Il ricorso abusivo al credito di cui all’art. 218 l. fall. è reato di mera condotta e richiede che il credito sia stato ottenuto mediante dissimulazione ai danni dell’ignaro creditore, che può quindi assumere il ruolo di persona offesa, e si distingue dal reato di bancarotta impropria mediante operazioni dolose di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2 l. fall. (operazioni consistite nell’ottenimento di crediti per mascherare lo stato di insolvenza dell’impresa) nel quale non è necessaria la dissimulazione, e l’operazione – avente rilevanza causale o concausale del dissesto o del suo aggravamento – può anche essere concordata con il creditore a conoscenza delle condizioni dell’impresa. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 46689 del 8 novembre 2016 (Cass. pen. n. 46689/2016)
Integra il reato di ricorso abusivo al credito (art. 218 L. fall.), la dissimulazione dello stato di dissesto della società avvenuta attraverso l’utilizzo strumentale della posta debitoria e la natura parzialmente fittizia del finanziamento soci, non facilmente individuabile dalle banche.
Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 38144 del 21 novembre 2006 (Cass. pen. n. 38144/2006)La differenza tra la ipotesi di bancarotta post-fallimentare disciplinata dall’art. 216 comma secondo legge n. 267 del 1942 e quella di ricorso abusivo al credito prevista dall’art. 218 della stessa legge sta nel fatto che con il primo reato vengono sanzionati i comportamenti distrattivi propri della bancarotta patrimoniale compiuti dall’imprenditore dopo la dichiarazione di fallimento; con il secondo, è punito il ricorso al credito da parte dell’imprenditore non ancora fallito che, a tal fine, dissimuli lo stato di dissesto. Il reato di ricorso abusivo al credito richiede che il soggetto al quale esso viene addebitato sia, successivamente, dichiarato fallito. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 23796 del 24 maggio 2004 (Cass. pen. n. 23796/2004)