normalmente), nonché dall’intenzione di riservare al coniuge la posizione di esclusivo compagno di vita, anche quando la solidarietà esiga sacrificio. E, nel caso di separazione di fatto durata oltre sei anni, non sono sufficienti a fare ritenere la possibilità di ricostruire il consorzio familiare la cura di un coniuge per gli affari economici comuni, la reciproca cordialità di rapporti e l’interesse per la vita dei figli. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 1595 del 7 maggio 1976 (Cass. civ. n. 1595/1976)

Le cause di scioglimento, o di cessazione degli effetti civili, del matrimonio, previste dall’art. 3 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, operano in presenza del presupposto che, per effetto di esse, la comunione spirituale e materiale fra i coniugi non possa essere mantenuta o ricostituita. L’accertamento che in tal senso compie il giudice costituisce un apprezzamento di merito insindacabile in Cassazione, se correttamente e adeguatamente motivata. Perché si verifichi il presupposto su indicato non è necessario che entrambi i coniugi siano concordi nel volere, o nel ritenere avvenuta, la dissoluzione della predetta unione. Al contrario, proprio perché il mantenimento o la ricostituzione della comunione stessa richiede il concorso delle volontà dei due coniugi, è sufficiente la contraria volontà di uno solo di essi perché il giudice di merito possa, in presenza di ogni altra circostanza all’uopo pertinente, ritenere sussistente il presupposto innanzi indicato. Né d’altronde è necessario che la predetta contraria volontà manifestata da uno dei coniugi con il fatto di separarsi e di persistere nello stato di separazione, sia giustificata da un fatto obiettivo o da colpa della controparte, in quanto la legge dà rilevanza a detto stato (ed al suo protrarsi per il tempo previsto in proposito) indipendentemente dall’assenza di colpa del coniuge che si fa attore. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4178 del 19 dicembre 1975 (Cass. civ. n. 4178/1975)

Secondo la L. 1 dicembre 1970, n. 898, il divorzio non dipende dalla mera volontà del coniuge istante, né viene pronunciato in base alla mera constatazione di una delle cause previste dall’art. 3 della legge stessa; per contro, la relativa declaratoria è il risultato dell’esercizio del potere-dovere del giudice di accertare, oltre l’esistenza in concreto delle ipotesi tassativamente elencate in detta norma, anche l’essenziale condizione della impossibilità di mantenere o costituire il consorzio coniugale. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 3692 del 30 ottobre 1975 (Cass. civ. n. 3692/1975)

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