In tema di risoluzione e annullamento del concordato preventivo, l’attuale testo dell’art. 137 l.fall. (conseguente alle modifiche apportate dall’art. 9, comma 10, d.lgs. n. 169 del 2007), cui rinvia l’art. 186 stessa l., postulando che al procedimento sia chiamato a partecipare anche l’eventuale garante, include quest’ultimo accanto al debitore tra i soggetti del processo, così da concretizzare una fattispecie di litisconsorzio necessario processuale. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 24441 del 30 settembre 2019 (Cass. Civ. 24441/2019)
Il commissario liquidatore, diversamente da quanto consentito al curatore dall’art. 137, comma 1, l.fall. per il concordato fallimentare, non può, senza il patrocinio di un procuratore legalmente esercente che ne assicuri la difesa tecnica, presentare istanza di risoluzione del concordato di liquidazione previsto dall’art. 215 l.fall. (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla novella apportata dal d.lgs. n. 169 del 2007), avuto conto, da un lato, del carattere contenzioso di tale procedimento, sebbene ne sia prevista la trattazione con rito camerale, e, dall’altro, della sua autonomia rispetto alla procedura di liquidazione coatta amministrativa in cui si inserisce. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 19723 del 2 ottobre 2015 (Cass. Civ. 19723/2015)
La dichiarazione di risoluzione del concordato fallimentare, che sia stato omologato anteriormente alla modifica dell’art. 137 legge fall., quale introdotta dal D.L.vo n. 169 del 2007 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2008, è assoggettata alle nuove disposizioni, in quanto l’art. 22 del cit. D.L.vo, per il quale la novella si applica alle procedure di concordato fallimentare aperte dopo la sua entrata in vigore, va inteso siccome riferito al procedimento che viene definito con il provvedimento di omologazione e non anche all’autonoma fase della risoluzione, per la quale dunque vige l’ordinario principio del “tempus regit actum”; ne consegue che la relativa iniziativa può essere assunta solo da un creditore e non d’ufficio da parte del tribunale. (Principio affermato dalla S.C. che, affermando l’illegittimità della dichiarazione di risoluzione del concordato fallimentare, per carenza di legittimazione del curatore, ha formulato tale rilievo d’ufficio, avendo l’impugnazione nel merito della pronuncia di primo grado precluso la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione “ad causam”). Cassazione civile, Sez. VI, sentenza n. 2672 del 22 febbraio 2012 (Cass. Civ. 2672/2012)
In tema di fallimento, il combinato disposto degli artt. 124, comma secondo e 137 legge fall. va interpretato nel senso che l’obbligatorietà della convocazione in camera di consiglio, in ipotesi di risoluzione del concordato fallimentare, si estende anche al soggetto che, come patto di concordato, abbia prestato fideiussione a favore dell’assuntore, venendosi quegli a trovare, ai fini dell'(in) adempimento, nella stessa posizione nella quale si trova il garante rispetto al fallito. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13900 del 19 settembre 2003 (Cass. civ. n. 13900/2003)
Soltanto il provvedimento che risolve il concordato fallimentare è una sentenza, impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., mentre, in caso di rigetto della richiesta di risoluzione del concordato, il tribunale deve pronunciarsi con decreto, reclamabile alla Corte d’appello ex art. 739 c.p.c.; ne consegue che ove il giudice erroneamente pronunci il rigetto con “sentenza”, il mezzo di impugnazione contro la stessa esperibile non è il ricorso straordinario per cassazione (il quale, se proposto, deve essere dichiarato inammissibile), dovendo escludersi che, in relazione al detto provvedimento, possa parlarsi di definitività (di assenza, cioè, di ogni rimedio nell’ambito processuale) dell’ordimamento processuale. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 3499 del 7 marzo 2003 (Cass. civ. n. 3499/2003)
In tema di risoluzione del concordato fallimentare, l’art. 137 L. fall., prevedente che, prima della relativa pronuncia, il debitore e i suoi fideiussori compaiono dinanzi al tribunale, non va inteso nel senso che sia richiesta necessariamente la previa comparizione dinanzi al Tribunale nella sua composizione collegiale, essendo sufficiente che il debitore e i fideiussori siano previamente invitati a comparire dinanzi al giudice delegato. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 9528 del 20 luglio 2000 (Cass. civ. n. 9528/2000)
Il decreto con cui il tribunale rigetti l’istanza del creditore tendente alla risoluzione del concordato fallimentare (o di quello preventivo) non è impugnabile con ricorso per cassazione, a norma dell’art. 111 della Costituzione, trattandosi di provvedimento che non decide in via definitiva e diretta su un diritto soggettivo del creditore, il quale, oltre a beneficiare dell’eventuale modifica o revoca del decreto, ha la possibilità di riproporre l’istanza di risoluzione, ovvero di formulare autonome domande di condanna nei confronti del fallito tornato in bonis, del garante del concordato o dell’assuntore dello stesso. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 10095 del 19 novembre 1996 (Cass. civ. n. 10095/1996)
Nel giudizio di risoluzione del concordato fallimentare per inadempimento degli obblighi concordatari, il tribunale non ha altro compito né altro potere che quello di accertare se il concordato sia stato eseguito, o meno, nei termini e con le modalità stabiliti nella sentenza di omologazione, senza alcun margine di discrezionalità in ordine alla valutazione della gravità o all’imputabilità dell’inadempimento. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 157 del 10 gennaio 1996 (Cass. civ. n. 157/1996)
La disposizione dell’art. 137 della legge fallimentare secondo cui la risoluzione del concordato non può essere pronunciata trascorso un anno dalla scadenza dell’ultimo pagamento, deve essere interpretata nel senso che per l’osservanza del menzionato termine di decadenza, deve aversi riguardo unicamente alla pronuncia del provvedimento di risoluzione, con la conseguenza che questo non può essere adottato dopo la sua scadenza, ancorché la relativa domanda sia stata anteriormente proposta. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 9118 del 10 dicembre 1987 (Cass. civ. n. 9118/1987)